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#Giuseppe D’Alema
magauda · 23 days
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Il PCI a Bologna subito dopo il 1956
Foto: Gian-Maria Lojacono Nei primi anni Sessanta, come approfondirò meglio nel prossimo capitolo, matura in seno alla giunta social-comunista [di Bologna] la consapevolezza che «un difetto […] nei piani urbanistici degli anni cinquanta risiedeva nel fatto che tale pianificazione separava artificiosamente la componente economica dalla componente urbanistica» <230. La diffusione dei comprensori…
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condamina · 23 days
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Il PCI a Bologna subito dopo il 1956
Foto: Gian-Maria Lojacono Nei primi anni Sessanta, come approfondirò meglio nel prossimo capitolo, matura in seno alla giunta social-comunista [di Bologna] la consapevolezza che «un difetto […] nei piani urbanistici degli anni cinquanta risiedeva nel fatto che tale pianificazione separava artificiosamente la componente economica dalla componente urbanistica» <230. La diffusione dei comprensori…
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collasgarba · 23 days
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Il PCI a Bologna subito dopo il 1956
Foto: Gian-Maria Lojacono Nei primi anni Sessanta, come approfondirò meglio nel prossimo capitolo, matura in seno alla giunta social-comunista [di Bologna] la consapevolezza che «un difetto […] nei piani urbanistici degli anni cinquanta risiedeva nel fatto che tale pianificazione separava artificiosamente la componente economica dalla componente urbanistica» <230. La diffusione dei comprensori…
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adrianomaini · 23 days
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Il PCI a Bologna subito dopo il 1956
Foto: Gian-Maria Lojacono Nei primi anni Sessanta, come approfondirò meglio nel prossimo capitolo, matura in seno alla giunta social-comunista [di Bologna] la consapevolezza che «un difetto […] nei piani urbanistici degli anni cinquanta risiedeva nel fatto che tale pianificazione separava artificiosamente la componente economica dalla componente urbanistica» <230. La diffusione dei comprensori…
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bagnabraghe · 23 days
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Il PCI a Bologna subito dopo il 1956
Foto: Gian-Maria Lojacono Nei primi anni Sessanta, come approfondirò meglio nel prossimo capitolo, matura in seno alla giunta social-comunista [di Bologna] la consapevolezza che «un difetto […] nei piani urbanistici degli anni cinquanta risiedeva nel fatto che tale pianificazione separava artificiosamente la componente economica dalla componente urbanistica» <230. La diffusione dei comprensori…
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Riaperta la camera ardente di Napolitano, da D'Alema a Tornatore
E’ stata riaperta alle 10 la camera ardente dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Senato. Tra i primi ad entrare Lorenzo Cesa e Marco Follini, Paola De Micheli, Massimo D’Alema e il regista Giuseppe Tornatore. Domani si terranno i funerali laici di Stato alla Camera. LA DIRETTA STREAMING   D’Alema: “Tante battaglie comuni, lui un maestro severo”  “Una grande personalità, un…
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infosannio · 11 months
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Conte non andrà ai funerali di Berlusconi, Schlein ci sarà
Presenti in piazza Duomo anche Renzi e Calenda. Assenti Fratoianni, Bonelli, Bersani e D’Alema (di Lorenzo De Cicco – repubblica.it) – Giuseppe Conte ha deciso: non sarà ai funerali di Silvio Berlusconi, secondo quanto apprende Repubblica. “Non è prevista la sua presenza”, spiegano dallo staff del leader del Movimento 5 Stelle. Il Pd invece ci sarà con una delegazione, di cui farà parte anche la…
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giancarlonicoli · 11 months
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9 giu 2023 17:17
C’E’ PROFUMO DI SINISTRA - LA VICINANZA DI ALESSANDRO PROFUMO AL PD DIVENNE CHIARA NEL 2007 QUANDO ANDO’ A VOTARE ALLE PRIMARIE DEM IN COMPAGNIA DELLA MOGLIE SABINA RATTI, CHE ERA CANDIDATA NELLA LISTA “NOI CON ROSY BINDI” - CEMENTA UN RAPPORTO CON IL PD (NEL 2011 CIRCOLO’ ADDIRITTURA IL SUO NOME PER LA SEGRETERIA) CHE GLI PERMETTE DI “SOPRAVVIVERE” ANCHE DOPO LA CACCIATA DA UNICREDIT, DOVE ACCETTA DI DIMETTERSI CON BUONUSCITA DA 40 MILIONI DI EURO - POI VIENE SPEDITO A “SALVARE” MPS (E’ A PROCESSO PER FALSO IN BILANCIO) E POI A LEONARDO - I RAPPORTI CON D’ALEMA SUL COLOMBIA-GATE -
Estratto dell’articolo di Luca Fazzo per “il Giornale”
Il partito degli affari e gli affari di partito […] Così per capire il senso di quanto sta emergendo sul patto […] tra l’ex comunista Massimo D’Alema e l’ex banchiere Alessandro Profumo […] sulla vendita di armi di Stato alla Colombia bisogna tornare indietro al 1999, quando D’Alema - primo uomo di Botteghe Oscure approdato ai vertici delle istituzioni stava a Palazzo Chigi.
Permanenza breve, un anno e mezzo, ma sufficiente a lanciare la più disastrosa delle privatizzazioni italiane, la cessione di Telecom ai «capitani coraggiosi» guidati da Roberto Colaninno. Di quell’affare D’Alema fu l’artefice, con modalità tali da indurre uno che la sapeva lunga come Guido Rossi a un giudizio fulminante: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese».
Da allora è stato un continuo […] arrembaggio […] della finanza privata e soprattutto pubblica. […] adesso a finire nei pasticci insieme a D’Alema […] è uno degli uomini che più hanno incarnato la nuova alleanza tra capitalismo (il solito capitalismo italiano, familistico e pasticcione) e post-comunisti: ovvero Alessandro Profumo, quattro quarti di know bocconiano e tessera del Pd in tasca.
Che Profumo fosse uno dei «loro», D’Alema e compagni lo avevano intuito già ai tempi in cui il manager stava alla testa del Credito Italiano e poi di Unicredit. Il primo outing ufficiale lo fece per interposta moglie, presentandosi nel 2007 a votare alle primarie del Pd in compagnia della moglie Sabina Ratti, che era candidata nella lista «Noi con Rosy Bindi».
Le aspirazioni della Bindi vengono travolte dalla vittoria di Walter Veltroni; Profumo si ricolloca in fretta, diventando l’interlocutore privilegiato della segreteria Pd nel mondo della finanza. È in quegli anni che si cementa un rapporto che permette a Profumo di sopravvivere professionalmente anche dopo la cacciata da Unicredit, dove gli azionisti chiedono la sua testa e lui accetta di dimettersi con una buonuscita da quaranta milioni di euro. Due milioni, annuncia lady Profumo in sella alla sua Ducati rossa, andranno alla Caritas.
[…] Il suo legame col Pd è così forte che nel 2011 circola il suo nome per la segreteria del partito, lui declina […] A marzo entra nel board di Srebank, banca di Stato russa, ma incombe la svolta vera: c’è da salvare la più antica banca italiana, il Monte dei Paschi di Siena, portata sull’orlo del fallimento dalla gestione del piddino Giuseppe Mussari. Per cambiare rotta il governo a guida Pd manda un altro del Pd: Alessandro Profumo. […] anche Profumo, dopo Mussari, si ritrova rinviato a giudizio per falso in bilancio.
Resta lì quattro anni, poi a salvarlo dalla pensione interviene un altro governo a guida Pd, che nel 2017 lo manda a amministrare Finmeccanica […] che […] cambia nome e diventa Leonardo. E lì, tornano utili i rapporti col vecchio compagno di partito Massimo D’Alema: con l’incarico «informale» di mediare l’appalto […] col governo colombiano. […]
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roma-sera-giornale · 11 months
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Navi vendute alla Colombia, indagati D'Alema e Profumo
Secondo l'ipotesi della Procura partenopea, l'ex premier si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi (già precedentemente iscritti nel registro degli indagati) con Leonardo e Fincantieri.
L’ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo e l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema in una foto d’archivio. La Digos di Napoli sta effettuando una serie di perquisizioni negli appartamenti e negli uffici romani di Profumo e D’Alema, ma anche quelli di Giuseppe Giordo, ex direttore del settore Navi di Fincantieri e di Gherardo Gardo, nella veste di contabile di D’Alema. Il…
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confrontodemocratico · 11 months
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Napoli, D’Alema e Profumo indagati e perquisiti dalla Digos per la vendita di navi e aerei militari alla Colombia
L’indagine coinvolge anche Fincantieri e Leonardo Sono indagati dalla procura di Napoli l’ex primo ministro Massimo D’Alema e l’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Alessandro Profumo per per la vendita di navi e aerei militari alla Colombia. Nella mattinata di oggi sono partite le perquisizioni della Digos per tutti gli indagati, tra cui anche Giuseppe Gordo, ex direttore generale di…
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toscanoirriverente · 3 years
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Matteo Renzi: «Conte mi accusa? Malato di complottismo. Ma con Draghi sono arrivati i risultati»
Senatore Renzi, Giuseppe Conte sul «Corriere» la accusa di essersi prestato a un’operazione per farlo fuori. «Nessuna operazione men che mai segreta: ho lavorato alla luce del sole perché pensavo che Draghi fosse meglio di Conte. Dopo le prime settimane lo penso ancora di più. Non solo non mi nascondo, dunque, ma rivendico questa operazione. Le accuse che Conte mi rivolge sono per me medaglie al merito».
Non crede quindi che vi fossero, come dice Conte, interessi politici economici che convergevano per farlo saltare? «Il complottismo è la malattia di chi non si assume mai le proprie responsabilità. Tutti i media erano schierati contro la crisi, il Pd diceva o Conte o morte, Confindustria sponsorizzava i ministri uscenti fino all’ultimo. Ma quali complotti? Un interesse economico per sostituire Draghi con Conte effettivamente c’era: quello dei nostri figli. Il debito pubblico oggi è in mano più sicure. E io sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto da soli, controcorrente».
Non lo ha fatto saltare, come sostiene Conte, perché Iv non decollava nei sondaggi? «Solo da noi si confondono i sondaggi con la politica. La decisione costante basata sul consenso anima il Grande Fratello, non il Parlamento. Temo che Casalino e Conte non abbiano fino in fondo capito la differenza. Quanto ai sondaggi: ci danno sempre per morti. Però nel 2018 abbiamo impedito il governo Di Maio, nel 2019 abbiamo impedito il governo Salvini, nel 2021 abbiamo impedito il governo Conte ter. Lasciamo pure che gli amanti dei reality si trastullino coi sondaggi, noi facciamo politica. E i risultati arrivano. Gli altri fanno le somme dei sondaggi, noi facciamo la differenza con la politica».
Uno dei punti da lei contestati a Conte era il Pnrr. L’ex premier dice che il suo e quello di Draghi sono praticamente uguali. «Per fare un paragone bisogna conoscere almeno uno dei termini della questione. Conte non aveva letto il Pnrr del suo governo come scoprimmo con sorpresa a dicembre 2020. Da quello che dice evidentemente non ha letto neanche quello di Draghi. La svolta tra i due governi è evidente non solo sul Pnrr, ma anche sui vaccini, sulle riaperture, sul ruolo internazionale dell’Italia. E naturalmente passare da Arcuri a Figliuolo è un piccolo passo per il governo, un grande passo per gli italiani. Spero che si faccia presto una commissione di inchiesta così capiremo che fine hanno fatto in banchi a rotelle di Azzolina, i ventilatori cinesi di D’Alema, le mascherine di Arcuri. Troppi soldi sono girati sempre dagli stessi uffici, presto capiremo perché».
Lei ha presentato una denuncia sul servizio di «Report» che ha mandato in onda un filmato di un suo colloquio con Marco Mancini, sostiene di essere stato intercettato e seguito. «La versione di Report è piena di contraddizioni. La testimone si confonde più volte sul chi è partito prima, sul cosa ha ascoltato, dice cose che poi nega, afferma di aver visto le macchine andare in due direzioni diverse, il che da un autogrill imporrebbe di andare contromano. Su questa cosa vogliamo solo sapere se la Rai manda in onda dei video falsi. E non per me, ma per i cittadini che pagano il canone e hanno diritto a un servizio pubblico di verità. Noi difendiamo il giornalismo di qualità, non un racconto che fa acqua da tutte le parti. Sono a disposizione per intervenire stasera in diretta a Report e commentare i servizi sapientemente tagliati dalla redazione. Sono certo che Ranucci — nominato vicedirettore da questa Rai — mi chiamerà sicuramente. Ci metto la faccia e chiedo par condicio rispetto a chi mi accusa con voce camuffata. E dopo Report sono pronto ad andare al Copasir e in Vigilanza: su questa cosa si va fino in fondo».
Mancini è un personaggio controverso. «Stiamo parlando di un dirigente dello Stato peraltro molto vicino all’allora premier Conte. In ogni caso io non ho nulla da nascondere: se volessi organizzare qualche incontro riservato le garantisco che non lo farei all’autogrill di Fiano Romano, uno dei più trafficati d’Italia, ma tra quattro mura protette. Chi vice di complotti ha un grande nemico: il buon senso. Se sono con Mancini all’autogrill, all’aperto, significa che non ho paura di farmi vedere. Gli scandali veri sono gli incontri segreti di Davigo, il grande moralizzatore che comunica notizie riservate a Nicola Morra, parlamentare dei Cinque Stelle, in un sottoscala del Csm. Io non sono Davigo, giustizialista con gli avversari e divulgatore di notizie con i parlamentari amici».
La campagna vaccinale sembra aver ingranato, ma con le riaperture non c’è il rischio che riprendano i contagi? «Le riaperture sono un dovere morale e una priorità economica. Prima togliamo questo folle coprifuoco meglio è. Il virus non diventa più cattivo alle 22 e noi abbiamo bisogno di tornare al ristornate, al cinema, a teatro. Per uccidere il virus servono i vaccini, non le prediche laiche di qualche catastrofista. Chi tifa per la quarta ondata — come qualche virologo già in crisi di astinenza da Tv — dovrebbe domandarsi perché in Israele, nel Regno Unito, negli Stati Uniti sono già tornati alla normalità. Meno allarmismo e più vaccini. E meno male che la coppia Draghi-Figiuolo ha preso il posto di Conte-Arcuri».
I suoi avversari le contestano le conferenze in Arabia Saudita. «E questo dice molto di loro. Come tanti ex premier, anche italiani, viaggio per il mondo. I miei movimenti bancari sono segnalati come per tutti i politici, la mia dichiarazione dei redditi e pubblica, la mia attività rispetta la legge. Se vogliono impedirmi di fare ciò che è lecito e legittimo possono cambiare la legge. Non chiederò loro invece di cambiare argomento semplicemente perché non ne hanno altri. Aver tolto Conte per mettere Draghi è stato un servizio al Paese. Parlino pure delle conferenze se non sanno cosa altro dire, ormai è l’argomento a piacere di tutte le interviste».
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laspinanelcuore · 4 years
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Ricordate Clementina Forleo? E il giudice che si occupò della scalata Unipol e dei presunti complici politici dell’Opa (Offerta pubblica di acquisto). In quell’occasione il giudice Forleo non ebbe paura di affrontare gli affari della politica. Trasferita dal Csm, ha vinto la sua battaglia legale su tutta la linea e oggi è al Tribunale di Roma
di Ammiano Marcellino III
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e sei Ministri hanno ricevuto gli avvisi di garanzia dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Oggetto: la gestione dell’emergenza Coronavirus. Proviamo a illustrare cosa sta succedendo e, soprattutto, cosa potrebbe succedere.
La prima notizia è che le accuse contro alcuni esponenti del’attuale Governo italiano sono così pesanti che sarebbe meglio lasciar perdere… Il Governo – se si dovesse arrivare in Tribunale – caderebbe subito, perché difendersi da tali accuse, con tutto il materiale disponibile, non sarebbe affatto facile. E saranno queste, con molta probabilità, le motivazioni che la ‘politica’ proverà ad utilizzare per far archiviare subito le tante denunce arrivate da varie parti d’Italia contro il già citato capo del Governo, Giuseppe Conte, e i Ministri Alfonso Bonafede, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri, Lorenzo Guerini, Luciana Lamorgese e Roberto Speranza.
Con molta probabilità, in questo momento, l’ordine dei quattro partiti che compongono il Governo – PD, Movimento 5 Stelle Italia Viva e Liberi e Uguali – è quello di minimizzare. Il tutto mentre i ‘galoppini’ dello stesso Governo sono incaricati di diffondere sulla rete notizie tipo l’assurdità di tali denunce, l’inconsistenza di tali denunce e bla bla bla.
In realtà, come ora proveremo a raccontare, la situazione è molto più seria di quanto gli attuali governanti cercano di far credere. Perché alcune delle accuse sono state formulate non da esaltati, ma da medici e giuristi di chiara fama.
Non solo. La vicenda arriva dopo l’esplosione del ‘caso Palamara’: e, in questa fase, la Magistratura ha tutto l’interesse a dimostrare di non subire pressioni dalla politica.
la seconda notizia è che a decidere sul destino di Giuseppe Conte e di sei Ministri del suo Governo sarà il giudice Clementina Forleo.
I pubblici ministeri di Roma hanno spiegato che gli avvisi di garanzia sono atti dovuti e hanno chiesto l’archiviazione. Ma l’archiviazione non è affatto scontata, perché ci sono denunce molti circostanziate presentate, come già ricordato, da luminari della medicina e anche da giuristi, compreso qualche magistrato.
In questa vicenda sono due gli elementi che meritano di essere segnalati: il ruolo di Clementina Forleo, giudice di grande rettitudine, che in anni passati non ha esitato a sfidare i potenti della politica nel nome della giustizia; e la qualità di alcune accuse, suffragate da dati di fatto che è impossibile ignorare e, meno che mai, nascondere.
Il giudice Clementina Forleo, per la cronaca, è il magistrato che si è occupata di uno dei casi più scottanti degli ultimi anni: la scalata Unipol e i presunti complici politici dell’Opa (Offerta pubblica di acquisto). In quell’occasione il giudice Forleo chiese al Parlamento di poter utilizzare le telefonate tra alcuni indagati e gli esponenti di primo piano di alcuni esponenti politici riconducibili alla sinistra post comunista, da Massimo D’Alema a Piero Fassino a Nicola La Torre.
Allora erano anni diversi da quelli di oggi: il Consiglio superiore della magistratura aprì contro di lei un procedimento disciplinare e Clementina Forleo venne trasferita a Cremona. Ne venne fuori una battaglia legale che, dopo anni, Clementina Forleo ha vinto su tutta la linea: infatti la Giustizia le ha dato ragione ed è stata reintegrata al Tribunale di Milano.
Oggi Clementina Forleo ricopre lo stesso incarico a Roma, da dove dovrà pronunciarsi sull’eventuale processo al capo del Governo Conte e ai suoi sei Ministri.
Andiamo alla qualità delle accuse. Che non sono affatto campate in aria, come si cerca di fare credere. E, soprattutto, non arrivano da perdigiorno, populisti e via continuando.
Proprio il nostro blog, nei giorni scorsi, ha riportato il video della conferenza stampa che i protagonisti dell’Associazione L’Eretico ha tenuto a Roma presso la Camera dei deputati.
A formulare pesanti accuse contro la gestione dell’emergenza Coronavirus da parte del Governo non c’erano tre ‘pericolosi’ populisti esagitati. Al contrario, sono tre persone molto note, ognuna nel proprio campo: il professore Giulio Tarro, virogolo di fama mondiale; il giudice siciliano Angelo Giorgianni, conosciuto per le sue inchiesta sulla mafia, e Pasquale Bacco, noto medico legale
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abr · 5 years
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Sarà superfluo dirlo ma c’è una piccola cosa che accomuna Berlusconi a Prodi, Renzi a Letta, Andreotti a Moro, Ciampi a Tambroni, Rumor a De Mita e così via: hanno tutti frequentato il liceo classico. È una caratteristica comune a praticamente ogni Presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana: a occhio, e spero di non andare errato, credo le eccezioni siano Fanfani (scientifico) e Goria (ragioneria). Sarà superfluo evidenziarlo ma è sorprendente notare come anche l’amico del popolo, il prof. avv. Giuseppe Conte, sia accomunato dai propri studi a questa tradizione che vuole gli italiani governati da chi ha frequentato una scuola in fin dei conti d’élite (“da signori”, avrebbe detto Nenni): lo confermano le risicate percentuali di adolescenti che vi si iscrivono, ormai un mesto sei per cento. Sarà superfluo aggiungerlo ma un eventuale governo Di Maio o governo Salvini non sfuggirebbe alla regola: è inutile che si trincerino dietro i problemi col congiuntivo o col casus belli, hanno fatto il classico anche loro. Certo, potranno comunque rivendicare con schietto orgoglio la propria vicinanza al popolo per non essersi mai laureati: caratteristica che li accomunerebbe ai due soli presidenti del Consiglio che per motivi disparati non hanno terminato l’università, Craxi e D’Alema. No, forse è l’esempio sbagliato.
https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2019/03/08/news/maledizione-anche-i-populisti-vanno-al-liceo-classico-242123/
Personalmente al contrario questa linea di profonda continuità di studi classici, caro Gurrado, me la spiego bene e mi torna. Infatti senza entrare nel merito nè far categorie, diciamocela franca: è la continuità nel quacquaracquismo vano e inconcludente, nella incapacità di comprendere il nuovo che avanza che ha caratterizzato tutta la storia repubblicana salvo pochissime eccezioni - fondamentalmente tre soli sono stati gli “strappi” alla sonnolenta inanità deep province, nel bene e nel male, prima del governo  in corso (DeGasperi, Craxi e Berlusca). 
Quanto alla mancanza di laurea degli attuali (cui si aggiunge peraltro lo  Zingaretti) e dei due predecessori citati, essa rappresenta un indicatore chiaro NON di mancanza di cultura (quella non te la fai a squola) ma, avendo iniziato tutti l’Università, piuttosto di INCAPACITA’ O DISINTERESSE DI RAGGIUNGERE OBIETTIVI PREFISSATI (lack of commitment).  Il che non è bello, né per un politico né tantomeno nel lavoro. 
Sarebbe interessante infine analizzare quali lauree hanno accattato tutti gli altri professoroni politicanti e dove le han prese:  si scoprirebbe il prevalere di lauree e Atenei molto quaracquacquà e il cerchio della continuità si chiude.
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levysoft · 6 years
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Il mito del congiuntivo è assai antico. È un modo verbale che scavalca le barriere della semplice pulizia linguistica per arrivare a fare la differenza in diversi ambiti. L’uso del congiuntivo vuol dire qualcosa, o perlomeno è sempre storicamente stato così. Cosa poi non si sa e non si sa nemmeno in quale punto della storia l’utilizzo di un congiuntivo, in fondo un modo verbale esattamente come gli altri, abbia cominciato a delineare differenze anche sociali. Forse perché leggermente più complesso da declinare? Può darsi, ma non è questo il punto.
Da analizzare piuttosto ci sarebbe il motivo per cui gli italiani tentano di dribblarlo che manco Cristiano Ronaldo; italiani ai quali sfugge che un modo verbale non è solo una capriola del nostro parlare fine a se stessa, ma un modo, appunto, diverso di dire una cosa diversa. Anche se non sembra.
Allora è forse proprio lì che va cercata la natura di ciò che ha reso maledetto per gli italiani il congiuntivo. Ma per tutti gli amanti del presente indicativo c’è una buona notizia. Intanto, se ancora non l’aveste capito, ormai l’efficacia del nostro parlare, e la politica ce lo dimostra giornalmente, è direttamente proporzionale alla semplicità con la quale ci esprimiamo. Una volta l’uso di ardite declinazioni verbali era anche sinonimo di raffinatezza, oggi il congiuntivo è il più radical-chic tra i modi, culturalmente quindi il nemico pubblico numero uno. Talmente antipatico che i francesi lo hanno scaricato, come se fosse un trapassato remoto qualsiasi.
La politica non ha mai avuto questo grandissimo rapporto con il congiuntivo, come ricorda Il Corriere della Sera: “Dal fantozziano «mi facci finire» di Alessandro Di Battista al «come vi sareste comportati voi se questi accadimenti avrebbero riguardato altri partiti» di Michela Di Biase fino al "come se presentassi venti esposti contro Renzi, lo iscrivessero al registro degli indagati, poi verrei in questa piazza e urlerei Renzi è indagato» di Luigi Di Maio.
Alla fine del 1997, un panettiere di nome Luigi — entusiasta sostenitore del neosenatore Antonio Di Pietro — dichiarava in un’intervista: "Finalmente il partito del popolo ha candidato un uomo del popolo. Uno che sbaglia i congiuntivi come noi".
Di strage dei congiuntivi — stavolta per omissione — è stato accusato anche Massimo D’Alema (per frasi come "io ritengo che questa vicenda dimostra che lui è un prepotente") e, in epoca di prima Repubblica, Bettino Craxi ("io penso che le nostre possibilità sono limitate"). Commentava Luciano Satta: «Il potere logora i congiuntivi di chi lo detiene».
E pensare che nell’ottobre del 1947, in una seduta dell’Assemblea Costituente, uso e significato di un congiuntivo erano stati al centro di un serrato dibattito tra Giuseppe Dossetti, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti. «Spero che il gruppo democristiano non pretenderà di farci cambiare la grammatica italiana col peso dei suoi 207 voti", tuonò a un certo punto il segretario comunista.
Ma ciò che dona al congiuntivo uno statuto speciale resta ancora il fatto di abbinarlo, nell’immaginario collettivo, alla cultura. Uno che usa un congiuntivo di sicuro non può essere un ignorante. Fino ad arrivare a quel fenomeno che i linguisti chiamano “ipercorrettismo”, ovvero in pratica l’utilizzo del congiuntivo anche quando basterebbe un presente indicativo. Che evidentemente l’indicativo non fa fine. E così, come scrive in un bellissimo pezzo Rivista Studio:
“La retorica dell’estinzione, potenziata dall’ansia da prestazione, sta portando a due effetti paradossali. Primo, il congiuntivo potrebbe addirittura espandersi, occupando nicchie nuove alle spese di altri modi verbali. Secondo, si è sviluppata una forma di irritazione verso l’interlocutore affetto da congiuntivite: fa la figura dello smanioso infiltrato che, alla cena di gala, tradisce a ogni gesto la sua estraneità a quell’ambiente. Il risultato è che un campo già ricco di polemiche e conflitti si sta arricchendo di un nuovo elemento di divisione, complicando le nostre conversazioni, e minando ulteriormente la nostra sicurezza. L’idea è semplice: il congiuntivo è difficile da coniugare, cognitivamente complesso; l’indicativo invece è facile, prevedibile. Per questo, spinti dal risparmio energetico, tendiamo ad usare il secondo al posto del primo. È una spiegazione allettante, ma subdolamente denigratoria, perché implica che l’indicativo sia una sorta di congiuntivo for dummies, un surrogato che consente di esprimere la stessa idea con meno sforzo".
"Peccato che, secondo molti linguisti, i due modi non siano assolutamente interscambiabili. Alda Mari, ricercatrice italiana del CNRS a Parigi, suggerisce che c’è una sottile, cruciale differenza tra di loro: l’indicativo serve a esprimere una propria convinzione personale; il congiuntivo suggerisce invece che ci sia una verità oggettiva, e che chi parla si stia impegnando a ricercarla. Questo, secondo Mari, ci permette di imprimere diverse sfumature ai nostri messaggi, insulti compresi. Dire credo che tu sei un cretino, ad esempio, è meno offensivo di dire credo che tu sia un cretino: nel primo caso è pura opinione di pancia; nel secondo ha il sapore agghiacciante di un giudizio supportato da alacre ricerca empirica. In sostanza: trattare l’indicativo come surrogato del congiuntivo non è solo un torto nei confronti dell’indicativo. È anche una rappresentazione errata di ciò che succede nella lingua, la cui grammatica mette a nostra disposizione sofisticate risorse per comunicare, che noi possiamo modulare in base ai nostri scopi. Anche decidendo quale modo verbale usare”.
Non disperate, ciò che attanaglia i nostri pensieri da potenziali accademici della Crusca che non saremo mai, in realtà tiene sul filo del dubbio anche i linguisti. In uno dei primi libri di Fantozzi, in quarta di copertina, si legge “Il congiuntivo è una cagata pazzesca!” e ciò dimostra, qualora servisse e crediamo di no, come il personaggio di Paolo Villaggio ancora oggi rappresenti alla perfezione l’italiano medio.
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gaiaitaliacom · 2 years
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Pd, Letta chiude caso D'Alema. Sul Colle atteso incontro con Conte e Speranza
Presto un un nuovo incontro sul Quirinale con il presidente del M5S e con il Ministro della Salute e leader di LeU....
di D.S. E mentre i sindaci e governatori PD agitano le acque del governo di Roma cantando a chiare lettere ciò che non va, Enrico Letta sembra essersi lasciato alle spalle l’intossicazione da D’Alema patita nei giorni scorsi e dovrebbe, nei prossimi giorni, come da fonti vicine al partito, riunire direzione e gruppi parlamentari ed avere un nuovo incontro sul Quirinale con Giuseppe Conte e…
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samdelpapa · 3 years
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Vi piace di più un stato statale con i piccole medie imprese oppure uno stato alle caratteristiche di Jiang Zemin 1993-2001( al governo cinese).
Quando e perchè è iniziato il declino Italiano ?
gennaio 01, 2018
Nel 1987 l’Italia entra nello Sme (Sistema monetario europeo) e il Pil passa dai 617 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 1201 miliardi del 1991 (+94,6% contro il 64% della Francia, il 78,6% della Germania, l’87% della Gran Bretagna e il 34,5% degli Usa). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo di 7 miliardi mentre la lira si rivaluta del +15,2% contro il dollaro e si svaluta del -8,6% contro il marco tedesco.
Tutto questo, ha un suo apice e un suo termine coincidente con la nascita della Seconda Repubblica. La fredda legge dei numeri ci dice difatti che dal 31 dicembre del 1991 al 31 dicembre del 1995, solo quattro anni, la lira si svaluterà del -29,8% contro il marco tedesco e del -32,2% contro il dollaro Usa.
La difesa ad oltranza e insostenibile del cambio con la moneta teutonica e l’attacco finanziario speculativo condotto da George Soros costarono all’Italia la folle cifra di 91.000 miliardi di lire.
In questi quattro anni il Pil crescerà soltanto del 5,4% e sarà il fanalino di coda della crescita all’interno del G6.
In questi anni di governi tecnici la crescita italiana perderà terreno nei confronti della Francia (-21%,), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Usa (-25,8%).
Sono questi gli anni più tragici per l’economia italiana.
Da allora la crescita, quando c’è stata, si è contabilizzata sulla base di cifre percentuali da prefisso telefonico.
L’Italia perse in pochi mesi la classe politica del trentennio precedente che venne rimpiazzata nei posti strategici soprattutto da gente proveniente da noti istituzioni bancarie.
Svolta liberista che a partire dai governi tecnici e di sinistra colpì pesantemente l’Italia.
Tutte le riforme strutturali avviate in quegli anni portarono il nostro paese a perdere posizioni che mai più avrebbe riguadagnato.
A seguire tutte le privatizzazioni con relativo valore al momento della cessione in miliardi di lire dell’epoca:
1993 Italgel, Cirio-Bertolli-De Rica, Siv 2.753
1994 Comit, Imi, Ina, Sme, Nuovo Pignone, Acciai Speciali Terni 12.704
1995 Eni, Italtel, Ilva Laminati piani, Enichem, Augusta 13.462
1996 Dalmine Italimpianti, Nuova Tirrenia, Mac, Monte Fibre 18.000
1997 Telecom Italia, Banca di Roma, Seat, Aeroporti di Roma 40.000
1998 Bnl + altre tranche 25.000
1999 Enel, Autostrade, Medio Credito Centrale 47.100
2000 Dismissione Iri 19.000
Con la scusa di reperire capitali in vista della futura introduzione della moneta unica il governo presieduto da Romano Prodi (17 maggio 1996 – 20 ottobre 1998) iniziò a spingere sull’acceleratore delle privatizzazioni e sulle cartolarizzazioni, ovvero la sistematica svendita del patrimonio di tutti gli italiani.
Il governo Prodi non riuscì a completare la sua missione perchè ad ottobre del 1998 cadde, ma con una mossa a sorpresa, evitando di fatto il ricorso alle urne, si diede l’incarico di creare una nuova maggioranza all’ex comunista Massimo D’Alema, che che proseguì la barbarie fin quando gli fu permesso (aprile del 2000) e conseguentemente proseguito dal governo “tecnico” Amato, quest’ultimo finito con la chiamata alle urne nel maggio del 2001.
Questa fu la stagione legata alla più colossale svendita del patrimonio pubblico italiano.
Furono incassati 178.019 miliardi di lire pari a 91 miliardi di euro.
Milioni di posti di lavoro cancellati negli anni a venire che fecero perdere quella crescita che viceversa aveva contraddistinto i decenni precedenti.
Le privatizzazioni non sono mai cessate.
Dopo il 2000 proseguirono e continuano ancor oggi a piè sospinto.
Cambia solo la ragione per la quale i governi ci dicono che dobbiamo procedere obbligatoriamente per questa strada: l’abbattimento del debito pubblico.
Ma le privatizzazioni non solo non sono servite a nessuna delle cause fin qui addotte, ma come detto prima, cancellano posti di lavoro abbassando l’occupazione reale nell’arco di qualche anno.
Nessuna delle ex aziende pubbliche ristrutturate dai privati ha difatti provveduto ad assumere più dipendenti della vecchia gestione.
Centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in favore del precariato e di tutti quei contratti a termine che hanno tolto certezze e diritti.
Un altro elemento che oggi favorisce questa continua barbarie ai danni del lavoro ci è data dall’immigrazione favorita e voluta dalla Ue, accompagnata dal solito finto e perfido buonismo, che ha la funzione di servire sempre alla stessa finalità: alzare la disoccupazione marginale per far accettare ai lavoratori salari e diritti calanti.
L’Italia ha avuto nel suo passato degli ottimi spunti che ci hanno posto ai vertici delle nazioni più competitive e questo malgrado le cassandre che enfatizzavano gli aspetti legati all’elevata corruzione, alla criminalità organizzata e all’ignavia tipica dei mediterranei.
Un paese che era vivo e presente, con il giusto slancio per affrontare qualsiasi sfida posta a livello internazionale.
E questo era stato ampiamente compreso dai nostri diretti competitor, Germania, Gran Bretagna e Francia in testa che hanno fatto di tutto per smantellarci pezzo dopo pezzo.
Dal 2001 in poi i protagonisti dell’economia mondiale saranno altri. L’Italia esce mestamente dal G6 accompagnata verso un ruolo di marginalità politico-economica sempre maggiore.
Giuseppe Maneggio
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