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#no a quanto pare la storia è un po’ più pesa
deathshallbenomore · 2 years
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io con la vita
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kanako91 · 1 year
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Grazie mille per i consigli! Se non ti pesa mi piacerebbe conoscere anche quelli in inglese. Hai ragione, una tristezza totale :((
Eccomi qua, finalmente con il tempo necessario per mettere insieme la lista!
Letti e piaciuti
Domme by Default – Tymber Dalton Contemporary, erotico. Marito sub chiede alla moglie di fargli da Domme. È una novella, i protagonisti non hanno nomi, c'è dom drop, c'è un munch! È stata la prima storia con Femdom che ho letto e mi ha dato davvero qualcosa (e l'autrice è nella Scena).
The Devil's Submission – Nicola Davidson Historical Romance. Matrimonio in crisi perché lui non dice alla moglie cosa vuole davvero (ossia: sottomissioneH). I nomi dei pg del club mi fanno un po' ridere, ma non è stato affatto male. At His Lady's Command – Nicola Davidson Historical Romance. Lui è un ex soldato ora guardia del corpo di lei ;D Mi è piaciuto decisamente di più dell'altra di Davidson! Tied Score – Elia Winters Contemporary romance. Lei Domme in erba, lui sub esperto. C'è orgasm control, ci sono s3x toys, c'è p3gging, c'è un po' più del solito che si trova nel romance (dopotutto l'autrice è nella Scena :D).
Sated – Rebekah Weatherspoon Contemporary romance. Qua più che Femdom puro, sono entrambi switch. Inoltre è presente la comunità kinky, lui fa parte di una famiglia all'inizio, mi ha dato warm e fuzzy feelings dal punto di vista "sociale", ecco XD
Bottle Rocket – Erin McLellan Contemporary romance, novella. Domme in erba, lui più esperto e illustratore erotico. Sono molto carini, c'è anche una scena di org1a a un certo punto? È stato carino!
Bonus: Princess Shanyin (Obsession Saga) – Liliana Lee Historical, erotico. Messo come bonus perché non è ufficialmente Femdom, ma di fatto lo è molto: la protagonista è una principessa e se lo ricorda (per quanto con qualche difficoltà, causa trauma) anche attraverso le varie situazioni in cui si trova dopo la prima parte.
Non letti ma in wishlist/reading list
King Sized – Jessa Kane: sento odore di Femdom, ma è da verificare Edit 19/01/24: questo lo avevo letto poco dopo aver fatto questo post, mentre ero influenzata, e mi ha delusa parecchio per via di questo size kink sfrenato in cui lei piccola e carina sembra quasi una bambolina preziosa che potrebbe spezzarsi, e poi altra roba che boh?
The Harpy and the Dragon – Marie Lipscomb: mi pare ci siano sia Femdom sia p3gging
First and Forever – Eve Dangerfield
The Only One – Daisy Jane: soft Femdom!
How Not to Date a Demon – Lana Kole
Wild Pitch – Cat Giraldo: anche qua mi pare soft Femdom (con age gap)
Sink or Swim – Tessa Bailey
American Sweethearts – Adriana Herrera
Kneel, Mr. President – Lauren Gallagher: moglie del presidente Domme, dinamica FMM Edit 19/01/24: letto e trovato davvero adorabile, nonostante la parte politica sia stata un po' semplicistica, ma credo siano cose che infastidiscono solo me XD
Preferential Treatment – Heather Guerre Edit 19/01/24: l'ho letto nelle vacanze di natale e l'ho ADORATO alla follia, è proprio Femdom fatto bene. Ho scritto una recensione qui.
Mercy – Sara Cate
Open Hearts – Eve Dangerfield: c'è Femdom, mi frena sono che lei voglia rimanere incinta? È una cosa che non amo
Something Borrowed – Eve Dangerfield: mi hanno detto che le scene erotiche sono 👌 mentre è al di fuori il problema
Lyon on a Leash – Erosa Knowles
The Vampire Queen's Servant – Joey W. Hill: ho qualche dubbio su questo perché l'autrice sembra avere la fissa per gli "alpha sub", ossia quelli che non sono i soliti (leggasi: patetici) sub, ma sono maschi alfa che si sottomettono alle loro Regine restando sempre alfa. Credo si possa intuire come la penso a riguardo...
Would I Lie to the Duke – Eva Leigh: non amo niente di più di un duca sottomesso :P Visto che Scarlett Peckham (The Duke I Tempted, che ti ho citato tra quelli in italiano) ha dato soddisfazione, spero di trovarne anche con quest'altra autrice!
Letti e non amati, ma che meritano una menzione
Edge Play – Annabel Allan Erotico con suspense? La protagonista è una pro-Domme, ci sono per questo un po' di scene erotiche ma un po' poco coinvolgenti (molto a lista). C'erano un po' di daddy issues dietro le sue motivazioni.
The One Worth Finding – Teresa Silberstern Contemporary, erotico. Tutto gira intorno al f1sting (an4le), c'è però amore (?) a prima scena insieme e personaggi un po' poco sfumati. È stata comunque una lettura particolare.
The Deep End – Kristen Ashley Contemporary romance. Quando sopra mi lamentavo degli alpha sub, ecco, l'autrice deve molto a Hill per quella visione e non ho finito di leggere 'sto libro perché non sopportavo lui e lei era un po' (troppo) fredda? E perfetta, con forse delle vaghe insicurezze messe lì tanto perché è un romance e bisogna superare le insicurezze. Può essere una questione di gusti, però.
E con questo, direi che è tutto! Ho cercato di censurare parole che potrebbero triggerare qualche algoritmo, perché non credo che come anon si possano vedere i post nsfw. Spero che trovi qualcosa di interessante tra tutti 'sti titoli ahahah
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Roma
Quando penso a chi mi manca di più penso a te, ci credi? Perché in effetti per me sei la persona più saggia e bella del mondo, perché sei Roma. 
Mi manchi come se fossi una persona, perché ci sei sempre per me e mi pare quasi di parlarti dato che sono cresciuta con te e dentro di te. 
Mi manca uscire e sapere di poterti vedere, mi mancano quei giorni di sole in cui decido di scendere a Colosseo senza motivo, solo per poter alzare lo sguardo sul tuo cuore e pensare che non ne ho mai visto uno battere così, e solo allora sento il mio battere all’unisono e sento di essere il tuo sangue. Penso di essere come un globulo rosso che scorre insieme a tutti gli altri abitanti, scorriamo nelle tue vie, nelle tue vene, portiamo ossigeno al tuo cuore rosso e respiriamo con te. Mi manca portarti ossigeno e riceverne altrettanto, scorrere per le tue vene con gli altri e guardare le tue vie, che non mi basta una vita per vederle tutte. 
Fermarmi davanti al Colosseo quando sono triste e farmi accogliere da lui come un amico e confidente, guardarlo dritto nei suoi finestroni come fossero orbite e trovare conforto in quegli occhi. Nessuna parola mi dice, ma mi conosce bene e lo sa cosa significa quando lo guardo con quell’espressione, non glielo devo dire. Lui ne ha viste tante di facce, un numero che nessun uomo ha mai pronunciato, un numero che è più infinito dell’universo. Ha visto la gente morire e susseguirsi nei secoli, e ora è li che guarda anche me, questo mi fa sentire parte della sua storia, mi piace crederlo. 
Poi mi manca camminare su quei terribili sampietrini che adoro, magari prendermi anche una storta e maledirli come sempre. Guardare i Fori e fermarmi perché sono sempre tua turista anche se sei casa, perché sei cosi grande che non ti scoprirò mai tutta. Mi fermo sempre a guardare bene anche le cose che conosco perfettamente, non sono mai scontate per me, perché ogni volta penso a quanto sei bella e non ci sarà giorno in cui guardaró il tuo profilo senza darti il giusto sguardo, lo sguardo che ti meriti, non te ne dedicherò mai uno distratto. Mi manca stare sul 30 e alzare gli occhi sull’Altare della Patria, lo faccio sempre quando ci passo davanti come fosse un gesto naturale dato che sto passando accanto a qualcosa che non posso perdermi, anche se la conosco bene. 
Mi manca camminare senza sapere nemmeno dove sto andando, camminare solo per viverti un pó, accompagnata da qualche suonatore bizzarro che è seduto sul marciapiede. Suonano per te, suonano con te; mi dispiace pensare che le vie ora siano silenziose, senza le tue canzoni, senza qualcuno che grida “Ao”, senza il rumore, senza i clacson, senza i turisti.
Mi mancano i tuoi rumori, ma anche i profumi, i colori; quel tuo bel cielo serale che alzo lo sguardo e ringrazio di poterlo vedere uno spettacolo cosi. Mi manca farmi Via del Corso fino a Piazza del Popolo, sedermi sotto l’obelisco e guardare le vite che scorrono, per poi decidere di guardare te dall’alto a terrazza del Pincio e dedicarti un sorriso a mezza luna. 
Mi manca camminare lungo il tuo fiume, attraversare i ponti e fermarmici, guardare quell’acqua, la tua linfa; mangiare qualcosa al volo seduta sulle scalinate a Piazza Venezia, con la testa leggera e lo sguardo lontano che riesce a vedere il cuppolone che si ingiallisce nella sera estiva fino a che il sole non muore su di te macchiandoti rossa del suo sangue, ma pronto a tornare il giorno dopo perché ti vuole illuminare ancora. 
Poi Trastevere, che nonostante sia bella anche senza di me, mi manca e solo a pensarci mi si stringe lo stomaco; le serate barcollanti e colorate con gli amici in quelle vie strette e vive, mi manca sedermi su quelle gradinate mentre mi sento bene e penso che non mi serva altro, mi sento la tua ciumachella. Fare tardi senza accorgersi che ti sei fatta scura, salire su un notturno solitario illuminato a neon e attraversare la notte mentre dai finestrini vedo la gente sui tuoi terrazzi che fuma.
Sai che mi manca? Scendere a Cavour e girare per i negozi vintage, provarmi degli occhiali gialli e vedere il mondo cosi per un po’ mentre mi faccio un giro per Rione Monti. Mi manca vedere Fontana di Trevi, maledire i turisti che non me la fanno guardare bene; ma lo sai che ci ho buttato un soldo solo una volta nella vita? Quando ci torno lo rifaccio, promesso. Prometto anche che rientro nel tuo Pantheon e guardo nel suo occhio ciclopico anche se l’ho fissato tante volte pensando alla pioggia che lo attraversa. Prometto che torneró a vedere Piazza San Pietro e che andró a cercare tutti i tuoi angoli più segreti.
Mi manca Campo de’ Fiori e guardare la statua di Giordano Bruno quasi con riverenza. Mi manca andare a Villa Pamphili ma sopratutto a Villa Borghese, stesa sul prato e di tanto in tanto allontanare chi cerca di vendermi una rosa. Mi manca guidare nelle tue strade che mi fanno sobbalzare sul sedile, con qualche melodia dalla radio mentre ai finestrini scorri tu come la pellicola di un film ma sei più bella di un set cinematografico.
Mi mancano gli spritz a due euro del Chiringuito il mercoledì sera, che forse sarà lo spritz più annacquato di sempre ma è il più buono, bermelo in compagnia su quelle panchine sgangherate mentre il brecciolino mi scoppia sotto le suole e c’è quel vociare tutto attorno. Passare una serata cosi, arrivare a parco Schuster d’estate e poi guardare la Basilica illuminata nella notte. Magari arrivare più avanti a Ostiense dove ci ho passato infiniti momenti e poi guardare il Gazometro che sembra la carcassa - ormai scheletro - di un animale gigante che veglia sulla città. Mi manca stare sulla metro e guardare fuori guando passo a Garbatella ma soprattutto a Piramide, che il sole entra nel vagone e guardo le pietre poggiate sull’erba di fuori e mi viene sempre voglia di scendere e magari farmi un giro al Cimitero Acattolico. Mi mancano gli autobus, vedere Roma da quei finestrini sporchi mentre traballo sui sedili.
E se Roma è la mia casa, l’Eur è la mia camera, e quella mi manca molto perché ci sono tutte le mie cose più care che ho imparato a conoscere negli anni da sempre. Sai più di tutti cosa? Il mio laghetto, che se contassi le ore che ci ho passato nella vita e i chilometri che ci ho percorso non basterebbero cento mani. Ci andavo anche solo per passeggiarci e respirarlo, per farmi tirare su perché lui mi conosce meglio di tutti. Andavo su quelle altalene con mio nonno e se le guardo mi ci vedo ancora, mi ci vedo ancora a fare i giochi. Ora lo percorro innumerevoli volte e mi manca stendermi su quel prato e guardare quel cielo, attraversare il ponticello, che ho visto rovinarsi sotto i miei piedi negli anni. Il laghetto ha visto il mio primo amore nascere e fiorire in lui, come i suoi ciliegi che quest’anno non verranno ammirati da nessuno e resteranno muti fino a quando non appassiranno. Mi manca riflettermi in quell’acqua che anche se è sporca mi sembra limpidissima perchè mi ci specchio e ci vedo tutta la mia storia riflessa.
Mi mancano viale Beethoven, Piazza Sturzo e le sue scalette e quel Mc in cui ho passato momenti infiniti e notti infinite. Mi manca passare davanti al liceo con i miei amici e guardarlo come si guarda un genitore, che non l’ho odiato nè amato, lo guardo con il rispetto dovuto perché in fondo gli voglio bene. Fare le scalinate fino a Spep, berci la birra lì e poi andare al Colosseo Quadrato, passare la serata anche solo a guardarlo, fino a che non lo si vede spegnersi e allora sai che ore sono, come se a scandire il tempo non servisse più un orologio ma bastasse Roma. Mi manca il nostro posto vicino agli archivi, seduti in una macchina con la musica che ti fa da colonna sonora. 
Mi manca prendere la metro a Laurentina ed entrare come fosse un varco per la scoperta, uscirne ore dopo stanca ma guardare il cielo ed essere serena, che anche mettermi ad aspettare l’autobus non mi pesa. Mi mancano anche questi tuoi difetti, mi manca lamentarmi di loro, sbraitare contro l’atac e sbuffare davanti alle scale mobili guaste. Che chi ama apprezza anche i difetti e io ti amo come sei, perche se fossi perfetta non mi piaceresti allo stesso modo, perchè mi piaci caciarona e rumorosa. Mi manca parlare con i vecchietti rompipalle alla fermata dell’autobus, andare a mangiare dal greco, andare dal bangla a comprare i filtri che ho finito o qualche limoncello di seconda marca a basso costo, mi mancano le tue luci di notte e i tuoi sottopassaggi.
E ti dico grazie perché mi fai provare tutto questo, come quando sono nel Giardino degli Aranci su quella panchina al sole e la musica suona, che sei tu che mi fai capire quanto sia bella la vita e che non voglio sprecare nemmeno un momento perchè voglio viverla questa Roma. Che ho visto decine di città e posti bellissimi ma ogni volta che rimetto piede sul tuo suolo e ti guardo so che non vorrei stare da nessun’altra parte, perchè nulla è più bello che tornare da te.
E forse sei l’unica costante della mia vita, l’unica certezza, l’unica che non passerà mai. Tu che sei eterna, io sono solo un tuo battito di ciglia ma mi basta.
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fiamminga95 · 5 years
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Resistance Reborn : molte ragioni per cui non era necessario ma un motivo per leggerlo
*Spoiler!*
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Di cosa parla il libro
Allora, sicuramente c’è da dire che il soggetto è Poe: nello specifico, quello che deve fare per rimediare a ciò che ha causato in The Last Jedi. Sicuramente l’obbiettivo della storia è mostrare come, in poco tempo, la Resistenza riesce a racimolare nuovi capi e nuove attrezzature, dando una breve spiegazione.
A quanto pare si viene a sapere che la chiamata di Leia non è stata udita perché il Primo Ordine ha da tempo sequestrato e incarcerato i simpatizzanti della Resistenza, quindi non c’era nessuno che li potesse udire. Tra l’altro, la storia è così immediatamente successiva a Crait che nessuno sa ancora cosa è successo: la distruzione della flotta dell’Ordine, la morte di tutti i generali e degli ammiragli e di Luke. Si rivedono molte facce conosciute in altri libri e nei fumetti, perciò se siete un minimo esperti di canon vi farà piacere incontrare di nuovo vecchi personaggi, anche se la loro presenza massiccia pesa sulla narrazione a parer mio è diventato noioso leggere le sotto-trame di ognuno mentre la storia si frazionava troppo.  
Un voto
Un pensiero generale sul libro, sulla sua qualità, aldilà di Star Wars: io darei un 5. Oltre alla necessità di sapere materialmente cosa è successo, il libro non intrattiene. Anzi, ci sono molti altri libri lì fuori che sembrerebbero meno necessari e invece sono bellissimi (Phasma, per esempio). Scrittura blanda, approfondimento dei personaggi altrettanto blando, azione risolutiva alla fine del libro inconsistente, villain inutili. Personalmente credo che in un contesto moralmente ambiguo come StarWars che gioca molto sui chiaro scuri, siano sempre più interessanti i personaggi che seppur cattivi pensano di fare del bene e di essere nel giusto (Cardinal, Ammiraglio Rae Sloane) e questo tale Bratt che offriva un minimo di antagonismo era noioso e forse anche superfluo. Insomma, all’interno della narrazione penso ci siano molte cose non necessarie. A dire il vero, avrebbero potuto farci un fumetto.
Avrei preferito un fumetto chiamato “Resistance Reborn” e un libro “The rise of Kylo Ren”, ma ormai le cose stanno così.
 Personaggi un po’  …. meh
Ma andiamo alla parte succulenta: i personaggi centrali della storia sono Leia e Poe. Riguardo a Leia, è stata forse la delusione peggiore. Per chi ha letto i libri della Grey, sappiate che non regge il confronto. Caratterizzazione inesistente. Ci viene detto appena appena che 1. Sta ancora male per la sua passeggiata spaziale 2.A quanto pare vuole istruire Rey sulla speranza … ma sarebbe stato carino capire dove prende la sua. A questa donna ne sono capitate di tutti i colori e si regge ancora in piedi e parla di speranza, cosa anche possibile, ma dare un’idea del perché?? Un po’ di introspezione? Magari perdere due righe per dire come si sente visto che il fratello si è sacrificato per loro mentre suo figlio tentava di ucciderli tutti?? No.
Passiamo a Poe. Ora, lo metto in chiaro: a me Poe non piace. Come personaggio secondario ci stava, ma come mi ha infastidito in TLJ! Non mi è piaciuto nulla di quello che ha fatto. Mi piaceva invece l’idea che accusasse un po’ di dispiacere per quello che aveva causato. Almeno nel libro si degna di ricordare la morte di Paige Tico e vagamente si rende conto che forse è colpa sua. Detto questo, non mi piace come è passato da vergognarsi di sé stesso a fare grandi dialoghi sulla libertà alla fine. Troppo repentino, secondo me. Ricorda un po’ Jyn Erso e il suo cambio di opinione da una scena all’altra in Rouge One. In un film me lo faccio anche andar bene ma l’introspezione?? Questa sconosciuta tecnica narrativa??
Altrettanto fastidioso è stato leggere come anche se lui si dispiaceva sembra che immediatamente tutti gli abbiano detto: “E ma sai com’è: sei bello, avevi buone intenzioni, ma dai ti perdoniamo!”. In secondo luogo, per quanto mi pare che sia stata passata come una storia di redenzione – anche dall’autrice – Poe stesso che non cerca redenzione, ma vuole fare ammenda. E non è proprio la stessa cosa. (Io dico: Ovvio. Perché non ha detto scusa a nessuno. Non si è mica scusato con Rose, NO, ha solo deciso che gli servivano più X-wing. Perché lui ha detto che ha capito che ha sbagliato allora tutti gli altri hanno applaudito e subito tutti a tarallucci e vino). E poi Ben dovrebbe pagarla? Pagare lo scotto per potersi redimere? Poe avrà ammazzato più persone da solo in una scena che Kylo Ren in tutta la sua carriera ... Semplicemente non mi sembra giusto. Come non mi sembra giusto che tutti gli ripetano che ha dei capelli bellissimi. (Mi scusi signore, ma qualcun altro ha dei capelli più belli, mi dispiace). Ma ora sto divagando.
Le ship
Ma quale Reylo? Ma quale FinnRose? Qui la stormpilot imperversa. C’è una scena dove Poe aiuta Finn a mettersi la cravatta. Giuro di aver scritto una fanfiction uguale. Comunque, l’interezza del libro non si eleva dal livello di bassa fanfiction (anzi, ce ne sono alcune bellissime e molto più elaborate). Ma se siete un minimo Stormopilot, il libro vi piacerà molto. Personalmente è stata la prima ship che ho shippato, almeno per la prima oretta del film Il risveglio della Forza. Rose mi piace molto e mi dispiacerebbe se la lasciassero sola nel prossimo film. Se la stormpilot avvenisse, almeno spero che mi arrangino Rose con qualcuno, perché se lo merita.
Ma la Reylo???
Ed ecco il vero motivo per cui questo libro si deve leggere. La mia teoria è che Rey abbia detto a Finn e Leia del ForceBond.
Per prima cosa, c’è una possibile scena di Forcebond qui:
“Well, that’s someone, Rey of Jakku. That’s someone, indeed”. Rey flushed scarlet and took a gulp of tea. She choked briefly and quickly set the cup down. She pressed a hand to her mouth, coughing hard. “Are you all right?” Charth asked, leaning forward.
In una conversazione che è stata messa subito in chiaro riferimento con l’ultima conversazione tra Rey e Kylo, perché poco prima Rey si identifica come “nessuno” ancora una volta, viene smentita e dopo un po’ si strozza con il tea …? E poi scappa via?? E poi guarda un po’, chissà perché si manifesta il Primo Ordine su Ryloth senza nessun motivo apparente, e tutti continuano a dare opinioni e fare ipotesi sul come mai siano così tanto nell’Orlo esterno.
In un secondo momento, poi Poe si imbatte in Rey e Finn che parlano vicinissimi e a bassa voce, ma si fermano non appena lo vedono arrivare. Rey va via e Poe chiede se stesse bene. Poe insiste e Finn dice che si fida di Rey e sa che lei avrà tutto sotto controllo. In oltre dice questo:
“I know you said Rey had it under control, but is it everything okay? With Rey? That conversation looked serious”. Finn’s Brow furrowed in thought. “She’s gone to talk to Leia about it. She didn’t want to burden her, but I told her Leia needed to know”. “Whoa”, Poe said, hand grasping Finn’s Harm and bringing him to a stop “Is there something I should Know, too? If Leia’s in danger …”. “Rey will handle it”
Alla fine del libro Rey sembra aver deciso di dedicarsi alla speranza. A quanto pare lei e Leia condividono questa cosa, questa missione di riempire il vaso goccia a goccia per formare un oceano. Ora mi chiedo … si riferiscono alla Resistenza solamente? Perché Leia aveva perso la speranza in suo figlio alla fine di The Last Jedi e Luke le aveva detto che “nessuno e veramente perduto”. È da qui che trae la sua speranza? Dal fatto che pensa che in qualche modo suo figlio possa tornare indietro almeno alla fine? Avrei preferito saperlo, ma il libro non si degna di dare mezza motivazione a questa cosa.
Vista la rabbia con cui Rey affronta Kylo nel trailer, dubito che lei mantenga ancora speranze verso di lui … ma Leia è un’altra questione.
Per concludere, penso sia probabile che il film parta con Finn e Leia che sanno del Forcebond ed in qualche modo Poe lo venga a sapere. Visto il soggetto, sono ancora convinta che non gli piacerebbe affatto. è probabile che sia questo quello a cui si riferisce Rey quando dice che “tutti le dicono che la conoscono ma nessuno può?” magari si aspettano cose diverse da lei riguardo la gestione della sua relazione con Kylo?
Chissà.  
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lukish25 · 5 years
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Mercoledì 13 Giugno : Il biondo, il ritorno e l’uomo senza volto.
«Benoit? Benoit!» «Oui?» «You wanna play the match with those on?» Il biondo abbassa lo sguardo, poi parla all’arbitro: «Yeah, they’re like leggins, it’s cold here». Silenzio. «That’s a problem?», si sincera il biondo. «No problem, ok. TIME!».
La sveglia suona alle 7:00, nella stanza buia il mio unico pensiero è “Ti prego dimmi che non piove”. Apro le tende: non piove. Vittoria. Il cielo è grigio e l’aria decisamente frizzantina, la giornata potrebbe rovinarsi in un attimo ma sono fiducioso e credo nel meteo che mi annuncia che oggi non pioverà.
Mi vesto, formalizzo il check-in dopo l’entrata furtiva della scorsa notte, colazione abbondante e l’orologio mi dice che sono solo le 8:30. I cancelli della Mercedes Cup di Stoccarda aprono alle 10:00, ho tempo per passare al supermercato, più che altro devo cercare un negozio di elettronica perché senza un adattatore il mio portatile è solamente un oggetto di arredamento. “La macchina c’è, gli obiettivi anche, le batterie pure. Cavi e powerbank? C’è tutto. Serve altro? Magari una felpa e il biglietto per entrare? Magari”. Metto tutto nello zaino, chiudo la porta della camera, mi infilo gli auricolari e parto alla volta del club.
Cinque minuti dopo mi fermo in mezzo alla strada. Fa un freddo boia. Tredici gradi dice il telefono. Non scherziamo, saranno almeno al massimo dieci. Mi infilo la felpa, sette secondi dopo aggiungo l’impermeabile, che uno strato in più non fa mai male. Il viaggio è breve, qualche fermata di bus, la scritta “Mercedes Cup” appare ai miei occhi nella sua bella grafia bianca su sfondo nero. Entro senza problemi per la prima volta nell’ arco della giornata, se ne conteranno parecchie altre, rimango a bocca aperta.
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Il main Sponsor ha fatto le cose in grande: ci sono macchine tirate a lucido in grosse teche trasparenti, nuovi modelli da ammirare nella zona relax ed è tutto pulito e perfettamente in ordine. Ma la cosa più bella, senza dubbio alcuno, sono i campi in erba. Non li avevo mai visti dal vivo, potrei dormirci sopra se me lo chiedessero.
Non c’è tanta gente, almeno nelle prime ore del mattino, mi godo i campi secondari senza prestare minimamente attenzione al Centrale. Il programma è denso di partite, soprattutto a causa delle cancellazioni dei match nei giorni precedenti.
“Il Ritorno” è previsto per le ore 15.00, prima di allora gli altri match sul centrale non mi toccano. Piuttosto c’è Shapovalov sul Mercedes Court ma soprattutto Paire sul campo uno. Chiedo a un ragazzo quale siano gli altri due campi: «This one is the Mercedes, and that one is the number one court». Mi viene da ridere. Il campo uno è confinante con un altro campo, dove poco dopo Pouille inizierà l’allenamento, e non ha praticamente spalti. C’è un piccolo terrazzamento con delle sedie sdraio e alcune panchine.
Il Mercedes Court invece è leggermente più grande ma il principio è lo stesso. La cosa migliore è che, di fatto, puoi metterti a bordo campo senza che nessuno ti dica niente. Sui campi di allenamento c’è parecchio movimento, l’occhio spazia da Lopez a Shapovalov passando per Paire, che entra in campo in tuta, tira due calci alle palline, scivola, si rialza, abbraccia Feliciano e si siede a guardare gli altri. Un eroe.
C’è Milos Raonic che palleggia con Goran Ivanisevic: il primo è grosso come una casa, piuttosto fermo con i piedi ma colpisce fluido e sorride, stranamente . Il secondo, a 47 anni suonati, mette in mostra un fisico che probabilmente non ho oggi, figuriamoci alla sua età, la pallina gli esce dalle corde della racchetta ancora come una meraviglia.
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Guardo l’ora, manca poco alle 11:00: Benoit, sto arrivando.
Ore 12:00: la partita non è ancora iniziata. Motivo? Il campo uno ha delle zone fradice d’acqua, si son messi in movimento tutti i giardinieri e i tecnici della struttura ma ci vuole tempo a quanto pare, l’erba non vuole saperne di asciugarsi. Nell’attesa mi godo Shapovalov vs Gunneswaran, l’indiano mancino di quasi un metro e novanta che picchia come un buttafuori e porta a casa il primo set al tie-break nello stupore generale. Il canadese si aggiudica il secondo set per 6–2 e la sensazione è quella che finalmente si sia sbloccato dopo un inizio leggermente in salita. Nemmeno per sogno: i dieci anni di differenza per una volta si fanno sentire tutti, l’indiano non perde la calma e chiude 6–3 al terzo. Grazie e arrivederci.
Mi sposto di nuovo, prendo una sdraio a bordo campo e noto che il miracolo ingegneristico sul campo uno ha avuto l’effetto sperato: dopo aver messo degli enormi asciugatori il campo è pronto per giocare. E qui torniamo velocemente all’inizio di questo racconto. Paire, dopo aver terminato il riscaldamento iniziale completamente bardato a causa del freddo, si leva la felpa, rimanendo in pantaloni lunghi. E rimane così per tutto il primo set. Set che perde per 7–6 al tiebreak.
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Questa cosa mi lascia particolarmente sconvolto, sopratutto per due motivi: il primo è che il suo avversario, l’americano Taylor Fritz, non ha la minima idea di cosa fare su un campo in erba. Ha un bel servizio, che effettua con un movimento veloce alzando poco la pallina per imprimere una bella accelerazione. E poi basta. Colpisce dritto e rovescio come per buttare di là pallina, sembra veramente che non abbia un’idea di gioco. A metà del secondo set dopo un errore piuttosto banale, lo si sente parlare a se stesso: “What am I doing?”. Bella domanda.
Il secondo motivo è esattamente l’opposto del primo. Paire sull’erba pare esserci nato. Lo spilungone biondo, infatti, fa quello che vuole: serve lanciando la pallina in avanti, già proiettato verso la rete, ha una sensibilità di tocco unica, non ha il dritto (ne tira uno su venti forse, gli altri sono solamente colpi d’appoggio) e nonostante ciò risulta competitivo a questi livelli. Forse perché con il rovescio fa letteralmente il cazzo che gli pare. Il tutto essendo a mani basse il giocatore più cool della Storia.
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Quindi, dopo aver polverizzato la racchetta ed essersi preso un warning, decide che è il caso di mettersi all’opera. Toglie i pantaloni lunghi e il cappellino che copre quella meraviglia bionda che contrasta perfettamente il barbone nero, torna in campo e vince i rimanenti set per 6–3, 6–2. L’ultimo è pura accademia.
Non gioca una pallina uguale all’altra, perdo il conto delle smorzate e delle brutte parole di Fritz, che non capisce più niente. Il colpo che non vedrà mai nessuno ma che mi ha fatto saltare dalla sedia arriva a partita praticamente finita. L’americano tira una seconda moderata al corpo, Paire decide che non vale la pena spostarsi e in qualche modo da fermo colpisce la pallina con un drop di dritto che si impenna. La pallina atterra nel campo avversario giusto il tempo di toccare l’erba per tornare immediatamente dalla parte del francese. I pochi spettatori gridano ed esultano, pure lui sembra felicemente sorpreso del numero che ha appena eseguito. A fine partita ringrazia il pubblico, si mette la borsa in spalla e attraversa il campo adiacente per uscire, fermandosi prima a saluta Pouille che si stava allenando mentre i due giocavano.
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Fast forward veloce. Ore 15. Il ritorno del Re sul centrale è lì ad aspettarmi. Se siete anche minimamente interessati a questo sport saprete già come è andata a finire: ha perso il primo set malamente e ha vinto gli altri due più per demeriti dell’avversario che per meriti suoi.
MA vorrei concentrarmi su una cosa in particolare. A partita ormai finita, mi arriva questa domanda da un mio amico:
“Com’è stato vedere giocare live Roger Federer?” In poche semplici parole: difficile da dimenticare.
Tennis giocato a parte, non ve lo dico nemmeno come colpisce tanto lo sapete già. La cosa che mi ha lasciato interdetto, che a vederla dal vivo dici “AH, OK!”, è un’altra. Federer è difficile da dimenticare soprattutto per la devozione della sua gente. Il campo centrale alle 14:50 era vuoto. Alle 15:00 si erano materializzate 5000 persone. A match finito, puff, scomparse di nuovo.
Dietro di me c’era un ragazzino che urlava ad ogni punto, vestito con maglietta rossa “Roger That”, che stringeva la bandiera svizzera e guardava quell’uomo colpire la pallina come se la propria vita dipendesse da quei colpi. Era svizzero? Era indiano. C’era una famiglia che arrivava dalla Grecia per vedere Roger giocare. Vedere giocare Federer è vedere giocare la Storia del tennis, inutile girarci intorno: è qualcosa da raccontare ai nipoti.
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La partita in se è stata bruttina, la sensazione è che l’abbia persa l’uomo senza volto, all’anagrafe Miša Zverev. Questo simpatico nomignolo è stato partorito dalla mia mente dopo aver realizzato che nelle numerose foto scattate non lo si vede MAI in faccia. Tiene in cappellino così calcato sul viso che gli occhi semplicemente sembrano non esistere. Gioca bene Miša, uno degli ultimi eredi del serve and volley puro, uno che sull’erba può ancora dire la sua. Porta a casa il primo set facilmente 6–3. Lo svizzero ha parecchia ruggine da levare, il russotedesco no.
Ha un vizio però che andrebbe punito con la pena capitale, soprattutto su quei campi: trascina il piede sinistro durante la battuta. Fa letteralmente i solchi nel terreno. Questa cosa mi fa impazzire. Sul centrale ci sono due segni netti creati dal trascinamento del suo piede. Batte sempre dalle stesse due posizioni e, ogni singola volta, trascina il piede sinistro grattando la terra. Nei set successivi qualcosa si inceppa, forse anche il fatto di essere un tedesco che a Stoccarda in quel momento non ha un singolo tifoso dalla propria parte pesa un poco, l’uomo senza volto si perde via in errori banali, doppi falli, giocate azzardate assolutamente non necessarie.
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A fine partita ci sono grandi sorrisi e pacche sulle spalle. L’idea di un’altra sconfitta al primo turno per il secondo anno di fila nello stesso torneo è stata scongiurata. La storia di oggi potrebbe terminare anche qua, ma sarebbe ingiusto nei confronti del povero Pouille: finito il match di Roger, il centrale rimane vuoto anche quando gioca il campione in carica. A guardare il francese saremo un centinaio di persone. Vince in fretta Lucas, contro il giovane Molleker, un classe 2000 dalla mano pesante e che migliorerà. Ma oggi non lo impensierisce mai. Anche per lui, dopo metà 2018 da dimenticare, una vittoria facile ci voleva.
La giornata finisce in fretta, faccio giusto in tempo a comprare un paio di pantaloni lunghi perché il freddo è “For Real”, trovare quel benedetto adattatore per il pc e a scoprire che ho scattato 607 fotografie. Arrivo in hotel, doccia e letto sono le ultime due cose da fare prima di tornare là.
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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Ottanta anni circa dopo la morte di Augusto, un grande storiografo, CORNELIO TACITO, scrive la storia degli imperatori romani della dinastia Giulio-Claudia, iniziata con Augusto il 31 a.C. e terminata con Nerone nel 68 d.C. Si intitola ‘Annales’, con un voluto riferimento alla tradizione annalistica romana (raccontare la storia anno per anno).
E’ un racconto a tinte fosche, di un’epoca caratterizzata da una paura, a cui ci si era fatta l’abitudine: veleni serviti a pranzo e a cena, morti misteriose e continue, trame occulte, sotterranee,
un fuoco sempre lì a covare sotto la cenere, il tutto in palazzi sfarzosi, ma sempre in penombra. E la plebe ormai ridotta ad uno sfondo indistinto, come in una grande foto di gruppo, nella quale però le facce senza nome degli individui sono tutte uguali e senza lineamenti.
Ed un presentimento di fine che si avvicina.
Uno storiografo, certo, ma anche uno stupendo romanziere.
Scrive anche un prezioso saggio di tipo etnologico sui germani, popolazione ancora selvaggia, se paragonata alla cultura dell’impero romano, ma Tacito ti fa avvertire il brivido della paura che egli prova, immaginando che da quelle popolazioni al confine con Roma prima o poi arriverà il pericolo.
Dice Tacito:
“Valgono tra loro i buoni costumi, più di quanto altrove volgono le buone leggi.”
Altrove? E dov’è altrove, se non a Roma? Le buone leggi: è una regola che vale sempre, quella per cui chi governa emana leggi, quando il costume non basta più. Ed allora più sono nutriti i codici, più è segno che il costume non funziona. Alcuni decenni fa in Italia, una stretta di mano valeva più di un puntiglioso atto notarile, oggi non basta nemmeno questo. Viene da concludere con Tacito che, più è abbondante il codice, più è diffuso il malcostume.
E Orazio?
Andava a rendere visita al suo amico e protettore Mecenate, nella villa dell’Esquilino. Quando arrivava, nei pressi della fastosa dimora trovava una folla di varia umanità. Lo riconoscevano, e tutti a farglisi intorno, chi per congratularsi per le sue aderenze in alto loco, chi per consegnargli petizioni da inoltrare a Mecenate.
E molti gli ponevano quesiti sulla politica: che fanno i Parti, che si dice dei Germani, è vero che i Daci….?
E lui a ripetere di saperne quant’e loro:
“Sai tenere bene i segreti, tu, eh!”. E non sapevano che Orazio ed il ministro si incontravano per il piacere della compagnia, ed i discorsi erano del tipo: “Che ora sarà?”; oppure: “Comincia a fare freschetto la mattina, e, chi non si copre, si buggera!”; o anche: “Secondo te quale gladiatore è più forte, Syro o Gallina?” (insomma Ronaldo o Messi? Maradona o Pelé?), e cose simili, che ben si depongono in orecchie con le fessure. Ma non andrà mica tutti i giorni da Mecenate. E negli altri?
Orazio è ostinatamente deciso ad evitare la carriera politica, da buon epicureo: quello che ha, gli basta ed avanza. Se fosse schiavo della depravante ambizione, dovrebbe dire addio alla serenità che gli dà la saggezza, e fa degli esempi di persone che vivono vita grama per colpa dell’ambizione. E dice nella VI satira del I libro: “Se volessi darmi alla carriera politica, mi dimostrerei malato della malattia di Barro, che desiderava di essere considerato uomo bellissimo: ovunque andasse, metteva nelle ragazze la curiosità smaniosa di esaminarlo con attenzione ed in ogni parte del fisico: la faccia, i capelli, le gambe, i piedi, i denti. Così se prometto di proteggere l’impero l’Italia, e Roma ed i sacri templi degli dèi, indurrei tutti gli uomini ad interessarsi di me, a chiedere da quale padre io discenda, e se sono figlio di madre di bassa origine. E poi dovrei di continuo incrementare le mie sostanze, ed andare a salutare questo e quello più potente, e portarmi dietro della compagnia, per non andarmene solo soletto in campagna ed in giro; e poi dovrei mantenere cavalli e stallieri, e guidare carrozze di rappresentanza. Invece, così come sto ora, me ne vado in giro su un modesto mulo, se voglio addirittura fino a Taranto, senza essere mai biasimato per spilorceria. E per questo, e per mille altre ragioni, me la passo meglio di un senatore illustre. Me ne vado dove mi pare e piace, e domando il prezzo della verdura e del farro. E vado girando per il Circo massimo pieno di insidie, e di sera nel Foro; sosto davanti agli indovini; e poi me ne torno a casa, ad un piatto di porri frittelle e ceci. Mi servono il pasto solo tre schiavetti, due coppe su una tavola di marmo , una ciotola con una saliera dozzinali, ed un’ampolla con un piatto largo, mercanzia alla buona della Campania. Poi me ne vo a dormire, senza il pensiero di dovermi alzare presto domani, e di dover passare davanti al Marsia, che con l’espressione dolente sembra voler dire che non ce la fa più a sopportare la faccia del minore dei fratelli Novii.”. Spiegazione: Marsia era un satiro, che si fece passare per la testa di sfidare Apollo in una gara musicale. Ovviamente vinse Apollo, che per punizione legò il satiro ad un albero e lo spellò vivo. Ovviamente la cosa doveva essere ben dolorosa, e nelle statue del poveretto la sofferenza era in tutto il corpo, specie nel viso. Una statua così fatta del Marsia era piazzata davanti alla bottega dei fratelli Novii, ed Orazio scherza, dicendo che Marsia è in preda alla lancinante sofferenza, non per la punizione, ma perché non gliela fa più a sopportare la faccia del minore dei due fratelli. I Novii erano usurai. Ma riprendiamo il racconto di Orazio:
“Poi mi riposo fin verso le dieci. Quindi, me ne vado un po’ a passeggio, e poi leggo o scrivo qualcosa per mio silenzioso diletto, e mi ungo di olio, ma mica quello che quello zozzone di Natta usa a tale scopo, dopo averlo rubato ai lampioni della pubblica illuminazione.”. Questo Natta, illustre sconosciuto, tale sarebbe rimasto, se Orazio non l’avesse qui citato. “Il sole alto poi esorta me stanco ad andarmi a fare una bagno, ed allora me ne scappo dal Campo Marzio e dal gioco della palla. Mangio con calma, quel tanto che basta allo stomaco per durare fino a sera, e me ne sto in ozio beato a casa. E’ questa la vita slegata dalla ambizione che ti fa misero e che pesa. Con questo mi sento sicuro che vivrò più serenamente che se avessi avuto un padre o uno zio questori.”.
Nella VI satira del II libro ci dice: “Quando sto a Roma, la mattina presto mi trascina a far da sponsor, da garante (è latino, mica inglese!): ‘forza, sbrigati, prima che qualcun altro ti preceda nel compito ’. Spiri pure la tramontana a spazzare la terra, oppure la bruma trascini la stagione della neve nel giro più basso del sole, è doveroso andare. Mi tocca dire qualcosa che forse mi danneggerà, pure in modo chiaro e certo, mi tocca spintonare tra la folla e maltrattare chi va lento. ‘Che vuoi, scemo! E che hai di urgente?’ mi dice uno incavolato con termini d’ira: ‘Tu sei capace di abbattere tutto ciò che ti si para davanti, quando con il pensiero stai da Mecenate!’. Lo ammetto, questo riferirmi a te mi fa proprio piacere e mi addolcisce il giorno……….. O campagna, quand’è che ti potrò rivedere?! E quando mi si consentirà di affidarmi alla piacevole dimenticanza di una vita affannosa, ora con i libri degli antichi, o con il sonno e con le ore dell’inerzia? O quando mi sarà servita la fava, parente di Pitagora, insieme a verdurine insaporite con lardo abbastanza grasso?”. La fava è parente di Pitagora: l’antico maestro greco credeva nella reincarnazione delle anime, la metempsicosi, trasmigrazione delle anime. Ed a qualche anima toccava reincarnarsi in una fava, pertanto Pitagora aveva proibito ai suoi seguaci di cibarsi delle fave: “Potresti mangiare l’anima di nonno!”. Come mai questa proibizione? A mio avviso aveva capito o appreso che le fave possono attivare una pericolosissima allergia, il favismo, e quindi era meglio tenersene lontani. Però, per essere convincente e terrorizzare con il sacro i suoi seguaci, tira in ballo la metempsicosi. Qualcosa di simile sarà capitato per la carne di maiale e Maometto. Ma di questa satira, la VI del II libro, parleremo nell’ultima puntata di questo lungo, e spero piacevole, viaggio intorno al pianeta Orazio. E la proporrò tutta, commentandola pezzo per pezzo.
Orazio si fa sostenitore della politica e della ideologia di Augusto, e per varie ragioni. Intanto ha chiuso il tempio di Giano, avendo riportato nell’impero la PACE! Dopo un secolo di sangue, sangue, sangue, non è merito di poco conto, celebrato da Ottaviano con l’Ara Pacis. Con la pace sono ripresi i commerci, ed il principe pare la personificazione del dio Mercurio, anzi in area orientale Augusto E’ l’incarnazione di Ermes/Mercurio. Le suggestioni delle aspettative palingenetiche e messianiche da qualche parte lo fanno divenire addirittura il verbo incarnato, la parola degli dèi divenuta uomo, dato che Ermes è il messaggero degli dèi: quando parla lui, è l’Olimpo a rivelarsi agli uomini. Augusto a Roma mira a restaurare gli antichi costumi: vive sul Palatino, in una casa modesta, nella zona dove tutta la storia romana è iniziata, e sua moglie Livia gli confeziona gli abiti, e gli è fedele per mezzo secolo, cosa rara ma antica. Restaura il Cursus Honorum, le tappe e le norme per la carriera politica, rimettendo ordine là dove i torbidi civili e le convulsioni della Repubblica avevano fatto grande disordine. E poi abbellisce Roma di monumenti nuovi (il suo generale e genero, Agrippa, oltre ad avergli fatto vincere tutte le battaglie decisive, contro Sesto Pompeo e Antonio, ha edificato anche il Pantheon, che fa ancora magnifica mostra di sé, anche se non è proprio l’originale, ma un rifacimento di Adriano dopo un incendio). Ha consolidato il limes, il confine dell’impero, rendendolo più sicuro con lo stanziamento di guarnigioni militari. Ha bastonato i Parti, recuperando le insegne perdute da Crasso insieme alla vita; e poi ha bastonato i Germani, recuperando le insegne perdute da Varo a Teutoburgo, e riportato a casa i soldati romani fatti schiavi dai germani. Insomma Augusto pare l’uomo della Provvidenza, uno che ci voleva, perché le cose tornassero a posto. Vivo lui, gli si riconosceva il primato, poi però si sarebbe potuto tornare alle antiche maniere. Ma Augusto aveva altro in testa, e pensava a designare un successore.
Ma questo è un altro capitolo. Ne parleremo più avanti. Ricordo solo che Orazio è nato il giorno 8 dicembre
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giancarlonicoli · 6 years
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6 nov 2018 10:09
PARNASI PAGAVA TUTTI – NEI VERBALI DELL'INCHIESTA SULLO STADIO DELLA ROMA L’IMPRENDITORE È MOLTO ESPLICITO SUI LEGAMI CON LA POLITICA: I RAPPORTI CON PD, LEGA E FDI, IL TENTATIVO DI AVVICINARSI AI CINQUE STELLE E DI INFLUENZARE LE NOMINE DI GOVERNO – IL SOSTEGNO ALLA FONDAZIONE EYU E LE CHAT CON LANZALONE: “HABEMUS STADIUM”, “SEI IL VERO TOTTI”, "LAURA CASTELLI E' AMICA MIA" - LA RAGAZZA SEGNALATA DA FRONGIA
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1 – «TUTTI I POLITICI MI CERCAVANO E IO VERSAVO SOLDI» `
Michela Allegri e Sara Menafra per “il Messaggero”
La politica lo cercava, sempre, in modo maniacale, costringendolo alla fuga se l' interlocutore non gli interessava. Nei quattro verbali consegnati alla procura e costellati di omissis - perché sui finanziamenti ai politici nazionali c' è un altro fascicolo ancora in indagine - l' imprenditore Luca Parnasi è molto esplicito sui suoi rapporti con i partiti: un legame storico con il partito democratico, ma nuovi rapporti, a livello nazionale con la Lega e con Giorgia Meloni, visto che sia lei sia il candidato a Milano Stefano Parisi erano sostenuti da un' associazione lautamente finanziata dall' imprenditore.
A Roma, soprattutto, c' è l' idea di legarsi anche con il mondo a cinque stelle. «Guardi, quando arrivano le elezioni io ricevo 100 WhatsApp, 100 telefonate, vediamoci, vediamoci, vediamoci, a pioggia, ovviamente cerco di filtrare», spiega il costruttore ai magistrati romani che lo accusano di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
I FINANZIAMENTI AL PD
Il rapporto più importante di Parnasi, è lui stesso a dirlo, è quello col Partito democratico: «Nel corso della storia della nostra famiglia, del nostro gruppo imprenditoriale, prima mio padre e poi il mio, noi abbiamo sempre sostenuto in maniera ufficiale il partito democratico per somme anche rilevanti, 50.000, 30.000». Con l' ultima campagna elettorale, invece, succede «un fatto diametralmente opposto».
Si presenta qualcuno dell' associazione Eyu: «Mi fu offerto questo studio, questo rapporto sulla casa, è un volume piuttosto corposo ... ovviamente per onestà intellettuale io non avrei mai comprato questo volumotto sulla casa se non fosse stato legato al rapporto con il partito democratico». Parnasi invece lo compra, dice, «come fosse un quadro», per assicurare un finanziamento al Pd.
Non sa di quante pagine sia composto, «non ho mai visto il volume acquistato da Eyu, non me ne sono interessato e non so se sia stato consegnato o meno. Immagino che si tratti di un volume su supporto cartaceo ma non ho seguito».
Era un modo per fare arrivare soldi al Pd, chiedono il procuratore aggiunto Paolo Ielo e la pm Barbara Zuin? «Esattamente». In generale, i pagamenti alla politica sono cambiati nel corso del tempo: «Quando il mercato immobiliare girava ...prima della crisi del 2013, i pagamenti alla politica erano molto più alti, rispetto ad oggi direi in rapporto di 1 a 3».
FRATELLI D' ITALIA
Un finanziamento consistente, Parnasi lo dà all' associazione Più voci. Un' organizzazione di area leghista, ammette, ma solo al terzo interrogatorio con i pm: «Ero molto interessato a poter sostenere quest' associazione perché evidentemente mi avrebbe dato accesso a quello che era un po' il mio proposito imprenditoriale, cioè di muovermi da Roma verso Milano».
Un progetto in cantiere già c' era del resto, e non di poco conto: lo stadio del Milan. Parnasi dice di aver partecipato ad entrambe le cene pre-elettorali. Da un lato, a Roma, dove il candidato da sostenere è «la Meloni», dall' altro a Milano, per Parisi. Nei confronti di Fratelli d' Italia ci sono stati anche finanziamenti «in chiaro», non a caso il tesoriere del partito chiede alla Pentapigna, una delle società usate dal gruppo per mascherare i pagamenti, i «giustificativi» per il finanziamento di 50mila euro alle elezioni del marzo scorso.
LEGA
In totale, l' associazione riceve 250mila euro. Parnasi ammette solo dopo lungo interrogatorio quanto per lui fosse importante sostenere la Lega. Ai primi interrogatori spiega che far arrivare soldi a questa associazione «sostanzialmente, probabilmente, non è diverso da quanto fatto col Pd».
Nel verbale del 14 luglio la versione cambia: «Dopo aver sostenuto l' associazione Piu Voci, io avevo concordato con Andrea Manzoni, che incontrai all' Hotel Gallia a Milano... avevo pensato ad un ulteriore finanziamento di 100.000 a Radio Padania (ed altri 100.000 euro ad altra società) ma questi soldi erano chiaramente destinati alla Lega. Il mio intento era solo quello di sostenere la Lega», oltre alla radio l' idea era di «mi pare un' altra società che faceva cose similari, per altri 100mila».
La dichiarazione è attorniata da omissis, anche ampi, si dice solo che ci sono anche acconti dati da società non direttamente riconducibili al gruppo Parnasi, come la Capital holding.
I CINQUE STELLE
Il rapporto più complicato, per il costruttore romano, è quello con i Cinque stelle che riesce ad annodare soprattutto grazie all' avvocato Luca Lanzalone, consulente informale eppure potentissimo del comune di Roma nel caso stadio. Lui e il suo studio «per me erano dei tramiti per poter, come dire, avere un accesso al Movimento Cinque Stelle, che non avrei avuto in alcun modo, per essere proprio precisi».
Un nuovo rapporto di amicizia è con l' assessore allo Sport, Daniele Frongia, che avrebbe anche segnalato una ragazza, dipendente del Comune, come possibile assunzione per le società del gruppo Parnasi.
Con Frongia «andai a parlare, anche una settimana prima del mio arresto», per spiegargli l'«idea che avevo avuto di realizzare un potenziale impianto per il basket, presso la sede della ex Fiera di Roma». Prima, Frongia era stato invitato nella sede della nuova società di Parnasi, la Ampersad, «mi parlò di questo progetto che stava facendo di Campo Testaccio e di un' idea Labaro», poi «mi diede un curriculum»: «Ricordo che successe presso l' ufficio del Campidoglio quando lo andai a trovare, mi parlò di questa ragazza, di cui non ricordo il nome, che però ho incontrato nel mio ufficio, le ho fatto fare un colloquio anche con l' ingegnere che si occupa del personale... poi però non c' è stato nessun seguito».
LE NOMINE DI GOVERNO
Nel rapporto privilegiato tra Parnasi e l' avvocato Luca Lanzalone, pesa anche l' idea che il secondo possa diventare un esponente in una delle società partecipate del governo. Parnasi si offre di presentargli Giancarlo Giorgetti e Lanzalone, che sarebbe stato comunque contattato dalla parte pentastellata della nuova compagine governativa, gli confessa le sue difficoltà: «L' unica cosa - dice il 7 giugno, quando il governo è appena nato - è che Siri - Armando, senatore leghista, ndr - si sta allargando. Non è che posso chiudergli la porta in faccia, tutti vogliono gestire la partita». Parnasi chiede: «Senti sui ministri della giustizia, come state?» e Lanzalone risponde: «Quella partita lì non so veramente che fare...».
Anche nei giorni successivi, Parnasi è ottimista: «Io parlo con Giancarlo e lo esorto a parlargli», Lanzalone tende ad essere prudenti: «Ci parlo più che altro per dirgli guarda che io... se ritieni coordiniamoci, c' è chi spende parole diverse, sbaglia. Quello è tutto possibile, resta il fatto che è proprio una garanzia Luigi direttamente»
DE VITO E RAGGI
Parnasi chiede anche indicazioni su come muoversi nella galassia pentastellata. La conversazione tra i due, sempre ai primi di giugno, è particolarmente significativa: «Senti, io ho un rapporto che mi ha presentato ...questi me li ha presentati, come si chiama? Marcello De Vito, questo Daniele Piva (che poi riceverà un finanziamento per la campagna elettorale ndr)».
Lanzalone commenta sarcastico «grande potenza ... » Parnasi dice: «Chiacchiera tanto lo sai?»; Lanzalone: «Chiacchiera tanto, è uno poi che ti prende in giro ...inizia a dire ah io sai che faccio questo per quello per quell' altro»; Parnasi: «È uno che fa affermazioni a gogò, lui vende Luigi come e fosse suo migliore amico, ma è così?»; Lanzalone smentisce: «No ma lui fa con tutti così per cercare di accreditarsi... e di ottenere cosa? Secondo me, io gli ho detto più volte occhio create un casino»; Parnasi: «Vabbè... no, per fare quello che fai tu... ci vuole il manico»; Lanzalone: «Più che altro quello lì ci vuole riservatezza, la Raggi se l' è portata, questa è brava, poi il giorno dopo andava fuori...».
LE NOMINE AL MEF
Gli interessi dal punto di vista di Parnasi sono molti. L' imprenditore chiede da chi dipenda la nomina di Ferrovie, Lanzalone dice «dal Mef» e, quindi, da Tria. Parnasi, particolarmente interessato al settore delle comunicazioni e a Telecom, vuole una dritta. Lanzalone si sente sicuro anche di questo settore: «Se tutto va bene, il viceministro lo farà la Castelli, Laura Castelli, che è personale amica mia e quindi dobbiamo fare questo lavoro fatto bene, se no non ti conviene dare, devi alleggerire».
I FINANZIAMENTI IN CHIARO
Parnasi, nel corso degli interrogatori consegna ai magistrati anche due elenchi di pagamenti alla politica, passati attraverso due società della sua galassia: «Candidati Minucci, Agostini, Polverini, Buonasorte, Francesco Maria Giro, Ciocchetti, Simone Augello... e le erogazioni da Figepa: Polverini, Ciocchetti, Piva, Vaglio, Ferro, Mancini, Agostini».
IL PONTE DI TRAIANO
I rapporti con la politica di Parnasi oscillano costantemente tra interessi nazionali e locali. Il dg della Roma, Baldissoni, ad esempio, lo contatta a luglio del 2017 assicurandogli che l' allora ministro allo Sport, Luca Lotti, può dare una mano a concludere l' affare: «Baldissoni - si legge nel brogliaccio riassunto dai Carabinieri del nucleo investigativo - segnala che Lotti gli ha detto che può spostare i soldi del Cipe dal ponte dei Congressi al ponte di Traiano, e ci mette un minuto, ma glielo devono chiedere. Baldissoni aggiunge che oggi Michele Civita gli ha detto che sono concordi anche Lotti e Zingaretti e che vogliono un tavolo politico serio».
2 – «HABEMUS STADIUM», «SEI IL VERO TOTTI» COSÌ ESULTAVANO IL COSTRUTTORE E IL LEGALE
Michela Allegri e Sara Menafra per “il Messaggero”
Messaggi quotidiani, consigli sull' affaire stadio, favori. La rete di contatti tra politici e funzionari, costruita a suon di tangenti e gentilezze illegali, permetteva a Luca Parnasi di essere sempre un passo avanti. Notizie rivelate in anticipo, aiuti nel risolvere cavilli burocratici. Quando l' assemblea capitolina, nel giugno 2017, approva la delibera sul progetto Tor di Valle, per esempio, Parnasi lo scopre in tempo reale: «Approvata! Habemus stadium!», gli scrive l' avvocato Luca Lanzalone, super consulente della sindaca Virginia Raggi, remunerato dall' imprenditore con consulenze lucrose. Lo scambio su whatsapp è agli atti dell' inchiesta.
Parnasi è incontenibile: «Sei stato un fenomeno. Il vero Totti fuori dal campo». È solo una delle centinaia di conversazioni tra i due captate dai carabinieri. Il 22 maggio scorso, per esempio, Parnasi chiede dell' assessore allo Sport Daniele Frongia e Lanzalone spiega «che può essere utile». Per gestire altri progetti in cantiere, andrebbe invece «fatto un passaggio con Montuori - assessore all' Urbanistica, ndr - come è stato fatto con... sul discorso Mercati Generali, che in tre mesi si è sbloccata una cosa ferma da 10 anni», spiega il superconsulente. Parnasi chiede: «Ci parli tu?». «Gliel' ho già accennato - risponde Lanzalone - se ritieni faccio da raccordo». Parnasi punta anche a realizzare il palazzetto del basket a Roma e Lanzalone è ancora disponibile a dargli una mano, suggerisce di parlarne alla sindaca in caso di feedback positivo con l' assessore: «La devo vedere e glielo accenno».
«CONTROINFORMAZIONE»
Il 22 febbraio 2017, Parnasi commenta stizzito la dichiarazione appena fatta da Beppe Grillo: «Sì allo stadio, ma non a Tor di Valle». L' imprenditore scrive: «Abbiamo fatto il botto». Ma Lanzalone lo rassicura: «Lascia perdere Grillo... manteniamo la linea concordata».
«Stasera vedo Giampaoletti - il dg del Comune, ndr - poi facciamo un po' di controinformazione», dice l' imprenditore commentando un articolo che non gli è piaciuto. Più avanti, è a Boston e grazie a Lanzalone incontra Pallotta. «Sei stato un grande innesto», scrive all' amico. In cambio dei favori, oltre alle consulenze, Parnasi procura all' avvocato anche agganci che contano: «Se vuoi conoscere un po' il mondo della Chiesa ti presenterei Monsignor Liberio Andreatta, rettore dell' Opera romana Pellegrinaggi».
Lanzalone, però, è solo uno dei personaggi influenti che fanno parte della rete dell' imprenditore.
D' altronde per il gruppo Parnasi fare favori e pagare in cambio di agevolazioni - almeno per l' accusa - era una prassi. «Che assessorato devo scegliere?», gli chiede Adriano Palozzi, ex vicepresidente del consiglio regionale, accusato di corruzione.
IL VINCOLO
È invece Luca Caporilli, uno dei collaboratori di Parnasi, a raccontare ai pm di altri legami e altre gentilezze illegali. Ricostruisce come il gruppo Eurnova decise di conferire un incarico - inutile - da 200mila euro a Paolo Desideri, datore di lavoro della figlia del Soprintendente Francesco Prosperetti.
Quest' ultimo, in cambio, avrebbe proposto l' archiviazione del procedimento di apposizione del vincolo sull' ippodromo di Tor di Valle, che avrebbe bloccato il progetto. «Desideri venne nei nostri uffici e ci disse che il Soprintendente gli aveva detto che avremmo dovuto ricostruire parte delle tribune.
Ci fece capire che avrebbe dovuto progettare lui la ricostruzione - spiega Caporilli - apparve chiaro che l' idea proveniva da Prosperetti... l' abbiamo vista come una cosa che dovevamo fare per venire incontro alle richieste della Soprintendenza, che abbiamo ritenuto di dovere soddisfare per non scontentare Prosperetti».
3 – PARNASI: UN VOLUMOTTO PER FINANZIARE IL PD. QUEI SOLDI A PIÙ VOCI? DESTINATI ALLA LEGA
Ilaria Sacchettoni e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
Per fare affari aveva scommesso sulla politica. Da anni finanziava il Partito democratico, ma negli ultimi tempi - ben prima che arrivassero al potere - aveva individuato i canali per elargire soldi anche alla Lega, al Movimento 5 Stelle e a Fratelli d' Italia. Non badava a spese l' imprenditore Luca Parnasi, arrestato il 13 giugno scorso nell' inchiesta sulla costruzione del nuovo stadio di Roma. E negli ultimi verbali, finora inediti, ammette che il rapporto con le fondazioni era soltanto un modo per «pagare i partiti».
Accusa che ha portato all' iscrizione nel registro degli indagati dell' ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi e quello del Carroccio Giulio Centemero per finanziamento illecito. Le indagini su questo versante sono tuttora in corso. L' estate scorsa Parnasi fa sapere ai pm di voler collaborare. Viene interrogato per decine di ore e ore. I verbali vengono secretati fino al deposito avvenuto ieri.
Parnasi: La fondazione Eyu l' ho conosciuta circa tre o quattro anni fa quando era una dei soci dell' Unità. Nel corso della storia della nostra famiglia, del nostro gruppo imprenditoriale, prima mio padre e poi io abbiamo sempre sostenuto in maniera ufficiale il Pd attraverso i canali ufficiali per somme anche rilevanti, 50 mila, 30 mila. Sono ovviamente tutte operazioni fatte, legittime, con delibere.
In questo caso con la fondazione Eyu è avvenuto un fatto diametralmente opposto... Mi fu offerto uno studio, questo rapporto sulla casa, è un volume piuttosto corposo ovviamente per onestà intellettuale... io non avrei mai comprato questo volumotto sulla casa se non fosse stato legato al rapporto con il Pd.
Pm Ielo: Questi soldi servivano al Pd, alla fondazione...
Parnasi: Mi viene proposta questa operazione con la fondazione. Io francamente anche con un po' di superficialità ho pensato che fosse veramente una fondazione legata al Pd, quindi non c' ho visto nulla di male.
Pm Ielo: Qual è il valore di questa...
Parnasi: 150 mila euro.
Pm Ielo: Questo volumotto di quante pagine è?
Parnasi: Boh, 50? 100?
Pm Ielo: Quindi lei ha pagato 150 mila euro per 100 pagine... È un modo per far arrivare soldi al Pd, questo è il concetto?
Parnasi: Esattamente.
L' altro capitolo affrontato riguarda i soldi concessi a «Più Voci», fondazione gestita da Centemero.
Pm Ielo: È una situazione simile a quella del Pd... Quindi era un modo per far arrivare i soldi alla Lega voglio dire.
Parnasi: Beh diciamo che...
Ielo: Qual è la differenza rispetto all' operazione del Pd?
Che ha organizzato due cene?
Parnasi: La differenza formale è questa, sostanzialmente probabilmente non c' è una differenza.
Pm Ielo: Nessuna differenza: un modo per far arrivare soldi alla Lega, giusto?
Parnasi: Probabilmente sì.
Pm Ielo: Manzoni è la persona con cui lei concorda questo finanziamento.
Parnasi: Io ho parlato con entrambi (l'altro sarebbe Centemero, ndr). Non mi ricordo chi era il rappresentante formale dell' associazione.
Uno dei capitoli degli atti depositati riguarda i rapporti con il Campidoglio e il ruolo di Luca Lanzalone, ex presidente di Acea e delegato dalla sindaca Virginia Raggi a gestire l' affare stadio. Arrestato all' inizio dell' inchiesta con l' accusa di corruzione.
Pm Zuin: In un incontro Frongia (assessore e fedelissimo di Raggi, ndr) le dice «guarda c' è questa ragazza potrebbe fare al caso tuo»?
Parnasi: Esattamente, ma non mi ha mai detto «assumimi questa persona perché è amica mia, mi interessa» o cose di questo genere... Mi ha dato il curriculum e poi io credo che la mia segretaria abbia organizzato l' incontro ed è venuta nel mio ufficio... L' ho incontrata e poi l'ho presentata al direttore del Personale che gli ha fatto un altro pezzo di colloquio.
Con Lanzalone il rapporto è continuo perché, spiega Parnasi, «lui era il canale con i 5 Stelle». È Lanzalone a comunicargli che la delibera del Comune per il via libera allo stadio è pronta: «Approvata. Habemus stadium!!», esulta.
Ma l' allora presidente di Acea ha anche il compito di introdurre il costruttore ai segreti della politica di governo. Così, ad esempio, spiega a Parnasi tutta la partita delle nomine. Il loro colloquio è ricostruito in un' informativa dei carabinieri del nucleo investigativo: «Parnasi chiede da chi dipenda la nomina delle Ferrovie e Lanzalone dice dal Mef e quindi da Tria.
Parnasi chiede chi sarà al settore Telecom? E Lanzalone dice: «Se tutto va bene il viceministro lo farà Laura Castelli» e dice «è personale amica mia». Nella stessa occasione Lanzalone censura il comportamento di Armando Siri che diventerà sottosegretario alle infrastrutture: «L' unica cosa è che Siri si sta allargando».
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pangeanews · 7 years
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Il verbo oltreoceanico di Juan Arabia: prima dei poeti, è la realtà a essere “maledetta”
L’icona dice molto, quasi tutto. Il viso canonico di Arthur Rimbaud, dionisiaco. I capelli all’aria, come falangi di uccelli in migrazione. Dito davanti alle labbra. Come a dire: ‘zitti tutti, parla la poesia’. Siamo nel 2013. Nasce la rivista di poesia più affascinante e folle d’Argentina. Buenos Aires Poetry. Primo numero: intervista a John Ashbery, il grande poeta statunitense, morto in settembre.
Rimbaud vi dice: “zitti tutti, parla la poesia!”. Il logo di Buenos Aires Poetry
La rivista (che vedete qui) ha una grafica scattante, tra avanguardia e preraffaelliti, indaga con smaliziata acribia i grandi poeti di oggi (nel numero 6 c’è una intervista a Charles Wright, altro titano lirico americano) e i numi del passato: l’ultimo numero è dedicato a Dylan Thomas, gli altri ad Arthur Rimbaud e ad Ezra Pound. Paradossi di una globalizzazione fatta assecondando la bussola di Lord Jim: per capire la ‘poesia occidentale’ tocca sbarcare a Buenos Aires. Dietro il progetto di ‘BAP’ c’è Juan Arabia, ‘il Lawrence d’Arabia della poesia’, come dice, sbandierando sorrisi, l’editore italiano Walter Raffaelli. Giovane (classe 1983), figlio di immigrati calabresi, allampanato, vivacemente ‘maledetto’, assolutamente colto. Laurea sull’opera di John Fante, Arabia ha tradotto Rimbaud e Pound (Lustra), scrive poesie, per fortuna tradotte in Italia (Il nemico dei Thirties, Samuele Editore, 2017, pp.86, euro 12,00), dove si rivela la sua personale mitologia radicale: Rimbaud (“Qui Rimbaud ancorò la sua barca immobile”), Verlaine, Dylan Thomas (“Reggevi il tuo bicchiere,/ imprigionata da demoni e tiepida in verità,/ di un altro tempo non risolto, e spine arenose”), Hart Crane, sulla soglia abbagliante del suicidio (“questa non è una caduta, è il lascito”). Insomma, radicalità radiosa ed ebbrezza maieutica. Il volo a Buenos Aires, con ali virtuali, incontro i pazzi poeti oltreoceanici, era necessario.
Intanto. Come è nato il progetto di Buenos Aires Poetry? Ho visto che hai una vocazione ‘internazionale’: che tipo di poesia si legge oggi in Argentina, quali sono i grandi poeti argentini di oggi?
“Buenos Aires Poetry nasce come una estensione della mia formazione, delle mie letture. Con il passare del tempo, è diventato luogo di incontro di diverse espressioni artistiche, di Camila Evia – che è responsabile del progetto grafico di ‘BAP’ – e di poeti e critici come Neil Leadbeater, Víctor Rodríguez Núñez, Lucas Margarit, Antonio Nazzaro y Mariano Rolando Andrade (tra quelli che costrituiscono il comitato editoriale della rivista). Quanto al resto, non sono molto informato su ciò che si legge specificamente in Argentina. Come in ogni altra parte del mondo, mediazioni e compromessi sono ampi e ciò che viene divulgato segue logiche che hanno poco a che vedere con la qualità estetica”.
Il primo numero di BAP è dedicato a John Ashbery, il grande poeta statunitense. Tu hai studiato John Fante. Come mai questo fascino verso la letteratura nordamericana?
“Come in ogni grande sistema di oppressione e di potere, negli Stati Uniti emergono – o meglio, sono emerse… – le forme più radicali di resistenza e di ‘contropotere’. Penso ad autori come John Fante, Ezra Pound, Kenneth Rexroth, Jack Kerouac. Il mio interesse per John Fante deriva dalla mia più intima origine e ‘formazione’: sono anche io discendente diretto di immigrati italiani – dalla Calabria. Il padre di John Fante (Nicola) perse l’imbarco per l’Argentina, per questo finì, all’inizio del secolo scorso, a Denver, Colorado”.
Hai tradotto Ezra Pound. Pound ha vissuto ed è morto in Italia, un paese in cui i critici letterari tendono ancora a sottolineare il suo ‘fascismo’ più che la sua grandezza lirica. Spiegaci: perché Pound è così importante? Che cosa ti affascina di lui?
“Oltre a essere un grande poeta in grado di far rivivere il meglio della tradizione letteraria (da Li Po a Cavalcanti, da Arnaut Daniel a Browning e Villon…), è stato l’unico poeta della storia che ha affrontato con esito straordinario tutte le forme di ostruzione al potere: culturale ed economica”.
Ancora su BAP. Vedo: Rimbaud – che hai tradotto – Lautréamont, Ezra Pound, Dylan Thomas, William Burroughs. Tutti scrittori, in vario modo, considerati ‘pazzi’ o ‘dannati’. La letteratura è sempre ‘maledetta’?
“In generale, la poesia ha bisogno di esperienza reale e concreta. Prima ancora dei poeti, è la realtà stessa a essere ‘maledetta’”.
Che tipo di poesia è possibile, oggi? Che cosa leggi? Che cosa stai scrivendo? Che relazioni intrattieni con il ‘pubblico’? Che tipo di rapporti – e di compromessi – il poeta debe intrattenere con la politica del proprio tempo?
“Ogni forma di poesia è possibile; la poesia, dobbiamo sempre ricordarlo, è un lavoro collettivo. Come scrive John Ashbery in Hotel Lautréamont: ‘La ricerca dimostra che le ballate sono un prodotto di tutta una società che ha lavorato insieme’. In materia politica, ho sempre simpatizzato per l’anarchismo. In Argentina è stato sterminato, molto tempo fa, bruscamente. Per questo, non sono molto ottimista”.
Come vive un poeta, come si può vivere di poesia?
“‘Fammi tornare scimmia, o lasciami solo la letteratura/ non abbandonarmi alla condizione umana./ Questo che pesa così tanto in me/ fuori non pesa nulla’, scrive il poeta argentino Luis Benítez nella poesia intitolata César Vallejo. Mi pare che sia una risposta alla domanda”.
*
Lake District
  Yo, que negué a Cristo en el primer barco,
finalmente entendí el significado de la palabra adiós.
No se trata de una simple despedida:
es el momento en el que todo se hunde
en los blancos y transparentes mares de números,
y se pierde la flor, única prueba de la existencia de un paraíso.
  Es el momento donde se pierde el inmediato calor
de aire que encierra y separa a cada una
de las cosas que existen en el mundo.
    Lake District
  Io, che ho negato Cristo sulla prima barca,
finalmente ho capito il significato della parola addio.
Non si tratta di un semplice commiato:
è il momento in cui tutto affonda
nei bianchi e trasparenti mari dei numeri,
e si perde il fiore, l’unica prova dell’esistenza di un paradiso.
  È̀ il momento dove si perde l’immediato calore
d’aria che chiude e separa ciascuna
delle cose che esistono nel mondo.
  *
Hart Crane cae de un barco
  Apagados labios
que celebran puertas espirituales,
esto no es una caída, es el legado:
  tus delicados jinetes en la tormenta
vienen por vos, como vendrán por nosotros,
y ustedes, aquellos extraños.
  Esto no es una caída.
Es el silencioso exilio
hacia la eternidad.
  Es el horizonte que se extiende,
poderosas puertas espirituales,
dentro del hombre y la naturaleza.
    Hart Crane cade da una barca
  Spente labbra
che celebrano porte spirituali,
questa non è una caduta, è il lascito:
  i tuoi delicati cavalieri nella tempesta
vengono per te, come verranno per noi,
e voi, quelli sconosciuti.
  Questa non è una caduta.
È il silenzioso esilio
verso l’eternità.
  È l’orizzonte che si estende
poderose porte spirituali,
dentro l’uomo e la natura.
  Le poesie sono tratte da: Juan Arabia, “Il nemico dei Thirties”, Samuele Editore, 2017, traduzione di Antonio Nazzaro ed Ezio Falcomer
*
How is the idea of BAP born? I have seen that you have an ‘international’ vocation: what poetry is read today in Argentina? Which, in your opinion, are the greatest living Argentine poets?
“Buenos Aires Poetry comenzó como una extensión de mi formación y mis lecturas. Con el paso del tiempo, eso fue encontrando un lugar en las expresiones artísticas de Camila Evia (encargada del proyecto visual de BAP), y de poetas y críticos como Neil Leadbeater, Víctor Rodríguez Núñez, Lucas Margarit, Antonio Nazzaro y Mariano Rolando Andrade (entre otros, que hoy forman parte del comité editorial de la revista). Por otro lado, no estoy muy al tanto de lo que se lee específicamente en Argentina. Como en todas partes del mundo, las mediaciones son más amplias y lo que se divulga tiene más que ver con lógicas que no son intrínsecas con la calidad estética”.
BAP was born in the first issue with an interview with John Ashbery, an extraordinary North American poet. You studied John Fante. Why this fascination with North American and English literature?
“Como todo gran sistema de opresión y poder, en Estados Unidos se presentan (o más bien se presentaron…) las más radicales formas de resistencia y contrapoder. Pienso en autores como Fante, Pound, Rexroth, Kerouac. Mi interés en Fante proviene de mi propio origen y “formación” como descendiente directo de obreros inmigrantes italianos (en mi caso de Calabria). De hecho, el padre de John Fante (Nicola), perdió primero un barco hacia Argentina, y por eso terminó a principios de siglo pasado en Denver, Colorado”.
I’ve seen you translated Ezra Pound. Pound lived and died in Italy, in Italy critics remember his friendship with Mussolini. Explain: why Pound is so important? What is fascinating about him?
“Además de ser un gran poeta y de revivir lo mejor de las tradiciones literarias (Li Po, Cavalcant, Arnaut Daniel, Browning, Villon…), fue el único poeta de la historia que se enfrentó con relativo éxito a todas las formas de obstrucción: culturales y económicas”.
I see on BAP: Rimbaud (which you translated), Lautréamont, Pound, Dylan Thomas, William Burroughs. Writers, in various ways, ‘crazy’ or considered such, ‘cursed’. Is literature always ‘damn’?
“En general, la poesía necesita de la experiencia real y concreta. Y mucho antes que los poetas, la misma realidad está ‘maldita’”.
In your opinion, what kind of poetry is possible today? What do you read? What are you writing? What relationship do you have with the ‘public’? What relationship do you have with the politics of your time?
“Creo que toda forma de poesía es posible, y siempre debemos recordar que se trata de un trabajo colectivo. Como escribió Ashbery en Hotel Lautréamont: ‘Research has shown that ballads were produced by all of society working as a team’. En materia política, siempre simpaticé con el anarquismo. En Argentina eso fue exterminado, hace mucho tiempo y bruscamente. De manera que noy optimista al respecto”.
How do you live as a poet, can you live in poetry?
“Devuélveme el chimpancé, o hazme sólo literartura / más no me dejes la condición de hombre. / Esto que todo lo pesa en mí / afuera no pesa nada”, escribe el poeta argentino Luis Benítez en su verso titulado ‘César Vallejo’. Creo que se trata de una eventual respuesta a esta pregunta”.
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anthroposteleios · 7 years
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IL GOVERNO DI SOLIDARIETA' NAZIONALE: INTERVENTO DI ALDO MORO AI GRUPPI PARLAMENTARI DEL PARTITO
(Roma, 28 febbraio 1978)
Il 20 giugno 1976, alle elezioni politiche anticipate, il temuto "sorpasso" del PCI ai danni della DC non avvenne, pur nella forte avanzata elettorale del Partito Comunista. Le difficoltà parlamentari sorte con quel voto portarono alla costituzione del monocolori Andreotti della "non sfiducia", frutto di un accordo tra i sei partiti (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI). Fu un governo segnato dall'astensione anche del PCI. Dopo la crisi del governo della "non sfiducia", si aprì la questione di un accordo che portasse il PCI nella maggioranza di governo, ancorché fuori dal governo stesso.
Il 28 febbraio 1978 si riunirono i gruppi parlamentari Camera e Senato della DC. In quella sede il Presidente della DC Aldo Moro tenne il seguente discorso, al fine di trovare l'unità di tutti i parlamentari della DC all'ingresso del Partito Comunista nella maggioranza di governo.
* * *
Cari colleghi ed amici, io mi sento gravato da una grande responsabilità perché ho colto da tante parti una sollecitazione ad intervenire nel corso di questo dibattito; l'ho colta in particolare nelle parole, come sempre affettuose, dell'on. Scalfaro, e mi è sembrato così che parecchi amici pensassero, a torto, che io abbia la chiave per il superamento delle nostri comuni difficoltà. Ho vissuto alcuni anni intensi in diverse esperienze della DC e sono lieto sempre di mettere a disposizione il frutto di questa vita spesa al servizio del partito, ma credo che davvero nessuna persona possa da sola vincere l'ostacolo che è dinanzi a noi; dobbiamo vincerlo insieme nella nostra concordia, nella nostra solidarietà, nella nostra consapevolezza.
E quindi devo dire che non è stato un gioco di parole quel che io ho detto ieri, all'on. Scalfaro, che desideravo ascoltare, desideravo essere illuminato; era una sincera manifestazione di una volontà di dialogo tra noi, che non è cominciato del resto qui e nel corso del quale effettivamente ho potuto saggiare la validità di alcuni miei convincimenti, alla luce delle osservazioni che in un senso o nell'altro sono state avanzate da questa ssemblea altamente responsabile.
Consentitemi di dire, con assoluta sincerità, che questa è stata una bellissima assemblea, ricca di interventi seri, solidi, responsabili, pur nella loro diversità, come è naturale che sia. E non mi pento certamente di avere trovato naturale un incontro di tutti i parlamentari, in una riunione come questa, avendo piena fiducia nella Democrazia Cristiana e nella verità; perché certamente non sono utili le cose che si nascondono, che si riducono a serpeggianti mormorazioni, mentre non sono mai cattive le cose che vengono dette con sincerità nelle sedi proprie, nell'ambito di un dibattito democratico e responsabile come quello che stiamo vivendo. Quindi credo che le cose dette e quelle che saranno dette successivamente, siano un contributo importante al superamento della crisi.
Sono state dette cose che mi pare non si possano in nessun modo ricondurre ad una meschina ragione di interessi, ma cose comunque formulate che si riportano agli ideali, a quei modi di vita, a quelle ragioni di essere che sono proprie della Democrazia Cristiana. Mi pare che questa volta l'accusa di portare avanti nel dibattito piccoli interessi particolari, ci sia stata meno nella stampa, la quale ha rispettato il dibattito serio e profondo che si è svolto nella Democrazia Cristiana, ha compreso quanto fosse importante che il nostro partito andasse fino al fondo nella ricerca della verità in un momento come questo, che certamente è un momento di grande responsabilità. Abbiamo, credo, lavorato tutti in questo periodo, ciascuno al proprio posto, chi in modo febbrile, chi in modo un po' più calmo. Abbiamo fatto tutti il nostro dovere. Credo abbia fatto il suo dovere anche la delegazione che in questo momento mi incarica di dire qualche parola conclusiva. Tutti abbiamo responsabilmente affrontato il nostro compito, consultandoci tra noi e tenendoci in contatto con i gruppi parlamentari e la base del partito.
E credo l'abbiamo fatto con spirito di unità, di concordia, con un continuo collegamento. E voi, cari amici, avete fatto la vostra parte preparando l'assemblea che oggi si celebra e dalla quale noi ci proponiamo di trarre delle indicazioni preziose per vagliarle secondo le indicazioni date dalla Direzione del partito.
Possiamo dire, quindi, che abbiamo cercato seriamente e lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioé la chiave di risoluzione delle difficoltà insorte nel corso di queste settimane. Non dico a caso "lentamente"; mi rendo conto che c'è una certa punta polemica, anche se mi sembra essersi attenuata nel corso di questa crisi, nei confronti della procedura articolata che abbiamo adoperato e che ci ha portato a riflettere, scambiarci idee, riunirci in Direzione, sentire i Direttivi dei Gruppi e poi ritrovarci ancora. E' una procedura un po' lenta di fronte a un certo rapido procedere di alcune democrazie occidentali; ma vorrei dire non di tutte, infatti si parla dell'Italia come di un caso a sé, ma l'Olanda ha impiegato circa 9 mesi per risolvere la sua crisi; è vero che ha un primato di una ventina di partiti, al quale noi non siamo ancora giunti e speriamo di non giungere; anche il Belgio ha conosciuto crisi di mesi e non di settimane.
Responsabilità nuove per la Democrazia Cristiana
Ma, a parte questo, voglio dire che la mancanza di una vera polemica intorno al moderato snodarsi della crisi si deve alla consapevolezza che le forze politiche e l'opinione pubblica hanno della difficoltà della situazione, dell'importanza nuova e decisiva dei quesiti che ci sono proposti, del carattere altamente responsabile delle decisioni che dobbiamo prendere.
Ora, di fronte a questo, certo, non si possono concepire degli ultimatum, di qualsiasi natura, taluni possono essere dolci nell'aspetto, altri più duri; ma ultimatum di qualsiasi genere che effetto avrebbero di fronte ad una maturazione che tende a cercare la via di uno sbocco positivo? Avrebbe, un qualsiasi ultimatum, il significato di una stretta che rischierebbe di fare precipitare le cose verso una conclusione negativa.
Non è che noi abbiamo perso tempo, né abbiamo giocato con nessuno. Abbiamo cercato di riflettere seriamente nel corso di queste settimane sulle cose che erano dinanzi a noi. Che questa lunghezza delle nostre meditazioni non sia stat inutile è dimostrato, credo, anche da questa assemblea di oggi, la quale ha registrato, come era naturale che registrasse, posizioni vigorose, vivacemente polemiche; ma ha registrato anche una serie di indicazioni positive e di intenzioni costruttive, ha dato il senso di una accresciuta consapevolezza della responsabilità che ricade sulla Democrazia Cristiana: se questo si deve al vostro senso di responsabilità, lo si deve anche al modo, al ritmo con cui le cose sono state condotte. Di questo ritmo speriamo di potere dimostrare l'utilità: in definitiva, ne deriva un vantaggio in termini di costruttività nella nostra vita politica.
Siamo dinanzi a interrogativi che qualche volta ho definito angosciosi, come è stato rilevato dal Corriere della Sera in un articolo di linguistica politica, che mi riconosce una certa sobrietà, ma mi addebita il fatto di aver pronunciato una volta il termine "angosciosi". Effettivamente si tratta di interrogativi angosciosi, si tratta di alcuni tra gli interrogativi più gravi, più ricchi di futuro, che ci siano stati proposti nel corso della nostra storia trentennale.
Si può dire che dal momento nel quale si è determinata l'esclusione del Partito Comunista Italiano dall'area di governo, abbiamo avuto momenti difficili, abbiamo realizzato delle svolte; soprattutto nel momento del centro-sinistra, abbiamo sentito che cominciava qualche cosa di profondamente nuovo, ma non abbiamo mai fino ad oggi sentito che eravamo di fronte ad interrogativi grandi come quelli che ci si pongono dinanzi, ed ai quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza.
Le elezioni politiche hanno avuto due vincitori
Siamo davanti ad una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più; è necessario adoperare qualche altro strumento, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande senso di responsabilità, ma anche con grande fiducia nella Democrazia Cristiana.
Quesye cose nuove ed inconsuete nascono dalle elezioni, ma hanno una loro origine un po' più lontana; già prima delle elezioni vi è stato il risultato di un referendum che ha certamente sconvolto la geografia politica italiana.
Prima delle elezioni politiche vi sono state quelle regionali che hanno registrato un forte mutamento di opinioni politiche.
Prima delle elezioni vi è stata quella dichiarazione che ha pesato e pesa tuttora nella realtà italiana, con la quale, senza successivi ritorni e pentimenti, il Partito Socialista ha dichiarato chiusa la esperienza di centro-sinistra.
Prima delle elezioni abbiamo visto rattrappirsi l'antica maggioranza di centr-sinistra in un Governo a due che faceva fatica a vivere in considerazione della quotidiana contestazione dei partiti non presenti (il che induce a comprendere quale sforzo di abilità, di pazienza, di serietà abbia dovuto compiere il Presidente Andreotti per gestire un Governo di soli democristiani, con le astensioni degli altri partiti). Già prima di allora avevamo avuto un Governo monocolore con la semplice astensione socialista, ed infine siamo scivolati nelle elezioni.
Quindi è una crisi prolungata, un serio deterioramento, che l'amico De Mita definisce con la lucidità di intuizione che gli è propria (io mi tengo un po' più terra terra); ma certamente devo riconoscere che qualche cosa, da anni, è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana.
E, di fronte a questo logoramento propiziato da una stampa pressoché unanime nel denigrare e nel dichiarare decaduta dal trono e dalla sua semplice condizione civile la Democrazia Cristiana, alla luce di questa esperienza si può ritenere che il risultato elettorale del 20 giugno, pur creatore delle novità e delle difficoltà di fronte alle quali ci troviamo, sia stato una risposta sostanzialmente positiva del Paese, il quale, a dispetto di tante polemiche interessate alla distruzione della Democrazia Cristiana, ha tuttavia risposto confermandoci nel ruolo di primo partito italiano, con un soprassalto di consapevolezza che fa onore alla opinione pubblica italiana che si sa ritrovare, come si è ritrovata, nei grandi momenti in questi trenta anni intorno alla Democrazia Cristiana, che ha consacrato e riconsacrato come il più grande partito italiano.
Perciò abbiamo avuto una vittoria, ma non siamo stati soli. Anche altri hanno avuto una vittoria; siamo in due vincitori, e due vincitori in una sola battaglia creano certamente dei problemi.
E questo io credo debba essere oggetto di rispetto da parte nostra; l'ho detto più volte e lo ripeto, perché credo che non sia giusto e non sia utile dare un cattivo significato polemico, un significato di ritorsione, al fatto che siamo rimasti in certo modo soli.
Rispettare e capire le altre forze politiche
Possiamo anche renderci conto delle ragioni che hanno determinato questo atteggiamento. Ecco però la necessità ogni tanto di guardare più a fondo nelle cose, di guardare sempre realisticamente quello che ci sta di fronte. Dobbiamo rispettare e capire perché, pur creandoci tanti problemi (e credo creandone anche al Paese), queste forze abbiano assunto certe posizioni.
Queste forze hanno visto emergere un altro polo di presenza nella vita politica, di segno diverso, di fronte al quale hanno alcuni elementi in comune, una certa tradizione laica, desiderio di immaginare, di sperimentare qualche cosa di nuovo. Dicevo che noi dobbiamo rispettare queste cose, le dobbiamo capire, ma le dobbiamo anche ricordare a coloro che sono troppo frettolosi nell'attribuire responsabilità alla Democrazia Cristiana.
Ci siamo dunque trovati relativamente isolati; dico relativamente perché non abbiamo di fronte uno schieramento di partiti ostili, anche se in qualche momento abbiamo avuto l'impressione di essere punti con uno spirito non proprio fraterno. Comunque, non abbiamo di fronte uno schieramento di partiti ostili: il fatto nuovo è che fra questi partiti non ostili c'è anche il Partito Comunista.
La situazione è dunque questa: abbiamo di fronte uno schieramento politico nel quale ritroviamo i partiti di antica tradizione comune di governo e il Partito Comunista, tutti in atteggiamento non ostile nei confronti della Democrazia Cristiana.
Per questo parlo di una Democrazia Cristiana soltanto relativamente isolata e concordo con gli amici Zaccagnini e Galloni, che hanno rilevato come in questi mesi si sia potuto riaprire il discorso, disgelare un po' le relazioni con questi partiti, ed è stata una cosa ottima e credo da accreditare agli uomini che hanno così validamente contribuito, come appunto Galloni ha fatto, a portare innanzi questo dialogo includendo il piccolo ma importante Partito Liberale.
Non abbiamo perduto in senso proprio l'egemonia, ma certamente la nostra egemonia è attenuata.
Avendo rifiutato la soluzione drastica, la soluzione di impeto (siamo non omogenei, siamo non omogeneizzabili, e dobbiamo perciò ritornare alla fonte del potere), abbiamo cercato dei rimedi misurati, degli accomodamenti che non si sono dimostrati cattivi nella loro attuazione anche se all'inizio sono stati guardati - e non poteva accadere che non lo fossero - con delle preoccupazioni.
Abbiamo operato, si è detto, "nel quadro del confronto".
Certamente questa espressione meriterebbe di essre approfondita nel suo significato; ceto, essa, per essere una linea politica nuova, di anni nuovi, rispetto al passato deve contenere qualche cosa che si ricolleghi a quel tanto di novità problematica, discutibile quanto si voglia, che è nel Partito Comunista e nel rapporto tra Partito Comunista e gli altri partiti.
Abbiamo cercato di stabilire un certo contatto reciprocamente costruttivo, sulla base non di un urto polemico quotidiano, come era nella tradizione, a suo tempo naturalmente comprensibile, ma sulla base di un certo spirito costruttivo, per ricercare se tra queste due forze antitetiche, alternative, della tradizione italiana, vi potesse essere qualche punto di convergenza, per lo meno su alcune cose; se vi potesse essere interesse a capirsi reciprocamente intorno al modo di soluzione di alcuni problemi del Paese.
Ed è in questo quadro di un confronto così intenso che abbiamo potuto inserire - ripeto - con qualche iniziale disagio, ma poi con riconoscimenti positivi, la formula di "non sfiducia", una sorta di accostamento obiettivo, di atteggiamento non negativo dei partiti. Questo atteggiamento dei partiti includeva anche il Partito Comunista. Ciò era una novità; non è che noi, cari amici, non ce ne siamo accorti.
Voi avete certamente colto questo elemento di novità. Avete avuto presente il contesto storico, il fatto elettorale, gli anni che stavano dietro di noi; avete guardato, abbiamo guardato, al Paese. Abbiamo ritenuto che questo allineamento, in forma di obiettivo e non negoziato contributo, del Partito Comunista, in forma di astensione, potesse esser accettato.
Cosa ha significato l'accordo di programma
Abbiamo avuto alcune decisioni in materia istituzionale, anche esse motivo di turbamento, poi comprese nel loro significato. Ad un certo momento abbiamo stipulato un accordo sul programma, nella logica di quel non rompere tutto, come si poteva essere tentati di fare, per la difficoltà di immaginare che cosa sarebbe sopravvissuto a questa generale rottura, e quindi abbiamo cercato (anche qui con molte comuni trepidazioni) di dare un contenuto positivo all'intesa, di sostituire cioé al non opporsi un qualche accordo parziale - abbiamo detto - su alcuni punti particolari: qualche accordo parziale su cose da fare, per un certo tempo. Abbiamo detto che questa operazione non comportava la formazione di una maggioranza politica il che non è stato contestato. Abbiamo detto che si trattava però di un fatto che aveva un suo significato politico. Cioè, abbiamo arricchito ancora il quadro del confronto ravvicinato, abbedendo alle esigenze del Paese. Dato che non si vuol rompere perché si ha paura delle gravi conseguenze per il Paese, si è naturalmente cercato con ogni cautela, con rispetto per la identità e la sensibilità della Democrazia Cristiana, di fare qualche cosa di positivo, di programmare - ecco il senso dell'accordo di programma - un po' quell'azione di governo che altrimenti il Presidente del Consiglio doveva faticosamente improvvisare, di giorno in giorno, cercando poi di renderla accettabile per le Camere.
C'è una polemica, che credo francamente ingiusta, intorno al modo con cui abbiamo gestito questo programma; non che esso abbia avuto grande attuazione, non se ne è avuto il tempo; ma respingo fermamente l'idea che vi sia stata una volontà della Democrazia Cristiana di bloccare l'attuazione del programma. Potremmo dire che in alcuni casi il blocco è venuto da altre parti e da parte nostra abbiamo veramente giocato tutte le carte su questo terreno a abbiamo persuaso il partito della bontà di questa idea, del suo valore positivo, si intende, nel quadro non tradizionale in cui ci si inseriva. Questo è diventato patrimonio del partito. Ci è accaduto di cogliere con soddisfazione, nel corso di questa crisi, indicazioni in senso favorevole sull'accordo di programma integrato anche da un'intesa di politica estera.
In non voglio entrare nella storia di questa crisi, perché non mi piace fare il processo agli altri partiti; è vero che c'è stato del nervosismo di base nel Partito Comunista, che vi è stata una decisione che a noi è parsa per lo meno affrettata, e devo dire che non c'era un impegno di durata dell'accordo a sei, questo impegno preciso non c'era, c'era però l'accettazione dell'accordo e la legittima previsione che esso potesse andare avanti ancora qualche tempo. C'è stata qualche cosa, forse l'aggravarsi della situazione, forse l'inquietudine della base sindacale, che ha portato a questa decisione avvenuta al di fuori di noi.
Capaci di flessibilità e di assoluta coerenza
Ecco, questa è la storia che sta alle nostre spalle; e adesso si tratta di vedere che cosa si debba fare di fronte a questa crisi che è scoppiata coinvolgendo prima alòcuni dei partiti intermedi e poi, alla fine, con valore determinante, il Partito Comunista. Ed è qui naturalmente il nucleo centrale delle nostre riflessioni, ma soprattutto vorrei dire delle nostre comuni preoccupazioni. Cioè, dobbiamo domandarci: è possibile andare avanti, è sperabile di poter andare avanti nella soluzione della crisi camminando in modo lineare nell'ambito di una direttiva che è stata tracciata, che ha già avuto alcuni tempi di svolgimenti, ma che è rimasta nel suo significato complessivo? Che cosa dobbiamo fare? Abbiamo delle difficoltà. Dobbiamo fare qualche cosa, e nel fare qualche cosa rischiamo di cambiare la nostra linea, di menomare la Democrazia Cristiana, di compromettere la identità della Democrazia Cristiana ed il suo dialogo aperto e costruttivo con l'opinione pubblica?
Questo è il quesito. Che cosa possiamo fare per fronteggiare la situazione ed insieme per non rompere, per non distruggere, per non far nulla di catastrofico, per non guastare delle cose che sono essenziali, per noi, che sono ragioni di vita per la Democrazia Cristiana?
Questo è il punto; e qui vorrei ricordare - avendo sempre in mente la storia della Democrazia Cristiana - i trent'anni che hanno visto tante svolte, se volete svolte piccole, a fronte dei problemi ben più impegnativi che stanno dianzni a noi. Quale è la garanzia reale del nostro più che trentennale predominio della vita politica italiana?
Nella nostra opposizione al comunismo, certamente, abbiamo vissuto, ci siamo fatti forti, siamo restati forti come alternativa ideale di fronte al Partito Comunista. Ma, pur con questo sfondo, ci siamo trovati dinanzi una infinità di problemi, di esigenze di carattere sociale, di carattere civile, di carattere umano e di carattere politico; ci siamo trovati tante volte a fare delle scelte di forze politiche (dalla scelta centrista fino alla scelta di centro-sinistra). Io mi guardo bene dal parificare l'attuale congiuntura a queste altre, ma voglio dire che sull'umano, sul sociale, sull'economico, sul politico abbiamo saputo cambiare quando era necessario ed era possibile in aderenza alla nostra coscienza democratico-cristiana.
Se non avessimo saputo cambiare la nostra posizione quando era venuto il momento di farlo, noi non avremmo tenuto, malgrado tutto, per più di trent'anni la gestione della vita del Paese. L'abbiamo tenuta perché siamo stati capaci di flessibilità ed insieme capaci di una assoluta coerenza con noi stessi, sicché in nessun momento abbiamo smarrito il collegamento con le radici profonde del nostro essere nella società italiana.
La nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro potere, la democrazia italiana. Lo dico sapendo che le cose oggi sono diverse, sono molto più grandi, hanno bisogno di una misura, di un limite, perché le cose alle quali guardiamo insieme problematicamente, si inseriscano nella linea della flessibilità costruttiva e non nell'ambito delle posizioni incoerenti e suicide.
E' necessario quindi guardare alla situazione e guardare alle alternative. Qualche volta mi è stato estremamente fastidioso domandare ad amici con i quali si discute in amicizia, quali sono le alternative a qualche cosa che non ci sentiremmo di fare.
E quindi assicuro che, quando dico questo, non intendo rivolgermi con una sfida a nessuno degli amici. Questa domanda credo che ciascuno di noi se la sia posta e se la ponga angosciosamente ogni giorno: quali sono le alternative possibili in presenza di una crisi che è quella che è, in presenza di certe sollecitazioni, in presenza di certi rischi che noi cogliamo all'orizzonte? Quali rischi cogliamo all'orizzonte? Dico queste cose perché riflettiamo tutti insieme. E quando io fossi certo che abbiamo riflettuto insieme e deciso insieme, io sarei fermissimo, felice di andare con voi qualunque cosa accada, ma l'importante è che noi sappiamo bene che cosa si profila all'orizzonte, almeno che cosa potrebbe profilarsi. Non è facile sapere. C'è della sfida, c'è della realtà, c'è della esasperazione, c'è un'illusione?
Che cosa vedo come possibile sulla base di quello che si dice, che si può intuire? Qualche cosa che può non essere vera, può incontrare delle difficoltà obiettive, ma che ha un determinato grado di pericolosità che noi, cari amici, dobbiamo cogliere nella nostra responsabilità.
Ecco, vedo il rischio di una deviazione nella gestione del potere, cioé di quello che si dice "passare la mano". Non passare la mano da un uomo ad un altro, come accadeva una volta quando avevamo tanto spazio, ma passare la mano da uno schieramento all'altro. E' una cosa possibile? E' una cosa probabile? Io non lo so. Mettiamola tra le cose problematiche, tra le tante cose problematiche che devono occupare la nostra coscienza.
Senza esitazioni la difesa degli elettori
Potrebbe non essere vero, ma potrebbe anche esserlo, qualora una situazione elettorale si profilasse all'orizzonte e della quale ho una certa convinzione che difficilmente sarebbe fatta con gli strumenti tradizionali della Democrazia Cristiana.
Una deviazione nella gestione del potere potrebbe essere una provocazione, una eccitazione o un proposito più serio. Lascio il dubbio su questo. L'alternativa elettorale - che è stato detto da tutti non essere nelle nostre mani - non avrebbe del resto carattere risolutivo e presumibilmente aggraverebbe, avvenendo a questo punto, quel reciproco condizionamento delle due grandi forze di cui si diceva. Esse si ritroverebbero faccia a faccia, presumibilmente con un ulteriore logoramento delle forze intermedie.
Ed allora non sarebbe forse possibile che queste forze intermedia, per parare una minaccia di cui esse devono sentire tutto il peso, acconsentissero, almeno per un certo tempo, ad una certa operazione politica? Sono dei dati che dobbiamo avere dinanzi.
Io mi compiaccio di nostri amici che all'inizio hanno parlato di elezioni con l'impeto di chi dice: c'è qui una dignità offesa, una menomazione della nostra personalità, piuttosto andiamo alle elezioni! Certo, io apprezzo e condivido questo stato d'animo di coraggio. Certamente se ve ne fossero le condizioni, esse risponderebbero per noi ad una ragione di dignità. Dire all'elettore: ritorno a te, fedele, limpido. Ecco un atto di testimonianza (cosa importante)! Ma c'è da considerare altri aspetti: il logoramento delle forze intermedia, il riprustino, presumibile in questa fase politica, della situazione di stallo. Man mano però che si veniva parlando, sembrava evidente che si tratta di un cammino difficile, impervio, probabilmente inconcludente.
Non è detto che le elezioni non possano essere desiderate da altri, anche se essi pure si rendono conto del peso che esse avrebbero.
Io credo che dobbiamo domandarci sempre di fronte anche ai grandi fatti politici, che non sono regolati dalla pura convenienza (io non credo che la politica si pura convenienza, ha coefficienti di conveniena ma non è pura convenienza; la politica è anche ideale): di fronte a questa situazione vogliamo fare della testimonianza, cioè una cosa idealmente apprezzabile, rendere omaggio alla verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese, vogliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa che sia misurata, che sia nella linea che abbiamo indicato e sia pure nelle condizioni nuove nelle quali noi ci troviamo?
Ecco, ad un amico, nel corso di un piccolo cenacolo che ha avuto il pregio di svolgersi nella più assoluta discrezione (fatto più unico che raro nella politica italiana), il quale mi chiedeva: si va elle elezioni, bisogna fare le elezioni come testimonianza? Ho risposto: questa è certo la cosa più pulita, risponde ad una coscienza cristallina. Ma se dovessi guardare alla difesa, che pur tocca a noi, di alcuni interessi, non grandi interessi, ma i normali, i legittimi interessi di 14 milioni di elettori, se dovessi scegliere per quanto riguarda la loro integrità, ecco, io avrei qualche esitazione (non ho scelto, non scelgo, dico avrei dell'esitazione) a scegliere la via della testimonianza.
Però, certamente non esiterei ad andare alle elezioni o all'opposizione, se mi si rompesse tra le mani il meccanismo di ideali e di valori che abbiamo costruito insieme nel corso di questi anni. Se si trattasse di questo, di fare anche l'ultima elezione per mantenere fede ai nostri ideali democratici cristiani, lo dovremmo fare se la posta in gioco lo richiedesse.
Se, invece, vi è, nella pazienza, nella ricerca, nel ritmo della nostra conduzione della crisi, una via che ci si apre dinanzi, che ci permetta di restare sostanzialmente nella nostra linea anche se su un terreno nuovo e più esposto, dicevo: sì, cari amici, questo terreno nuovo e più esposto c'è già, ci siamo sopra nella vita politica (forse, anche per qualche errore di amici periferici, ma anche per situazioni obiettive, difficili da dominare) in molte articolazioni dello Stato democratico che è così multiforme, che nessuna conquista elettorale ce lo può dare tutto.
Ci sono tuttavia dei limiti che non possiamo superare
Ci siamo già - vi dicevo - con altri nella vita sociale, nei sindacati, nelle associazioni civili, negli organismi culturali, nelle innumerevoli tavole rotonde alle quali siamo presenti.
Questa è la realtà sociale alla quale io, naturalmente, non vedo una alternativa perché mi rendo conto che le cose acmminano con un loro impeto. Ma vogliamo renderci conto di quanto sia diversa la realtà sociale italiana oggi, di fronte a quella di anni fa? Ricordo che l'on. De Gasperi - ed è la mia unica citazione - raccomandava a noi di essere sostenuti e un po' riservati in ogni nostro contatto, di aula o di corridoio, con i colleghi comunisti. C'è una diversità che si è determinata per la forza delle cose; non voglio trarne delle illazioni, tutto ciò, cari amici, mi serve per dire che dobbiamo essere consapevoli di quanto le cose siano oggi più difficili in questo Paese che si è rimescolato, un po' rendendosene conto, un po' no. Allora il problema, cari amici, è quello di un limite da stabilire nella linea di quella intesa di programma che avevamo portato fino a un certo punto, con alcuni contenuti, ed alcune integrazioni. Ecco, siamo stati unanimi in Direzione (voi avete accolto questa indicazione) nel dire no al governo di emergenza; nel dire no ad una coalizione politica generale con il Partito Comunista. Su questo avete visto, anche dagli interventi, che vi è un atteggiamento così netto, così unanime della Democrazia Cristiana che c'è da stupirsi che il Partito Comunista abbia voluto chiedere una cosa che era scontato non potesse avere.
E questa è una cosa importante, e dobbiamo ridirla in questo momento: è importante per ora ed è importante anche per dopo. C'è un dovere reciproco di lealtà, di far comprendere quali sono i limiti al di là dei quali non possiamo andare.
Una intesa politica, che introduca il Partito Comunista in piena solidarietà politica con noi, non la riteniamo possibile; anche se rispettiamo altri partiti che la ritengono possibile in vista di un bene maggiore, come un accordo impegnativo di programma. Sapoiamo che c'è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena, nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati, quindi dati di fatto obiettivi.
Sappiamo che vi è diffidenza in Europa in attesa di un chiarimento ulteriore sullo sviluppo delle cose, e sappiamo che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare.
Dobbiamo preoccuparci dell'ordine democratico
Vi è la richiesta di qualche cosa che vada al di là del programma concordato a sei; ebbene la Direzione ne ha parlato in termini cauti, naturalmente lasciando un certo margine di intepretazione, immaginando cioè una convergenza sul programma, arricchito, adeguato al momento che attraversiamo, una convergenza che si esprima, mi pare di capire, con adesioni positive. Cioè al sistema della astensione, della non opposizione, dovrebbe sostituirsi un sistema di adesioni.
So che vi è un passaggio difficile, a questo punto, relativo al modo come si lega la concordia sul programma con l'adesione al Governo. Credo che questo debba essere oggetto di attenta considerazione nella Direzione e nell'ulteriore lavoro che, se voi consentirete, sarà svolto dalla Delegazione. Ma si tratta appunto di queste cose, non di altre.
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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Ottanta anni circa dopo la morte di Augusto, un grande storiografo, CORNELIO TACITO, scrive la storia degli imperatori romani della dinastia Giulio-Claudia, iniziata con Augusto il 31 a.C. e terminata con Nerone nel 68 d.C. Si intitola ‘Annales’, con un voluto riferimento alla tradizione annalistica romana (raccontare la storia anno per anno).
E’ un racconto a tinte fosche, di un’epoca caratterizzata da una paura, a cui ci si era fatta l’abitudine: veleni serviti a pranzo e a cena, morti misteriose e continue, trame occulte, sotterranee,
un fuoco sempre lì a covare sotto la cenere, il tutto in palazzi sfarzosi, ma sempre in penombra. E la plebe ormai ridotta ad uno sfondo indistinto, come in una grande foto di gruppo, nella quale però le facce senza nome degli individui sono tutte uguali e senza lineamenti.
Ed un presentimento di fine che si avvicina.
Uno storiografo, certo, ma anche uno stupendo romanziere.
Scrive anche un prezioso saggio di tipo etnologico sui germani, popolazione ancora selvaggia, se paragonata alla cultura dell’impero romano, ma Tacito ti fa avvertire il brivido della paura che egli prova, immaginando che da quelle popolazioni al confine con Roma prima o poi arriverà il pericolo.
Dice Tacito:
“Valgono tra loro i buoni costumi, più di quanto altrove volgono le buone leggi.”
Altrove? E dov’è altrove, se non a Roma? Le buone leggi: è una regola che vale sempre, quella per cui chi governa emana leggi, quando il costume non basta più. Ed allora più sono nutriti i codici, più è segno che il costume non funziona. Alcuni decenni fa in Italia, una stretta di mano valeva più di un puntiglioso atto notarile, oggi non basta nemmeno questo. Viene da concludere con Tacito che, più è abbondante il codice, più è diffuso il malcostume.
E Orazio?
Andava a rendere visita al suo amico e protettore Mecenate, nella villa dell’Esquilino. Quando arrivava, nei pressi della fastosa dimora trovava una folla di varia umanità. Lo riconoscevano, e tutti a farglisi intorno, chi per congratularsi per le sue aderenze in alto loco, chi per consegnargli petizioni da inoltrare a Mecenate.
E molti gli ponevano quesiti sulla politica: che fanno i Parti, che si dice dei Germani, è vero che i Daci….?
E lui a ripetere di saperne quant’e loro:
“Sai tenere bene i segreti, tu, eh!”. E non sapevano che Orazio ed il ministro si incontravano per il piacere della compagnia, ed i discorsi erano del tipo: “Che ora sarà?”; oppure: “Comincia a fare freschetto la mattina, e, chi non si copre, si buggera!”; o anche: “Secondo te quale gladiatore è più forte, Syro o Gallina?” (insomma Ronaldo o Messi? Maradona o Pelé?), e cose simili, che ben si depongono in orecchie con le fessure. Ma non andrà mica tutti i giorni da Mecenate. E negli altri?
Orazio è ostinatamente deciso ad evitare la carriera politica, da buon epicureo: quello che ha, gli basta ed avanza. Se fosse schiavo della depravante ambizione, dovrebbe dire addio alla serenità che gli dà la saggezza, e fa degli esempi di persone che vivono vita grama per colpa dell’ambizione. E dice nella VI satira del I libro: “Se volessi darmi alla carriera politica, mi dimostrerei malato della malattia di Barro, che desiderava di essere considerato uomo bellissimo: ovunque andasse, metteva nelle ragazze la curiosità smaniosa di esaminarlo con attenzione ed in ogni parte del fisico: la faccia, i capelli, le gambe, i piedi, i denti. Così se prometto di proteggere l’impero l’Italia, e Roma ed i sacri templi degli dèi, indurrei tutti gli uomini ad interessarsi di me, a chiedere da quale padre io discenda, e se sono figlio di madre di bassa origine. E poi dovrei di continuo incrementare le mie sostanze, ed andare a salutare questo e quello più potente, e portarmi dietro della compagnia, per non andarmene solo soletto in campagna ed in giro; e poi dovrei mantenere cavalli e stallieri, e guidare carrozze di rappresentanza. Invece, così come sto ora, me ne vado in giro su un modesto mulo, se voglio addirittura fino a Taranto, senza essere mai biasimato per spilorceria. E per questo, e per mille altre ragioni, me la passo meglio di un senatore illustre. Me ne vado dove mi pare e piace, e domando il prezzo della verdura e del farro. E vado girando per il Circo massimo pieno di insidie, e di sera nel Foro; sosto davanti agli indovini; e poi me ne torno a casa, ad un piatto di porri frittelle e ceci. Mi servono il pasto solo tre schiavetti, due coppe su una tavola di marmo , una ciotola con una saliera dozzinali, ed un’ampolla con un piatto largo, mercanzia alla buona della Campania. Poi me ne vo a dormire, senza il pensiero di dovermi alzare presto domani, e di dover passare davanti al Marsia, che con l’espressione dolente sembra voler dire che non ce la fa più a sopportare la faccia del minore dei fratelli Novii.”. Spiegazione: Marsia era un satiro, che si fece passare per la testa di sfidare Apollo in una gara musicale. Ovviamente vinse Apollo, che per punizione legò il satiro ad un albero e lo spellò vivo. Ovviamente la cosa doveva essere ben dolorosa, e nelle statue del poveretto la sofferenza era in tutto il corpo, specie nel viso. Una statua così fatta del Marsia era piazzata davanti alla bottega dei fratelli Novii, ed Orazio scherza, dicendo che Marsia è in preda alla lancinante sofferenza, non per la punizione, ma perché non gliela fa più a sopportare la faccia del minore dei due fratelli. I Novii erano usurai. Ma riprendiamo il racconto di Orazio:
“Poi mi riposo fin verso le dieci. Quindi, me ne vado un po’ a passeggio, e poi leggo o scrivo qualcosa per mio silenzioso diletto, e mi ungo di olio, ma mica quello che quello zozzone di Natta usa a tale scopo, dopo averlo rubato ai lampioni della pubblica illuminazione.”. Questo Natta, illustre sconosciuto, tale sarebbe rimasto, se Orazio non l’avesse qui citato. “Il sole alto poi esorta me stanco ad andarmi a fare una bagno, ed allora me ne scappo dal Campo Marzio e dal gioco della palla. Mangio con calma, quel tanto che basta allo stomaco per durare fino a sera, e me ne sto in ozio beato a casa. E’ questa la vita slegata dalla ambizione che ti fa misero e che pesa. Con questo mi sento sicuro che vivrò più serenamente che se avessi avuto un padre o uno zio questori.”.
Nella VI satira del II libro ci dice: “Quando sto a Roma, la mattina presto mi trascina a far da sponsor, da garante (è latino, mica inglese!): ‘forza, sbrigati, prima che qualcun altro ti preceda nel compito ’. Spiri pure la tramontana a spazzare la terra, oppure la bruma trascini la stagione della neve nel giro più basso del sole, è doveroso andare. Mi tocca dire qualcosa che forse mi danneggerà, pure in modo chiaro e certo, mi tocca spintonare tra la folla e maltrattare chi va lento. ‘Che vuoi, scemo! E che hai di urgente?’ mi dice uno incavolato con termini d’ira: ‘Tu sei capace di abbattere tutto ciò che ti si para davanti, quando con il pensiero stai da Mecenate!’. Lo ammetto, questo riferirmi a te mi fa proprio piacere e mi addolcisce il giorno……….. O campagna, quand’è che ti potrò rivedere?! E quando mi si consentirà di affidarmi alla piacevole dimenticanza di una vita affannosa, ora con i libri degli antichi, o con il sonno e con le ore dell’inerzia? O quando mi sarà servita la fava, parente di Pitagora, insieme a verdurine insaporite con lardo abbastanza grasso?”. La fava è parente di Pitagora: l’antico maestro greco credeva nella reincarnazione delle anime, la metempsicosi, trasmigrazione delle anime. Ed a qualche anima toccava reincarnarsi in una fava, pertanto Pitagora aveva proibito ai suoi seguaci di cibarsi delle fave: “Potresti mangiare l’anima di nonno!”. Come mai questa proibizione? A mio avviso aveva capito o appreso che le fave possono attivare una pericolosissima allergia, il favismo, e quindi era meglio tenersene lontani. Però, per essere convincente e terrorizzare con il sacro i suoi seguaci, tira in ballo la metempsicosi. Qualcosa di simile sarà capitato per la carne di maiale e Maometto. Ma di questa satira, la VI del II libro, parleremo nell’ultima puntata di questo lungo, e spero piacevole, viaggio intorno al pianeta Orazio. E la proporrò tutta, commentandola pezzo per pezzo.
Orazio si fa sostenitore della politica e della ideologia di Augusto, e per varie ragioni. Intanto ha chiuso il tempio di Giano, avendo riportato nell’impero la PACE! Dopo un secolo di sangue, sangue, sangue, non è merito di poco conto, celebrato da Ottaviano con l’Ara Pacis. Con la pace sono ripresi i commerci, ed il principe pare la personificazione del dio Mercurio, anzi in area orientale Augusto E’ l’incarnazione di Ermes/Mercurio. Le suggestioni delle aspettative palingenetiche e messianiche da qualche parte lo fanno divenire addirittura il verbo incarnato, la parola degli dèi divenuta uomo, dato che Ermes è il messaggero degli dèi: quando parla lui, è l’Olimpo a rivelarsi agli uomini. Augusto a Roma mira a restaurare gli antichi costumi: vive sul Palatino, in una casa modesta, nella zona dove tutta la storia romana è iniziata, e sua moglie Livia gli confeziona gli abiti, e gli è fedele per mezzo secolo, cosa rara ma antica. Restaura il Cursus Honorum, le tappe e le norme per la carriera politica, rimettendo ordine là dove i torbidi civili e le convulsioni della Repubblica avevano fatto grande disordine. E poi abbellisce Roma di monumenti nuovi (il suo generale e genero, Agrippa, oltre ad avergli fatto vincere tutte le battaglie decisive, contro Sesto Pompeo e Antonio, ha edificato anche il Pantheon, che fa ancora magnifica mostra di sé, anche se non è proprio l’originale, ma un rifacimento di Adriano dopo un incendio). Ha consolidato il limes, il confine dell’impero, rendendolo più sicuro con lo stanziamento di guarnigioni militari. Ha bastonato i Parti, recuperando le insegne perdute da Crasso insieme alla vita; e poi ha bastonato i Germani, recuperando le insegne perdute da Varo a Teutoburgo, e riportato a casa i soldati romani fatti schiavi dai germani. Insomma Augusto pare l’uomo della Provvidenza, uno che ci voleva, perché le cose tornassero a posto. Vivo lui, gli si riconosceva il primato, poi però si sarebbe potuto tornare alle antiche maniere. Ma Augusto aveva altro in testa, e pensava a designare un successore.
Ma questo è un altro capitolo. Ne parleremo più avanti. Ricordo solo che Orazio è nato il giorno 8 dicembre
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