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#Gli unici rossoneri che tifo
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sportpeople · 6 years
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Quando il lavoro mi permette di iniziare la settimana il lunedì pomeriggio, ne approfitto sempre per spingermi più lontano del normale e magari riuscire a vedere luoghi e stadi da me ancora inesplorati. Come questa domenica di fine marzo, in cui mi spingo fino in Lombardia, più precisamente a Voghera, paese di quarantamila abitanti posto al confine con il Piemonte per la partita Oltrepovoghera – Como.
Dopo il sabato sera a Viterbese – Livorno, nonostante le poche ore di sonno, le lancette spostate in avanti con la conseguente ora in meno per il ritorno dell’ora solare, mi alzo presto per questa nuova avventura in giro per la nostra penisola. Prenotando con largo anticipo i vari mezzi di trasporto, riesco a risparmiare pure un bel po’ di soldi e la scelta di anticipare l’orario di partenza, mi permette di girare un po’ in un posto dove non sono mai stato.
Non sono amante della tecnologia, delle novità o delle comodità, mi reputo una persona abitudinaria che vede sempre il lato negativo di ogni importante cambiamento, però devo riconoscere che le sole tre ore del treno Roma – Milano mi danno modo di arrivare con comodo in quel di Voghera, dove torno a vedere i comaschi a più di un mese dalla trasferta di Seregno, in cui mi avevano fatto una buona impressione.
Quando arrivo, faccio un bel giro in stazione poi, passando per il centro (dove noto qualche adesivo ben fatto degli ultras locali), mi dirigo direttamente allo stadio per approfondire le mie conoscenze su questo storico impianto, intitolato dal 2009 allo sfortunato pugile Giovanni Parisi. A pochi passi dallo stesso, sorge il “PalaOltrepò”, dove attualmente disputa le proprie partite casalinghe il Derthona Basket. Dopo un giro veloce anche intorno al palazzo, mi dedico completamente allo stadio vogherese e mi accorgo che un’entrata non è più attiva, ma si entra da un’ unica cancellata sia per andare in curva che in tribuna. Qualche scritta particolare dei vogheresi, sia davanti alla propria curva che dalla parte della tribuna mentre l’entrata del settore ospiti è ancora contrassegnata da una grande scritta degli “ULTRAS MATERA”, ricordo della memorabile trasferta della finale di coppa Italia serie D del 2010.
Quando mancano una quarantina di minuti al fischio d’inizio, il settore è presidiato già da una camionetta della polizia, più da un’altra nella via adiacente, ma con i comaschi che devono ancora arrivare. Concluso il mio giro e tornato al punto di partenza, varco finalmente l’impianto cittadino. Già so che non troverò nessun ultras a sostenere la compagine locale perché quando prese corpo, qualche anno fa, l’idea di fusione tra l’Oltrepò di Stradella e la Vogherese, gli ultras rossoneri fin dal principio furono contrari a questa nuova realtà, tanto da preferire il Voghera che all’epoca si trovava in Terza categoria (attualmente in prima), e che non gioca nemmeno in questo impianto bensì in una località vicina.
Addetti ai lavori mi dicono che entrambe queste realtà non se la passano benissimo e già dal prossimo anno i vogheresi potrebbero ritrovarsi senza calcio, la prova ne è oggi l’Oltrepovoghera sceso in campo imbottito di giovani. Altrettanto triste apprendere che gli sponsor del passato, quelli che sostennero la Vogherese negli anni della Serie C, non esistono più: basta farsi un giro nell’arteria principale per vedere i fabbricati completamente abbandonati, copie sbiadite di quel periodo florido di cui non resta che il ricordo.
Messo piede in campo cerco di buttarmi alle spalle questa strana nostalgia, concentrandomi sulla conformazione dello stadio: costituito da una grande tribuna coperta divisa in tre parti, la grande curva dove un tempo prendevano posto gli ultras vogheresi e la tribuna scoperta formata da cinque gradoni e divisa in due parti, ma che ormai viene destinata completamente alle tifoserie ospiti. Tutto sommato è un impianto grande che potrebbe far invidia a tanti stadi anche di categoria superiore.
Alle 15, orario posticipato di mezzora per il ritorno dell’ora solare, le squadre finalmente entrano in campo con gli ospiti che sventolano diverse bandiere e delle bandierine di stoffa bianco e blu, accendendo inoltre una torcia. La parte calda degli ultras prende posto a centro tribuna, dietro lo striscione dedicato ai diffidati, aumentati sensibilmente dopo il derby casalingo contro il Varese.
Poco o niente da raccontare sul pubblico casalingo: i presenti (la maggior parte dei quali in tribuna) seguono la partita seduti, senza fare nessun coro, partecipando agli eventi giusto con qualche strillo, soprattutto nella seconda parte di gara, quando le fasi di gioco diventano più concitate, con capovolgimenti di fronte continui.
Per cui gli unici protagonisti sono gli ultras comaschi, che partono subito forte facendosi sentire discretamente. Il loro tifo si basa su tantissimi battimani ad accompagnare i cori ed anche le bandierine vengono sventolate abbastanza di frequente. Le pause ci sono ma restano limitate.
Nella seconda frazione i biancoblu partono con meno enfasi, seppur dopo una decina di minuti effettuino una semplice sciarpata, ma non proprio fitta. Il tifo poi prosegue tra alti e bassi divenendo molto frammentario, un po’ anche per il risultato che la squadra non riesce a sbloccare per conquistare questi tre punti fondamentali per la classifica.
Fino alla fine il risultato resta invariato e mentre piovono applausi scroscianti per i giovani padroni di casa per la conquista del punto, ma soprattutto per il gioco che ha permesso loro di tenere testa alla seconda in classifica, dalla sponda opposta gli ultras comaschi sono molto delusi, sia dal risultato che dal gioco espresso dai loro giocatori, e non fanno nulla per nasconderlo, rimproverando gli undici in campo con fischi ed urla di disapprovazione.
Il Gozzano, attuale leader del girone A, ritorna a più quattro punti in classifica e a sei giornate dalla fine, il Como non può più permettersi altri passi falsi se davvero vuol ritornare nel calcio professionistico.
Marco Gasparri
Oltrepovoghera – Como: la nostalgia del passato e la voglia di diverso futuro Quando il lavoro mi permette di iniziare la settimana il lunedì pomeriggio, ne approfitto sempre per spingermi più lontano del normale e magari riuscire a vedere luoghi e stadi da me ancora inesplorati.
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sportpeople · 7 years
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Deve essere stata un’estate di tanti anni fa. Forse 1998 o 1999. Una di quelle accaldate. Quelle che finita la scuola passavi per strada a giocare a pallone aspettando l’uscita del nuovo album Panini. A gennaio dell’anno successivo. Una tortura.
C’erano i bambini sani, quelli che oggi definirebbero adatti alla friend zone, che ingannavano questa attesa comprando album “fasulli”. Brutte copie dell’originale che ti davano comunque l’opportunità di avere qualcosa in mano. Qua a Roma, per esempio, ne uscirono un paio (davvero ben fatti devo dire) sulle due squadre capitoline, con tanto di piccoli approfondimenti storici.
Questi pargoli friendzonati si esaltavano stringendo tra le mani un Del Piero, un Baggio o un Baresi.
A me dava immensamente fastidio invece l’assenza totale di scudetti e squadre di Serie B e C. Tutte le volte, a settembre, mi rifiutavo di collezionare i “falsi d’autore” in attesa dei maestri Panini.
Così in quella calda estate fu mia nonna a togliermi di testa album, scudetti e squadre. Chiedendomi di seguirla ben oltre le Mura Aureliane. Nel suo paese nativo: San Paolo di Civitate. Provincia di Foggia, a pochi chilometri dal confine con il Molise.
Per un bimbo malato di calcio gli unici colori che potessero venire alla mente quando la macchina varcò il confine della Puglia via Candela, non potevano che essere il rosso e il nero. Ovviamente racchiusi nello stemma con i satanelli. Ricordavo una figurina di Igor Kolyvanov attaccata sul mio diario delle elementari. Forse un doppione mai scambiato. O forse la voglia di imprimere quel suo sguardo severo (addirittura rammento di averne avuto timore nell’incrociarlo) nelle mie giornate di piccolo alunno. Chissà.
Forse fu in quei giorni di estate torrida, lontano da Roma e immerso nella semplicità paesana, che scoprii la mia attrazione per il calcio che non sta sotto i riflettori o che non si esalta per i grandi nomi. Andammo in un mercato una mattina. Francamente non ricordo se fosse a Torremaggiore o a Lucera. Ma ricordo che come un forsennato cercavo una qualsiasi cosa del Foggia da riportare a Roma a mo’ di reliquia. Vent’anni fa avere materiale di squadre che non fossero Milan, Inter e Juve era molto più complicato di quanto si pensi. Non c’erano Ebay e Amazon. Men che meno i social network. Credo che il mercatifo fosse la versione più evoluta per scambiarsi del materiale.
Con una parte delle 20/30.000 Lire messe da parte con le paghette mi aggiudicai un gagliardetto, un cappello e una sciarpa su cui c’era scritto Regime Rosso Nero. Cosa volesse dire lo capirò dopo qualche anno. Quando l’occhio si sposterà lentamente dal campo agli spalti. E quando anche quell’ultima ondata di “Foggia mania” creata dai superbi anni novanta dei dauni andrà spegnendosi, lasciando spazio a campionati anonimi, al fallimento e a una mesta ripartenza dalla Serie D.
A casa conservo una cartolina di Foggia. È il piazzale della Villa Comunale. Dietro c’è una data: 1956. E una dedica. Fatta da mia nonna a mio nonno, al tempo impegnato nella leva obbligatoria. Voglio iniziare da qua il mio racconto, sperando che nessuno si sia tediato se mi sono permesso questa lunga introduzione. Del resto ho tardato nello scrivere questo racconto, giusto che infligga ai miei lettori anche l’obbligo relativo al nostalgismo. Sono prolisso e logorroico quando scrivo, ne ho coscienza.
Non è la prima volta che vengo a Foggia. Ma è la prima volta che ci vengo da quando i rossoneri sono tornati in Serie B. So di trovare una piazza affamata. E so che quest’anno la Puglia avrà davvero tanto da offrire. A cominciare dal ritorno di una classica: quel derby con Bari che manca in campionato ormai da troppi anni. Certo, c’è la sfida di Coppa Italia della passata stagione, ma con la trasferta chiusa ai foggiani vale davvero poco. Sarà difficile, a naso, imporre divieti simili in campionato. Per questo mi sento di dire che Foggia-Bari e Bari-Foggia saranno senza dubbio due tra gli appuntamenti più importanti dell’intera annata calcistica.
Oggi però a scendere sul manto verde dello Zaccheria c’è un’altra nobile del calcio nostrano: il Perugia, che se vogliamo negli ultimi anni ha avuto un percorso calcistico molto simile a quello dei pugliesi. La ripartenza dai dilettanti, la scalata dei campionati e l’arrivo in cadetteria, dove è ormai in pianta stabile da qualche stagione.
Il Grifo arriva nel Tavoliere con il potenziale favore del pronostico, in virtù di un buon campionato disputato fino alla giornata precedente, che ha coinciso con la rocambolesca sconfitta patita per mano della Pro Vercelli (1-5). Un risultato che ha fatto scaturire non poche polemiche in terra umbra.
Quando l’orologio segna le 18 la città si è ormai ampiamente riversata per le strade del centro e tanti ragazzi con la sciarpa rossonera si muovo all’impazzata verso lo stadio. Chi sorseggiando una birra, chi mangiando un gelato e chi – di gusto – mandando giù un cartoccio di scagliozzi (cubetti di polenta fritti, tipici di queste parti).
Anche io raggiungo molto presto lo Zaccheria e rispetto all’ultima volta in Serie C noto subito come il servizio d’ordine sia raddoppiato nei suoi effettivi. Malgrado tra foggiani e perugini non ci sia una rivalità sentitissima lo schieramento è di quelli ingenti e alla fine ne faranno le spese i supporter umbri, arrivati al casello di Foggia abbondantemente prima del fischio d’inizio e costretti ad entrare a match iniziato. Col solito trattamento all’italiana e il classico menefreghismo verso chi ha deciso di spendere un giorno infrasettimanale per una trasferta non tra le più vicine e agevoli.
L’impianto di Viale Ofanto merita sempre menzione per la sua bellezza e la sua spiccata attitudine al calcio, con gli spalti attaccati al campo, l’assenza della pista d’atletica e le gradinate da pochi anni ripitturate di rossonero che trasmettono ai suoi avventori neutrali un bel senso d’appartenenza. Inoltre sembrano lontani anni luce i giorni del dilettantismo e del primo ritorno in Serie C, quando i Distinti rimanevano chiusi e la capienza subiva una forte limitazione. Come detto Foggia ha fame di calcio e la progressiva scalata ha fatto tornare a riempire spazi dello stadio che si credevano chiusi per sempre.
Sono 12.849 gli spettatori presenti e – benché non sia sold out – è comunque un numero significativo. Anche se vanno tenute presenti le limitazioni alla capienza che ancora persistono. Del resto togliere posti al pubblico calcistico è divenuta una delle maggiori prerogative dei cervelloni che gestiscono l’ordine pubblico in fatto di manifestazioni sportive.
Già in fase di riscaldamento le due curve si fanno sentire e quando le squadre scendono in campo in Sud vengono alzate tutte le sciarpe con uno striscione nella parte centrale che con un imperativo categorico ordina di “Vincere!”, mentre la Nord si produce in una sciarpata arricchita dall’accensione di molti “flash”. Il risultato è ovviamente di quelli importanti.
Un incessante rullio di tamburi in ambo i settori spinge spesso lo stadio a partecipare e complessivamente si ha l’idea che giocare allo Zaccheria non sarà facile per nessuno. Non è una novità, ma di questi tempi trovare l’intero pubblico che segue le curve e rumoreggia spesso in maniera assordante, lascia comunque un ottimo retrogusto che sa di soddisfazione. Si ha l’idea che l’avvocato o l’impiegato comunale di turno da queste parti non si facciano influenzare dal falso buonismo imperante nella nostra società e varcando i cancelli dello stadio lascino fuori il proprio status sociale “sporcandosi le mani” nella melma popolana chiamata “tifo”.
Andando nello specifico devo dire che la prestazione della Nord è stata davvero di alto livello. Tifo incessante per tutti i 90′, cori eseguiti praticamente dalla prima all’ultima fila, materiale sempre bello e curato e un portamento ultras da far impallidire tante piazze blasonate che in Serie A si decantano con presunzione. Analizzando la Sud va sottolineato – anche là – un buon tifo portato avanti per tutta la partita, sebbene si abbia la chiara idea che sia un settore occupato anche da molti tifosi “normali” i quali, anche cantando e partecipando al bel frastuono prodotto dal tifo, hanno un atteggiamento più “spontaneo”.
Complessivamente parliamo di una bella prestazione che viene coronata dalle caotiche esultanze ai due gol che permettono al Foggia di battere i dirimpettai per 2-1.
Venendo agli ospiti, come mi è capitato di dire spesso incrociandoli negli ultimi anni, con i perugini si va sempre sul sicuro. Che siano 50 o che siano 2.000. Entrati in ritardo si posizionano con le classiche pezze dei gruppi e pian piano carburano macinando tifo e compattandosi ogni minuto che scorre sul cronometro. Tifo continuo, bandieroni tenuti sempre in alto, torce che non mancano mai, una bella sciarparta nella ripresa e il gusto di stuzzicare di tanto in tanto gli avversari. Insomma, una certezza.
Al fischio finale, mentre tutto lo stadio festeggia e inizia a ritirare striscioni e pezze, gli umbri (forse per recuperare il tempo persona all’inizio) continuano a tifare e stuzzicare i padroni di casa, ricevendo immediatamente risposta. È un piacere osservare la voglia che c’è da ambo le parti di calcare i gradoni e lasciare il segno in questa serata.
Non posso trattenermi più di tanto, avendo il pullman per Roma poco dopo. Così anche io sistemo la mia attrezzatura e mi dirigo verso la stazione. Sta per finire questo particolare venerdì ottobrino. Ed io lo saluto definitivamente addormentandomi sul torpedone che a tutta velocità taglia il Sud in due percorrendolo da Est a Ovest.
Simone Meloni.
Foggia-Perugia, Serie B: l’importanza di collezionare album Panini Deve essere stata un'estate di tanti anni fa. Forse 1998 o 1999. Una di quelle accaldate. Quelle che finita la scuola passavi per strada a giocare a pallone aspettando l'uscita del nuovo album…
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sportpeople · 7 years
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Le dichiarazioni del vulcanico presidente della Viterbese Camilli, di voler lasciare il mondo del calcio a fine stagione, hanno scosso questa vigilia e lasciato un po’ di apprensione nell’ambiente laziale.
Così è con queste parole che si arriva alla giornata di sabato, in cui calendario propone l’incontro Viterbese-Lucchese con le due tifoserie amiche da qualche anno. Pensare che ai tempi della serie C, negli anni ottanta, il gruppo storico dei toscani, i Panthers Front, erano amici con gli ultras civitavecchiesi, acerrimi rivali dei viterbesi. Ma le cose e gli eventi, con il passare degli anni, cambiano, ed in certi casi subiscono delle mutazioni, per cui attualmente toscani e laziali vivono questo loro rapporto con grande rispetto gli uni verso gli altri.
Segno evidente di quanto sia sentita questa amicizia da parte degli ultras viterbesi, è il volantinaggio con cui, davanti la Curva Nord, spiegano il perché dell’astensione odierna dal tifo per i primi 15 minuti, in segno di solidarietà per gli ultras lucchesi colpiti dall’articolo 9.
Decido di entrare quando manca poco al fischio d’inizio e noto in curva nord tutti gli striscioni esposti ma nessuno dietro. Nel settore ospiti prendono posto un manipolo di ultras rossoneri che espongono due pezze in balaustra.
Dopo pochi minuti dal fischio d’inizio, i viterbesi espongono in balconata lo striscione “LOTTATE PER QUESTA CITTÀ!”, rivolto ovviamente ai propri giocatori, per poi continuare il loro silenzio solidale.
Nel frattempo la gente continua ad entrare al “Rocchi” ed alla fine saranno novecento gli spettatori presenti. Al quarto d’ora entrano anche gli ultras gialloblù, tutti insieme e sventolando 3-4 bandiere per poi fare quadrato a centro curva, dietro i vari striscioni. Subito espongono uno striscione per un ragazzo del gruppo, “BENTORNATO DANIE’!”.
Nella prima frazione il tifo sarà composto da tanti battimani ad accompagnare i cori e, seppur non siano sempre continui, lo sventolio costante delle bandiere ne restituisce la sensazione di perenne attività.
Al ventiseiesimo i padroni di casa passano in vantaggio con Cuffa, per la gioia del popolo viterbese. Si fanno sentire cori per i diffidati e per la libertà degli ultras, oltre che per i loro fratelli lucchesi. Molto attivo, in tribuna coperta, anche il gruppetto Antichi Valori, la vecchia guardia viterbese, che a volte riesce a coinvolgere nei canti la gente della tribuna.
Passando agli ospiti, è lampante che ci siano dei problemi, credo non solo repressivi, e così si limitano a guardare la partita sventolando un paio di bandiere rossonere ed il bel bandierone dei Lucca 1905. Gli unici cori vengono cantati sul finire della prima frazione, rimarcando l’amicizia tra i due gruppi (“Fino alla fine Lucca e Viterbo”).
Nel secondo tempo i locali cercano di essere più continui, seppur persistano delle pause (meno però rispetto alla prima parte di gara) effettuando tantissimi battimani e facendo sventolare discretamente le bandiere. Dopo un quarto d’ora espongono un altro striscione, molto lungo, sul loro modo di essere: “PASSIONE E APPARTENENZA. QUESTA È LA NOSTRA COERENZA”.
Quando mancano una ventina di minuti circa, la Viterbese raddoppia con Neglia, facendo pregustare una vittoria che manca in casa da un po’: le ultime due sconfitte casalinghe infatti, sono state contrassegnate da altrettante gare.
Anche i toscani, in questa seconda frazione, vanno un po’ meglio, facendo registrare qualche coro in più rispetto al primo tempo, ma permangono purtroppo tantissime pause per la stragrande maggioranza del tempo.
Dopo quattro minuti di recupero, finalmente arriva il fischio finale dell’arbitro che sancisce la fine delle ostilità. I giocatori delle due squadre vanno sotto i rispettivi settori (che si scambiano qualche altro coro amichevole fra loro), ricevendo gli applausi sia da una parte che dall’altra. Sotto il settore dei padroni di casa, ad esultare va anche il neo allenatore Puccica, vittorioso all’esordio. Non c’era miglior modo per iniziare.
Marco Gasparri.
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Viterbese-Lucchese 25-03-2017 Lega Pro Girone A
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Per gli amici questo e altro: Viterbese-Lucchese, Lega Pro Le dichiarazioni del vulcanico presidente della Viterbese Camilli, di voler lasciare il mondo del calcio a fine stagione, hanno scosso questa vigilia e lasciato un po’ di apprensione nell’ambiente laziale.
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