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#JacopoCioni
jacopocioni · 8 months
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Caterina de' Medici, la duchessina
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Prima parte
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Lorenzo II de' Medici duca di Urbino era a capo della Repubblica di Firenze dal 1516 grazie a suo zio Papa Leone X. Questa posizione di potere lo avvicinò a Francesco I di Francia tanto che il regnante combinò per lui le nozze con la principessa francese Maddalena de La Tour d'Auvergne, contessa di Boulogne. Da questo matrimonio che mescolava il sangue dei Medici con quello dell'alta aristocrazia francese nacque, mercoledì 13 aprile 1519 a Firenze, una bimba a cui fu dato il nome di Caterina Maria Romula de' Medici. Purtroppo la madre morì il 28 aprile di febbre puerperale e poco dopo, il 4 maggio, morì anche Lorenzo, malato da tempo. La bimba fu trasferita a Roma per essere più vicina allo zio Papa Leone X e fu allevata in un primo periodo da sua nonna Alfonsina Orsini. Quando la Orsini morì furono le zie di famiglia Clarice de' Medici e Maria Salviati a proseguire la sua crescita che si accompagnò ai due Medici fuori letto Ippolito e Alessandro. Rimase l'unica erede della famiglia Medici e assunse il titolo di duchessa di Urbino che i fiorentini trasformarono nel nomignolo "duchessina".
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Francesco e Caterina de' Medici Dopo la morte di Papa Leone X ,e le alleanze del nuovo pontefice Adriano VI  con gli Asburgo, la piccola Caterina si ritrovò senza il ducato di Urbino. Fu con l'elezione di Clemente VII nel 1523, il cugino Giulio di Caterina, che la "duchessina" assieme ad Alessandro si trasferi a Firenze nel palazzo Medici Riccardi. Clemente VII strinse alleanza nuovamente con i francesi per opporsi all'imperatore Carlo V ma subirono duramente nella battaglia di Pavia tanto che la rivalsa di Carlo V fu tale da arrivare al famoso sacco di Roma il 6 maggio 1527 ad opera dei legionari lanzichenecchi. Allo stesso tempo i fiorentini si scontrarono con il Cardinal Passerini che reggeva il governo imposto dal pontefice. Clemente VII fu quindi costretto a scendere a miti consigli con Carlo V che per proteggere il patrimonio mediceo nella città di Firenze mise la stessa sotto assedio. Caterina era divenuta un ostaggio e passava di monastero in monastero, fu addirittura proposto di esporla nuda sulle mura di Firenze perchè venisse uccisa dai proiettili nemici, o peggio cederla ad un bordello. Per fortuna giunse al monastero delle Murate dove le benedettine se ne presero cura con amore sino a che, terminato l'assedio, Caterina poté ricongiungersi al cugino papa Clemente VII tornando a Roma. Gli anni passarono e Caterina viveva sicura alla corte papale dove il cugino, più preoccupato delle alleanze che di Caterina, cercava per lei uno sposo. Furono vagliati vari candidati, ma durante il vaglio il re di Francia, Francesco I di Valois seppe di questa ricerca matrimoniale e decise di proporre il suo secondogenito Enrico, duca d’Orléans. Clemente VII ne fu entusiasta, i Medici si stavano per imparentarsi con la famiglia reale francese.
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Il 23 ottobre 1533 la tredicenne Caterina de' Medici arrivò a Marsiglia ed incontrò il giovane Enrico di quattordici anni. Le nozze furono celebrate il 28 ottobre e la notte, alla presenza del papa e di Francesco I, il matrimonio fu consumato. Morto Clemente VII dopo appena un anno dalle nozze il nuovo pontefice Paolo III ruppe ogni alleanza e si rifiutò di pagare la doto promessa tanto da far pronunciare a Francesco I la frase: "Ho ricevuto la ragazza tutta nuda". Francesco però si sbagliava, non aveva ricevuto la dote, ma Caterina si dimostrò ricca di quella cultura italiana che cambiò radicalmente le più rozze abitudini francesi, senza parlare della sua azione politica. Caterina infatti divenne una buona amica della sorella di Francesco I, Margherita di Navarra, ed anche delle sorelle del marito, Margherita e Maddalena. Lo stesso Francesco I la prese a benvolere colpito dalla sua cultura ed intelligenza unità ad una modestia ed un affetto incondizionato, tanto da volerla nella cerchia di favoriti. Fine prima parte presto la seconda: Caterina de' Medici, regina madre.
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jacopocioni · 1 year
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Stracotto alla fiorentina
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Lo stracotto alla fiorentina è una preparazione che permette di usare tagli di carne di minor pregio e che di solito si presentano duretti dopo la cottura. Un piatto che segue gli stessi principi del peposo. Il tempo, lo stracuocere, permette di trasformare questa carne più ostica in un piatto delizioso. Di solito si usa la sorra che è un taglio di carne bovina sito nella parte anteriore della spalla. A Firenze si chiama sorra, ma in altre parti d'Italia trova nomi diversi. A Bologna, Perugia, Roma si chiama polpa di spalla, a Messina e Reggio Calabria è la spadda. A Bari, Foggia, Genova, L'Aquila, Napoli, Potenza, Torino, Trento e Vicenza è la spalla mentre a Rovigo si chiama il taglio lungo la spalla e per i veneziani è zogia. Ingredienti: 1 kg di sorra 1 cipolla 5 carote 4 coste di sedano 6 pomodori 2 bicchieri di Chianti sale pepe rosmarino olio toscano extravergine 1 spicchio d'aglio Preparazione:
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Perfetto sarebbe un coccio, cioè un tegame in terracotta, ma va bene anche l'acciaio. Per prima cosa si esegue un battuto di cipolla e aglio e lo si mette a soffriggere per alcuni minuti. Poi si introduce un rametto di rosmarino e la carne,  in modo da farla rosolare bene su ogni lato. Occorrerà circa 15 minuti. Ne frattempo che la carne rosola pulite le carote e il sedano. Tagliateli grossolanamente. Rosolata la carne metteteli nel tegame e togliete il rosmarino. Fate cuocere per altri 15 minuti e poi sfumate con i due bicchieri di chianti. Continuate la cottura per altri 30 minuti rigirando spesso la carne sui vari lati e a questo punto aggiungete i pomodori tagliati grossolanamente. Se volete potete prima sbollentarli e rimuovere la buccia ed anche i semi. Se i pomodori non hanno fatto abbastanza acqua aggiungetene un bicchiere, o il alternativa del brodo, avendo cura di alzare la fiamma per tornare velocemente all'ebollizione.
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Appena ricomincia a bollire abbassate la fiamma, coprite con un coperchio, e cominciate la lunga cottura. Anche sino a tre ore, dipende anche dalla dimensione del pezzo di sorra. La carne va girata 2/3 volte nell'ora e questo vi permette di vedere che non si asciughi troppo la preparazione, nel caso aggiungete liquidi. Terminata la cottura va fatta riposare la carne per una mezzoretta. Nel frattempo raccogliete tutte le verdure stracotte e la salsa e passatele con il passatutto. Potete impiegare questo tempo anche per preparare del purè che è un compagno perfetto per lo stracotto. Tagliate a fette la carne e servitela con la salsa passata e il purè. Non vi pentirete delle ore di attesa.
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jacopocioni · 11 months
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L'arte di Dory
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A differenza di cosa porta a pensare il titolo non parliamo di arte propriamente detta, ma di arte culinaria. L'arte di Dory è un ristorante di là d'Arno e questa è una recensione del locale in oggetto. In realtà l'arte c'entra perchè nel ristorante sono esposti quadri di contemporanei che sono anche acquistabili, tanto che c'è un angolo divano dove potersi sedere, dopo aver mangiato, e instaurare una contrattazione. Data la mia natura però, se decido di scrivere una recensione su un locale fiorentino è perchè sono stato conquistato dal lata mangereccio del posto, e di questo vi parlo. Dory è la donna con "le mani in pasta" perchè questa è la caratteristica del locale, la pasta fresca. E' inevitabile non accorgersene dato che la cucina da sulla vetrina stessa e basta soffermarsi per vedere la preparazione della pasta sul momento. Ravioli, pappardelle, tagliolini, tortelli di patate e relativi sughi a completare. Il sugo della casa, il classico ragù, il cinghiale, i funghi, senza dimenticare la classica ribollita o la pappa al pomodoro. Ognuno di questi piatti è fatto con amore e si sente.
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Sono stato tre volte a mangiare al L'Arte di Dory, con la moglie, con gli amici del consiglio dello Struscio Fiorentino (stasera struscio verde!!) e ci ho portato anche mia madre. Adesso cerco una nuova scusa per tornare. Purtroppo lo stomaco non consente di assaggiare tutto e quindi si deve reiterare.
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Ho parlato dei primi, della pasta fatta in casa, ma non posso non onorare l'ottima "ciccia" presente; che sia una tagliata o un filetto al pepe verde si percepisce subito che la materia prima è di qualità, come si apprezza subito la capacità di gestirla gustandosi un peposo. Un piatto difficile a differenza di ciò che si crede, dove la cottura nel vino fa la differenza e un errore nella quantità di pepe può rovinare tutto. Ecco, quello che ho mangiato era un perfetto equilibrio. L'imprinting del posto è quello che piace a me, un'evoluzione della trattoria, locale piccolo, familiarità nel gestirlo, prezzi onesti, cordialità. Tre persone in tutto, con la controparte di Dory che serve ai tavoli, sempre con una parola gentile o un consiglio per lo straniero che non conosce le pietanze. In mezzo ad una lacustre ed eccessiva presenza di ristoranti "acchiappa straniero", che ormai caratterizzano Firenze, L'Arte di Dory è un'eccezione. Ormai è diventato difficile trovare chi fa ristorazione per passione curando il sapore e non il marketing, a giro c'è apparenza ma non sostanza, ed è questa la ragione per cui recensisco di rado un locale. Quando lo faccio è perchè ne vale la pena. Quindi concludendo, a chi piace smandibolare consiglio una, o più di una, capatina in via dei Serragli al 78 rosso, sono certo che non sarà una serata dimenticabile.
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jacopocioni · 3 days
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Il ragù a Firenze, la mia ricetta
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Il ragù è uno di quelle preparazioni che non può essere definito regionale, nemmeno provinciale, il ragù è personale. Ogni famiglia tramanda la sua ricetta. Nel mio caso me la sono creata dopo svariati tentativi fino ad ottenere una salsa di carne che riscontrasse il mio gusto. Il ragù per me è sempre stato una preparazione divertente da realizzare e che accontenta sempre il desiderio di una buona pasta asciutta. Ho fatto ragù di tutto. Quello di carne che adesso vi racconto, di cinghiale, di agnello, di maiale, di capriolo, di colombacci, di nana, ecc. Mi permetto di inserire la mia idea di ragù tra le ricette fiorentine. Va subito detto che il ragù deve essere unto, un ragù "magro" non condisce la pasta, non lega. L'altra cosa imprescindibile è il tempo di cottura, se sei sotto le 4 ore non si tratta di ragù, ma di brodaglia. Normalmente le mie dosi sono abbondanti, faccio un bel pentolone e poi lo metto nei barattoli e lo congelo, pronto al bisogno per una pasta o per una lasagna. INGREDIENTI PER IL RAGU' 2 kg. di macinata di manzo di buona qualità. 4 salsicce toscane. 350 gr. di cuori e fegatini di pollo 1 fetta di pancetta toscana spessa (non quella affumicata) 400 ml di Chianti di buona qualità Olio toscano 500 gr. di pomodori pelati 3 cucchiai di concentrato di pomodoro 1 cipolla molto grande o 2 medie 1 carota molto grande o 2 medie 2 coste di sedano 4 foglie di salvia 1 foglia di alloro 1 ciuffetto di rosmarino (10 singoli aghi) 2 bacche di ginepro la punta di un cucchiaino di timo secco 2 cucchiai di aceto INGREDIENTI PER IL BRODO 1 osso 1 cipolla piccola 1 carota piccola 1 coste di sedano 10 gambi di prezzemolo fresco 1 pomodoro 1 chiodo di garofano 1 fettina di buccia di limone (solo la parte gialla) Per prima cosa va fatto il brodo. Occorrono circa 3 ore o la metà se preferite la pentola a pressione. In una pentola capiente si versa 1 litro d'acqua (passata attraverso una brocca filtrante per rimuovere odori di cloro), si aggiunge la cipolla sbucciata su cui si infilza il chiodo di garofano, la carota sbucciata, le coste di sedano, il prezzemolo il pomodoro inciso, pochissimo timo secco e una piccola fettina di buccia di limone. Si mette tutto insieme a freddo, compreso l'osso e del sale grosso. Poi si ripassa dopo tre ore. Il brodo è fatto quando le carote si spappolano premendole con il mestolo. Dopo due ore di attesa per la formazione del brodo si sfrutta la terza ora in cui il brodo sobbolle e si comincia a preparare per il ragù. Personalmente non trito, sbuccio e taglio la cipolla, la carota e il sedano in pezzi grossi. Trito invece molto finemente le quattro foglie di salvia, la foglia di alloro (rimuovendo l'anima), gli aghi di rosmarino e le due bacche di ginepro. Al trito fatto aggiungo la punta di un cucchiaino di timo secco. Eseguo anche una dadolata della fetta di pancetta. In una grossa pentola metto dell'olio ad occupare tutto il fondo. Quando l'olio è ben caldo aggiungo la dadolata di pancetta e dopo un paio di minuti la cipolla, la carota e il sedano. Il mio soffritto va avanti per 20 minuti e dopo i primi 10 aggiungo il trito degli aromatizzanti. Nel caso si asciughi troppo stempero con con dell'acqua. Nei 20 minuti in cui il soffritto progredisce pulisco i fegatini di pollo dalle parti bianche e poi li metto in acqua e aceto per 5 minuti al massimo. In quei 5 minuti spello le salsicce e le passo a filo di coltello. Rimuovo i fegatini dall'acqua e aceto e li mescolo con le salsicce continuando ad usare il coltello per sminuzzarli e incorporarli nella pasta delle salsicce. Appena il soffritto è pronto si mette giù la trita di manzo e il composto di salciccia e fegatini e si comincia la rosolatura della carne. Occorrerà 15/20 minuti per rosolarla girandola ogni 2/3 minuti. Al momento che è ben rosolata si sfuma con 400 ml. di Chianti. Altri 10 minuti si devono attendere per far evaporare tutto l'alcool. Se facciamo un rapido calcolo siamo a 45/50 minuti di preparazione del ragù e quindi il brodo ha fatto almeno 2 h e 50 min. di pentola ed è probabilmente pronto. A questo punto si aggiunge i 500 gr. di pelati, schiacciandoli bene con la mano prima di metterli in pentola, e si aggiunge i tre cucchiai di concentrato di pomodoro. Si aggiunge 3 ramaioli di brodo e si mette il fuoco al minimo. Ogni mezzora si mescola bene e si aggiunge del brodo se necessario. Dopo le prime quattro mezzore si aggiunge del sale. si fanno altre quattro mezzore per un totale di circa 4 ore di cottura. Alla fine si corregge di sale e si lascia riposare altre 4 ore. Finito il ragù si mette nei barattoli e in congelatore. Con il fondo della pentola, la sera stessa, si fa la prima pasta asciutta.
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jacopocioni · 12 days
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Il primo campo da golf in Italia: Firenze?
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Esiste una vera è propria gara tra le città per stabilire dove è nato il primo campo da golf in Italia, e Firenze potrebbe essere la prima città italiana ma sussiste una diatriba tra due date 1989 e 1899. A cavallo tra il 1800 e il 1900 sono diversi i campi da golf che nascevano in Italia e tra questi c'è il Florence Golf Club. Si tratta di un club che venne fondato dalla folta colonia di inglesi che si erano stabiliti a Firenze e si trovava sui terreni dei principi Demidoff, dove adesso sorge il parco San Donato, area che oggi conosciamo come Novoli. Era un vero e proprio percorso di nove buche. Il Club fu fondato nel 1989 e questo lo renderebbe il primo campo da golf in Italia, ma sembra che sulla carta il primo riferimento scritto risalga solo a dieci anni dopo, cioè al 1899. Questo ci sposta terzi nella classifica. - Sorrento Golf Club (1895) - Varese Golf Club (1897) - Florence Golf Club (1899) - Sanremo Golf Club (1901) Nel "Club Directory, in The Golfing Annual, vol. 12, Londra, 1898-1899, pp. 258-259." è scritta la seguente annotazione: "The course, of nine holes, is in the old Denndoff Park at San Donato. The turf is good, and the hazards consist of hedges, trees, a dike, &c. There is a good Club-house on the ground, which is within easy reach of Florence (about one and a half miles distant)" che tradotta sarebbe: " Il percorso, a nove buche, si trova nell'antico parco Denndoff di San Donato. Il manto erboso è buono e i pericoli sono costituiti da siepi, alberi, una diga, ecc. Sul terreno è presente una buona Club-house, facilmente raggiungibile da Firenze (distante circa un miglio e mezzo)." Bisogna notare che l'annuario in oggetto copre gli anni dal 1898 al 1899, e quindi, se non presente nessuna citazione negli annuari precedenti, questa è sicuramente la prima citazione del club fiorentino. Si deve però considerare che siamo nel 1889 e non è che si poteva mandare una mail o un fax per una comunicazione certa. Magari chi ha edificato il percorso nel San Donato non ha pensato a mandare una lettera manoscritta della nascita del club stesso non ritenendo la cosa fondamentale. Insomma, una mancata comunicazione a noi fiorentinacci ci fa perdere il primato italiano. Invitiamo i tanti lettori, che sappiamo essere anche studiosi della storia fiorentina, a cercare qualcosa di scritto che possa affermare definitivamente che il Florence Golf Club è stato il primo campo da golf nato in Italia. Successivamente il campo da golf dal San Donato si spostò, prima all'Osmannoro, e nel 1934 si stabilizzò al Poggio dell'Ugolino dove ancora oggi risiede.
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jacopocioni · 19 days
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Il fatto di sangue a casa Canacci
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Casa de' Canacci. Fatti di sangue a Firenze ne sono successi tanti, ma uno si caratterizza per un epilogo che testimonia l'acredine del mandante che rese il suo gesto indelebile sia per la crudeltà dello stesso sia per averlo programmato esattamente il 1° dell'anno del 1639. Il 70enne Giustino Canacci e la sua seconda moglie Caterina Brogi, oltre ai tre figli adulti avuti delle prime nozze di Giustino, Francesco, Giovanni e Bartolomeo vivevano in via dei Pilastri al n° 4. Via dei Pilastri è un'antica strada che prende il nome da una famiglia perugina trasferitosi a Firenze prima della battaglia di Montespertoli, i Pilastri. Caterina Brogi era davvero una bella donna, una fresca ventenne che riceveva costantemente attenzione dagli uomini che la incrociavano, lo stesso figlioccio Bartolomeo se ne era invaghito. La donna era però impenetrabile a qualsiasi avance, o almeno cosi sembrava. Nella realtà esisteva qualcuno che aveva fatto breccia, si trattava di Jacopo Salviati, I duca di Giuliano.
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Veronica Cybo. Jacopo Salviati non solo era ricco e piacente, ma anche un poeta. Nato a Firenze nel 1607 era figlio di Lorenzo Salviati, marchese di Giuliano e di sua moglie, la nobildonna fiorentina Maddalena Strozzi. Nel 1627 si sposò con la principessa di Massa e Carrara Veronica Cybo-Malaspina ed ottenne da papa Urbano VIII, grazie a questo matrimonio, che il suo titolo venisse elevato da marchese a duca. Il matrimonio fu quindi conveniente per Jacopo, ma elevare il suo rango lo costrinse ad una moglie orgogliosa e fredda. Gli incontri segreti tra Jacopo e Caterina si svolgevano proprio in via dei Pilastri al civico 4 e nonostante la prudenza dei due amanti qualcuno si accorse della tresca. Non fu certo il marito di Caterina, il buon Giustino, che come marito sappiamo è sempre l'ultimo a sapere, ma qualcuno che fece arrivare la notizia all'orecchio di Veronica. Fu il respinto figlioccio Bartolomeo, che invece che confidarsi con il padre, il primo suo rivale in amore, lo fece con la moglie dell'amante della matrigna. Poi ci si domanda come nascono le telenovelas. La moglie di Jacopo, a differenza di Giustino, non rimase inerme e organizzò la sua vendetta in maniera non solo da riscattare il suo onore, ma da disonorare permanentemente quello del marito. Si coalizzò con Bartolomeo per conoscere esattamente gli orari degli incontri fedifraghi di casa Canacci e organizzò una sortita di tre sicari provenienti da Massa. I tre assassini aspettarono il 31 dicembre del 1638 per agire, consci che quella notte Caterina era sola con la sua fantesca. Non solo uccisero le due donne, ma fecero a pezzi i loro corpi.
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La vendetta di Veronica Cybo Il 1° gennaio a villa al Cionfo Jacopo si svegliava, dopo i bagordi notturni, ignaro di quello che era successo la notte e affrontò la giornata secondo i rituali in uso. Uno di questi era ricevere, presso i suoi appartamenti, il cesto di biancheria pulita che la perfetta organizzazione della moglie gli faceva recapitare settimanalmente. Stavolta però la servitù non trovò solo la biancheria profumata, ma ben avvolta in una camicia ci trovò la testa mozzata della sua amante Caterina. L'epilogo è scontato. Jacopo capì l'antifona, i sicari rientrarono a massa belli tranquilli, Veronica si trasferì a Figline sino a che non fu certa della sua impunibilità e l'unico che pagò lo scotto fu Bartolomeo che fu arrestato e poi impiccato al Bargello. Questo il fatto di sangue di Casa Canacci al n° 4 di via dei Pilastri. Solo dopo aver scritto l'articolo mi sono accorto che già la Madonna delle Cerimonie Gabriella Bazzani ne aveva parlato proprio su queste pagine della Rivista Fiorentina. Insomma, vi siete letti un doppione.
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jacopocioni · 1 month
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Dolce Firenze, un dolce dimenticato
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Quando si pensa ad un dolce fiorentino ci vengono in mente sempre i grandi classici, dalla schiacciata alla fiorentina al pan di ramerino, dallo zuccotto al castagnaccio. Tutte ricette già raccontate su queste pagine elettroniche, ma questa è una ricetta particolare. Non è cosi sconosciuta essendo sia riportata dall'Artusi che dal Pedroni, per questo indico dimenticata, però è rarissimo sentir dire: "ho fatto il dolce Firenze" Il dolce è dimenticato, forse per la sua ricetta banale, forse perché ricorda più una merenda da bambini, forse perché i gusti sono cambiati. Quindi ci è sembrato giusto riproporlo per rinnovare la tradizione e provare a riassaporare nuovamente qualcosa di semplice. . Ingredienti per 4 persone: 40 g Burro ½ litro di latte 1  Limone 4/5 fette di Pane Toscano 4 Uova 40 g Uva Sultanina 100 g Zucchero 1/2 bicchiere di Vin santo (variazione dalla ricetta originale) Un pizzico di sale Procedimento
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Per prima cosa mettiamo l’uvetta nel bicchiere che contiene il Vin Santo e lasciamola ammorbidire. Accendiamo anche il forno per portarlo a 140°C. Tagliamo 4/5 fette di pane toscano di cieca 1 cm di spessore e le mettiamo a tostare. Appena pronte, quando sono ancora calde, le imburriamo su entrambi i lati. Mentre il pane tosta (attenti a non bruciarlo) sbattiamo in una ciotola le uova assieme allo zucchero e al latte aggiungendo un pizzico di sale.
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A questo punto, pronte le fette di pane tostate e imburrate, le poniamo in una pirofila, scoliamo l'uvetta e la distribuiamo sulle fette di pane. Aggiungiamo la scorza di limone, solo il giallo della buccia, e poi aggiungiamo il composto sbattuto in precedenza. Mettiamo nel forno preriscaldato e cuociamo per 40/50 minuti, sino a che le uova non siano totalmente rapprese. Servire il dolce ancora tiepido. Una ricetta banale, ma vale la pena riscoprirla, anche considerando che è realizzabile in qualsiasi momento dato che gli ingredienti sono sempre presenti nella dispensa di una cucina.
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jacopocioni · 1 month
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Ubaldino Peruzzi de' Medici
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Ubaldino Peruzzi de' Medici nasce a Firenze il 2 aprile 1822, figlio di Vincenzo Peruzzi, gonfaloniere di Firenze e di Enrichetta Torrigiani. Discendente della famiglia Peruzzi che si era imparentata con la famiglia Medici alla fine del XVIII con il matrimonio tra Bindo Simone (il nonno) e Maria Luisa de' Medici ultima erede della famiglia Medici. La casa dei Peruzzi, posizionata in Borgo dei Greci, sorge sul luogo anticamente occupato da un orto di proprietà dei Peruzzi e su alcune case edificate a loro volta sui resti dell'anfiteatro romano di Firenze. Un'altra dimora dei Peruzzi, la preferita da Ubaldino, è la villa dell'Antella sulle colline fiorentine nel Comune di Bagno a Ripoli. Gli studi per Ubaldino cominciarono nel 1828 presso una scuola privata per poi proseguire presso il collegio Cicognini di Prato. Nove anni dopo, nel 1837, il granduca concesse l'ammissione al collegio Tolomei di Siena, luogo dove studiavano i figli della nobiltà toscana. Conseguì la laurea in tre anni diventando dottore in legge nel 1840. Lo zio paterno, Simone Peruzzi, insistette molto e convince il padre di Ubaldino ad affiancarlo a lui presso Parigi dove lo zio era in affari presso il re di Francia. Ubaldino nel periodo parigino frequentò la École des mines dove conseguì un diploma in ingegneria mineraria nel maggio 1843.
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Grazie a questa formazione, al suo rientro a Firenze, diversificò i suoi investimenti in nuovi settori come quello ferroviario, assicurativo e ovviamente minerario. Nel dicembre 1847, alla morte del padre ed entusiasta delle riforme di Pio IX, si lega alla realizzazione dell'ordinamento della guardia civica meritandosi nel 1848 un pubblico ringraziamento dal Municipio Fiorentino. La sua visibilità fu accresciuta anche  dall'essere diventato, nel 1848, capo della commissione incaricata di trattare il rientro dall’Austria dei prigionieri toscani. Eletto nel 1948, nel nuovo Parlamento costituzionale sostituì come gonfaloniere il cugino Bettino Ricasoli. Se pur affetto da Vaiolo contribuì al colpo di Stato del 12 aprile 1849 e a stendere il successivo proclama con cui il Comune di Firenze assumeva i pieni poteri in nome del principe, rientrò poi nel suo ruolo di gonfaloniere.
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Si sposò, il 9 settembre 1849  con Emilia Toscanelli, nata a Pisa, e conosciuta nel salotto di Carlotta Marchesini Torrigiani. Grazie ad Emilia si istaurò a Firenze un grande salotto culturale conosciuto come il «salotto rosso» frequentato da una miriade di personaggi a partire da Edmondo De Amicis per finire con Cesare Alfieri. Mentre la moglie "creava" relazioni interpersonali il marito Ubaldino si dedica alla vita politica albergando tra i moderati; negli anni che seguirono l'Unità d'Italia si affermò nella vita politica nazionale.
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Il 27 aprile 1859 entrò nel Governo provvisorio della Toscana, dopo la definitiva partenza di Leopoldo II, dove fu nominato capo del governo provvisorio toscano. A livello nazionale divenne, nel 1860, deputato e lo rimase per dieci legislature in rappresentanza del primo collegio di Firenze. Fu Ministro dei lavori pubblici con il terzo Governo Cavour mantenendo la carica con il successivo Governo Ricasoli e poi Ministro dell'interno nel Governo Minghetti.
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Nel 1865 entrò nel Consiglio provinciale Toscano, divenne, dal 1865 al 1870, Presidente della Provincia Fiorentina per poi divenire Sindaco di Firenze per 8 anni fino al 1878. Durante la sua attività di Sindaco, nel 1876, contribuì alla fondazione del Collegio degli Architetti e Ingegneri in Firenze di cui fu nominato Presidente Onorario. Furono suoi i grandiosi progetti di espansione edilizia della città di Firenze rappresentati ed eseguiti poi dal piano Poggi. Ritiratosi a vita privata nella villa dell'Antella vi mori il 9 settembre 1891.
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jacopocioni · 2 months
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Jacopo di Cione detto il Robiccia
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Jacopo di Cione, detto Robiccia, è nato a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella nel 1325 da una famiglia di artisti, primo tra tutti il fratello Andrea di Cione detto l'Orcagna (da non confondere con Andrea di Cioni detto il Verrocchio), ma anche gli altri due fratelli, Nardo e Matteo, furono pittori e architetti. Si formò come artista presso la bottega di Andrea Pisano e in quella di Giotto di Bondone, assieme ai suoi fratelli Andrea, Matteo e Nardo di Cione con i quali collaborò tutta la vita tranne nel periodo che va dal 1366 e il 1368 in cui lavorò da solo. In quel periodo realizza gli affreschi nel palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai. Ricordiamo una pala d'altare "La Crocifissione" un dipinto a tempera e oro su tavola che, dall'attuale via del Proconsolo, passò per svariate mani fino a quelle del reverendo Jarvis Holland Ash che nel 1896, dopo la sua morte, lasciò alla National Gallery di Londra dove ancora oggi è conservato.  Alla morte del fratello Nardo di Cione nel 1368 Jacopo è nominato erede al pari dei suoi fratelli Andrea e Matteo. Quando morì il fratello Andrea (l'Orcagna), sempre nel 1368, svariate commissioni rimasero incomplete e fu Jacopo che le terminò. Tra queste i dipinti della "Vergine e di San Matteo" per Orsanmichele e la grande tavola con "S. Matteo e quattro storie della sua vita" (conservata agli Ufizi) che era stata commissionata nel settembre 1367 dai consoli dell'arte del cambio.  Mel 1369 era impegnato in decorazioni ad affresco nella sede della Misericordia presso l'oratorio del Bigallo a Firenze. Jacopo di Cione era iscritto dal 12 gennaio 1369 all'Arte dei Medici e Speziali e ne divenne console nel 1384, 1387 e 1392.
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Tra le varie collaborazioni fu sovente quella con il pittore Niccolò di Pietro Gerini con cui dipinse l'altare della chiesa di San Pier Maggiore commissionata dalla famiglia Albizi. Anche buona parte di queste opere, i dodici pannelli principale, sono conservate alla National Gallery di Londra. Assieme a Niccolò Gerini realizzò anche l'affresco dell'"Annunciazione" nel Palazzo dei Priori a Volterra e L'"Incoronazione della Vergine" che fu commissionato dalla zecca fiorentina. Tra il 1378 e il 1380 Jacopo di Cione lavorò con l'ultimo fratello rimasto, Matteo, presso Santa Maria del Fiore all'epoca ancora in cantiere. Durante questo periodo anche Matteo morì e Jacopo lo sostituì nella scelta dei marmi da impiegare nel rivestimento esterno del Duomo. Jacopo di Cione morì a Firenze nel 1399. E con questo ho voluto ricordare un antico cugino...
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jacopocioni · 2 months
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Per chi abita in… Via Toscanella tra il Pozzo Toscanelli e la Madonna del Puzzo
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Via Toscanella è una stretta via che parte dallo Sdrucciolo De' Pitti e con un andamento leggermente curvilineo termina, diventando un vicoletto, in Borgo San Jacopo. In passato la via era frammentata in più vie con denominazione diversa. Da Borgo San Jacopo a Via dello Sprone, la parte più stretta della via, si chiamava Chiasso de' Marsili che poi diventò via del Forno. Qui la via si apre sulla famosa Piazza della Passera. Il tratto successivo da Via dello Sprone a Via de' Vellutini assumeva il nome di Via del Canto a' quattro Pagoni. Il tratto seguente da Via de' Vellutini a Via de' Velluti prima assumeva il nome di Canto a' quattro Leoni e poi Via Pagni. Lo spezzone successivo da Via de' Velluti fino allo Sdrucciolo de' Pitti si chiamava prima Via della Cella de' Fantoni e poi via Toscanella.
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Il nome via Toscanella dell'ultimo tratto, che poi diventa nome dell'intera via, derivava dal fatto che la via costeggiava posteriormente il Palazzo Dal Pozzo Toscanelli (con la facciata sulla Piazza de' Pitti).  La famiglia Toscanelli, antichissima famiglia fiorentina, era detta anche “dal Pozzo” perché in vicinanza della casa si trovava un pozzo pubblico denominato Pozzo Toscanelli. Addirittura il pozzo compariva nel loro stemma familiare.
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Pozzo Toscanelli disegno S. Valentini La falda acquifera che alimentava il pozzo proveniva quasi certamente da una sorgente presente sulla collina di Boboli, e l'abbondanza d'acqua faceva si che la cisterna del pozzo fosse sempre piena tanto da superare il livello massimo e riversarsi, grazie alla pendenza, in Via Sguazza che magari assumeva questo nome proprio per le pozze generate dall'acqua che la percorreva.
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Il pozzo era andato perduto nelle successive edificazioni, probabilmente nella costruzione del palazzo della famiglia Ridolfi di Piazza costruito circa nel Trecento, in via Maggio. Estendendosi con il giardino sino a via Toscanella hanno probabilmente chiuso il famoso pozzo. Dopo anni di ricerche recentemente è stato individuato grazie a Marco Conti e al proprietario del ristorante "Toscanella Osteria" Fabrizio Roberto Gori. Durante i lavori di realizzazione del ristorante hanno riportato alla luce il perduto Pozzo Toscanelli e con lungimiranza l'hanno restaurato ed è oggi visibile.
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Proiettandosi dall'altra parte di Via Toscanella, dove si restringe in un caratteristico vicolo, appena prima di aprirsi su Via San Jacopo si nota una rappresentazione in terracotta della Madonna. Questa rappresentazione è del 1984 ed è stata commissionata a Mario Mariotti e posizionata ad opera degli abitanti della via in segno di protesta. Tra spazzatura abbandonata e ricorrenti minzioni sui muri la via si caratterizzava per un fetido odore. La madonna è infatti rappresentata in un atteggiamento conseguente e ha preso il nome di Madonna del Puzzo. La via nasceva quindi come "retro" di palazzi signorili con le facciate in vie e piazze di più rinomata fama, ma nel corso del tempo il suo lastricato si è impregnato di storia ospitando anche le abitazioni di uomini illustri come Giovanni Boccaccio o Ottone Rosai. Oggi, grazie a piazza della Passera, è diventata un angolo di aggregazione.
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jacopocioni · 3 months
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Baldaccio d’Anghiari e il suo fantasma
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Baldaccio d’Anghiari al secolo Baldo di Piero Bruni è vissuto ai primi del 1400. Nato ad Anghiari da Piero ed Assunta divenne un famoso condottiero. La sua famiglia in Anghiari era molto antica, addirittura blasonata, ma questo figlio di nome Baldo si scostò da essa per il suo carattere irruento e attaccabrighe, non a caso ebbe modo di scontrarsi con la giustizia più volte. Per il popolo il suo nome da Baldo diventò Baldaccio ad indicare non certo un santo.
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La sua stessa Famiglia non era a proprio agio in sua presenza e quindi il giovane Baldo decise di dedicarsi alle armi abbandonando la sua dimora, il famoso Castello dei Sorci. Lasciare Anghiari gli avrebbe permesso la vita che desiderava densa di avventure e scorrerie. Con i compagni d'arme ne combinò di ogni sorta tanto che nel 1420 fu addirittura accusato d'omicidio e condannato a morte. La sua fortuna fu riuscire a fuggire e questo gli permise di sopravvivere alla condanna.
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Divenne un soldato mercenario al soldo di chi offriva maggior denaro per le sue azioni di guerriglia. Fu spesso usato dagli stessi fiorentini, assoldato da il Conte d’Urbino, da i Malatesta, dagli Orsini, da Piccino poi a sua volta combattuto sotto le insegne di Papa Eugenio IV. Questi servigi resi a destra e a manca lo resero cosi famoso da essere graziato delle condanne accumulate ed addirittura la città di Firenze gli concesse la cittadinanza il 19 giugno del 1937. Francesco Sforza visto la sua indole e le sue capacità lo nominò maestro di campo dell’esercito fiorentino, ma si accorse ben presto che non era un uomo facilmente imbrigliabile tanto che tra i due si generò uno scontro che arrivò ad una sfida alle armi che il milanese perse. Lo stesso Machiavelli lo definì: "uomo di guerra eccellentissimo".
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Il prestigio di cui arrivò a godere Baldaccio nella città di Firenze, e non solo in questa città, era tale che taluni personaggi politici dell'epoca cominciarono a temere che potesse diventare un punto di riferimento politico e quindi un possibile, formidabile, avversario. Uno dei nobili che temeva di più questa possibile circostanza era Cosimo de' Medici, e forse fu proprio lui il mandante della fine di Baldaccio.
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Il 6 settembre del 1441 a Baldaccio fu recapitato un invito a presentarsi presso Palazzo Vecchio dove lo attendevano una schiera di sicari che rendevano conto al gonfaloniere di giustizia Bartolomeo Orlandini, uomo sicuramente nelle grazie di Cosimo de’ Medici e che con Baldaccio aveva un vecchio conto da regolare. Infatti tempo addietro Baldaccio aveva stigmatizzato l'operato dell'Orlandini nella difesa del Castello di Marradi, asserendo addirittura che si era dato alla fuga. Orlandini lo accolse al portone e lo accompagnò lungo i corridoi conducendolo nella trappola che lo attendeva. In pochi secondi Baldaccio fu circondato e sfruttando il vantaggio della sorpresa, fu colpito alle spalle, tramortito, ed in seguito buttato da una finestra di Palazzo Vecchio. Accasciatosi in piazza della Signoria un altro gruppo di persone lo trascinò per la piazza stessa sino a che esanime non fu decollato e lasciato a terra innanzi agli occhi dei fiorentini. Il monito per Firenze era capire la fine che faceva chi anche solo aveva le possibilità di imporsi politicamente contro il potere costituito. Pochi giorni dopo il corpo di Baldaccio giaceva ancora alla vista dei cittadini e solo la preghiera della vedova di Baldaccio, Annalena Malatesta di Rimini, donna di mirabile bellezza, rivolta al Papa Eugenio IV permise la sua tumulazione presso la Basilica di Santo Spirito.
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Cessata la fama e la gloria in vita cominciò la leggenda nella morte. Baldaccio d'Anghiari non abbandonò Firenze, ma vi restò come fantasma. Un fantasma che si è manifestato più volte ed addirittura fu anche fotografato. Sembra che si aggiri per Palazzo Vecchio e il rumori da lui provocati, sordi e lontani, si odono solo dopo l'orario di chiusura quando il brusio turistico cessa e il silenzio mette in evidenza echi d'oltretomba. Il 6 settembre è il giorno in cui si materializza in vari luoghi, talvolta per la festa di ognissanti il 1 novembre, non solo nei luoghi della sua morte, ma anche in quelli della sua nascita.
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Il 6 settembre del 1991 apparve sul Ponte Vecchio e il giovane fiorentino che lo vide lo descrisse come una figura che si stagliava in maniera vivida e vestito in arme. Il 6 settembre del 2001 si presentò al Piazzale Michelangelo ma non fu visto bensì fotografato. Due ragazzi, scattando una foto ricordo, lo immortalarono senza accorgersi e solo il giorno dopo osservando la foto al computer si accorsero della sua presenza. La fotografia mostrava una faccia arcigna e spaventosa che li guardava in cagnesco. La foto fu addirittura inviata ad alcuni esperti che le certificarono come autentica e in seguito altri esperti del paranormale sancirono che si trattava proprio di Baldaccio d'Anghiari. Sembra che ogni 40 anni (che dovrebbero essere i suoi anni vissuti) il 6 settembre o il 1 novembre il suo fantasma si presenti presso il Castello dei Sorci ad Anghiari, antica dimora della sua famiglia. Si presenta decollato e con la testa sotto il braccio forse con un messaggio che ancora oggi nessuno ha compreso.
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jacopocioni · 3 months
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Vicolo dei Davizzi per colpa di una foto
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A seguito della pubblicazione di una splendida foto, realizzata da Enrico Fontanelli, rappresentante Vicolo dei Davizzi mi è venuta la curiosità di leggere in merito al vicolo. Non si trova molto in rete, ma alcune informazioni sono interessanti. Innanzi tutto il nome, si chiama Vicolo dei Davizzi in quanto i primi proprietari dell'attuale Palazzo Davanzati era appunto la famiglia Davizzi. La ricca famiglia dei Davizzi, mercanti, fece costruire il palazzo nel trecento. Il vicolo si apre sulla destra del Palazzo quindi su via Porta Rossa. Il vicolo costeggia in un primo tratto il fianco destro del palazzo, poi gira a sinistra e ne costeggia una parte posteriore. Oggi termina qui, con un muro, ma in passato si suppone che proseguisse collegandosi con Vicolo del Panìco (già vicolo del Capaccio) per arrivare in via Pellicceria. Di vicolo del Panìco ne parla anche Franco Ciarleglio nel suo libro "Da piazza della Passera al vicolo dello Scandalo". Si suppone che potesse anche collegarsi, attraverso alcuni passaggi privati, con via delle Terme. Come si vede nella foto di Fontanelli il vicolo presenta in alto i classici archi di rinforzo che inquadrati dall'ottimo fotografo disegnano, in questa foto, una splendida armonia.
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jacopocioni · 3 months
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Gli strumenti astronomici di Santa Maria Novella
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Nella Repubblica fiorentina l'affermarsi della famiglia Medici, salita al rango nobile, necessitava di una evoluzione da status di banchieri a qualcosa di più prestigioso.  Cosimo I intuì, o meglio copiò Lorenzo il Magnifico, che il mezzo per fare questo era la cultura. E' noto che Cosimo I fu mecenate per le arti ma allo stesso tempo, oltre scultori pittori ed architetti, chiamò a se anche scienziati impegnati in varie branche di studio. Una delle scienze a cui Cosimo I teneva particolarmente era il "tempo" e il calendario. All'epoca era in uso il calendario giuliano basato sul ciclo delle stagioni. Questo calendario era stato elaborato dall'astronomo greco Sosigene di Alessandria e poi introdotto da Giulio Cesare (per questo chiamato giuliano) nell'anno 46 a.C.. All'epoca era fondamentale l'individuazione del corretto giorno della Pasqua Cristiana, questo sia perché era una festività importantissima, sia perché si organizzava poi, di conseguenza, tutto il calendario liturgico cristiano. Per individuare il giorno della Pasqua si partiva a fare il calcolo dal giorno dell'equinozio. L'equinozio è il giorno in cui la notte e il giorno hanno la stessa durata, cioè quando il sole si trova allo zenit all'equatore e lo illumina perpendicolarmente. Perché questa lunga introduzione? Perché il calendario giuliano era impreciso e perdeva 11 minuti per ogni anno trascorso, rendendo i calcoli molto complessi. A questo, Cosimo I, aveva velleità di porre rimedio e sostituire il nome di Giulio Cesare con il suo. Sappiamo oggi che fu Gregorio XIII nel 1582 ad attuare questo cambiamento ed infatti ancora oggi ci basiamo sul calendario gregoriano che ha ridotto a soli 26 secondi la "perdita di tempo" in un anno.
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Questa "gara" dell'epoca per la riforma del calendario indusse Cosimo I a chiamare presso di se a Firenze uno dei più grandi astronomi del tempo, un frate domenicano che si chiamava Egnazio (Ignazio) Danti. L'incarico che aveva il frate era di trovare con la massima precisione il giorno dell'equinozio di primavera.
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Fu scelta la chiesa di Santa Maria Novella con la sua meravigliosa facciata di Leon Battista Alberti per realizzare ed applicare tre strumenti astronomici che ancora oggi sono osservabile dal fiorentino curioso e dal turista pellegrino. Questi strumenti furono realizzati tra il 1572 e il 1575 e sono: un grande quadrante con orologi solari, un'armilla equinoziale, e un foro gnomonico per una meridiana a camera oscura. Con questi strumenti si contava di individuare con estrema precisione il momento dell’equinozio di primavera, quindi studiare nuovi calcoli astronomici per riformare il calendario giuliano e alla fine individuare incontestabilmente il giorno di Pasqua.
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Il grande orologio, o meglio quadrante astronomico serviva a calcolare l’inclinazione dell’asse terrestre e l’altezza del sole durante tutto l’anno. Attraverso questo si poteva disporre di tutte le ore di tutti i sistemi orari dell’epoca, questo ma per la massima distribuzione del sapere.
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L’armilla è invece uno strumento poliedrico in quanto ha più scopi. Primo era ovviamente l'individuazione esatta dell’equinozio. La struttura consta di due cerchi di bronzo con un diametro di 130 centimetri che sono posti perfettamente perpendicolari tra di loro. Con il cerchio verticale, quello meridiano, si individua il mezzogiorno solare, cioè quando il sole è alla sua massima altezza. Il cerchio proietta sulla facciata della chiesa l'ombra di se stesso e quando questa ombra sovrappone perfettamente i lati del cerchio allora siamo al mezzogiorno preciso. L'altro cerchio, quello orizzontale o equatoriale, farà la stessa cosa al momento dell'equinozio. Quindi nel giorno dell'equinozio, a mezzogiorno preciso, le due ombre si porranno sulla facciata perpendicolari l'una all'altra disegnando una croce.
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Infine furono realizzati due fori gnomici per una meridiana a camera oscura all'interno della chiesa. La luce passando dai fori avrebbe dovuto indicare l'ora e i solstizi, ma si presentarono due problemi. Il primo fu che uno altro foro sarebbe dovuto essere realizzato nella volta, creando un probabile danno strutturale e l'altro problema fu l'allontanamento del Danti da Firenze. Il Danti si trasferì a Bologna dove continuò i sui studi e poté mettere in atto il suo progetto nella cattedrale di San Petronio. Egnazio Danti riuscì comunque, grazie ai suoi strumenti di misura a calcolare la vera durata dell’anno solare commettendo un errore di soli 38 secondi e dimostrando come la riforma del calendario giuliano fosse imprescindibile. Nonostante il miglioramento ancora oggi necessitiamo di un anno bisestile ed infatti oggi è il 29 febbraio un giorno di più per recuperare il tempo perso.
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jacopocioni · 4 months
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Per chi abita in… via della Colonna
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Via della Colonna va da piazza D'Azelio a piazza della Santissima Annunziata. Un tempo la via era però divisa per tratti.
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La parte che andava dall'incrocio di via della Pergola fino a Borgo Pinti era l'originale via della Colonna. In nome via della Colonna derivava dal fatto che in questa via era presente un tiratoio appartenente all'Arte della Lana sito proprio all'incrocio con Borgo Pinti. Questo tiratoio che era caratterizzato da un'enorme colonna che sorreggeva la tettoia. Infatti prima la via si chiamava via del Tiratoio alla Colonna, nome poi accorciato sparito il tiratoio. Nella via era presente anche un altro tiratoio, sempre di proprietà dell'Arte della Lana ed era chiamato "della Pergola" dando origine al nome di via della Pergola. All'epoca del Magnifico invece questo tratto era conosciuto come via Laura a Pinti, per la presenza di un maestoso Lauro (Alloro), a cui era aggiunta la desinenza "a Pinti" per distinguerla da via Laura poi divenuta via dell'Agnolo.
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La parte di via della Colonna che andava da via della Pergola sino a piazza Santissima Annunziata era conosciuta come via Nuova degli Innocenti, ovviamente in riferimento allo Spedale degli Innocenti. Il nome di questa parte cambiò varie volte; prima via del Roseto, poi via del Rosaio e infine via della Crocetta a causa del monastero di Santa Maria della Croce. Il tratto attuale da Borgo Pinti a piazza D'Azelio all'epoca non esisteva in quanto la strada terminava al monastero di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Intorno al 1865, quando il monastero fu soppresso, il complesso fu spaccato in due con la demolizione della parte centrale, aprendo così l'attuale tratto di via che permetteva il collegamento al nuovo quartiere della Mattonaia. Il residuo del monastero è oggi occupato dal Liceo Michelangelo. Infine nel 1870, secondo il progetto dell'architetto Felice Francolini i tre tratti di strada furono unificati tutti sotto il nome di via della Colonna.
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Una curiosità è che in via della Colona si ritrovano ben quattro lapidi dei Signori Otto. Una prima del 1636 si trova vicino all'ingresso del monastero di Santa Maria degli Angiolini con lo scopo di garantire la quiete, ed un suo duplicato è anche vicino a via Laura in prossimità di dove c'era un altro monastero. Due invece si trovano sotto la volta degli Innocenti ed entrambi vietano ogni sorta di gioco. Il testo della lapide più leggibile riporta: "I Signori Otto, sotto pena di scudi 2 e tratti 2 di fune, proibisono tutti i giochi e ogni sorte di sporcizia vicino alla muraglia dello spedale degli Innocenti per dieci braccia attorno ". .
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jacopocioni · 4 months
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Tanti auguri al Pieraccioni
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Leonardo Pieraccioni è nato a Firenze, e non poteva essere altrimenti, nel 1965. Il 17 febbraio per la precisione, quindi oggi, ma qualche annetto fa. Come Rivista Fiorentina vogliamo fargli gli auguri di buon compleanno, ma ci pare inutile elencare film e attività artistiche per descriverlo, ci vorrebbero troppe pagine. Quindi racconterò due episodi in cui ho avuto un contatto diretto con lui; di cui ovviamente il buon Leonardo non ha certo memoria. Per buona parte della sua infanzia (e non solo) ha abitato in via della Mattonaia assieme ai genitori Osvaldo e Carla. In via della Mattonaia andavo a prendere la mia futura sposa, qui l'ho incontrato per la seconda volta. Usciva da casa e si girò a salutare sua mamma Carla che era alla finestra. Mise un piede in fallo e ruzzolò dal marciapiede sulla strada. Io partivo in quel momento dal civico 25 con il mitico Peugeot 205 GTI e strombazzai per attirare la sua attenzione. Non si capiva chi rideva di più, se noi in macchina, il Pieraccioni che nel frattempo si era rialzato e ci salutava, o sua mamma alla finestra.
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Foto: Instagram – (cassanoweb.it) Come dicevo era la seconda volta che lo incrociavo. La prima volta è stato al Castello di Sammezzano per un ultimo dell'anno. Lui, non ancora cosi famoso, faceva anche queste serate. Dovrei anche avere, da qualche parte, una foto che ci ritrae assieme, entrambi ben sbarbati. Forse meglio non ritrovarla 'sta foto perché vedere due facce cosi giovani rispetto ad oggi mi porterebbe alla malinconia. Sono però convinto che quella sera indossasse la stessa giacca e cravatta di questa foto a destra. Nel frattempo il Sor Pieraccioni ha avuto una splendida carriera artistica, e mi fa piacere che rimanga ancora oggi un fiorentino nell'anima, scanzonato, pronto alla battuta e autoironico come allora. Dato che non c'è due senza tre la prossima volta lo incontrerò chi sa dove, ma sempre nel bacino della nostra amata Firenze. Buon compleanno e 1000 altri successi; auguri miei e da parte di tutta la redazione della rivista fiorentina!
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jacopocioni · 4 months
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Per chi abita in… Borgo la Croce
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Chi non conosce Borgo la Croce? Una via che da piazza Sant'Ambrogio comincia costeggiando la chiesa omonima e il suo campanile, incrocia via dell'Ortone, poi via della Mattonaia e termina in piazza Beccaria. Come si arriva al nome Borgo la Croce? Un tempo l'Arno non aveva un percorso cosi lineare, anzi. Nei pressi di piazza Beccaria aveva un ansa cosi stretta nel suo percorso da generare un gorgo che sin dall'anno 1000 era chiamato Gurgo. Questo gorgo era in prossimità della porta presente in fondo alla via costruita nel 1284. Fu chiamata porta alla Croce per la presenza di una croce che ricordava dove era caduto San Miniato. Per questa ragione all'epoca la via assunse il nome di Croce al Gorgo. Il nome poi cambiò in Borgo della Porta alla Croce e rimase tale sino al fascismo che intitolò la via ad un caduto fascista; assunse il nome di via Dante Rossi. Finita l'era fascista alla via fu riassegnato il nome storico accorciandolo a Borgo la Croce.
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La via comincia con un tabernacolo dedicato a Sant'Ambrogio e presenta , o presentava, svariati e famosi palazzi, alcuni spariti in seguito a modifiche toponomastiche. Oltre ad una caratterista buchetta del vino al civico 59 vi troviamo l'Oratorio della Compagnia di Santa Maria della Neve al civico 36 e un grande tabernacolo al civico 15. Non vi si trova più, perché demolito nel 1961, il "mitico" Teatro giardino Alhambra oltre c'è lo Spedale di San Niccolò degli Aliotti, ultima sede della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio. La compagnia fu trasferita da via San Giuseppe in Borgo la Croce perché cambiò il luogo della condanna a morte. Un tempo era presso i Prati della Giustizia nell'attuale piazza Piave e i condannati percorrevano come ultimo tratto via de' Malcontenti, poi fu spostata nell'attuale piazza Beccaria dove c'erano i pratelli della giustizia. Per questa ragione il percorso dei condannati a morte fu spostato attraverso Borgo la Croce e di conseguenza fu spostata la suddetta Compagnia di cui facevano parte i Battuti Neri, coloro che accompagnavano i condannati dal Bargello sino alla ghigliottina. La via ha sempre avuto una desinenza molto commerciale data la sua vicinanza con il mercato di Sant'Ambrogio. Oggi è per metà ancora carrabile e per metà esclusivamente pedonale ed è una zona ricca di vita non solo diurna, ma anche notturna grazie soprattutto agli studenti ed ai turisti che mangiano e bevono nei locali della via e circostanti.
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