Tumgik
#contadini del mare
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Contadini del mare (Vittorio De Seta, 1956)
85 notes · View notes
sacredwhores · 5 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Vittorio De Seta - Sea Countrymen (1955)
25 notes · View notes
frnndlcs · 8 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Contadini del mare, Vittorio De Seta, 1955
3 notes · View notes
Text
Ortona
Una città “dalle sere dolci e profumate come quelle d’Oriente”
(Gabriele D’Annunzio)
Questa città ha una storia tutta da scoprire, dove leggende tramandate nel tempo si mescolano alla vita di tutti i giorni e sanguinose battaglie e saccheggi distrussero tanto davvero troppo tra le vie di questa cittadina.
In passato la città era completamente circondata da una cinta muraria trecentesca e al suo interno era suddivisa tra Terra Vecchia, ovvero la zona dove abitavano i pescatori e i marinai e dove si svolse la terribile Battaglia del dicembre 1943, e Terra Nuova, una zona costituita per lo più da orti e campi. Parlando di Terra Vecchia bisogna considerare un aspetto molto singolare che i pescatori avessero lì le loro casette colorate tra quelle viuzze strette nella parte alta della città e non sulla costa vicino al porto e che per raggiungere le loro imbarcazioni percorressero degli scalini che collegano ancora oggi queste due zone; inoltre bisogna dire che il porto un tempo non era situato dove lo troviamo oggi ma si trovava più vicino al Castello Aragonese quindi sotto la cosiddetta Pizzuta.
Proprio dietro al faro dell'attuale porto, dove si trova anche una statua di San Tommaso che accoglie i marinai, c'è una piccola spiaggetta di pietre nominata la spiaggetta della Ritorna perché con l'avvicinarsi del maltempo le mogli dei pescatori (ed anche secondo un'altra leggenda una principessa) urlavano e pregavano «ritorna» ai loro amati.
Percorrendo le viuzze di Terra Vecchia possiamo notare un arco in pietra tufacea, il materiale di cui sono costutuite le scogliere, una casa lasciata così com'era di cui si può scorgere il colore originale attorno alla finestra e una casa che venne distrutta dalle bombe che si trova (ironia della sorte) nella piazzetta dedicata alla convivialità nominata dell'Allegria.
Per quanto riguarda il commercio bisogna dire che Ortona aveva un commercio comune con Venezia di stoccafisso e baccalà, che un tempo era il pesce dei poveri e dei contadini.
Tumblr media Tumblr media
Terra Vecchia ha termine dove è situato Palazzo Farnese, costruito nel 1584 venne comprato dalla Madama (Margherita d'Austria) insieme a tutto il feudo di Ortona e le vennero affidati anche i restanti feudi abruzzesi che amministrò con grande maestria.
Tra i personaggi illustri di Ortona che possiamo nominare ci sono due membri del Cenacolo Michettiano: Basilio Cascella (seppur nato a Pescara) e il compositore Francesco Paolo Tosti.
Pertanto a fine 800 Ortona vive di riflesso del Cenacolo Michettiano e vengono costruite case in stile liberty.
Proprio a Ortona è stato composto il nostro "inno" abruzzese per la gioventù "Vola Vola Vola " a cui a Porta Caldari è dedicata una fontana.
Vulesse fa' r'venì pe' n'ora sole
Lu tempe belle de la cuntentezze
Quande pazzijavame a vola vola
E te cupria de vasce e di carezze
E, e vola, vola, vola, vola, vola E vola lu pavone Si tiè lu core bbone Mo' fammece arrepruvà
...
Tumblr media
Percorrendo la passeggiata orientale che costeggia la costa e qualche viuzza raggiungiamo affacciato sul mare il Castello Aragonese che esternamente si presenta intatto ma all'interno possiamo notare essere rimaste in piedi solo alcune mura e torrette. La sua storia è un continuo trasformarsi: da alcuni resti romani venne costruita poi una fortezza che in seguito venne utilizzata per scopi militari, per poi venire acquistata facendola diventare un palazzo signorile con all'interno un meraviglioso giardino all'inglese.
Tumblr media
È arrivato il momento di fare una visita al museo dedicato alla Battaglia di Ortona tra civili e soldati canadesi contro le truppe tedesche, ma intanto possiamo già rinvenire delle tracce di questo sanguinoso scontro in un vicolo della città dove possiamo ancora leggere una scritta che indicava il coprifuoco: "il coprifuoco per tutte le truppe alleate è alle 21:00" e affianco possiamo notare dei fori nel muro causati dalle schegge delle granate esplose e dai proiettili.
Il Museo della Battaglia conserva oggetti e foto che testimoniano i giorni del violento scontro urbano del dicembre 1943, ciò che caratterizza questa guerra è essere stata principalmente una guerra di "propaganda" e poco utile invece a fini strategici, anche se comunque molto sanguinosa essendosi svolta casa per casa.
I civili vennero fatti sfollare dalle truppe tedesche ma non tutti fuggirono decidendo di nascondersi nelle cantine delle loro case ma perdendo così la vita.
Ortona ha ottenuto la medaglia d'oro al valore civile perché durante il conflitto ci si è aiutati l'un l'altro civili e soldati canadesi.
Tumblr media
I tedeschi tra le altre cose distrussero anche la torre dell'orologio, una delle due torri della Cattedrale di San Tommaso, per evitare fosse un punto di avvistamento.
Ma perché proprio a Ortona?! Semplice, perché è qui che il Re Vittorio Emanuele III di Savoia fuggì durante la seconda guerra mondiale imbarcandosi appunto al porto di Ortona verso Brindisi; ed è qui che si trovava la Linea Gustav.
Tra gli oggetti presenti nel museo possiamo soffermarci su tre in particolare:
I papaveri ricamati sulle vesti dei soldati canadesi e delle crocerossine, che indicavano la loro morte in battaglia essendo i papaveri rossi come il sangue;
Varie radioline e giradischi militari con cassa perché anche i soldati avevano bisogno di qualche momento di svago;
Una foto particolarissima, una foto di un banchetto di natale realizzato durante la guerra per i soldati circondato da firme, firme dei soldati sopravvissuti sia canadesi che tedeschi come inno alla pace, a testimoniare che fare la guerra non conviene.
Tumblr media Tumblr media
Ora è sufficiente uscire dal museo e svoltare verso la costa per raggiungere la Cappella del Crocifisso Miracoloso. Un tempo chiamato monastero di Sant'Anna questo luogo è testimone di antiche storie di fede, mare, corsari saraceni e leggende anche culinarie.
Era il luogo di fede in cui vivevano e pregavano del monache di clausura. Si narra che un giorno mentre pregavano l'affresco del crocifisso iniziò a gettare sangue dal costato, questo venne considerato un miracolo ma anche simbolo di presagio di un'imminente tragedia. Il sangue miracoloso venne raccolto in due ampolline, di cui una si trova a Venezia e l'altra è rimasta in questa Cappella ad Ortona rinchiusa in una teca (che viene messa in mostra il secondo venerdì del mese).
Il presagio era reale infatti dalla costa arrivarono le vele dell'ammiraglio della flotta ottomanna Piyale Paşa che iniziarono a distruggere tutto. Gli abitanti di Ortona fuggirono nelle campagne ma le monache di clausura non poterono abbandonare il monastero e restarono a pregare, le loro preghiere forse le salvarono perché Ortona viene nuovamente distrutta ma i nemici non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi al monastero e alle suore di clausura perché una fitta nebbia ricoprì questo luogo come a renderlo invisibile e inesistente.
A questo luogo e alle monache di clausura sono legate anche altre due leggende di cui una è solamente la visione della realtà in chiave magica e fantasy poiché le monache di notte per lavare i panni si recavano alla fonte vicina facendosi luce nel buio e da allora quella fonte venne chiamata la fonte delle fate. Mentre l'altra è legata alla nascita del dolce tipico di Ortona: le nevole (da non confondere con le neole o ferratelle abruzzesi), dolce che appunto secondo questa leggenda è stato creato dalle monache di clausura che un giorno avendo finito le ostie presero gli ingredienti che avevano e unendoli e cuocendoli con il ferro per le ostie diedero vita alle nevole, la cui ricetta prevede solamente mosto cotto, arancio autoctono dal sapore dolceamaro e olio d'oliva (alcuni pasticceri del posto aggiungono anche della cannella).
Tumblr media
La Cattedrale di San Tommaso, un tempo Cattedrale di Santa Maria Vergine, custodisce le reliquie dell’apostolo San Tommaso e la sua pietra tombale dove viene ritratto l'apostolo e che presenta due fori uno per inserirvi un bastoncino di incenso e l'altro per inserirci degli oggetti che successivamente venivano recuperati intrisi dell'energia sacra per poter ottenere cure miracolose, infatti sia la pietra tombale che le reliquie stesse dell'apostolo sono importanti non per il loro aspetto fisico materiale ma per l'energia fortissima dell'anima che emana il corpo del santo apostolo, un'anima che è stata così vicina a Cristo nei suoi giorni in Palestina.
Tumblr media
Spero questo riassunto vi abbia fatti viaggiare insieme a me alla scoperta di questa città abruzzese e ringrazio per la visita guidata i Compagni d'Avventura e Ortona Welcome
6 notes · View notes
Text
C’è soluzione a questo? A volte incontro dei contadini che parlano un’altra lingua. Li fermo, chiedo dei campi. Loro mi dicono che non lavorano nei campi. Mi dicono che sono operai, di Santiago o dei sobborghi di Santiago, e che non hanno mai lavorato nei campi. C’è soluzione a questo? A volte la terra trema. L’epicentro del sisma è a nord o a sud, ma io sento la terra tremare. A volte ho le vertigini. A volte il terremoto dura più del normale e la gente si mette sotto le porte o sotto le scale o esce di corsa in strada. C’è soluzione a questo? Vedo la gente correre per le strade. Vedo la gente entrare nella metropolitana e nei cinema. Vedo la gente comprare il giornale. E a volte tutto trema e per un attimo si ferma ogni cosa. E allora mi domando: dov’è il giovane invecchiato?, perché se n’è andato via?, e a poco a poco la verità comincia a venire a galla come un cadavere. Un cadavere che sale dal fondo del mare o dal fondo di un burrone. Vedo la sua ombra che sale. La sua ombra vacillante. La sua ombra che sale come se risalisse la collina di un pianeta fossilizzato. E allora, nella penombra della mia malattia, vedo il suo volto feroce, il suo dolce volte, e mi domando: sono io il giovane invecchiato? È questo il vero, il grande terrore, essere io il giovane invecchiato che grida senza che nessuno lo ascolti? E se il povero giovane invecchiato fossi io? E allora passano a una velocità vertiginosa i volti che ho ammirato, i volti che ho amato, odiato, invidiato, disprezzato. I volti che ho protetto, quelli che ho attaccato, i volti da cui mi sono difeso, quelli che ho cercato invano.
E poi si scatena la tempesta di merda.”
(Roberto Bolaño, “Notturno cileno”)
Nasceva il 28 aprile 1953 Roberto Bolaño.
8 notes · View notes
venetianeli · 2 years
Text
LA FESTA DE SAN MARTIN
de Daniele Marcuglia
‘Sta festa xe senpre stada par i contadini tanto particolar, parché xe proprio a San Martin che se vedéa se vegnéa o no rinovài i contrati agrari; jera cioè l'11 de novenbre che 'na fameja podéa védarse rinovà el proprio contrato o no.
Se el paron no li tegnéa là, la fameja ghe tocava ciapar sù tute le so robe e abandonar la tera e la casa indove che i jera stai fin a chel momento là; 'sta trista operassion vegnèa ciamada apunto "far Sanmartin".
Da notar come 'na roba quasi conpagna la fusse presente 'na volta anca in cità, no solo in canpagna, e anca fora dal Vèneto, tanto che a Milan, par esenpio, i faséa scader i contrati de afito el dì 29 settembre, festa de San Michele Arcangelo, tanto che ne i dialeti lonbardi l'espression "fa San Michèe" la vol dir proprio "traslocare, cambiare casa forzatamente".
Se par la fameja invesse el rinovo del contrato el jera 'ndà ben, se podéa festegiar col dolse contadin tìpico del periodo che sarìa la pinsa, difati el proverbio prevede: A San Martin 'a pinsa so 'l larin, o anca copando l'oca o co le nosse de la propria fiola, da cui se dise: A San Martin se sposa la fiola del contadin.
Soratuto nel Venessian, xe tutora difusa l'usanza del dolse tìpico, el cavalo de San Martin, un dolse de pasta scura, sagomada drio la figura de un cavalier con la spada sora el cavalo, rafigurassion tìpica del santo.
Par finir i "riti" de San Martin, ricordemo che in 'sta ricorensa de sòlito vegnéa inbotilià el vin novelo, da cui un altro proverbio dise: A San Martin el mosto se fa vin.
Tuti 'sti lavori che i rientra nel mondo de l'agricoltura i xe de sòlito colegài a l'imàgine de bel tenpo che se dovarìa catar in 'sti zorni, la famosa istà de San Martin.
Conta infati la legenda che San Martino a cavalo el gavesse incontrà un poareto che in 'sto periodo de novenbre el tremava par el fredo che za ghe jera e che alora el santo, ciapà da la conpassion, el gavesse tajà el proprio mantelo co la spada per dàrghelo a 'sto poro omo parché el se scaldasse.
A védar quel gesto el Signore el ga vossùo premiar 'sta assion e quindi se dise che ogni ano a San Martin el fredo se ferma per lassarghe spassio al ritorno de 'na istà picenina.
‘Na tradission difusa in area vèneta e soratuto venessiana par la festa de San Martin la xe quela de la questua de i tosatèi par le strade o par le cali che i canta in coro de le cansonete come 'sta qua: "San Martin l'è 'ndà in sofita a catar la so novissa, la so novissa no ghe gera, San Martin l'è cascà col cul partera".
‘Ste usanse le se conserva in qualche caso anca ai nostri dì, come par esenpio ne la parochia venessiana de San Martin, nel sestier de Castelo, dove la tradission va 'vanti ano dopo ano e ansi 'desso anca le scuole, oltre a la parochia, i se ga dà da far par proporghe ai tosati 'sta particolar forma de questua; l'ùnico canbiamento con la tradission xe che mentre 'na volta i putèi se tegneva le oferte, 'desso tuto el ricavà ghe vien spedìo ai cèi pi desfortunài ne le tere de i missionari.
La stessa inissiativa la xe 'ncora presente anca ne la vissina cità lagunare de Ciosa, dove i testi dele canson de questua che dise i putèi par le cali le fa sentir sùbito l'imàgine caraterìstica de Ciosa, co i so bragossi adoperài ogni giorno da i pescatori de Ciosa: "Semo giunti rivai col mio bragosso, del mare in porto sempre el daradosso; San Martin xe stà che n'à portào, e a sto castelo el fero a 'mo butào".
Ghe xe anca in 'sta tradission la minacia schersosa par chi che no ghe dà la mancia ai questuanti, dove che se proclama adiritura de volerghe brusar la casa de i proprietari: "In sta casa ghe xe de tuto, ghe xe el so belo e ghe xe el so bruto, se no ne darè i caponi brusaremo anca i paroni".
Par quel che riguarda i piati tìpici, nel Veronese xe tradission magnar a San Martin el galeto par inprìmar el novo ano agrario. El galeto vien fato de sòlito in tocio, cioè in ùmido, e el vien conpagnà da patate e fete de polenta da tociar nel condimento stesso.
Nel Venezian ghemo visto che se costuma magnar el caval de San Martin, che al dì de unquò el xe pien de confeti, ciocolata, sùcaro colorà, caramele e ciocolatini.
‘Na volta invesse i costumava ne le canpagne vènete de pareciar el "vin coto" che se faséa metendo a bójar el vin 'pena fato con sùche, peri e pomi cogni, come che me ga dito 'na siora:
“A San Martin se faséa el 'vin coto', che no el xe el brulè, se faséa bójar el vin 'pena fato co' dentro tòchi de suca marina, pomi cogni, peri e el bojeva fin che la vegnèa 'na spece de marmeata, e i ghe la dava anca ai tosati..."
La pararìa proprio la riceta originale de la preparassion de la mostarda, dita cussì parché la vegnéa parecià col mosto stracoto dentro del quale vegnéa messi i tòchi di fruta.
da Quatro Ciàcoe
9 notes · View notes
Text
GOOD EVENING!
BUONA SERATA!
Guarda "I VECCHI (ASSOLO LIVE VERSION)" su YouTube
youtube
Tumblr media Tumblr media
I vecchi sulle panchine dei giardini
Succhiano fili d'aria a un vento di ricordi
Il segno del cappello sulle teste da pulcini
I vecchi mezzi ciechi
I vecchi mezzi sordi...
I vecchi che si addannano alle bocce
Mattine lucide di festa che si può dormire
Gli occhiali per vederci da vicino
A misurar le gocce
Per una malattia difficile da dire...
I vecchi, tosse secca che non dormono di notte
Seduti in pizzo a un letto a riposare la stanchezza
Si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
I vecchi senza un corpo
I vecchi senza una carezza...
I vecchi un po' contadini
Che nel cielo sperano e temono il cielo
Voci bruciate dal fumo
E dai grappini di un'osteria...
I vecchi, vecchie canaglie
Sempre pieni di sputi e consigli
I vecchi senza più figli
E questi figli che non chiamano mai...
I vecchi che portano il mangiare per i gatti
E come i gatti frugano tra i rifiuti
Le ossa piene di rumori
E smorfie e versi un po' da matti
I vecchi che non sono mai cresciuti...
I vecchi, anima bianca di calce in controluce
Occhi annacquati dalla pioggia della vita
I vecchi soli come i pali della luce
E dover vivere fino alla morte
Che fatica...
I vecchi, cuori di pezza
Un vecchio cane e una pena al guinzaglio
Confusi inciampano di tenerezza
E brontolando se ne vanno via...
I vecchi invecchiano piano
Con una piccola busta della spesa
Quelli che tornano in chiesa lasciano fuori bestemmie
E fanno pace con Dio...
I vecchi, povere stelle
I vecchi, povere patte sbottonate
Guance raspose arrossate
Di mal di cuore e di nostalgia...
I vecchi sempre tra i piedi
Chiusi in cucina, se viene qualcuno
I vecchi che non li vuole nessuno
I vecchi da buttare via...
Ma i vecchi... i vecchi
Se avessi un'auto da caricarne tanti
Mi piacerebbe un giorno portarli al mare
Arrotolargli i pantaloni
E prendermeli in braccio tutti quanti...
Sedia, sediola... oggi si vola...
E attenti a non sudare...
Tumblr media Tumblr media
6 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
La Coop I portici. Un residuato della vecchia Orsini-Magelli già attiva ai primi del 900. Questa storia meglio forse rappresenta quella che per me è stata l'esperienza con l'università. Io venivo da Recanati, mio nonno faceva parte della generazione dei metalmezzadri, i contadini diventati operai che lavoravano in fabbrica e staccato il lavoro davano una mano nei campi. Le marche si sono arricchite rapidamente, in meno di 200 anni sono passate da regione agricola e a regione con un relativamente denso tessuto industriale. L'Emilia Romagna, no, Forlì no. C'è uan ragione per cui la pianura padana è il posto più inquinato d'Europa. Quasi 180 anni di industria. E Forlì è stato uno dei primi posti ad essere preso. In piena pianura, il materiale era facilmente trasportabile per terra o dal vicino mare. Intorno alla fabbrica allora nascevano condomini e stormi di persone che andavano e venivano in bicicletta dalle campagne ogni giorno. Si andava per un lavoro assicurato, per la paga e per lavorare sotto un tetto, tutte cose che nei campi mancavano. Ma quello che i campi ti davano ( oltre che una incostanza nelle sementi) era la vita di campagna. Nelle città che questi mostri creano\craeavano non potevi fare casino, non c'erano balli che non fossero di comune accordo, non c'erano cani che potessero abbaiare più di un certo grado, e in una parola, non c'era la terra che potevi chiamare casa. Perchè questa in una parola è stata la rivoluzione industriale: prendere un lavoro sicuro in cambio dell'abbandonare l'incertezza della vita contadina. Cosa c'entra questo con la vita universitaria? Tutt'oggi molti ragazzi, ed ex colleghi della facoltà che si sono laureati e non hanno cambiato corso fanno: I passacarte, i membri in qualche commissione Ue, i giornalisti, I rappresentanti, i responsabili relazioni estere in qualche piccola azienda. Se vieni qui è questo quello che tu sei supposto imparare. Anni di studio, orario di ufficio e spesso una vita all'estero, che sembra la cosa più figa del mondo finché non la fai e scopri che a tutto c'è un prezzo. Per me, e parlo solo per me, io quei lavori e quell'ufficio erano le cose che ero venuto ad apprendere li. E ci ho messo quasi 10 anni a capire che l'instabilità per me è qualcosa che mi da gioia invece che preoccupazione. E credo sia questa in fondo la funzione dell'università, e specie, del decennio 20-30, capire cosa davvero si vuole fare nella vita al di là delle cose che ci vengono insegnate.
2 notes · View notes
esamedistato2024 · 2 months
Text
Paul Gauguin (1848-1903)
Vita e stile
Gaugin fu un grande viaggiatore tra l'Europa, il Sud America, l'Oceania, in particolare Tahiti, per cercare nuove espressioni in un mondo culturalmente diverso, come l'arte medievale e la vita contadina, le stame giapponesi... Fa uso di un colore materico, vivace, quasi espressionista. A 17 anni cominciò già a viaggiare per mare, prima come marinaio, poi come militare di leva. Lavorò poi come agente di cambio, ma abbandonò l'impiego per via di una crisi economica. Questo gli permise di dedicarsi solamente alla pittura.
Volendo scappare dalla vita frenetica, soffocante, piena di aspettative si strasferisce in Bretagna, poi si imbarca per Panama. Dopo ever soggiornato brevemente con Van Gogh, si trasferi a Tahiti, per poi tornare dopo due anni a Pont Avent. Morì in prigione per essersi opposto alle politiche razziste del governatore francese.
L'onda
Tumblr media
L'onda, è un olio su tela, dipinto da Gauguin nel 1888. L'artista ha reso con immediatezza l'effetto della corrente  attraverso le pennellate lineari, che disegnano gorghi e movimenti dell'acqua. Nel confronto con una stampa di Utagawa Hiroshige, con un paesaggio marino, si nota la ripresa dei motivi lineari. Hiroshige usa una linea di contorno molto sottile, che tende a 'ritagliare le forme'. Gauguin però non usa le sfumature e i colori delicati di Hiroshige, ma grandi zone piatte e colori contrastanti e innaturali: acqua verde e gialla, spiaggia rossa. Le due figure in alto, sono solo una citazione e sembrano delle cifre. Gauguin non trasmette un'immagine realistica, ma un'immagine emozionale, come un sogno o un ricordo, in cui la realtà  è stravolta dal sentimento dell'artista. Qui la protagonista è l'acqua, ma anzichè offrire una sensazione di serenità , di distensione come l'acqua vista dagli impressionisti e in particolare da Monet, suscita un'idea di forza immensa, incontenibile, violenta. Ricollegandosi a un tema caro al Romanticismo, l'acqua rapresentata in questo dipinto di Gauguin racchiude la simbologia della forza degli elementi, visti come potenze misteriose e un'ammirazione  mista a un timore primitivo.
Il cristo Giallo
Tumblr media
Un crocifisso con la figura di Cristo si staglia in primo piano contro il paesaggio della campagna bretone. La croce è costruita con semplici assi squadrate. La figura di Cristo è essenziale, legnosa e realizzata con forme semplici e un po incerte. I suoi piedi sono sovrapposti e posano su di una piccola mensola fermati da un grosso chiodo metallico. Ai piedi della croce vi sono alcune contadine bretoni in abito tipico, con cuffia bianca, ampio abito scuro e grembiule. Un prato in discesa viene interrotto da un muretto a secco scavalcato da un uomo. Alcuni alberi punteggiano i confini dei campi e in lontananza si alzano le colline dai profili ondulati. Tra gli alberi si intravedono alcune abitazioni sparse sul declivio. Il cielo azzurro è sgombro di nubi.
Paul Gauguin nei dipinti realizzati a Pont-Aven rappresentò la semplice religiosità della tradizione contadina delle genti bretone, a nord di Parigi. L’artista in fuga dalla civiltà e dalle difficoltà esistenziali si rifugiò nella società arcaica e semplice della campagna come farà in seguito presso le isole della Polinesia francese. Con il giallo che colora il corpo di Cristo, Paul Gauguin volle, forse, simboleggiare il dolore umano. Sicuramente l’artista utilizzò più volte la figura di Cristo con il quale si immedesimava per esprimere la propria sofferenza esistenziale. Inoltre il giallo è lo stesso colore utilizzato per descrivere i campi di grano che possedeva un profondo significato religioso. Il ciclo di crescita del grano, fonte di vita, era paragonato al ciclo religioso della vita di un cristiano. Cristo partecipa quindi tramite questo riferimento cromatico alla vita quotidiana dei contadini.
Ne il Cristo Giallo le forme sono semplificate e costruite mediante campiture monocromatiche o debolmente chiaroscurate. Una spessa linea di contorno permette poi di distinguere chiaramente le figure dallo sfondo. Gauguin si ispirò alla tecnica utilizzata nelle vetrate medievali detta cloisonnisme. Il chiaroscuro sopravvive con alcune tracce di ombra di colore verde e molto chiare sul corpo di Cristo e sui volti delle contadine.
I colori utilizzati da Paul Gauguin per Il Cristo giallo hanno un debole riferimento con la realtà. Sono infatti colori simbolici utilizzati per rappresentare lo stato d’animo dell’artista più che per descrivere obiettivamente la realtà. Lo stesso colore del Cristo è quanto di più lontano ad un corpo crocifisso. Il giallo acceso infatti è distribuito su tutta la pelle e si estende abbondantemente nel paesaggio sui campi e sulle colline. Le chiome degli alberi sono color arancione e solo qualche porzione di collina è colorata di verde.
Le donne indossano il costume tradizionale, nero, bianco e dai grembiuli colorati. Gauguin non costruisce la scena utilizzando il chiaroscuro e quindi un’illuminazione realistica. Le figure e le varie parti del paesaggio sono rivelate attraverso contrasti di colore e linee di contorno. Sui corpi delle donne, soprattutto in primo piano, rimane qualche accenno a zone di ombra e di luce che sembra provenire da destra.
Le figure delle tre contadine creano la dimensione dello spazio nel primo piano grazie alla prospettiva di grandezza. Inoltre la sensazione di profondità è sottolineata dalla sovrapposizione dei loro corpi che rinforza la comprensione delle dimensioni spaziali. Il resto del paesaggio contribuisce a descrivere lo spazio in lontananza anche grazie alla progressiva riduzione delle dimensioni degli alberi. Paul Gauguin in questo dipinto come nella sua produzione più matura rifiutò l’uso della prospettiva geometrica. Si tratta infatti di uno strumento lontano dalle esigenze dell’artista di creare arte primitiva, utile a descrivere le tradizioni popolari.
0 notes
copihueart · 2 months
Text
Pensieri di Primavera
Il sentiero conservava una castità antica, lasciava spazio ai davanzali dove sbocciano i gerani, si perdeva lento creando una sottile linea tra i filari di cipressi che segnavano il passaggio. Era questo il suono dei vicoli, dove le case si affacciavano con una affezione particolare, invadendo i marciapiedi con le loro ombre e i mattoni scoperti acquistavano nuova dignità baciati dal sole del meriggio. Una gazza padrona si dissetava alla sorgente, interrompendo con le sue ali il flusso della luce e scendevano lente contro i vetri le luccicanti stille lasciate dagli insetti in successione. Poi si apriva improvvisa la pianura, con la sua fragranza di vaniglia e il sentore asciutto delle nebbie e l’aria pulita chiamava a se la primavera penetrando nell’ingenuità degli ammiccamenti delle fronde e dei rami intrecciati nei loro abbracci. In lontananza le colline disegnavano i loro monili nella rifrazione del giorno e le canne palustri nel diradarsi lasciavano intravvedere un turacciolo a galleggiare nella corrente del fiume. Il fiume nel suo arto tortuoso sembrava voler leggerci dentro il cuore e scorreva impetuoso tra le rocce fino a voler dormire su di un materasso di foglie nella calma pensierosa del formarsi di acquitrini e pozze quasi alla fine della sua corsa.
Così il bosco rivelava i suoi rumori, permeando delle sue osservazioni il senso dell’udito, era tutto un brulicare di rovi, di fioriture che si accavallano durante il giorno, di allusioni nel passaggio strisciante di piccoli animali e di silenzi inconsueti a presagire l’arrivo di un viandante.
Avrei cercato in quelle partiture la quiete notturna, la statica abitudine dei monti che si stagliavano rigidi in lontananza sfregiati dal biancore della luna e il borbottio incessante delle acque abbandonate all’indistricabile gracidare delle creature dell’oscurità. Quale fanatico lavoro la natura doveva compiere per mantenere in armonia tutto ciò, mentre l’eco delle voci e il frastuono penetravano profondi solleticando l’impalcatura delle terre arate e dell’erba rigogliosa spremuta contro il cielo. Se poi a lungo e inutilmente quel sapiente bisturi delle stelle ti versava addosso lo splendore del suo manto sfiorandoti con la sua incalzante marea, ti sarebbe sembrato di non avere più tempo per goderti quello spettacolo.
Lentamente, lasciata indietro ogni radura i steli inservienti, devastati dalla stanchezza delle fungaie e dei fiori selvatici ti invitavano a seguirli, scambiandosi monotone formule di sopravvivenza, a seguire il commento musicale delle innumerevoli specie di uccelli che sembravano voler imitare la colonna sonora di un film.
Era la vastità degli spazi, dove sempre più sparute vegliavano le case isolate e le cataste di legna ammucchiate per l’inverno , che ti davano il senso di quella lieve luminosità che avvolgeva il tutto, nel riverbero lasciato dagli stampi dei tronchi a marcire, come se il respiro bruciasse tra le fiamme dei falò accesi dai contadini per dar fuoco alle sterpaglie.
A voler proseguire oltre i campi di lavanda, un tappeto di lucciole marcava il territorio con mille lumini incandescenti disegnando un carosello di luminarie a splendere nel tepore della sera e la prodezza impudente dei girasoli percuoteva il vento pieno di richiami, che nel suo desiderio impetuoso si faceva largo nei territori oltre le lande perenni e punti isolati del finir della boscaglia.
Come nel fondale di una piazza cambiava il paesaggio, sparpagliando quella brace di nuvole minacciose che s’inseguivano scontrandosi, dietro la lunga impronta degli zoccoli dei cavalli e degli animali al pascolo e nel riverbero del tramonto finalmente si intravvedeva il mare, che affondava le sue mani tra le dune creandosi un varco, con i suoi grandi baffi di schiuma e le sue onde nello scompiglio concitato lasciato a vegliare sulla riva.
Potevi finalmente con la scia dei tuoi occhi ammirare quella nuova e indescrivibile confusione di richiami festosi che la natura ti aveva donato e lo sfarfallio leggero della neve che presto sarebbe giunta a coprire le barche ammucchiate nel porto, a rischiarare debolmente i sacchi di paglia della tua anima che adesso saltellava dalla gioia perchè in quell’enorme labirinto di trincee costruito dagli uomini c’era ancora spazio per quell’ambiente naturale da preservare, dove poter vivere in simbiosi.
0 notes
luigidalise · 7 months
Text
Tumblr media
Le marine sono luoghi di frontiera tra terra e mare. Sono confini materiali e mentali, con le loro comunità e le loro storie: permettono agli uomini di ascoltare nuove lingue, di assorbire nuove culture. Tante suggestioni, ieri sera, evocate nel corso della presentazione dell’Agenda della Penisola Sorrentina, scritta da Nino e Federico Cuomo, ed edita da Nicola Longobardi. Come quelle degli armatori contadini, delle sirene del Vervece, del grido di Alimuri, della chiesa del Cantone, della fede che sempre sostiene la gente di mare. Il viaggio continua
0 notes
beppebort · 11 months
Text
Tumblr media
Le parabole raccontano Dio
(Mt 13,1-23)
"Uscì di casa e si sedette in riva al mare". La Parola di Dio, perché Gesù è la Parola vivente di Dio, entra nei luoghi della quotidianità: la casa e il luogo del lavoro; la pianura e il mare, dove lavorano i contadini, i pastori e i pescatori. La Parola entra nei luoghi della vita, all'aria aperta, sul litorale del mare, sui campi di grano, sulle colline delle viti.
Gesù parlava alla vita e raccontava. Raccontava parabole, storie. Ecco, mi piace questo modo di raccontare di Gesù. Anche perché proprio questo suo stile creava problemi, faceva questione. "Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Perché parli loro in parabole?".
E voglio fermarmi sul verbo "parlare", "raccontare", perché a volte viene usata un’altra parola, "insegnare". Matteo dice: parlò, raccontò. Perché il modo di parlare di Dio è un raccontare? Forse perché l'insegnamento può diventare arido, astratto, fuori della vita, fuori della casa. Perché la chiesa oggi parla raramente con le parabole?
Ho avuto la fortuna di conoscere sacerdoti e anche vescovi che parlavano con parabole. Ho conosciuto in Calabria il vescovo Giancarlo Bregantini. E ci fu un altro vescovo, Tonino Bello, in Puglia, che incantava con le sue preghiere, quasi poesie. Anche Don Bosco lo faceva raccontando i suoi sogni che colpivano la fantasia e il cuore dei suoi ragazzi. Sono rarità purtroppo.
La parabola è il modo privilegiato di raccontare Dio e la vita, perché la parabola è come un esempio che illumina, così tutto diventa chiaro. Quando uno parla in parabole non definisce, non dice tutto: non dice "è, è così e basta”. Ma dice semplicemente: è "come", il regno di Dio è come un seminatore, è come il granello di senapa, è come una perla, è come una rete gettata in mare.
Come se dicesse: è così, ma è anche altro... altro che ancora rimane nascosto. Pensate la diversità tra una chiesa categorica e dogmatica che dice "è, è così", e una chiesa delle parabole, che dice: "è come...". C'è un abisso, l'abisso tra il dire gelido e il raccontare appassionato. La differenza tra il dire: "Dio è, Dio è l'essere perfettissimo" e dire: "Dio è come un padre che aveva due figli". C’è un brivido di luce. E poi c'è tutto il mistero da attraversare, come un mare infinito da solcare.
La Sacra Scrittura, mi dicevano gli insegnanti di teologia, preferisce il velo del simbolo o della parabola; dicevano che di Dio non si può parlare che con rispetto e tremore, e per accenni, come di "Qualcuno" che in tutto ci supera. Gesù stesso non toglie questo velo. Lui che è il Figlio ci parla del Padre ma con parabole, fino al giorno in cui ci parlerà apertamente di Lui e lo vedremo.
Questo giorno non è ancora venuto. Abbiamo ancora tante cose oscure e camminiamo talvolta nella notte della fede. E mi viene da pensare che è proprio una pretesa la nostra, di noi che abbiamo un Dio che parla in parabole, e dice: "e come se", e noi che abbiamo la pretesa di dire "Dio è, è così". Noi abbiamo e coltiviamo la pretesa di parlare per definizioni.
La parabola fa parlare la vita. Guardiamo la vita per parlare di Dio. Gesù guardava il seminatore e il suo gesto senza misura, e diceva: c'è qualcosa di Dio in quel gesto smisurato. La vita non è vuota, non è assenza: c'è qualcosa di Dio nella vita.
Allora raccontiamo Dio con parabole e poesia come faceva Gesù.
(don Paolo Zamengo SDB)
0 notes
lamilanomagazine · 1 year
Text
Italia: le mete da non perdere nel mese di Giugno
Tumblr media
Italia: le mete da non perdere nel mese di Giugno. Giugno è il mese ideale a livello climatico per visitare le meravigliose regioni del "Bel Paese". Ci sono diversi vantaggi per chi sceglie di andare in vacanza a Giugno: è bassa stagione, quindi per chi ha un budget limitato è il periodo giusto per risparmiare e godersi le vacanze all'insegna della tranquillità, evitando la calca delle classiche vacanze del mese di Agosto. Se state cercando delle località in Italia, tra mare, laghi , valli e antichi borghi ecco alcune mete che vale la pena visitare. Trentino Alto Adige: VAL SENALES Fattorie e masi centenari possono essere visitati con un’escursione. Durante le visite guidate conosceremo la storia di questi antichissimi masi e impareremo a conoscere la vita dei contadini di montagna. Consigliatissimo il Monte Santa Caterina o l’ex complesso monastico di Certosa di Senales in compagnia di una guida, dove sin possono scoprirete tante curiosità interessanti. Anche il santuario di Madonna di Senales e la piccola cappella a Vernago meritano di essere viste. Tappe d’obbligo nella valle sono anche il Castel Juval, residenza estiva del noto alpinista Reinhold Messner, e il luogo del ritrovamento di Ötzi, la mummia del ghiacciaio. Toscana: ISOLA D'ELBA Chi pensa all’Elba pensa mare, sole e spiagge ma si sbaglia di grosso. Certo, è innegabile che l'isola sia caratterizzata da innumerevoli spiagge bagnate da un incantevole mare, ma ciò non toglie che le cose da fare e vedere sono molte di più delle numerose e bellissime spiagge. Una storia ultramillenaria  trasforma l’isola d’Elba in un concentrato di storia, arte e cultura. Senza dimenticare la grande natura dell’isola che regala escursioni meravigliose, dalla vetta del Monte Capanne alle cave minerarie del versante orientale. Inoltre l'arcipelago toscano è costituito da altre perle situate nel mar Tirreno: a cominciare dall'isola del Giglio, passando per Pianosa, ex carcere di massima sicurezza, fino alla leggendaria isola di Montecristo, resa famosa dal celebre romanzo di Alexandre Dumas. Insomma. Una vacanza all’Elba è un’esperienza che vi lascerà a bocca aperta e soprattutto adatta a tutti: a singoli viaggiatori; a chi viaggia in coppia per una vacanza romantica; alle famiglie con bimbi, e a quelle desiderose di assicurare un po’ di libertà in più ai propri ragazzi. Sicilia: PALERMO e dintorni Si tratta di una città meravigliosa, ricca di chiese, edifici storici e opere d’arte. Per questo motivo nel 2015, il centro storico della città è stato dichiarato patrimonio dell’Unesco. Trascorrere qualche giorno a Palermo e i suoi dintorni a Giugno, può essere la scelta ideale per chi ha voglia di visitare la città e le sue ricchezze artistiche e storiche, senza soffrire il caldo delle alte temperature estive; al tempo stesso godersi un pò il mare e la spiaggia evitando l'affollamento del periodo ferragostiano. Da non perdere nei paraggi di Palermo è l'escursione a Segesta, Erice e Trapani, 3 luoghi interessantissimi dal punto di vista storico della Sicilia occidentale. Questo itinerario viene anche chiamato Strada degli Elimi, che prende il nome dall'antica popolazione abitante in questa parte della Sicilia. Un filone della tradizione antica li considerava profughi da Troia. Scopri qui altre mete in Italia: mare, laghi , valli e antichi borghi che vale la pena visitare.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Costiera amalfitana e la storia di un progetto che mette al centro i pescatori
Ha un brand e un logo il progetto "Cetara Contadini Pescatori" - Gal Terra Protetta (protagonista della storia di oggi), che coniuga le due anime del piccolo borgo marinaro della Costiera amalfitana: le attività del mare sposano quelle della terra, alla pesca di alici e tonno - e alla loro trasformazione – c'è da sempre accanto il lavoro contadino, quello eroico, che si svolge nei tipici terrazzamenti strappati alla montagna e custoditi da macere di pietra, un habitat naturale necessario alla preziosa coltivazione del limone sfusato amalfitano. Parliamo di Costiera amalfitana La costiera amalfitana è una delle destinazioni turistiche più famose e affascinanti d'Italia. Situata nella regione Campania, a sud della città di Napoli, la costa si estende per circa 50 chilometri, dal golfo di Napoli al golfo di Salerno, ed è caratterizzata da scogliere a picco sul mare, pittoreschi paesi di pescatori, spiagge e baie nascoste. La costiera amalfitana è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1997, grazie alla sua bellezza naturalistica e alla sua importanza storica e culturale. La regione è stata abitata sin dal periodo preistorico, e la sua posizione strategica nel Mediterraneo ha fatto sì che fosse sede di diverse civiltà, tra cui i greci, i romani e i bizantini. Intervista a Claudia Bonasi, responsabile della comunicazione del progetto "Cetara Contadini Pescatori" Conosciamo meglio questo importante progetto tramite le parole di Claudia Bonasi, responsabile della comunicazione del progetto "Cetara Contadini Pescatori": Chi sono i protagonisti di questo progetto? Nel progetto sono coinvolte le imprese CE.TOUR S.A.S. (capofila), TAFURI SIMONA, ZUPPARDI LUIGI SANDRO, GESTHOTEL S.R.L., TORRENTE’S S.R.L., SAN PIETRO S.R.L., CIANCIOLA S.R.L.S., RISTORANTE ACQUAPAZZA S.R.L., impegnate da diversi mesi nella formazione - sia in aula che in esterna - che le renderà protagoniste di un prodotto di Storyliving Experience, che farà la differenza nel mercato di appartenenza.  Costiera amalfitana: cosa c'è dietro il nuovo logo? Il concept mare/monti è bene esplicitato soprattutto per contribuire alla diffusione in loco del turismo esperienziale: il giallo dei limoni, l'onda del mare, il verde delle coltivazioni, l'azzurro del pesce. Il tutto viene "sintetizzata" all'interno del nuovo logo in grado soprattutto di poter far capire a tutti l'importanza e la portata di questo progetto. Qual è, quindi, il concept dietro il nuovo logo? Il brand e il logo, che da oggi in poi rappresenteranno sotto un unico 'cappello' le imprese cetaresi impegnate nel progetto "Cetara Contadini Pescatori", sono ampiamente condivisi da tutti i partecipanti alla formazione che hanno analizzato le diverse proposte illustrate da Alessia Benincasa consulente nell'abito della comunicazione food e agroalimentare che, in anteprima assoluta, aveva presentato alla Bitesp - Borsa Internazionale Turismo Esperienziale Turismo, tenutasi a Venezia a fine novembre scorso, il progetto "Cetara Contadini Pescatori", che aveva riscontrato un certo interesse tra gli operatori turistici che cercano significative ed esclusive esperienze di nicchia da offrire alla propria clientela. Read the full article
0 notes
Tumblr media
NAUFRAGI (Erri De Luca) Nei canali di Otranto e Sicilia, migratori senz’ali, contadini di Africa e di oriente affogano nel cavo delle onde. Un viaggio su dieci s’impiglia sul fondo, il pacco dei semi si sparge nel solco scavato dall’ancora e non dall’aratro. La terraferma Italia è terrachiusa. Li lasciamo annegare per negare. NATALE (Erri De Luca) Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini. Lo scalderà il vapore della sala macchine. Lo cullerà il rollio del mare di traverso. Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una fortuna, suo padre l'angelo di un'ora, molte paternità bastano a questo. In terraferma l'avrebbero deposto nel cassonetto di nettezza urbana. Staccheranno coi denti la corda d'ombelico. Lo getteranno al mare, alla misericordia. Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri. Lo possiamo aspettare, abbracciare no. Nascere è solo un fiato di aria guasta. Non c'è mondo per lui. Niente della sua vita è una parabola. Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell'infanzia, poi i chiodi nella carne. Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei che non hanno portato manco un vestito e un nome i marinai li chiamano Gesù. Perchè nascono in viaggio, senza arrivo. Nasce nelle stive dei clandestini, resta meno di un'ora di dicembre. Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri. Nasce in mezzo a una strage di bambini. Nasce per tradizione, per necessità, con la stessa pazienza anniversaria. Però non sopravvive più, non vuole. Perchè vivere ha già vissuto, e dire ha detto. Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi nelle tempie. Sta con quelli che vivono il tempo di nascere. Va con quelli che durano un'ora. #ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #poesia #errideluca (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/CoodPRqIH1O/?igshid=NGJjMDIxMWI=
0 notes
giudittapills · 1 year
Photo
Tumblr media
Mi pareva strano che non mi capitasse, da queste parti. Alla fine, è successo: mi sono innamorata. E l’ #amore fa bene: rende liberi e belli (vedi foto n.1, in cui sembro una diva, ma la posa non è una posa, bensì un fermo immagine di uno di quei momenti in cui mi dimeno per evitare un obiettivo). #Viaggiare è vivere, come diceva quell’anello che ho portato a lungo, regalatomi da una cara zia. Viaggiare è vivere e vivere - dico io - va fatto con #passione. Innamorarsi, così, sarà possibile. Dei luoghi, soprattutto. Della loro luce e del loro genius, con forza. È successo, dunque, per un’isoletta “qualunque” e fuori mano, nella provincia dell’altrimenti turisticissima #Krabi. Noi stessi ci siamo arrivati per caso: i piani erano altri e li abbiamo cambiati alla cieca. Ci siamo ritrovati cosi in un posto piccolo piccolo, fuori dal mondo, dove il tempo di chi vi abita è fermo a 30 anni fa e dove il tempo di chiunque vi arrivi si congela; un luogo semplice, fatto davvero di poco, dove i suoni forti sono di mare, scimmie, uccelli coloratissimi, contadini che lavorano, foglie. Le persone, le poche che ci sono, amano i silenzi. Ci ho messo piede, ho sentito il muezzin chiamare per la preghiera, ho visto la marea abbassarsi fino a mangiarsi tutto il mare e mi sono sentita a casa. Ho provato nostalgia per altri posti amati. Ho camminato per ore sulla spiaggia, fatto la lavatrice dalla sciura del self service all’aperto sulla strada, riflettuto sul fare benza al distributore più bello mai visto, discusso con i pochissimissimi turisti presenti, persone speciali che da trent’anni la frequentano e la tengono un po’ per sè, come si custodisce un vero amore e come faremo anche noi. Anche qui abbiamo salutato varani, evitato serpenti e trovato una bella festa di paese fatta di partite di calcio in sequenza, fra squadre giunte anche dalle isole vicine. Ci siamo proprio resi conto che la vita è l’istante esatto che viviamo e che - se quell’istante ci piace - dovremmo fare di tutto per farlo durare sempre. Andarsene da posti così è difficile. L’unico modo è allontanarsi, facendo progetti per tornare. #giudittapills #thailandia #geniusloci #instagood #travelphotography (presso Krabi Province) https://www.instagram.com/p/CmUFNUIv8Yp/?igshid=NGJjMDIxMWI=
0 notes