Tumgik
#praticamente siamo stati in piedi fino alle tre di notte
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finalmente visto palazzina laf ieri con i miei: il mio approfondito ed esauriente commento è il seguente: perfetto.
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sangha-scaramuccia · 4 years
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Il cammino della lana e della seta - 8
Il cammino della lana e della seta – 130 Km da Bologna a Prato.
L’idea di camminare per più giorni era nella mia testa, già da qualche tempo, e da Bologna a Prato non c’ero mai andata, neanche in macchina… E così, quando ho saputo da Teresa che c’era un posto libero (Grazia aveva rinunciato per una brutta tallonite), pochi giorni prima della partenza sono ufficialmente entrata nel gruppo “il cammino della lana e della seta”, già sapientemente organizzato, che il 17 agosto sarebbe partito alle ore 10 da piazza Maggiore, in Bologna, per raggiungere a piedi la città di Prato, in 6 giorni.
Teresa ha ottimizzato gli spostamenti così che, al termine del cammino, troveremo ad aspettarci la macchina, utilizzata fino a Prato, poi in treno per Reggio Emilia (ospiti di Paolo) e poi ancora treno fino a Bologna.
Preparo lo zaino cercando di mettere solo il necessario, ma scoprirò che si può fare di meglio, e parto per Magliano Sabina il 14 agosto, perché prima del cammino una bella uscita di arrampicata al Fosso dell’Eremo, con il Maestro Taino, ci sta proprio bene. La domenica mattina a casa dei Doc’s rimaneggio il bagaglio e tolgo già qualcosa, che lascio li. Prima di uscire pesiamo gli zaini: Teresa 7,5, Doc 8,5, Danila 8,5… si può fare!
Passiamo a prendere Massimo e partiamo per Prato, poi treno per Reggio Emilia dove Paolo viene a prenderci alla stazione. Una bella passeggiata a piedi per il centro storico, una pizza e poi a nanna che domani si comincia.
Entrando a casa di Paolo, ieri ho visto il suo zaino (piccolo e leggero). Così al mattino rimaneggio il mio lasciandogli alcune cose, che gentilmente mi porterà a Scaramuccia alla prossima sesshin. Per scaldare i muscoli andiamo a piedi alla stazione (40 minuti) e puntuali arriviamo a Bologna, in piazza Maggiore, dopo averla attraversata all’ombra dei caratteristici portici.
I camminatori (in ordine alfabetico) Andrea, Andreana, Anna, Carla, Claudio, Conci, Daniela, Elena, Giancarlo, Massimo S, Massimo, Paolo, Pierluigi, Piero, Roberto Doc, Roberto, Serena, Teresa, Vilma e la sottoscritta, sotto il caldo sole agostano, per via del ritardo di un treno, alle 11.45 partono per il cammino della lana e della seta.
Prima tappa, Bologna-Sasso Marconi, km 20 – dislivello +230 -200 mt. Dopo un giro in piazza Maggiore, Basilica di San Petronio, Palazzo del Podestà e Palazzo dei Banchi, andiamo verso la Torre degli Asinelli, percorrendo i numerosi porticati e ci dirigiamo verso la periferia dove sono visibili i canali che portano in città le acque un tempo utilizzate come forza motrice per muovere opifici idraulici, mulini e gualchiere e produrre quei tessuti, appunto, di lana e di seta che resero famosa la città. Arriviamo alla Chiusa di Casalecchio di Reno, attraversiamo il Parco della Chiusa, il bel Ponte sospeso di Vizzano, e costeggiamo il fiume Reno praticamente fino a Sasso Marconi, tutto in pianura, quasi tutto su asfalto e sotto un feroce sole che quando arriviamo alla “Locanda le tre virtù” di Sasso Marconi, finalmente decide di tramontare. Siamo tutti un po’ provati dal calore della giornata, in particolare per la mancanza di acqua da bere. Fa strano veder scorrere tanta acqua nel fiume e non vedere nemmeno una fontanella, eccettuata quella storica, a pompa, nel cortile di Palazzo de’ Rossi …ma una birra e una bella doccia ci rimettono in sesto consentendoci di camminare per altri 900 metri fino al ristorante per la cena, ammazza caffè e poi… nanna.
Seconda tappa, Sasso Marconi-Grizzana Morandi, Km 27 – dislivello +1400 -950 mt. Partenza ore 8.00 alla volta di Grizzana Morandi, bel paesino di media montagna dove a lungo soggiornò il pittore Giorgio Morandi. Per fortuna da Sasso Marconi lo zaino si è alleggerito perché Daniela ha trovato il modo di spedire da albergo ad albergo alcuni zaini/borse e… ne ho approfittato.  La via è sempre ben segnalata con piccoli cartellini rossi e bianchi che, come le briciole di Pollicino, ogni giorno ci conducono alla meta. Oggi si sale …e si prende un poco di pioggia. Prima una bella salitona nel bosco, fino alla cima di monte Baco, poi monte Caprara, sede di uno dei più grandi eccidi di civili da parte dell’esercito tedesco, durante la seconda guerra mondiale. Ormai ci sono solo i ruderi della frazione di Caprara, con una lacrima appesa per ogni abitante trucidato. Continuiamo il cammino attraverso il Parco storico di Monte Sole, vicino ai cunicoli e alle trincee della linea Gotica, che ospitò i soldati durante la guerra. Sosta al punto di ristoro, rigorosamente chiuso, poi fino alla cima del Monte San Salvaro, dove arrivo con fatica, per poi ridiscendere tra boschi e ulivi, fino al confortevole Hotel il Crinale, di Grizzana.
Terza tappa, Grizzana Morandi-Castiglione dei Pepoli Km 22 – dislivello +1100-1050 mt.  Dopo la salitona di ieri le gambe si fanno sentire e alle 8.30 partiamo in 18, Daniela e Andreana saltano la tappa. Anche oggi si sale e si scende. Ci dirigiamo verso Montovolo, su una carrareccia molto assolata, poi pieghiamo nel bosco e arriviamo a Burzanella, in tempo per vedere che il bar/alimentari ha appena chiuso. Va be’, ce ne facciamo una ragione, poi però, quando si riparte, sbagliamo direzione e facciamo nuovamente il giro. Ripresa la salita verso Ca’ terre Rosse, siamo rimasti in 16, Claudio ed Elena hanno trovato un passaggio in macchina;). Il percorso continua poi con una bella discesa fino al ponte sul torrente Brasimone, attraverso campi e sentieri costeggiati da rovi di more mature, e poi una bella salita finale, su asfalto, che ci sbriciola, arrivando all’albergo Il Ponte di Castiglione dei Pepoli alla spicciolata. La camera 322, al terzo piano senza ascensore, è il giusto finale di questa tappa… ma la cena e una buona dormita fa passare tutti i dolori.
Quarta tappa, Castiglione dei Pepoli-Vernio, km 20 – dislivello +800-1250 mt. Partiamo alle 8,30, oggi siamo 19, Claudio per via di un dolore alla gamba preferisce dirigersi direttamente a Vernio. Cominciamo con un bel sentiero nel bosco che ci porta fino al rifugio Ranuzzi e proseguiamo all’ombra dei faggi e dei castagni con scorci fiabeschi sulle valli sottostanti e piccoli borghi immersi nel verde. Siamo al confine tra l’Emila e la Toscana. Passiamo per Rasora, La Storaia, e troviamo un alimentari/bar che sta per chiudere ma… riusciamo a prendere una bella birra. Serena ci saluta, prende la corriera per Vaiano, e casualmente incontra Claudio. In 18 proseguiamo per Montepiano, con sosta caffè, poi un po’ di salita e di nuovo una bella discesa fino a San Quirico di Vernio. Lo strappo finale in salita per arrivare al B&B pozzo di Celle, viene ampiamente ripagato dal bagno in piscina tra gli ulivi, con vista sulla valle. Peccato che siamo stati divisi in due strutture e alcuni non hanno potuto godere della piscina.
Quinta tappa, Vernio-Vaiano, km 21 - dislivello +1000 -1100 mt. Dopo colazione salutiamo Anna e Andreana che interrompono qui il cammino, e in 18, anche oggi cominciamo in salita, su asfalto, ma al mattino la temperatura è accettabile. Attraverso sentieri e prati arriviamo prima a La Soda, e poi a Montecuccoli, con sosta al bar/ristorante, accanto alla Pieve di San Michele. Da qui ci dirigiamo sulla dorsale dell’appennino e la seguiamo fino al bivio per Sofignano. Il paesaggio è più arso e i sentieri pietrosi, attraversiamo in un sali e scendi dei boschi di conifere profumate dal calore del sole e tantissimi cespugli pieni di more. Poi cominciamo a scendere in un sentiero un poco angusto, con rovi ai lati, poi pietraia e Pierluigi cade a terra e si ferisce sul viso, ma il pronto intervento di Doc e del gruppo lo rimette in piedi in un battibaleno. Incontriamo una bellissima fonte d’acqua, dove più o meno ci immergiamo tutti. Poi ricomincia l’asfalto… il sole ...il caldo … ma arrivati a Vaiano, birra al bar e trasbordo in macchina fino al Podere le Figliule, vicino a Montecuccoli. Il posto è molto bello e il casolare, ben ristrutturato e accogliente, è posto sopra una collina verde, con cavalli e vista sulla valle. Dopo cena salutiamo Daniela e Elena, che dormono in un podere qui vicino e domani torneranno a Torino. All'aperto cerchiamo in cielo qualche stella cadente ma… il letto ci chiama e si va presto tutti a nanna.
Sesta tappa, Montecuccoli-Prato. Poiché il Podere prenotato per la notte trascorsa non è esattamente a Vaiano, bensì a metà strada tra Vernio e Vaiano, Paolo e Massimo hanno rielaborato il percorso dell’ultima tappa e non so bene quanti chilometri e quale sia il dislivello effettuato. Pariamo presto, dopo aver salutato Claudio, anche lui torna oggi a Torino. In 15 saliamo a Montecuccoli, poi di nuovo il sali e scendi fino al bivio per Sofignano, dove però andiamo dritti, fino al Passo delle crocette, per salire poi lentamente sul Monte Maggiore(955 mt). Arrivati in cima alcune mucche riposano al sole con intorno cavalli che brucano la poca erba arsa dal sole. Morbide colline scendono fino in pianura dove  in lontananza e molto in basso si vede Prato, nostra meta del cammino. Tutta una bella discesa, per la gioia delle ginocchia. Fortunatamente la Calvana la attraversiamo con un sentiero abbastanza ombreggiato, poi però tutto sole e asfalto per arrivare a piazza del Duomo a Prato, percorrendo la pista ciclabile lungo il fiume Bisenzio, che conduce alla porta Mercatale. La birretta dei saluti, dopo questa bella scarpinata, direi proprio che ci sta tutta e … anche delle vere patate fritte!
E stato bello camminare con voi e conoscervi un po’, giorno dopo giorno.
Alla prossima avventura, grazie a tutti,
Danila
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travel-addicted · 4 years
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Una regione grande quanto la Lombardia e un’immensa pianura salina desertica, il Pan, che si trasforma in una gigantesca laguna dal fondale basso ogni anno, nel corso della stagione delle piogge. Una distesa d’acqua di quasi 5.000 kmq brulicante di fenicotteri e pellicani per alcuni giorni è, nel resto del tempo, una superficie chiara, grigio-verde quando l’abbiamo vista noi, spesso bianca perché ricoperta di polvere gessosa, che sembra non finisca mai. Un paesaggio surreale, ma decisamente affascinante.
Etosha Pan dall’Etosha Lookout
I primi europei a prendere nota dell’esistenza di questa immensa distesa disabitata furono Charles John Andersson e Francis Galton, il 29 maggio 1851. La chiamarono Etosha, un termine che nella lingua oshivambo, parlata nell’area, significa “grande luogo bianco”.  Tantissimi animali che vivevano nel nord della Namibia, a partire dal 1881, furono eliminati e ciò portò all’istituzione della riserva nel 1907, quando il governatore dell’Africa sudoccidentale tedesca, il dottor Von Lindequist, si rese conto di dover arginare il problema delle uccisioni. Oggi, il parco naturale è una delle destinazioni più visitate e apprezzate dai viaggiatori che visitano il paese africano.
Circa 6 ore di viaggio, senza soste, separano l’ingresso orientale dell’Etosha dalle Popa Falls. La strada passa per Grootfontein e Tsumeb, l’ultima città in cui si possono fare provviste e acquistare il necessario per il campeggio. A Grootfontein, una cittadina coloniale il cui nome significa “grande sorgente” in afrikaans, le truppe tedesche costruirono un forte nel 1896 e trasformarono la città in un presidio militare. Attualmente, l’edificio ospita un museo che ripercorre la storia dei coloni e raccoglie ampie collezioni di manufatti e fotografie dei popoli Himba, Kavango e Mbanderu. Gli orari di apertura, però, non vengono rispettati e spesso il forte è chiuso quando dovrebbe essere accessibile, per questo noi non siamo riusciti a visitarlo.
A pochi chilometri dalla città, in fondo ad una strada sterrata che sembra porti nel nulla, si trova il frammento di meteorite più grande del mondo: 54 tonnellate, risalente a circa 80.000 anni fa e costituito per l’82% da ferro, venne scoperto nel 1920 vicino alla Hoba Farm. Nel 1955 venne dichiarato monumento nazionale per fermare i cacciatori i souvenir che ne staccavano impunemente pezzi come ricordo.
Hoba Meteorite
Gli ingressi all’Etosha National Park sono dei veri e propri punti di frontiera: si viene registrati, si compilano documenti e si paga il costo dell’ingresso e della permanenza all’interno del parco. Dopo i controlli, ci si inoltra nella savana lungo una strada asfaltata che corre tra gli alberi secchi del bush e lo spettacolo comincia: giraffe, zebre, antilopi sembrano essere ovunque lungo la via, quasi aspettino il visitatore per dargli il benvenuto (o fargli capire che è entrato in casa loro e lo terranno d’occhio).
Nel corso della stagione secca, gli unici luoghi dove gli animali possono trovare acqua sono le pozze alimentate da sorgenti naturali o create artificialmente. Questa è la caratteristica peculiare dell’Etosha Park e consente a chiunque di vedere con una certezza praticamente matematica tutti i più famosi e grandi animali che vivono nella savana: non serve percorrere le piste alla spasmodica ricerca dei big five o conoscere i luoghi in cui sono soliti andare a riposarsi, è sufficiente prendere in mano la mappa del parco e appostarsi ad una delle numerose pozze ricche d’acqua.
Qui è dove si incontrano branchi di elefanti che si abbeverano al tramonto accanto a gruppi di giraffe e antilopi, kudu solitari, piccoli gruppi di facoceri, leoni e leonesse con i loro cuccioli che dormono vicino alla pozza mentre, dall’alto, centinaia di zebre attendono il loro turno per potersi avvicinare senza pericolo. Insieme a veicoli carichi di turisti, che si fermano ad osservare queste scene di vita quotidiana.
Le strade secondarie del parco, facilmente percorribili anche se non asfaltate, ci hanno condotti fino a branchi di orici, gnu e zebre, così numerosi da riempire le piane, a gruppi di elefanti che si grattavano contro i tronchi di palme solitarie, ai Damara dik-dik, agli struzzi e a una famiglia di rinoceronti mimetizzata tra le acacie. Una quantità di animali mozzafiato e, alla fine della stagione secca, tutti accompagnati dai loro cuccioli: abbiamo visto piccoli leoncini giocare tra di loro, dik-dik in miniatura fermi a lato della strada in attesa della mamma, elefantini che si nascondevano tra le gambe delle madri, un cucciolo di rinoceronte accompagnato dai genitori, piccole zebre e giraffe. Lo spettacolo più bello a cui abbia mai assistito.
Cuccioli di leone
Antilope
Bucero dal becco rosso
Damara dik-dik
Sono stati tre giorni dei più stancanti, pronti per uscire dal cancello del campeggio all’alba e con l’obbligo di tornare al tramonto, ore passate a strabuzzare gli occhi alla ricerca degli animali più strani e a tentare di non rimanere senza fiato troppo a lungo ogni volta che ne vedevamo uno nuovo. Un’esperienza preziosa e stupenda, che mi ha fatta sentire “in gabbia” perché non potevo scendere dall’automobile se non tra le mura del camping e allo stesso tempo libera, perché potevamo girare nella terra dei leoni senza alcun limite e senza alcuna connessione con il mondo non essendoci la linea telefonica, pur trovandoci nella più frequentata destinazione turistica namibiana.
Informazioni pratiche:
Non esistono mezzi pubblici per raggiungere il parco e per visitarlo si è obbligati a disporre di un’automobile a noleggio o a prendere parte ad un viaggio organizzato. Tutte le piste sono percorribili con veicoli a due ruote motrici, per lo meno durante la stagione secca. Il limite di velocità è ovunque di 60 km/h.
Gli ingressi al parco sono quattro:
King Nehale Iya Gate, a nord.
Von Lindquist Gate, a est, che si raggiunge in circa 1 ora di strada da Tsumeb.
Andersson’s Gate, a sud, ad 1 ora da Outjo.
Galton Gate, a ovest.
All’interno del parco, si può pernottare nei sei campeggi e resort recintati gestiti dalla NWR. Sarebbe bene prenotare pure nel caso in cui si disponga di una tenda, perché anche le aree destinate al campeggio tendono ad essere sempre piene. Il vantaggio di dormire all’interno del parco, nonostante i costi siano più elevati, è la possibilità di cominciare la visita all’alba, prima dell’apertura dei cancelli esterni, indugiare alle pozze nei pressi del resort fino al tramonto e osservare gli animali che durante la notte si abbeverano nelle pozze illuminate a giorno e visibili dall’interno dei campi. Energia elettrica, carburante e acqua corrente possono improvvisamente mancare, quindi è meglio fare rifornimento appena se ne ha la possibilità e tenere sempre una scorta di acqua e cibo con sé.
Namutoni Rest Camp – lodge e campeggio. Vicino all’ingresso orientale, è contraddistinto da un inconfondibile forte tedesco imbiancato. Ha una piscina, un ristorante dove abbiamo mangiato, per cena, un ottimo orice alla piastra e piazzole erbose per mettere la tenda.
Halali Rest Camp – lodge e campeggio. E’ il campo centrale del parco e sorge tra affioramenti dolomitici. La sua attrattiva principale è la pozza d’acqua raggiungibile a 10 minuti a piedi dal lodge, illuminata a giorno dopo il tramonto.
Okaukuejo Rest Camp – lodge e campeggio. Vicino all’ingresso sud, è sede dell’Etosha Research Station e del principale centro visitatori.
Olifantsrus Rest Camp – campeggio. Situato nell’area occidentale, si trova in una zona recintata che un tempo era un sito di abbattimento selettivo degli elefanti.
Dolomite Camp – lodge. Nell’area occidentale chiusa per lungo tempo ai visitatori, è immerso nel paesaggio roccioso ed è un lodge di super lusso, con chalet dal tetto di paglia, alcuni dei quali dispongono di una piscina privata.
Onkoshi Camp – lodge. In fondo ad una pista accessibile solo agli ospiti del resort, situato su una penisola che si insinua nel pan, è il più lussuoso dei lodge presenti all’interno dei confini del parco.
Per maggiori informazioni e per prenotare: http://www.etoshanationalpark.org e http://www.nwr.com.na.
Etosha National Park, il grande luogo bianco Una regione grande quanto la Lombardia e un'immensa pianura salina desertica, il Pan, che si trasforma in una gigantesca laguna dal fondale basso ogni anno, nel corso della stagione delle piogge.
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giancarlonicoli · 3 years
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I tre anni di Cristiano Ronaldo alla Juventus sono stati un fallimento                   Giuseppe Pastore      
27 ago 2021
L'attaccante portoghese ha detto ai bianconeri che se ne andrà altrove. Lascerà una squadra peggiore di quella che aveva trovato nel 2018, quando prosperava la favoletta del “farà bene a tutto il calcio italiano”
Premessa. Come categoria dobbiamo innanzitutto ammettere a noi stessi che la Juventus gode diffusamente di un trattamento di favore che si motiva con l'enorme popolarità del bianconero, la notevole influenza politica della famiglia Agnelli e il fatto che la proprietà del club coincide con un'azienda che possiede un forte gruppo editoriale e ne sfama di pubblicità numerosi altri, evidentemente bisognosi di mantenersi a galla in questi tempi di vacche magrissime. Nulla di clamoroso e nulla di nuovo, essendo già capitato anche con la Fininvest e il grande Milan, la Pirelli e l'Inter di Moratti o i giornali di Urbano Cairo e l'attuale Torino. Ma Cristiano Ronaldo ha peggiorato la situazione: in questi tre anni è stato scritto e sostenuto prima l'improbabile e poi direttamente l'impossibile, anche a causa della nostra innata provincialità che ci ha mandato “in cimbali” – espressione bellissima, di un giornalismo da macchina da scrivere che non c'è più – al pensiero che il Re avesse scelto noi, proprio noi, come umili sudditi a rendergli omaggio con la faccia sotto i suoi piedi.
Fabrizio De André era stato fin troppo ottimista: in questa storia di amore perduto che forse non è mai iniziato, non resta nemmeno qualche svogliata carezza, figuriamoci un po' di tenerezza. Quello fa venire il suo agente a Torino e comunica (chissà con quale tatto) che non ha più intenzione di giocare per loro; quegli altri gli dicono di portare qualche offerta, possibilmente con parecchio denaro sonante, e togliersi dai piedi. Tutta la narrazione faticosamente impalcata per tre anni viene smontata in queste ore dalle indiscrezioni a mezzo Twitter, secche come note d'agenzia, prive di sentimento, svuotate di tutta la retorica che ci siamo auto-inflitti da luglio 2018. Uno sprofondare dolente come il video di No Surprises dei Radiohead, con Thom Yorke impotente mentre si lascia sommergere lentamente dall'acqua. Manteniamo allora anche noi l'asciuttezza che avremmo dovuto conservare fin da principio, e scriviamolo chiaro e tondo: i tre anni di Cristiano Ronaldo alla Juventus sono stati un fallimento su tutta la linea.
Il fallimento tecnico
L'operazione Ronaldo, fortemente avversata da Marotta che infatti è il primo a levare le tende dopo pochi mesi, nasce per placare un'ossessione agnelliana: la maledetta Champions League. Dopo le due sconfitte in finale nel 2015 e nel 2017, pochi mesi prima la Juventus è stata ghiacciata a domicilio da due pezzi di bravura di CR7: in particolare il secondo gol, la memorabile rovesciata del momentaneo 0-2, rimbomba ancora nelle tempie dei tifosi. La settimana successiva, la beffarda eliminazione del Bernabeu suggellata ancora da un rigore di Ronaldo al 97' convince la proprietà che il portoghese è l'unico tassello mancante per mettere le mani sulle Grandi Orecchie. Non sarà così: la Juve non si avvicina nemmeno alle semifinali ed esce con Ajax, Lione e Porto, tre squadre che non giocano nei top 4 campionati europei. I due scudetti 2019 e 2020 vengono celebrati con indifferenza fino a cacciare i due allenatori che li avevano vinti, perché l'animale che la Juve si porta dentro si mangia tutto il resto. La Signora cerca di cambiare, di adeguarsi al suo fuoriclasse: prende Sarri e lo rigetta dopo pochi mesi, promuove un improvvisato come Pirlo scoprendo che trattasi di errore madornale, nel frattempo si impoverisce in difesa, a centrocampo e pure in attacco, dove Ronaldo cannibalizza Dybala (fiaccato anche dagli infortuni) e accentra pesantemente la manovra. Al netto dei 101 gol in tre stagioni, 29 su rigore (CR7 ha sempre fatto molto bene i propri interessi), nel triennio di Ronaldo la Juve ha vinto meno che nel triennio precedente: due scudetti contro tre, una coppa Italia contro tre, zero semifinali di Champions contro una finale.
Il fallimento economico
È vero che in questi tre anni la Juventus ha incrementato il fatturato, è cresciuta sui social e nelle sponsorizzazioni e ha fatto un salto di qualità internazionale come appeal, ma a che pro? I bilanci si sono gonfiati e ingolfati come la proverbiale rana di Esopo e le operazioni fantasiose non si contano, dall'affaire-Rovella con il Genoa allo spericolato scambio Pjanic-Arthur con un Barcellona conciato ancora peggio di lei. Se è stato piazzato qualche buon colpo isolato, comunque non certo al risparmio (De Ligt, Chiesa, McKennie che peraltro è anche lui sulla lista dei partenti perché uno dei pochi con cui si riesce a fare cassa), la carestia e il Covid hanno portato a operazioni francescane come il recente richiamo all'ovile di Perin, Rugani e De Sciglio o il simbolico acquisto di Ramsey. I cambi dirigenziali degli ultimi mesi e il profondo restyling consigliato dalla famiglia dopo il definitivo pastrocchio della Superlega chiamano in causa direttamente Agnelli, che nell'ebbrezza di essere il proprietario di Ronaldo non ha fatto bene attenzione agli amici di cui si circondava, scaricando Ceferin con modalità da commedia all'italiana e saltando trionfalmente sul carro di Florentino Perez, che ad aprile piangeva miseria e oggi è lì che continua a rilanciare su Mbappé, mentre la Juve ha faticato anche a comprare Locatelli. Soprassediamo su dirigenti dal ruolo incomprensibile come Pavel Nedved, che da mesi è lì solo per fare figuracce: appena domenica scorsa aveva confermato Ronaldo in diretta tv (“Va via? Assolutamente no”), e del resto a maggio aveva dichiarato che Pirlo “rimane certamente”.
Il fallimento mediatico
Il più doloroso. Il piano prevedeva che Ronaldo diventasse il simbolo di una Juventus più moderna, più europea, meno speculativa, insomma più sexy, passando dalla Champions League (maledetta, sempre lei) ma non solo. Invece Cristiano non si è mai sforzato di imparare l'italiano né di diventare uomo-squadra - ma questo bisognava aspettarselo, dato che vive talmente fuori dal mondo e oltre le regole che non è mai riuscito a diventarlo in nessun luogo. Media compiacenti hanno smorzato i suoi numerosi fuori pista, dalla querelle giudiziaria per il presunto stupro della modella Kathryn Mayorga alle violazioni della quarantena e della zona rossa, le illazioni familiari sui premi non vinti, i ripetuti gesti di insofferenza verso compagni e allenatori, il gestaccio verso i tifosi dell'Atletico Madrid nella sua unica grande notte da re in bianconero, la grande illusione del 12 marzo 2019 quando aveva rimontato praticamente da solo i colchoneros di Simeone. Certamente la Juve ha fatto poco per essere all'altezza di uno dei primi cinque calciatori di tutti i tempi, numeri e palmares alla mano; ma Cristiano ha trattato la Juve come una sua dépendance, un'azienda succursale inferiore alla propria. Infine l'ultimo schiaffo: tenere la Juventus sulla corda fino al 26 agosto. Tanto, quei 783 gol in carriera non sono stati segnati con lo stile, che c'entra poco anche nel racconto delle sue cinque Champions League e dei cinque Palloni d'Oro. Ci sono anni di lavoro, tenacia, persistenza, una testa da alieno, un fisico sovrumano: l'eleganza può aspettare. Così come ha aspettato lui, tutta l'estate, che si manifestasse un'offerta degna del suo status.
Al 27 agosto 2021 siamo all'assurdo che in parecchi sostengono che da oggi la Juve, finalmente sbarazzatasi di Ronaldo che è andato al Manchester United, sia diventata più forte tecnicamente ed economicamente. È un assurdo solo apparente: probabilmente è proprio così, del resto è proprio questa la certificazione di un flop. Eppure anche oggi viene assai usata la sordina assolutrice: “In fondo la Juve potrà risparmiare 60 milioni lordi di ingaggio anticiperà di un anno il processo di ricostruzione e così andrà su Kean e Scamacca”, pietose bugie che mascherano un fallimento bilaterale, come certe sciagurate trattative politiche che alla fine, quando implodono in due secondi come un brutto castello di carte, lasciano tutti più spazientiti, più infelici e più incazzati al pensiero di tutto il tempo sprecato per nulla. In Italia Ronaldo non lascia eredi, non lascia solchi da seguire, ma solo un individualismo sempre meno sopportabile. Il suo ultimo pallone toccato in Italia è il gol annullato per cinque centimetri a Udine: triste metafora di una festa fatta troppo in anticipo. Lascia una Juve peggiore di quella che aveva trovato nel 2018, quando prosperava la favoletta del “farà bene a tutto il calcio italiano”. Un calcio italiano che difatti, prima di salutare il suo Re Nudo, in una sola estate ha perso Lukaku, Donnarumma, Hakimi, De Paul eccetera.
C'è molta acrimonia in queste righe, è vero: in alcuni passaggi sembra quasi di sentire un sottofondo di pernacchie. Un sentimento comprensibile verso chi era atteso a ben altri traguardi, strombazzati con una boria che poteva presagire solo sventure. E questa è la morale che riesce a sopravvivere al calcio più scialacquatore di sempre: si può essere inadeguati anche se ci si chiama Juventus, anche se ci si chiama Cristiano Ronaldo.
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inciampando · 5 years
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Lo sapevi che Ortigia e Siracusa sono la stessa cosa? O meglio, che l’isoletta di Ortigia, collegata alla terraferma da due ponti, è in realtà il centro storico di Siracusa?
E lo sapevi che viaggiare da sola a Siracusa è una delle cose più semplici e più rilassanti che io abbia mai fatto? Ma non solo io!
Stavolta questo post lo scriviamo a 4 mani io ed Elisa. Io infatti sono stata a Siracusa da sola a Luglio e vorrei tornarci presto, mentre Elisa è stata lì ad Agosto.
La sensazione di pace, serenità e bellezza che si prova passeggiando per le viuzze di Ortigia è proprio quello che ci vuole quando ti senti sopraffatta dalla vita.
Come al solito però, andiamo con ordine, e vediamo di stilare un piccola guida per godersi Ortigia e la città di Siracusa per un week end o anche solo per 24h!
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Duomo di Siracusa
Fontana di Diana
Piazza Duomo
  COME ARRIVARE A SIRACUSA E ORTIGIA
Se partite dalla Sicilia o dal sud dell’Italia arrivare a Siracusa sarà semplicissimo, vi basterà un treno o una macchina direzione Siracusa. Elisa per esempio è partita da Palermo, in auto, ed in meno di tre ore era già ad Ortigia. Io sono andata col treno, facendo solo un cambio alla stazione di Catania. Se invece arrivate in aereo, l’aeroporto più vicino è quello di Catania, da lì troverete treni e bus che in poco tempo vi permetteranno di raggiungere la città di Siracusa.
Dalla stazione centrale di Siracusa all’isola di Ortigia potete prendere un bus navetta, o un taxi oppure, se amate camminare, in 15 minuti a piedi avrete oltrepassato i due ponti e sarete a destinazione. Io ovviamente ho fatto così.
DOVE DORMIRE E DOVE NO
In totale, io ed Elisa abbiamo testato 3 posti. Io ho dormito per tre notti in un bnb che non raccomando assolutamente se volete dormire in santa pace. Si chiama “A due passi da Duomo B&B” e le camere sono praticamente sopra un pub dove c��è confusione fino almeno alle 3 di notte. Dormire è impossibile. Dopo due notti lì sono andata per altre due notti all’Hotel Posta e mi sono trovata benissimo. Le ragazze alla reception gentilissime e sempre a disposizione h24, la colazione ottima (ancora sogno la loro torta al cioccolato fatta in casa) e la camera era pulitissima e con tutti i comfort.
Elisa invece ha alloggiato presso “Casa Vacanze Simopiero” e si è trovata anche lei molto bene. I proprietari di casa sono stati super gentili e disponibili e lei ha avuto la possibilità di lasciare i bagagli anche dopo il check out e riprenderli comodamente prima di ripartire.
Ad Ortigia scegliere un b&b o un hotel per la posizione è quasi inutile visto che tutto è davvero vicino e bastano 10 minuti per trovarti ovunque tu voglia. Fai più attenzione ai dettagli; per esempio se la zona è tranquilla, la pulizia, la cortesia degli host. Sono queste cose che renderanno migliore il tuo soggiorno.
COME MUOVERSI AD ORTIGIA E SIRACUSA
Ortigia, come ti dicevo, è talmente piccola che si gira a piedi e la maggior parte dell’isola è pedonale o zona ZTL. E poi perdersi nei vicoli di questo isolotto è parte fondamentale dell’esperienza. Se invece volete andare a Siracusa ci sono diverse navette che partono dal belvedere, accanto la Fonte Aretusa, e il biglietto (al costo di 1 euro) si fa direttamente a bordo (portatevi le monete).
Se vuoi andare al Centro Commerciale di Siracusa allora, sempre da belvedere, puoi prendere una navetta completamente gratuita che ti accompagna comodamente in 20 minuti circa.
Attenzione ai posteggi e alla ZTL così come a noleggiare un’auto da quelle parti. Prezzi sopra la media.
DOVE MANGIARE AD ORTIGIA
Il cibo è una cosa seria, e da siciliana non posso accettare che qualcuno mangi un finto cannolo o una granita scadente! Ecco quindi dove abbiamo mangiato io ed Elisa  e come ci siamo trovate.
‘Osteria “La Casa di Carlo”. Trovata per caso, spulciando mille recensioni su google, in una viuzza solitaria di Ortigia si arriva davvero a Casa di Carlo. Un localino forse un po’ anni ’80, a conduzione familiare e dalla cucina ottima. Io ho mangiato polpo e pasta alla siracusana. Davvero tutto buonissimo. Dimenticate i ristoranti sfarzosi e i menu a prezzo fisso da turista. I prezzi eccezionali, abbiamo speso tra i 17 ai 22 euro a testa con antipasto, primo o secondo e bevande.
Elisa invece si è innamorata del ristorantino “Le Comari INN”. La cucina è eccezionale e ben curata anche esteticamente, con abbinamenti degni di una cucina moderna nonostante l’utilizzo di ingredienti della nostra cucina tradizionale. Perfetta anche per chi preferisce una cucina veg. Io so già che lo proverò quando tornerò ad Ortigia. I prezzi sono assolutamente proporzionati alla qualità del posto.
Per l’aperitivo invece ti consigliamo entrambe il lido “Zefiro” che contrariamente all’aspetto del posto, ha prezzi ragionevoli, si beve bene e lo staff è gentilissimo. E poi si vede un tramonto che ciao.
Il gelato artigianale? Da Gusto! Provato e approvato da Elisa.
E se voglio mangiare al mercato? Ci sono tantissimi posti per qualunque palato al mercato, di giorno, io mi sono innamorata dei Fratelli Burgio e dei loro panini gourmet. Una delizia. Hanno anche tantissimi taglieri, proposte veg, birre artigianali e i ragazzi dello staff sono davvero gentili e simpatici.
Per la colazione abbiamo due proposte, anzi tre: io ho fatto colazione al bar di fronte la Fonte Aretusa, mangiando un dolce che non conoscevo: una specie di mega brioches (non cornetto, brioches) ripiena di una crema al cioccolato da svenimento. Purtroppo non ricordo il nome, ma se andate alla Fonte Aretusa ve lo trovate proprio lì, impossibile sbagliare. Elisa invece ha fatto colazione al “Bar Viola” e si è trovata super bene, prezzi eccezionali. In più ha preso caffè e dolcetto alle mandorle al bar “Fiumecaffè” ed era tutto ottimo.
Altro posticino delizioso per un pranzo veloce? Il “Piccolo Bistrot”, conduzione familiare, cucina e prezzi ottimi. Provato e approvato da Elisa. (E siccome siamo due mangione, puoi fidarti di noi!)
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  COSA VEDERE AD ORTIGIA E SIRACUSA?
Tutto. Davvero, non perderti nulla. Se proprio però dobbiamo fare una lista, ecco le cose che secondo noi non possono sfuggirti:
Il quartiere ebraico con via della Giudecca, le sue chiese un tempo sinagoghe, i vicoli che diventano sempre più piccoli.
Il Duomo di Siracusa che un tempo entra un tempio. All’interno si vedono ancora le vecchie colonne che reggevano la struttura. Poi è arrivata la chiesa e ha fatto “tutto mio tutto mio”.
La Fonte Aretusa, con le sue carpe, le papere ma soprattutto la pianta di papiri. Lo sapevi che Siracusa è l’unico posto in Europa dove si coltiva e si lavora ancora il papiro? Ora lo sai.
La fontana di Diana, stupenda.
Il castello Maniace, da tutte le sue angolazioni.
il museo di Leonardo ed Archimede, con tutte le loro folli macchine da provare. Gestito da donne e perfetto anche per i bambini, con uno spazio interattivo tutto dedicato a loro.
Il parco archeologico di Siracusa, con i suoi graffiti ancora scolpiti nelle rocce, il teatro greco e l’orecchio di Dioniso. (Ogni prima domenica del mese l’ingresso è gratuito).
E comunque, il nostro consiglio è sempre lo stesso, PERDITI.
Se vuoi vedere le nostre stories in giro per Ortigia trovi le mie (Giuliana) cliccando qui, e quelle di Elisa cliccando qui.
Se invece vuoi dare un occhio a tutte le guide di viaggio pubblicate finora, clicca qui.
    Inciampando a Siracusa: in giro per Ortigia Lo sapevi che Ortigia e Siracusa sono la stessa cosa? O meglio, che l'isoletta di Ortigia, collegata alla terraferma da due ponti, è in realtà il centro storico di Siracusa?
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