Tumgik
#selene risponde
edenlyeden · 2 years
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.       ⚡  𝐭𝐡𝐢𝐬 𝐢𝐬 𝐚𝐧 𝐚𝐮!           𝗿𝗲𝘃𝗲𝗿𝘀𝗲           𝘦𝘥𝘦𝘯 & 𝘭𝘺𝘴𝘪𝘴𝘵𝘳𝘢𝘵𝘦           #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀  ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀                  ⤸ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀
 Non ha che una felpa - rigorosamente brandizzata Grifondoro - a ripararla da quel che si prospetta un tremendo freddo novembrino, ché il pigiama a quadri non può essere di certo considerato valido alleato, ma non se ne preoccupa, anzi: lei ha pure un po' caldo, mentre attende l'altra al buio rischiarato soltanto dalla punta della bacchetta. Stretta nella sua pelliccia, ovviamente sintetica, la tassorosso raggiunge in fretta il passaggio segreto e allarga un enorme sorriso alla vista della grifondoro.  « Ciao, Eden Selene Octavia Eufonia Ambrose Bugatti Grosvenor Liebowitz de la Vega: come sei bella stasera. »  Sbuffa, quando sente le sue parole, nonostante le gote diventino appena rosate.  « Già cominci con le esagerazioni? »  Lysistrate allunga una mano fino a sfiorare quella della maggiore e un sorriso si forma sulle sue labbra anche solo guardandola.  « Eppure, nonostante le esagerazioni, continui a chiedermi di vederci. Lo vuoi adesso o dopo il tuo assolutamente-non-calorico muffin, mh? » domanda serena, mentre con la punta delle falangi percorre il dorso della sua mano.  « Dopo, altrimenti vomitiamo dalla scopa e non credo sia un bello spettacolo. » la voce tentenna appena, nel momento in cui percepisce il tocco delicato delle sue dita. « E non ti ho chiesto io di vederci, ho semplicemente cambiato location alla tua proposta. » precisa, un sorriso a manifestare quanto sia soddisfatta della risposta appena data.  Un enorme sorriso si dipinge sulle sue labbra al solo sentirla nominare la scopa, che in quei momenti la può stringere a sé più di quanto le sia concesso normalmente ed è per questo che li adora.  « D'accordo, miss precisina, allora li lascio qui. Andiamo? » domanda, porgendole la mano dopo aver posato il suo cestino di vimini a terra.  Stringe forte le labbra tra loro, Eden: prendere o non prendere la sua mano? Nel dubbio, mentre ci pensa, fa sollevare con la magia la scopa da terra, in modo che, fluttuante, le segua.  « Non hai paura che li rubino? » chiede, ma mica aspetta una sua risposta! fa ondeggiare nell'aria pure il cestino, poi, 𝘧𝘢𝘯𝘤𝘶𝘭𝘰, intreccia le dita alle sue. Sono cose che si fanno in amicizia, no? « Non sono "Miss Precisina", comunque. Queste cose lasciamole ai Corvonero. » borbotta, sguazzando nel cliché.  La tassorosso osserva la scopa e il cestino fluttuare e ridacchia appena, ché la magia è una delle cose che la rende più euforica, ma a farle battere all'impazzata il cuore sono le dita dell'altra che si intrecciano alle sue. Un sospiro esce dalle sue labbra alle sue parole e alza appena gli occhi al cielo.  « Oh, per Tosca, quanti stereotipi! »  « Vuoi dirmi che non ce ne sono, in percentuale, più che in altre case?? » cammina lenta, quasi non voglia uscire davvero da quel tunnel.  « Non lo so, non ho mai fatto una stima accurata di questo, ma in ogni caso non è carino giudicare gli altri in questo modo, non pensi? »  « E di che cosa fai stime accurate, in genere? »  « Il giusto equilibrio tra farina e acqua per l'impasto perfetto, il concime per le mie piantine e 𝙦𝙪𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙫𝙤𝙧𝙧𝙚𝙞 𝙗𝙖𝙘𝙞𝙖𝙧𝙩𝙞 𝙤𝙧𝙖, per esempio. », inutile sottolineare che le gote della lupa mannara si incendiano a quella confessione.  « Quanto? » chiaro, nonostante il tono leggermente strozzato, che intenda l'ultimo elemento di quel piccolo elenco.  « Moltissimo » risponde, girandosi appena e sorridendole, come a indicarle che, anche se dovesse succedere, non uscirebbe mai da quel tunnel. E allora non proferisce altra parola, Eden: le mette una mano sul fianco e la spinge finché la schiena non arriva a toccare la parete umida del tunnel. Lì, si china sulle sue labbra e con una certa urgenza le dà quel bacio che tanto ha detto di volere. La tassorosso sorride ancora, stavolta come chi vede il suo desiderio realizzarsi, e lascia che le sue labbra cerchino con urgenza quelle della grifondoro, ché non sa tra quanto questa si tirerà indietro definendo quella una semplice cosa da amiche. Le sue mani si muovono, sfiorano la sua pelle dolcemente fino a che una non si posa sulla sua mascella. « Beh, lo volevo proprio così » sussurra sulle sue labbra, prima di baciarla ancora.  « Consideralo un regalo per quella palla di Natale che è in arrivo, allora » soffia a un millimetro da quella bocca morbida e a tratti ipnotica, poi però allontana appena la testa per sfuggire al tentativo della minore, preferendo atterrare sul suo collo. L'altra borbotta qualcosa in risposta, ma tutto ciò che esce è un gemito dovuto alle labbra di lei sul suo collo.  « E anche questo lo fai con tutte le tue amiche? » stringe la presa sui suoi fianchi, ché proprio non la sa tenere a freno quella lingua.  « Certo » bugia, ma mica lei deve saperlo. Succhia con avidità la pelle profumata, la distanza tra i loro corpi diventa pressoché inesistente. « Vuoi vedere che altro faccio con tutte le mie amiche? »  Fa scivolare una gamba tra quelle della maggiore e sospira appena alle sue parole, le falangi che stringono la pelle scoperta dei suoi fianchi, con desiderio e gelosamente.  « Fammelo vedere, sì. » ed è un gemito, quasi una supplica, quando le sue mani si infilano sotto la felpa cercando con urgenza ogni centimetro della sua pelle. Un morso accennato sulla carne già martoriata, poi un bacio ed Eden torna a gravitare troppo vicina alle sue labbra, pur senza toccarle. Cerca il suo sguardo, mentre con un gesto deciso apre la pelliccetta, probabilmente facendo saltare qualche bottone: non se ne preoccupa troppo, ché preferisce passare oltre e infilare la mano - fortunatamente calda - direttamente nelle sue mutande. È un lungo gemito quello che esce dalle labbra della tassorosso al morso sul collo, Lysistrate quei gesti li desidera al buio del suo baldacchino giallo e nero, ma mai si espone a dichiararli.  « Eden... » gutturale e profondo è il suono che esce dalle sue labbra. « Aspetta. » e così dicendo poggia una mano sul polso che è infilato letteralmente nei suoi pantaloni.  Si ferma non appena lei le intima di aspettare, ma è soltanto nel momento in cui percepisce le dita bloccarle il braccio che si risveglia e realizza. Che cazzo le è passato per la mente?! Dannata Lysistrate: deve averle sicuramente somministrato qualche strano filtro tempo addietro, altrimenti mica si spiega tutta l'𝘢𝘵𝘵𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘢𝘮𝘪𝘤𝘩𝘦𝘷𝘰𝘭𝘦 che prova. Vabbè, comunque, di questi pensieri non le lascia intuire proprio niente.  « Non è quello che volevi? »  « Voglio te, in ogni modo possibile, che comprenda anche il fare l'amore in questo tunnel, ma voglio farlo solo se lo vuoi fare anche tu » sussurra con un filo di voce e le gote ancora arrossate dal desiderio interrotto di poco prima. Accarezza con un dito l'interno del suo polso e sorride, guardandola con tutto l'amore di cui è capace. « Tu cosa vuoi? »  La ascolta in silenzio, la bionda, e, se da un lato le sue parole le fanno fibrillare il cuore in un modo che fino a questo momento non ha mai conosciuto, dall'altro la terrorizza. Che cosa vuole, Eden Ambrose? 𝘊𝘩𝘪 è 𝘌𝘥𝘦𝘯 𝘈𝘮𝘣𝘳𝘰𝘴𝘦?  « 𝙁𝙖𝙧𝙚 𝙥𝙧𝙖𝙩𝙞𝙘𝙖 𝙥𝙚𝙧 𝙞 𝙧𝙖𝙜𝙖𝙯𝙯𝙞 » butta fuori con una freddezza che, nell'intimo dell'anima, fa tremare pure lei. « 𝙉𝙤𝙣 𝙨𝙤𝙣𝙤 𝙡𝙚𝙨𝙗𝙞𝙘𝙖 𝙤 𝙦𝙪𝙚𝙨𝙩𝙚 𝙨𝙩𝙧𝙤𝙣𝙯𝙖𝙩𝙚 𝙦𝙪𝙞, 𝙞𝙤»  si allontana, così non può più scorgere le nuove pieghe del suo viso. La certezza di averle fatto male l'ammazzerebbe, forse.  Sono dure le parole della Ambrose, ma la Tassorosso non vuole credere che siano sincere, quel desiderio, quella sintonia, lei le percepisce quasi in modo tangibile.  « Okay » sussurra arrendevole, mentre riprende il suo cestino di vimini da terra e con una mano si sfiora il collo, dove la pelle brucia ancora per il passaggio delle sue labbra. « Però, insomma, qualsiasi cosa tu stia pensando di essere, a me piace e non dovrebbe spaventarti così tanto. »  « E allora sei stupida, Lysistrate » la lingua si muove, di nuovo, prima che razionalizzi. O forse, in realtà, è più lucida che mai? Insomma: ci vuole un certo coraggio a trovare piacevole una come lei, guazzabuglio di insicurezze, ostilità e cattiveria.  Un po' la feriscono quelle parole, quindi prende un muffin e di fatto lo tira verso la maggiore, che, visti i riflessi pronti, riesce a scansare con facilità il proiettile (non) zuccherato.  « Dovresti provare ad addolcirti un po'. » borbotta, quindi, mentre la osserva e si avvicina di nuovo a lei. « E sì, forse sono stupida, ma almeno io non mento a me stessa. »  L'altra ride, di una risata nervosa che, presto, riecheggia per tutto il tunnel.  « E dimmi: a che serve non mentire a se stessi se poi chi desideri ti respinge? »  La osserva e il suo volto è ferito mentre pensa a chi possa essere colui che ha respinto le attenzioni di Eden, che in fondo lei non le respingerebbe mai.  « Fa schifo » risponde mentre fa qualche passo indietro, ché non è più così sicura di voler rimanere ancora lì.  « Te ne vai? » sfacciata, dispiaciuta, quasi come se non avesse (in)volontariamente cercato di allontanarla più volte nell'ultimo quarto d'ora.  « Sì » trema quasi, la voce della tassorosso che si sta enormemente sforzando di non piangere davanti a lei, ché quella soddisfazione non vuole dargliela. « Non fare follie sulla scopa, che se non ci sono io nessuno ti può medicare, poi. »  "𝘛𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘮𝘪 𝘴𝘦𝘳𝘷𝘪", "𝘦 𝘢𝘭𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘯𝘥𝘢𝘳𝘦", "𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘮𝘪 𝘶𝘯 𝘮𝘶𝘧𝘧𝘪𝘯 𝘤𝘰𝘮𝘮𝘦𝘴𝘵𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦". Frasi che tace, che tiene chiuse nel segreto di quel pugno in cui le unghie stanno diventando lame nella carne, frustrazione materiale. "𝘔𝘢𝘨𝘢𝘳𝘪 è 𝘭𝘢 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘢 𝘣𝘶𝘰𝘯𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘪 𝘭𝘦𝘷𝘰 𝘥𝘪 𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰".  « Avvisami quando sei arrivata in camera. »  Nemmeno risponde, Lysistrate, ché la rabbia e le ferite che la grifondoro le ha aperto sono troppo pesanti e a passo svelto arriva fino alla camera da letto. Solo una volta che il viso impatta contro il cuscino si lascia andare ad un pianto liberatorio, ma non prima di averle mandato l'avviso richiesto.
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gryffsophia · 5 years
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⁖  ♡  Sophia & Josh @ Sala Comune di Grifondoro / 19 Febbraio –– pt. 2
( ... ) s’è smossa dal suo letargo, dopo l’ultimo messaggio, per infilarsi un maglioncino da sopra i pantaloncini ed il reggiseno. Niente di più. Con i capelli lasciati sciolti sulle spalle e senza trucco lascia il proprio Dormitorio, insolitamente — e non è sorpresa quando trova già Josh su di un divano. Si limita a sederglisi accanto. ‹ Quindi? Hai portato almeno gli anelli? ›
Lui vive indossando tute praticamente ogni volta che può – sempre firmate, anche se, in questo caso, non ha intenzione di ostentare alcunché. Quando Sophia gli si siede accanto, Josh usa la bacchetta per trasfigurare il bicchiere d’acqua sul tavolino in un paio di manette. Le porge alla ragazza, dicendo: «Così gli anelli possono essere usati con fantasia!»
Non che Sophia non lo sappia, che quelle non sono semplici tute: riconosce i capi griffati ad un miglio di distanza. Il suo stesso “ semplice “ maglioncino è comunque firmato Chanel. E quindi ( ... ). Però per stavolta non ci fa neanche caso, ha indossato la prima cosa morbida e larga che ha trovato, e ne è felice — perché piega le gambe di lato in modo semplice. L’osserva con interesse, per cercar di capire cosa voglia fare, e poi ride. ‹ Avrei dovuto aspettarmelo. › e se le prende pure, le manette, facendosele roteare su un dito. ‹ Allora? Come mai sei incazzato? ›
Come mai è incazzato? Per tutto. Tutto, tutto, tutto. Dai motivi più futili a quelli più profondi e inammissibili. Ma la rabbia è qualcosa che può ammettere, a differenza della tristezza. Perciò ora scrolla le spalle e risponde: «Non mancano mai le ragioni per cui incazzarsi! Tu non sei incazzata? Perché dovresti!» Che senso ha quel che ha detto? Per lui ne ha, okay.
Lei non è incazzata, è delusa. Però questo non lo specifica. Si limita ad aggrottare giusto un po’ la fronte, prima di strisciare sul divano per ritrovarsi più vicino a lui, piegando il capo in modo da arrivare a posarglielo su di una spalla. ‹ La vita è proprio una merda. › si limita a dire. Proprio / saggia /.
Gli piace la rabbia perché lo rende più forte. La delusione, invece, rende debole, esposto, vulnerabile, e lui, incapace di tollerarla, ha appreso come trasformarla in ira, come non renderla più un sentimento passivo. «Hey, hey, hey!» Si ritrova subito a dire, allontanandosi da lei solo per posare due dita sotto il suo mento e sollevarle il viso. A testa alta! «Se la vita è una merda la si prende a pugni, non si lascia che ci prenda a pugni!» Josh Russell ha appena detto una cosa intelligente? Dio, dev’essere grave... «Adesso facciamo una cosa. Tu mi dici quello che rende la vita una merda e dai un pugno...» Si toglie il cuscino da dietro la schiena. «...qui.»
A contrario, Sophia la rabbia la detesta; la detesta perché la rende irrequieta, irrefrenabile, violenta. La delusione, la tristezza... sono sentimenti con cui ha imparato a convivere, nel corso degli anni, che per quanto possano farle male al cuore riesce più o meno a gestire — nonostante ne sia vittima. Anche adesso, che lascia vagare lo sguardo chiaro nel vuoto prima di riportarlo sull’altro non appena sente la pressione di quelle dita sotto il mento. E non se lo aspettava. Non da Josh, almeno, tanto che sgrana un attimo gli occhi per la sorpresa, perché... insomma, quello che ha detto / ha senso /. Solo che Sophia è abituata a farsi “ prendere a pugni “! ‹ La vita fa schifo per così tante cose che potrei renderlo una pappina, quel cuscino. E pure la tua schiena. Non voglio farti male! › seria, adesso, perché / vabbè /: l’ultima volta che ha dato un pugno è stato qualche settimana prima, dritto sulla faccia di Selene e poi sul pavimento, ma ne sente ancora il formicolio nelle ossa.
Rotea gli occhi in modo plateale, benché con un certo divertimento che si manifesta nel suo sorriso. «Esagerata!» Esclama. Conoscendosi, poi, sa che se Sophia rifiutasse il gioco sarebbe arrabbiato anche per quello. Già, ha davvero, davvero bisogno di sfogarsi... insomma, gli ci vorrebbero a lui, i pugni nel cuscino! «Mi sottovaluti. Resisto benissimo, io! E pure questo mi sembra fatto con ottima stoffa.» ...Visto? Non ha già più senso quello che dice, forse.
Sophia a questo punto inarca un sopracciglio, scrutando l’altro dritto in volto per un / lunghissimo / lasso di tempo, prima di decidersi a parlare nuovamente. ‹ Okay, allora facciamo che ci sto — ma solo se poi dopo facciamo a cambio. › Perché insomma, non ci vuole mica un genio a capire che l’altro abbia / davvero / bisogno di sfogarsi! E se può aiutare... perché non dovrebbe farlo?
Sophia lo prende in contropiede perché... non aveva preso in considerazione, prima, di fare lui stesso ciò che ha proposto. Poi, però, si dice che non sarà un problema: non rivelerà chissà cosa, no? «Facciamo che ci sto anch’io!» Esclama. «Ma inizi tu!»
‹ Okay, d'accordo! › e si sistema meglio a sedere sul divano, con gli occhi rivolti a nulla e la fronte aggrottata –– nel tentativo di ricordare i maggiori motivi per cui la vita fa schifo. Quelli che può rivelare, almeno. ‹ Mio fratello ha lasciato Hogwarts. Mia madre continua a trattarmi come se fossi scema. Questa scuola è una merda, tranne che per poche persone. › ad ogni frase un pugno, e solo alla fine si tira indietro con un sospiro. ‹ Okay, tocca a te. ›
Regge con entrambe le mani il cuscino, lasciando che l’impatto di ogni colpo ne sia attutito. Ascolta, è naturale, ma è deciso a non commentare le tre affermazioni di Sophia: quel gioco è per uno sfogo, non per un giudizio. Non li sopporta proprio più, i giudizi, dato che ne dà già abbastanza a se stesso. Dopo aver passato il cuscino alla ragazza, allora, parla, pur non rivelando quel che non può esserlo: «Sono troppo stupido.» Un pugno. «Mio fratello è sempre meglio di me.» Un pugno. «Non passerò i G.U.F.O.» Un pugno. Non ha finito. «I miei mi ritireranno da Hogwarts.» Adesso ha finito. Sospira. Si sente più leggero, anche se è consapevole che non basta questo a far passare la rabbia.
Anche lei ascolta in silenzio, e solo poco dopo si porta il cuscino sotto il viso, rannicchiando le gambe al petto e stringendoselo contro. ‹ Non sei stupido. › si limita a dire, scrollando appena un po' le spalle, e sulla questione del fratello neanche ci mette bocca –– perché in un certo senso riesce a capire cosa intenda, cosa provi. Resta in silenzio ancora un po', il cuore che batte lentissimo. ‹ Magari possiamo fuggire prima che ti ritirino. › con un sorriso un po' vago, per smorzare la tensione.
«Tranquilla, non c’è bisogno che provi a consolarmi.» Ecco. Ecco come reagisce Josh a delle parole gentili. È che non ci crede, in effetti, che Sophia, o chiunque altro, possa non ritenerlo stupido –– secondo lui... lo è, e lo è in modo oggettivo, qualsiasi cosa questo voglia dire. Poi, però, si rilassa, appoggiandosi con la schiena al divano e puntando lo sguardo sul soffitto. «Quindi... Los Angeles. E poi? Seconda tappa?»
Aggrotta solo un attimo la fronte, lei, perché... ‹ Non sto provando a consolarti. Sono onesta. › con tanto di scrollatina di spalle, perché a dire la verità a lei Josh non l'è mai sembrato stupido. Solo che non aggiunge niente, perché lo sa bene com'è quando si è convinti di qualcosa e non v'è niente che possa farti cambiare idea. Quindi si limita a distendersi sul divano, posando il capo sul bracciolo e allungando una mano per tirarlo accanto a sé. ‹ Los Angeles, New York. Sai dove non sono mai andata? In Messico! ›
La tristezza si trasforma in rabbia o in battutine, a seconda dei giorni, a seconda dell’umore, a seconda della circostanza. Adesso, per esempio, dopo aver seguito la richiesta muta della ragazza ed essersi disteso accanto a lei, se ne esce con un sorriso velato di un’ombra e con un «Guarda che se ci mettiamo in questa posizione potrei non riuscire a controllare certe reazioni naturali». Frase che... vabbè... sapendo che l’unico modo in cui ha un’erezione con una ragazza è chiudendo gli occhi e pensando ad altro... fa ridere davvero, per non mettersi le mani tra i capelli... ma non lo sa nessuno e, dunque, si spera che faccia ridere lo stesso. «Messico! Non sono sicuro di vedertici, coi baffi e il sombrero!»
Sophia è abituata, a questo tipo di battute –– perciò rotea appena gli occhi al cielo, solo che... ecco, è una / battuta /. Si sente. Ed il modo in cui l'altro sorride, quasi indeciso, con quell'ombra che non lo rende autentico al cento percento, un po' le dà da pensare. Certo, non immagina il motivo reale che si cela dietro quello stato d'animo, però... ‹ Sono più che certa che saprai come contenerti! › ironica anche lei, ovviamente, mentre posa la guancia sulla sua spalla. Vabbè. Si mette a ridere solo una volta che ode le sue prossime parole, fingendosi indignata. ‹ Tu dici? Mah. Secondo me invece sarei bellissima. Potrei fare le treccine ai baffi come Jack Sparrow. ›
Esagera la maggior parte del tempo, Josh. È che, capirete bene, quando qualcosa non viene naturale e ci si costruisce una maschera, non è semplice evitare di creare una caricatura. Se è vero che l’ironia e i riferimenti sessuali sono allineati con la sua personalità, dunque, è anche vero che di frequente ne dice a dismisura per alimentare quella sua immagine da ragazzino in preda agli ormoni e attratto da qualsiasi ragazza esistente. «Naaah! Per carità! Vuoi mettere in versione Elizabeth Swann stretta in un corpetto? Quella sì che è tanta roba!»
Non è l’unico a vivere di apparenze, Josh, ché anche Sophia vi è abituata — e d’altronde a vivere in una famiglia come la sua non potrebbe essere diverso. Solo di recente ha lasciato ricadere la maschera, e non completamente: è difficile lasciarsi andare quando credi la tua mente sia malata. No? Però con Josh riesce ad essere più se stessa, con le spalle un po’ più rilassate nonostante il dolore e nessun cipiglio costantemente divertito dipinto sulla faccia. ‹ Non so, ho i miei dubbi al riguardo— › mentre si volta per guardarlo in viso, un sopracciglio appena inarcato. ‹ Secondo me i corpetti sono sopravvalutati. ›
❪ CONCLUSA ❫
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viaggiatricepigra · 5 years
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Opinione: Diphylleia. Solo l’Amore può distruggere l’omofobia, di Elia Bonci
In una gelida notte di febbraio nella città di Duluth, nel Minnesota, Aiyana si risveglia dopo tre mesi di coma, ma non ricorda nulla. Karla, la nonna, e Ben, l’infermiere che si è preso cura di lei, rimarranno al suo fianco per aiutarla a ristabilirsi e a ripercorrere le tappe del suo passato, affinché lei possa recuperare la memoria. Ed è proprio nell’inseguire e rivivere un passato doloroso che riaffiora un grande amore, non accettato. Un amore che risponde al nome di Selene. Ma l’amore non è solo sofferenza, altrimenti l’avrebbero semplicemente chiamato dolore. Questo è il messaggio profondo che l’autore ci vuole trasmettere: anche se sembrano andare nel peggiore dei modi, in futuro le cose andranno meglio. Diphylleia è un libro che ci permette di vivere le varie facce dell’amore, da quello non accettato perché diverso, di Aiyana e Selene, all’amore non corrisposto e senza riserve, di Ben, fino a quello incondizionato di Karla per la nipote e quello sbagliato di un padre che non è riuscito ad affrontare le prove della vita. Ma soprattutto, Diphylleia ci dimostra che c’è sempre la possibilità di scegliere di vivere l’amore con coraggio, anche quando sembra impossibile.
°   °   °
Elia Bonci, classe ‘96, è uno scrittore esordiente che ha pubblicato questo suo primo romanzo breve, Diphylleia, per combattere omofobia e discriminazione. Il ragazzo sta affrontando un delicato percorso di transizione e racconta la sua storia su Instagram (la sua Pagina: @elia.lien), cercando di sensibilizzare le persone su questo argomento: la disforia di genere, e provando a dare supporto alle migliaia di ragazzi che stanno vivendo, proprio come lui, il dramma di non appartenere al proprio corpo.
  Ringrazio l'autore per avermi permesso di leggere e di giudicare il suo primo lavoro, e spero che, nonostante non sia del tutto positivo, prenda questa mia opinione come qualcosa per migliorarsi e crescere, senza smettere questa passione. Un romanzo da prendere con le pinze. Ma non per il tema principale, ovvero l'amore, ma per alcuni dettagli della trama che, a mio parere, non possono essere tollerati. Cercherò di farmi capire senza finire in Spoiler, ma prima di tutto vediamo un pochino in più la trama. Il romanzo inizia dopo una brutale violenza su Aiyana, che la porterà in coma per tre mesi, dopo i quali finalmente riaprirà gli occhi e tornerà cosciente. Ma il trauma è stato così profondo che ha portato la giovane a perdere la memoria. Non ricorda proprio niente di niente. Chi sia. Quanti anni abbia. Cosa ci faccia in ospedale. Insomma, vuoto totale che la sua amata nonna Karla (che ha vegliato ogni giorno su di lei) cercherà di riempire con pazienza e buona volontà, sperando di riavere la sua amata nipote, raccontandole dall'infanzia fino a quel giorno terribile...ma celandole la verità, per proteggerla. Insieme a lei ci sarà anche Ben, l'infermiere che ha seguito molto questo caso, si è preso cura di Aiyana forse fin troppo, finendo con l'invaghirsi di lei. Ed in modo piuttosto forte. Eppure, nonostante Ben sia un ragazzo dolce e si dichiari, Aiyana sente che qualcosa non va. Non vuole illuderlo, ma è tutto così confuso che non riesce a capire bene cosa ci sia nella sua testa che quasi la boicotta in questa nuova esperienza che sta nascendo. Sarà solo quando capirà che c'entra il cuore che tutto inizierà ad andare nel verso giusto, e che quello sembra battere solo per una persona in particolare: Selene. Ma chi è? Possibile che lei sia qualcosa di più di un'amica? Per Aiyana è quasi follia pensarci, eppure... Una storia che ai muove velocissima, forse troppo, prendendo solo i fatti essenziali e mettendoci di fronte ad una delle cose più banali e complicate che esistano: l'amore. Qui se ne parla tanto, mescolato insieme alla confusione, al dolore, alla solitudine,... Una cosa però mi ha fatto abbassare drasticamente la valutazione: il finale. Quando Aiyana ricorda finalmente cosa accadde "quella" notte e la verità viene a galla. Il tutto si risolve in maniera troppo semplicistica e, visto il tema che viene a galla, non mi sembra proprio adeguato il modo scelto per chiudere questa storia. . Non posso dirvi niente di più specifico, ma è davvero un peccato perché il resto viene rovinato dalle ultime pagine, che mi hanno proprio irritato profondamente. Un romanzo scritto piuttosto bene, nonostante alcune lacune della trama. Per questo non mi sento di sconsigliarlo proprio del tutto, benché (per via della fine) la lettura sia fatta da persone mature, che sappiano poter valutare la situazione. Se lo leggete, fatemi poi sapere cosa ne pensate e se il finale secondo voi era giusto oppure no. from Blogger http://bit.ly/2IBpPnR via IFTTT
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Anche Selena ha usato la Self-Promotion
-Giugno 2013- Ok, ero su Twitter e i Selenators continuavano a comparire ovunque, dicendo che la nuova canzone di Legend M si trovasse al primo posto su iTunes perché Miley continuava a twittarne il link. Analizziamo alcune cose. 
 Prima di tutto, Miley può arrivare al primo posto anche senza twittare, logica per cui Can't Be Tamed è arrivato primo su iTunes nel 2010 quando Miley nemmeno aveva Twitter. 
 Seconda cosa, i Selenators non possono proprio parlare:
  FOTO 1 SELENA
 FOTO 2 SELENA
 FOTO 3 SELENA
 FOTO 4 SELENA
FOTO 5 SELENA 
 Dovrei andare avanti? 
 Non si chiama self-promotion questa? Perché dovrebbe essere diverso dai "Comprate il mio singolo!" o "Mantenete We Can't Stop al primo posto!" di Miley? ENTRAMBE SONO SELF-PROMOTIONS. 
 Questo non rende Miley assetata di fama solo perché non l'ha promossa per settimane e settimane prima dell'uscita come qualcun altro. Non ha rilasciato teasers. Non ha rilasciato un video in cui ballava su quella canzone. Non ha fatto un concorso di danza. 
 La self-promotion non è una cosa cattiva. E almeno, quando Miley lo fa, comunica con i suoi fan per più di una sola volta l'anno. 
Vi lascio con queste:
  TUTTE LE FOTO DEI COMMENTI
Nonostante tutto, i suoi fan ancora continuano a dire che non promuove nulla. OKAY. 
 E quando Miley promuove qualcosa con i suoi fans, non gli risponde trattandoli da money-makers ma poi, per quanto ne sappiamo, è davvero Selena a scrivere ai suoi?. Gli parla come se fossero suoi amici. 
 P.S. Se l'essere promosso ha portato We Can't Stop al numero uno, allora Come & Get It avrebbe dovuto raggiungere il primo posto con l'infinità promozione che ha ricevuto e le varie esibizioni live.
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