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paoloxl · 10 months
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2 agosto 1980 strage alla stazione di Bologna - Osservatorio Repressione
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Il 2 Agosto del 1980 alla stazione del capoluogo emiliano l’esplosione di una bomba fece 85 vittime e 200 feriti. Tre terroristi neofascisti, Mambro, Fioravanti e Ciavardini, sono stati condannati come esecutori materiali. Ma non si conosce ancora chi c’è dietro l’eccidio.
Una strage senza mandanti. E con due degli esecutori materiali della strage condannati in via definitiva, i terroristi neofascisti (appartenenti ai Nar) Valerio Fioravanti e Francesca Mambro
Era il 2 agosto 1980, quando, alle 10.35, esplose alla stazione di Bologna una valigia carica di tritolo. Ottantacinque furono i morti, 200 i feriti, per una delle pagine più buie della storia della Repubblica. E ancora mai del tutto chiarita. Uno schiaffo ai parenti delle vittime dell’attentato, il peggiore per numero di vittime nel nostro Paese.
Lo scoppio, violento, causò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. E l’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Un eccidio senza precedenti, con i corpi delle vittime portati in ospedale con gli autobus della linea 37.
All’attentato la città di Bologna rispose trasformandosi in una grande macchina di soccorso e assistenza per le vittime, sopravvissuti e parenti.
Tra le vittime, 77 erano italiane, tre erano di origine tedesca, più due inglesi, uno spagnolo, un francese e un giapponese. Persero la vita anche diversi bambini: la vittima più piccola aveva soltanto tre anni.
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paoloxl · 2 years
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Depistaggio Cucchi, condanne per tutta la catena di comando - Osservatorio Repressione
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Al generale Alessandro Casarsa inflitti in primo grado 4 anni di carcere. Per gli 8 carabinieri in totale pene per 21 anni e mezzo. L’avvocato Fabio Anselmo: «Falsità su Stefano e sulla famiglia studiate a tavolino»
di Eleonora Martini
Dodici minuti: tanto ci mette il giudice monocratico della VIII sezione penale di Roma, Roberto Nespeca, a leggere il dispositivo della sentenza. Dopo otto ore di camera di consiglio, nell’aula bunker di Rebibbia viene pronunciata più e più volte la parola «condanna». Ed ha quasi dell’incredibile, perché per la prima volta viene riconosciuta la catena di comando che all’interno dell’Arma dei carabinieri per anni (oltre dieci, in questo caso) ha depistato e tentato di sotterrare le prove delle violenze inflitte ad un cittadino – Stefano Cucchi – mentre era nelle mani dello Stato. Dall’ultimo dei militari che falsificò il verbale sullo stato di salute del giovane ex tossicodipendente arrestato a Roma in una sera di ottobre del 2009, pestato e lasciato morire sette giorni dopo in una stanza dell’ospedale Pertini, fino al più alto in grado.
E ALLORA partiamo da lui: dal generale Alessandro Casarsa, allora comandante del Gruppo Roma, in seguito e fino a quando venne sostituito dal presidente Mattarella comandante dei Corazzieri del Quirinale, è stato condannato ieri in primo grado a 5 anni di carcere con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (l’accusa ne aveva chiesti 7). In seconda linea ci sono il colonnello Francesco Cavallo, al tempo capufficio del Gruppo Roma, e il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro da cui dipendeva la caserma di Tor Sapienza nella cui camera di sicurezza Cucchi venne trattenuto dopo le botte: entrambi condannati a 4 anni (il pm ne chiedeva 5 anni e mezzo e 5 rispettivamente) con l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Un anno e nove mesi (per l’accusa bastavano 13 mesi) è la pena inflitta al luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, nel 2009 comandante della stazione di Tor Sapienza, e anche al capitano Tiziano Testarmata (chiesta condanna a 4 anni), allora comandante della IV sezione del Nucleo investigativo che “investigò” su quella morte. Al colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, la condanna a un anno e 3 mesi (richiesti 3 anni).
Stessa pena inflitta al militare che era di turno alla caserma Tor Sapienza quella notte, Francesco Di Sano. E infine, 2 anni e 6 mesi al carabiniere Luca de Cianni che nel 2018 mise a verbale dichiarazioni false per screditare Riccardo Casamassima, il primo militare che ruppe l’omertà di corpo, e le ribadì nel 2019 durante un interrogatorio di polizia. Tra i vari risarcimenti pecuniari stabiliti per le parti civili – tra le quali figurano anche la Presidenza del Consiglio, i ministeri della Giustizia e della Difesa e l’Arma dei carabinieri, difesi dall’avvocatura dello Stato – una parte della sentenza però ha colpito il Ministero della Difesa, condannato «in solido» per la diffamazione nei confronti degli agenti penitenziari che subirono il primo processo insieme ai medici del Pertini.
GLI OTTO IMPUTATI erano tutti presenti alla conclusione del processo ter nato grazie alla perseveranza del pm Giovanni Musarò che nel 2018 aprì un nuovo fascicolo di indagine per depistaggio proprio durante il processo bis, quando in seguito alla testimonianza chiave del carabiniere Francesco Tedesco iniziarono ad emergere prove dell’insabbiamento. La ricostruzione del pm antimafia è stata accolta sostanzialmente dal giudice, e gli otto militari sono stati giudicati colpevoli (in primo grado, il ricorso in Appello è scontato) a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Una condanna così, sia pure per alcuni meno dura di quella richiesta, gli imputati non se l’aspettavano: facce scure, e qualcuno è scappato via per nascondere le lacrime.
Forse troppo fresca la sentenza definitiva emessa lunedì scorso per i due carabinieri responsabili dell’omicidio preterintenzionale di Cucchi, D’Alessandro e Di Bernardo. Anche se per la Cassazione andrà ripetuto l’Appello per il maresciallo Roberto Mandolini, comandante della stazione Appia dove venne portato il giovane dopo il pestaggio, e per il testimone pentito Francesco Tedesco. Un nuovo processo da celebrarsi prima che intervengano i termini di prescrizione, slittati da maggio a luglio per recuperare le interruzioni da Covid. Anche ieri l’Arma ha chiesto scusa alla famiglia.
ILARIA CUCCHI questa volta in Aula è senza madre e padre, invecchiati sotto il peso dei dieci processi. «Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno – dice – Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi le persone che ne sono stata la causa, i responsabili, sono stati condannati».
Interviene il suo avvocato, Fabio Anselmo: «È stato confermato che l’anima nera del caso Cucchi è il generale Casarsa. Chiunque avrà il coraggio di affermare che Stefano Cucchi aveva qualsiasi patologia, che era un tossicodipendente, che era anoressico o sieropositivo, commette un reato di diffamazione perché quelle relazioni di servizio, che hanno gettato tanto fango sulla famiglia Cucchi per 12 anni, e che hanno ucciso lentamente Rita Calore e Giovanni Cucchi, sentendosele ripetere sui giornali, ogni giorno, e hanno logorato la vita di Ilaria, sono false. Studiate a tavolino».
da il manifesto
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paoloxl · 5 years
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“Mi raccomando dovete avere spirito di corpo… se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare…”. Sono le parole che stanno in un’intercettazione telefonica del 6 novembre 2018 tra un vicebrigadiere dei carabinieri e il maresciallo Ciro Grimaldi, entrambi in servizio presso la stazione Vomero-Arenella, dove si riporterebbe un messaggio del comandante del Gruppo Napoli. “Ha detto – riporta il carabiniere – mi raccomando dite al maresciallo che ha fatto un servizio alla stazione lì dov’è successo il fatto di Cucchi di stare calmo, tranquillo”.
“Spirito di corpo” è quel non dire ciò che si può tacere per evitare casini. “Spirito di corpo” è il non ricordare, il non sapere, il riproporre qualcosa a cui si p assistito personalmente condendola di tutti i dubbi possibili immaginari. Lo chiamano “spirito di corpo” ma è un’omertà con il colletto bianco, inamidato e un completo nero e la barba rasata.
«Spirito di corpo» è la distrazione con cui non vediamo le regole infrante da noi e da quelli a noi vicini, sempre pronti a puntare il dito verso gli altri eppure così indulgenti per le cose nostre.
«Spirito di corpo» è ogni volta che collaboriamo alla promozione di un cretino, un cretino vero, rubando il posto a un meritevole ma con la soddisfazione di avere sfamato la nostra cerchia.
«Spirito di corpo» è quando una verità viene intesa come mezza verità ma poi fondamentalmente è una totale bugia. Per è utile: è risultata credibile senza essere minimamente reale.
«Spirito di corpo», in fondo, se ci pensate, è un modo elegante per indicare il farsi i cazzi suoi solo che suona più alto, perfino militaresco. E il militaresco ultimamente è tornato prepotentemente di moda.
C’è un punto sostanziale: se alcuni sentono il bisogno di farsi corpo è perché dall’altra parte scorgono qualcosa (in questo caso la legge ma può essere la verità o più banalmente il cosiddetto popolo) che devono ingannare. E questo è il problema. Anche perché «lo spirito di corpo» uccide. Chiedere a Stefano Cucchi.
Buon giovedì.
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paoloxl · 5 years
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Uno sparo uccise Guerra, assolto il carabiniere Marco Pegoraro
Il giudice del Tribunale monocratico di Rovigo ha assolto perchè il fatto non sussiste, il maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro. Il militare era alla sbarra per avere sparato e ucciso, il 29 luglio del 2015 a Carmignano di Sant'Urbano, il 33enne Mauro Guerra. Quel giorno gli uomini dell'Arma sono andati a casa del giovane laureato in economia aziendale per convincerlo a farsi ricoverare in psichiatria. Ma lui non ha voluto ed è scappato in mezzo ai campi.
A piedi scalzi, in mutande, sulla terra dura in una delle giornate più calde degli ultimi anni Mauro muore, ucciso da un proiettile sparato da un carabiniere
Dopo lo sparo, nel video, si sente nitida la voce di un altro carabiniere ancora che rivolgendosi a Pegoraro gli dice: “Lo hai beccato quel bastardo? Hai fatto bene maresciallo”. Non si è ancora capito cosa volessero davvero i carabinieri da Mauro Guerra, per quale motivo hanno preso questa iniziativa di imporgli un Tso senza avere l’autorizzazione di nessuno. Forse per cose che aveva scritto su Fb. Forse c’è un motivo scatenante che sfugge ai più. Ma non è questo l’importante, perché il fatto vero, la tragedia da cui non è più possibile tornare indietro è che nel deserto padano di Carmignano di Sant’Urbano, in questa Fargo di casa nostra, è Stato morto un altro ragazzo e si chiamava Mauro Guerra. E il su assassino è libero
#acab #sapiamochiestato #mauroguerra
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