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Gustave Courbet      La Femme au Perroquet    1866
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Claire Denis - Friday Night (2002)
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"Una spada tra di noi, pensò di nuovo. E poi: come nemici mortali stiamo qui uno accanto all'altra. Ma erano soltanto parole."
Doppio sogno, Arthur Schnitzler
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ulysses and the sirens (detail) by john william waterhouse, 1891
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Era cosí. Non ero vecchia. Ero solo uscita dalla prima giovinezza e avevo già un passato. Quella stanchezza non era che la nostalgia per qualcosa che s’è avuto e si pensa che non tornerà piú.
L'arte della gioia, Goliarda Sapienza
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Lucerna
Luigi Ghirri, 1971
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I felt a Funeral, in my Brain, And Mourners to and fro Kept treading — treading — till it seemed That Sense was breaking through — 
And when they all were seated, A Service, like a Drum — Kept beating — beating — till I thought My Mind was going numb — 
And then I heard them lift a Box And creak across my Soul With those same Boots of Lead, again, Then Space — began to toll,
As all the Heavens were a Bell, And Being, but an Ear, And I, and Silence, some strange Race Wrecked, solItary, here — 
And then a Plank in Reason, broke, And I dropped down, and down — And hit a World, at every plunge, And Finished knowing — then —
— Emily Dickinson, “I felt a Funeral, in my Brain (Poem #280),” from The Complete Poems of Emily Dickinson (Little, Brown, and Company, 1960)
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Se adesso cominciasse a piovere ti bagneresti, se questa notte farà freddo la tua gola ne soffrirà, se torni indietro a piedi nel buio dovrai farti coraggio, se continui a vagare sarai sempre più sfatto. Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo.
Gianni Celati, Verso la foce
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Pensieri venuti. Si è disposti all’osservazione quando si ha voglia di mostrare ad altri quello che si vede. È il legame con gli altri che dà colori alle cose, le quali altrimenti appaiono smorte. C’è sempre il vuoto centrale dell’anima da arginare, per quello si seguono immagini viste o sognate, per raccontarle ad altri e respirare un po’ meglio. Ma certuni ti fanno passar subito la voglia di raccontare: loro cercano solo “le ragioni” del mondo, dunque prendono ogni immagine solo come apatica informazione sul funzionamento esterno. Letto un racconto di Delfini dove il protagonista si mette in testa di diventare contrabbandiere-scrittore. Diventare uno scrittore vero e proprio richiede troppa ipocrisia, e il povero Delfini non ci è mai riuscito. Invece il contrabbandiere-scrittore è lì per far vendetta: per imbrogliare gli ipocriti civili che pretendono non ci sia nessun vuoto centrale, che tutto vada bene, quasi che loro avessero dentro salda roccia e non un buco, come tutti.
Gianni Celati, Verso la foce
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Sono attratto da queste casette incantate per qualcosa che non so spiegare, una sospensione, un dismemorarsi di tutto che mi viene in gola.
Gianni Celati, Verso la foce
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October by Mary Oliver from New And Selected Poems; Volume One
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Hour of the Wolf 1968 Ingmar Bergman
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“Oggi ho da fare molte cose: devo uccidere fino in fondo la memoria devo impietrire l’anima devo imparare di nuovo a vivere.”
— Anna Achmatova
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Philip Geiger (1,2) | Michael Mao | Richard Alan Schmid | Ron Hicks | Alyssa Monks | Jeremy Lipking | Federico Zandomeneghi | Serge Marshennikov | Clarice Lispector
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"Penso che ho mangiato la musica. Mi attraversa come se l’avessi ingoiata tutta intera. La musica, la musica – scatto in piedi! Io sono la musica che pugila. Noi siamo il battito e il bilico dell’aria. Il vestito mi volteggia intorno. Penso che dovrei fermarmi, ma non posso. Le gambe sembrano intorpidite eppure incitano alla sfrenatezza. Sono tirata dal suono come una marionetta da sedici fili diversi. [...] Ora la musica è finita. Mi ributto sul pavimento. Fanno tutti finta di non vedere. Grondo sudore. Chiudo gli occhi e provo a non pensare a come mi sono appena comportata. Mi vergogno. Mi chiedo perché debba. So che è già successo, altrove, in altri anni. Cosa c’è di sbagliato in me? [...] Sapete come si fa alle feste, arriva il momento durante la conversazione in cui qualcuno si alza e va a preparare un altro drink. La stanza è silenziosa e piena di fumo. Nessuno parla, lasci che gli occhi si fissino e vedi doppio. Lasci andare gli occhi; vuoi lasciarli andare; preferisci, per esempio, osservare una sedia. [...] Niente è più importante di quella sedia. La guardi e la riguardi. Poi qualcuno si muove, parla, ti riempie il bicchiere e mentre le bocche si muovono e gli occhi mettono a fuoco la stanza riquadra. I tuoi occhi sono veramente ritornati o li hai perduti in quella sedia? Penso che i miei li darò via. Il punto del pericolo deve essere questo – la sedia. Penso che abbia inizio qui, ma non sono sicura. Che sia una qualche malattia? Sono così stravagante io? Sono sicura che tutti adottino un trucco per fissare lo sguardo. Ma loro ritornano. Forse ho concesso troppa fiducia a me stessa; forse non avrei dovuto cercare di diventare la sedia. Probabilmente gli altri lo fanno diversamente. Ma loro non hanno paura. Perché ho detto paura? Io non ho paura.
Mi annoio: mi annoio della festa, della gente, di me stessa. Oppure ho usato la parola paura perché ho paura. Sono spaventata. Non dalla sedia; dall’insieme della festa, che trasforma occhi in sedia... una sedia così priva di senso che alla fine devo mangiare la musica. Sono distaccata, ordinaria come una sedia, immobile, insignificante. Non mi guardare, dice la sedia, non sono niente. Resto me stessa, dice la sedia, siediti su di me, spezzami le gambe, appoggiati sui braccioli, io non mi muoverò. Sì, è proprio questo che mi piace di una sedia, dell’essere una sedia. Ma non funziona. Il contrario di sedia è ballare la giga. [...] È questo il mio errore più grave, pensare di essere una sedia, provare a restare fissa. [...] Le luci della festa mi fanno sbattere le palpebre. Penso, mentre il bicchiere che tengo in mano si scalda svuotandosi. È meglio non pensare. Non capisco perché le persone continuino a cambiare; perché anche io, che ho tanta paura dei cambiamenti, cambio più di tutti. Oh, potrei dare la colpa a loro, se fossi piccola. Ma ora è diverso. Posso dare la colpa alla musica, alla sedia, alle facce della festa? Perché scatto in piedi e mi metto a ballare? Non ci posso pensare! Guarderò quella sedia, il suo colore, la grana delle sue striature, le ombre soffici, i braccioli rigidi al loro posto, le quattro gambe che battono sul pavimento. La vedo. La vedo doppia! È bella. Nessuno la nota. Nessuno vede come è. È un sollievo soffermarsi su un oggetto perfetto. Così fisso. Così sempre se stesso."
- Anne Sexton, Il libro della follia
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Giuseppe de Nittis.
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Emilio Longoni, Sola! (1900), pastello su carta
«Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi.»
(William Shakespeare, Macbeth atto IV scena III)
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