Tumgik
#e fuori è buio
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Ahh quelle labbra..🥰
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angelodrogato · 1 month
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Mi vedono da fuori che sto spingendo,
Chi mi è vicino vede che sto reggendo,
Ripeto nella testa che ci sto credendo,
Ma dentro, ogni giorno, sto cedendo.
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immensoamore · 10 months
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Haragei è una parola Giapponese che non esiste forse in nessun'altra lingua al mondo e anche tradurla è un affare molto complicato.
Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello. Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo. Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi.
Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo.
Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c'è qualcuno come noi..
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angelap3 · 1 month
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Non la leggerà nessuno...è troppo lunga
Noi siamo nel nostro corpo e anche fuori. Non c’è nessuno che raccoglie il sudore con cui abbiamo aperto la portiera di una macchina in un pomeriggio estivo, non c’è nessuno che conserva lo sguardo con cui abbiamo guardato un cane in un’alba invernale. La nostra vita non ha un dio che la segue e neppure un dio che la precede. Si svolge in disordine, nel disordine delle altre creature. Da qualche parte c’è un albero che potrebbe rimproverarci di avergli staccato una foglia in un momento di distrazione. Non ricordiamo il nome di un vecchio che davanti a una fontana riempiva una bottiglia d’acqua. Non c’è un deposito per queste scene.
Ora ho il cuore come un pulcino e la punta si solleva, si apre, come se potessi nutrirlo di qualcosa. Posso solo scrivere, caro mio cuore, non posso darti altro a quest’ora. Sono le due di notte, non posso chiamare nessuno. Qui non ho neppure la connessione, non posso connettermi con qualche nottambulo in rete. Domani mattina, se vuoi, possiamo andare in un paese. Facciamo quello che abbiamo fatto sempre. Io guardo e tu se vuoi mi fai paura, mi fai credere che ti stai spaccando, lo hai fatto tante volte. La morte passa per il cuore. O forse sei tu caro mio cuore a passare per la morte e io ti seguo mentre fingo di fare la mia vita, io sto con te, cerco di proteggerti perché sei tu che mi fai camminare, sei tu che ti gonfi nell’amarezza e ti fai timido nella gioia. Ora io potrei dormire, lasciarti solo in questa stanza. Non so cosa fai di notte quando non ci sono, quando mi giro nel letto per finire un sogno. Io e te insieme non abbiamo risolto niente, non ci siamo dati nessuna felicità, l’abbiamo sempre evitata. Io e te quando stiamo con gli altri siamo a disagio, perché parliamo tra di noi e non con loro. Ora tu sei diventato una ripida salita e vorresti che io salissi fino in cima. A volte ti fai lago con un mulinello in mezzo. E mi ricordo di quando stavi appoggiato al centro di una ragnatela. In macchina, quando prendevo un fosso, temevo che potessi cadere, come se nel corpo ci fosse il vuoto, come se avessi solo te caro mio cuore nel mio corpo. Per farti spazio me ne sono uscito pure io dal mio corpo, non so quando è accaduto. E non ho lasciato entrare niente, è un cinema senza sedie il mio corpo, una chiesa senza banchi. Sei di nuovo deluso questa sera, lo so, tu ti fai sempre deludere. La realtà non è il tuo posto, non so se il tuo disagio dipende da come marcia il mondo, penso che sia per altro, e non lo sappiamo né tu né io cosa sia.
Ora mi fai male o sono io che ti faccio male. Io so che non sei un muscolo ma una bestia. Chi vede in me una bestia è perché sta vedendo te. Io quando scrivo cerco di farti vedere, mi piace esporti ma non ci riesco. Come si fa a dire quello che sento adesso sulla tua punta, un misto di amaro e debolezza, una crepa e un coltello, tu sei una voragine con me dentro. Ma ogni cuore ha un peso, ogni cuore si strofina a un muro, ogni cuore ha un buio alle sue spalle che nessuno illuminerà mai. I cuori sono come i paesi, non ce ne sono due uguali. Comunque dovremmo farcela ad arrivare fino a domani e può darsi anche che ci sia il sole. Lo so che il sole ti piace e ti fa stare tranquillo. Non saremo felici, stanne certo, ci sarà sempre qualcuno che proverà a incentivare la nostra pena, a sminuire la gioia appena accenna a prendere corpo. Non sono paranoico, credimi, è che forse io e te non stiamo bene insieme, sappiamo solo spiarci, siamo troppo gelosi uno dell’altro. Ora non so più che dirti, che dire. Non ti so dare una soluzione, un luogo, una vita che ci possa esaudire. Posso darti la mia impazienza come tu mi dai la tua. So che fino a quando moriremo sarà sempre così, non avremo pace. E va bene, lo abbiamo detto, lo abbiamo ripetuto, chi voleva saperlo lo ha saputo...
Franco Arminio (Lettera al mio cuore)
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crazy-so-na-sega · 2 months
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L’idea che il sionismo sia un colonialismo di insediamento non è nuova. Gli studiosi palestinesi che negli anni ’60 lavoravano a Beirut nel Centro di Ricerca dell’OLP avevano già capito che quello che stavano affrontando in Palestina non era un progetto coloniale classico. Non inquadravano Israele solo come una colonia britannica o americana, ma lo consideravano un fenomeno che esisteva in altre parti del mondo, definito come colonialismo di insediamento. È interessante che per 20-30 anni la nozione di sionismo come colonialismo di insediamento sia scomparsa dal discorso politico e accademico. È tornata quando gli studiosi di altre parti del mondo, in particolare Sudafrica, Australia e Nord America, hanno concordato che il sionismo è un fenomeno simile al movimento degli europei che hanno creato gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Questa idea ci aiuta a comprendere molto meglio la natura del progetto sionista in Palestina dalla fine del XIX secolo ad oggi, e ci dà un’idea di cosa aspettarci in futuro.
Credo che questa particolare idea degli anni ’90, che collegava in modo così chiaro le azioni dei coloni europei, soprattutto in luoghi come il Nord America e l’Australia, con le azioni dei coloni che arrivarono in Palestina alla fine del XIX secolo, abbia chiarito bene le intenzioni dei coloni ebrei che colonizzarono la Palestina e la natura della resistenza locale palestinese a quella colonizzazione. I coloni seguirono la logica più importante adottata dai movimenti coloniali di insediamento, ossia che per creare una comunità coloniale di successo al di fuori dell’Europa è necessario eliminare gli indigeni del Paese in cui ci si è stabiliti. Ciò significa che la resistenza indigena a questa logica è stata una lotta contro l’eliminazione e non solo di liberazione. Questo è importante quando si pensa all’operazione di Hamas e di altre operazioni di resistenza palestinese fin dal 1948.
Gli stessi coloni, come nel caso di molti europei che arrivarono in Nord America, America Centrale o Australia, erano rifugiati e vittime di persecuzioni. Alcuni di loro erano meno sfortunati e cercavano semplicemente una vita e delle opportunità migliori. Ma la maggior parte di loro erano emarginati in Europa e cercavano di creare un’Europa in un altro luogo, una nuova Europa, invece dell’Europa che non li voleva. Nella maggior parte dei casi, hanno scelto un luogo in cui viveva già qualcun altro, i nativi. Quindi il nucleo più importante tra loro era quello dei leader e ideologi che fornivano giustificazioni religiose e culturali per la colonizzazione della terra di qualcun altro. A questo si può aggiungere la necessità di affidarsi a un Impero per iniziare la colonizzazione e mantenerla, anche se all’epoca i coloni si ribellarono all’Impero che li aveva aiutati e chiesero e ottennero l’indipendenza, che in molti casi ottennero e poi rinnovarono l’alleanza con l’Impero. Il rapporto anglo-sionista che si è trasformato in un’alleanza anglo-israeliana è un esempio.
L’idea che si possa eliminare con la forza il popolo della terra che si vuole, è probabilmente più comprensibile – non giustificata – sullo sfondo dei secoli XVI, XVII e XVIII, perché andava di pari passo con la piena approvazione dell’imperialismo e del colonialismo. Era alimentato dalla comune disumanizzazione degli altri popoli non occidentali e non europei. Se si disumanizzano le persone, è più facile eliminarle. L’aspetto unico del sionismo come movimento coloniale di insediamento è che è apparso sulla scena internazionale in un momento in cui le persone di tutto il mondo avevano iniziato a ripensare il diritto di eliminare gli indigeni, di eliminare i nativi e quindi possiamo capire lo sforzo e l’energia investiti dai sionisti e successivamente dallo Stato di Israele nel cercare di coprire il vero obiettivo di un movimento coloniale di insediamento come il sionismo, che era l’eliminazione dei nativi.
Ma oggi a Gaza stanno eliminando la popolazione nativa davanti ai nostri occhi, quindi come mai hanno quasi rinunciato a 75 anni di tentativi di nascondere le loro politiche di eliminazione? Per capirlo, dobbiamo apprezzare la trasformazione della natura del sionismo in Palestina nel corso degli anni. (segue nel link)
molto interessante
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kon-igi · 18 days
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IL RAGAZZO E LA MONTAGNA
C'era una volta un giovane esploratore, la cui più grande passione era addentrarsi in tundre, scendere in ghiacciai e percorrere deserti alla ricerca della Gemma Preziosa.
Ogni luogo della terra aveva una propria Gemma Preziosa - scintillante, tenebrosa, rubescente o lattiginosa - e lui aveva viaggiato già mezzo mondo ed esplorato mille lande impervie per trovarle e collezionarle tutte.
Nella sua casa aveva una stanza intera piene di tali meraviglie, tutte racchiuse in teche di cristallo, ma il giovane esploratore non amava tornare nella propria casa, se non per riporvi i suoi tesori.
Intendiamoci, adorava la propria casa e la propria città, voleva bene ai suoi genitori e stava bene con i suoi tanti amici, ma il suo animo inquieto lo portava puntualmente a guardare le nuvole fuori dalla finestra, desiderando di poterle cavalcare e andarsene via col vento.
Un giorno sentì parlare dell'Ultima Montagna e di come al suo interno fosse la celata la pietra più preziosa di tutte: il Cuore di Gea.
L'Ultima Montagna si trovava nel paese di Finisterrae e il suo vecchio mappamondo non aveva ancora finito di girare che lui si era già messo in cammino.
Non fu un viaggio facile, né per le gambe né per il cuore, perché dovette salutare molte persone - Finisterrae era lontana - e parte del suo percorso lo dovette fare a piedi, passo dopo passo, senza mai più incontrare anima viva (tranne i ragni, che gli tennero compagnia nelle lunghe notti insonni ma che però non erano gran conversatori).
Quando arrivò all'Ultima Montagna rimase con la bocca spalancata per qualche minuto (i ragni controllarono preoccupati se ci fossero delle carie ma uscirono soddisfatti): un'enorme montagna scintillante di materiale translucido giallo paglierino svettava fino a quasi bucare la volta del cielo.
Ma il suo stupore si tramutò ben presto in preoccupazione quando, a un esame più attento, il giovane esploratore si rese conto che la montagna era in realtà un enorme conglomerato di Crisoberillo come non se n'erano mai visti in alcun libro di geologia.
Molto bene - pensò con stanca autoironia, guardando il suo piccone - sulla Scala delle Durezza di Mohs il crisoberillo ha un punteggio di 8,5 ma volendo considerare il bicchiere mezzo pieno mi è andata anche bene... la montagna poteva essere fatta di Rubino o di Zaffiro!
E cominciò a scavare una galleria per raggiungere il Cuore di Gea.
Man mano che avanzava a fatica all'interno della montagna, egli si rese conto di una cosa molto strana: per ogni colpo di piccone e di scaglia di crisoberillio che cadeva a terra lui sentiva di perdere qualcosa.
Ma cosa? - si chiese.
Non lo so - si rispose.
E allora pensò di riempire quei vuoti nel cuore immaginando il momento in cui avrebbe finalmente scalzato dalla roccia il Cuore di Gea... la gioia di sentirlo pulsare tra le proprie mani, gli occhi socchiusi per schermarsi dal bagliore di mille soli di puro cristallo, lo stupore delle persone al suo ritorno, la teca gigante già pronta al centro della sua collezione.
Quello di cui in un primo momento il Giovane Esploratore non si rese conto è che ogni picconata stava sottraendo un minuto alla sua vita e le picconate erano tante e il tempo scorreva avanti in una sola direzione, dritto come la galleria che sventrava la montagna.
Le mani che impugnavano il piccone invecchiavano, come invecchiavano le domande che lui si faceva...
Perché? Da dove? Verso cosa?
Quando le domande diventano opprimenti, i colpi del piccone rallentavano, salvo poi riprendere forza al pensiero della gemma che ogni giorno si avvicinava.
E poi, dopo mille eternità l'ultima picconata, la parete che crolla ed ecco il Cuore di Gea, sospeso nel buio luminescente di un antro nel ventre della colossale montagna.
Ma il Giovane Esploratore non poteva più definirsi tale.
Non stava più esplorando nulla e di certo non era più giovane.
Con passo incerto e polverose mani tremanti si avvicinò al Cuore di Gea e fece per prenderlo.
Ma si fermò.
Verso cosa? E perché?
E poi la domanda giusta.
Da dove?
Da dove vengo? Cosa ho lasciato? Chi ho lasciato?
E voltandosi vide che la lunga galleria che portava all'esterno era disseminata di corpi, congelati nell'atto di colpire la roccia.
Erano tutti lui, metro dopo metro sempre più vecchio, bloccati nell'attimo in cui aveva deciso di cancellare un ricordo per fare spazio al pensiero della Gemma Più Preziosa.
Sono morto? - si chiese.
Sì, ogni volta - si rispose.
Il Cuore di Gea lo guardava con occhio pulsante ma la mano, dimagrita e raggrinzita, scese sul fianco.
Non era quello che voleva... quello era ciò che aveva deciso di volere per cancellare i veri desideri, quelli che lo tenevano vivo in attesa del domani.
E il vecchio ragazzo si voltò e tornò indietro, accarezzando con una mano sempre più giovane tutti i sé che aveva lasciato morire per non aver voluto ricordare come vivere.
E li perdonò tutti, uno a uno, finché la luce del sole non gli baciò le palpebre socchiuse e lui non ritrovò la voglia di esplorare, mai perduta ma solo addormentata sotto a una pesante coperta di tristi rimpianti.
E come il mappamondo tornò a girare, il vero Cuore di Gea riprese a battergli nuovamente nel petto, perché Finisterrae è quel luogo che comincia nel punto in cui appoggi il piede per iniziare il viaggio verso il domani.
Questo post è dedicato a @seiseiseitan, per me il più grande esploratore <3
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ragazzoarcano · 10 months
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'Haragei' è una parola giapponese che non esiste forse in nessun'altra lingua al mondo e anche tradurla è un affare molto complicato.
Volendo, potremmo dire che è la comunicazione non verbale, ma non è solo quello.
Il fatto è che quando parliamo, le parole che ci scambiamo non sono che una piccola parte di quello che davvero ci diciamo.
Quando entriamo in contatto con qualcuno, in realtà, facciamo anche delle prove di incastro: con gli occhi, con la voce, con le mani, col respiro, proviamo a vedere se chi abbiamo di fronte si incastra bene con noi.
Haragei è incastrarsi a vicenda senza dirselo.
Haragei è intuirsi ad occhi chiusi, sapere che nel buio, là fuori, c'è qualcuno come noi.
— Enrico Galiano
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canesenzafissadimora · 9 months
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Che fortuna abbiamo avuto noi che abbiamo incrociato e da allora per sempre provato ad essere all’altezza della tua discrezione, della tua sincerità, del rigore che non perde mai l’ironia, la capacità di chiedere come stai e poi ascoltare attento, di esserci sempre quando c’era bisogno, a volte all’improvviso, proprio all’ultimo momento, altre volte prima, così tanto prima che uno ti diceva: Andrea, è presto. C’è tempo. Va bene, ma intanto cominciamo – diceva quella tua voce fonda, autorevole, accogliente. Intanto prepariamoci. La cura delle piccole cose, l’ostinazione nella ricerca e l’esercizio permanente del dubbio- sempre, sempre: il dubbio anche di sé, della propria capacità di aver inteso, la conferma negli occhi degli altri, in altre fonti, in altre prove. La tenacia tante volte solitaria, la risata sempre all’erta, in bilico sul buio. Che fortuna chi ti ha letto per anni, ti ha seguito in tv da casa, ha imparato e compreso, ha saputo. Chi ti ha accompagnato nelle più divertenti avventure, incredibili proprio, quando nessuno capiva dove stavate andando ma voi sì, tu più di tutti sempre. Chi ha fatto notte con te a parlare di cinema, i tuoi film amatissimi, le giornate infinite al Lido, e poi a discutere di politica, ne sapevi sempre scorgere la rotta, la preveggenza nitida, il bandolo dei grandi misteri: c’è sempre un dettaglio che deve essere sfuggito, dicevi alle redazioni di ragazzi adoranti. Cerchiamolo. L’eleganza. Quel modo di parlare, di camminare, di occupare lo spazio nel mondo. Inconfondibile, eppure a volte invisibile. L���amore, dato e ricevuto in quantità fuori misura. Ti portiamo. Poco poco, un pezzo ciascuno. Ce la faremo, fidati. Abbiamo imparato dal migliore.
dalla rubrica di oggi su @larepubblica
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fuoridalcloro · 4 months
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Resta con chi è presente. Per un buongiorno sincero, un "come stai?" senza fini, un "hai mangiato?" semplice e diretto.
Rimani con chi è stato al tuo fianco nei giorni neri, quando hai parlato soltanto tu e hai ascoltato poco, quando le ferite erano così profonde che non sapevi dove e come gridare.
Resta ferma, presente a te stessa e riconoscente ai fedeli guardiani del tuo cuore, alle compagnie delle tue ore di silenzio, al tuo buio, alle risalite faticose e alle speranze.
Resta con i pochi, quelli che aspettano un tuo cenno per ingranare la giornata, rimani attenta e lucida all’istinto che parla al cuore e lo mette in guardia, apri le orecchie a ciò che senti dentro e non fuori, resta a te stessa, perdonati, fai pace con gli sbagli, voltati e sparisci, fai spazio al presente e spera nel futuro. Le ferite vanno lasciate scoperte per guarire. Non temere il dolore, fallo seccare alla luce del sole e se piove brilla tu per cacciarlo via, meriti di essere serena.
-Tatiana Andena-
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belladecasa · 8 months
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21 marzo 2020
Appunti sparsi di filosofia greca sull’amore, sulla ragione e sulla follia, su Dio
La ragione non è la verità, è un sistema utile per riuscire ad intenderci e prevedere un comportamento. La follia non sta al principio di non contraddizione, e secondo i greci l’uomo è nato quando ha inventato la ragione, quando è uscito fuori dallo scenario della follia, che invece gli uomini attribuiscono agli dei. Zeus è padre degli dei, fulmine, tuono, toro, è tutte le cose insieme; anche il dio cristiano è onnipotente, può fare tutto e il contrario di tutto. Dice Eraclito che il dio è giorno e notte, sazietà e fame, guerra e pace, e si mescola a tutte le cose assumendo di volta in volta il loro aroma. L’uomo invece ritiene giusta una cosa è ingiusta un’altra. Per il dio tutto è bello, tutto è buono, tutto è giusto; gli umani sono usciti dallo scenario degli dei, perché da quello scenario non potevano prevedere i comportamenti.
Alla follia appartengono i bambini, i pazzi, i poeti (secondo me anche i vecchi)
I greci oltre al plurale e al singolare avevano il duale
L’amore è confusione linguistica; gli amanti hanno cose da dire che non riescono a dire, perciò parlano in modo enigmatico e buio. Di conseguenza l’amore è il collasso del linguaggio, che diventa confuso, ansiogeno, ricco di simboli, abbondante nei riferimenti semantici. La situazione erotica è una situazione di sospensione della razionalità.
Platone, Simposio: Ciascuno di noi non è un uomo ma il simbolo di un uomo. Si diventa un uomo solo con l’altro: la relazione io e te viene prima della presunta personalità. L’identità non è un fatto naturale, ma il prodotto del riconoscimento da parte di un altro. È un dono sociale. L’uomo è tale non solo quanto è singolo, ma solo quando è con l’altro.
Aristofane: l’amore si ricostruisce nell’amplesso, perché l’amplesso non è altro che la memoria di quell’antica unità, del tentativo di ricostruirla e la sconfitta, perché una volta finita la scena dell’amore, ciascuno torna ad essere il simbolo di un uomo.
#s
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gregor-samsung · 2 months
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“ L’instabilità di Delo, l’isola galleggiante nella quale Latona generò ai piedi di un palmizio i due bambini avuti da Giove, spiega il carattere di Apollo e quello di sua sorella Diana. Bisognerebbe studiare il carattere di coloro che sono nati su una nave: mi maraviglierebbe assai che costoro non avessero un carattere apollineo. Apollo è il più fatuo degli dei olimpii, il più vanesio, il meno significante. Gli Apolli abbondano tra noi. Basta guardarsi attorno: uomini di bella prestanza, con occhi a mandorla e aperti come finestre (ossia che non vedono né di dentro né di fuori), larghi di spalle, stretti di vita, bellissimi e di una inutilità perfetta. Naturalmente non posso fare nomi. Gli altri dei esercitano chi delle professioni, chi come Vulcano pratica addirittura un mestiere. Apollo, questo bellimbusto ingombrante e inetto a ogni occupazione seria, fu fatto musagete non sapendosi che altro fare di lui, cioè a dire conduttore delle muse, una carica che qualunque uomo fornito di un minimo di dignità avrebbe rifiutato con sdegno. Apollo oltre a ciò è il fugatore di tenebre, l’apportatore di luce, il sole in persona. Ma chi assicura che la luce è migliore delle tenebre? Al buio io penso meglio. Viene da Apollo la mania della solarità e quell'aggettivo « solare » che ha l’aria di dire tanto e in verità non dice niente. Rappresentanti di Apollo in poesia sono Giorgio Byron, Shelley, Gabriele D’Annunzio. Pensando alla inutilità di certa luce, si ha voglia di scendere in cantina. Per riabilitare la luce e salvarla dalle troppo vicine compromissioni, Nietzsche inventò l’« oscurità » della luce e che il meriggio è più profondo della mezzanotte. Malgrado ciò, il suo Zarathustra, stretto parente di Apollo, è uno dei personaggi più goffi e mal riusciti della letteratura universale. Vogliamo dire la verità? Apollo è il dio dell’estetismo. Quanto al mondo è più inconsistente, più retorico, più isterico, lo ha eletto suo dio. Noi siamo per il serpente Pitone. La rappresentazione plastica riflette questo carattere di Apollo, superficiale e privo di consistenza. L’Apollo cosiddetto del Belvedere, è il ritratto di un giocatore di golf. “
Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, Adelphi (collana Biblioteca, n° 70), 1ª edizione 1977. [Libro elettronico]
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angelodrogato · 2 months
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Eppure vi ostinate a contemplare le stelle e mai il buio.
Eppure è merito suo se tutto è luce.
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mynameis-gloria · 4 days
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Sono stata sveglia quasi tutta la notte. Succede ogni volta, ogni anno. Come quando ero bambina, nell'attesa del mio giorno rimanevo in dormiveglia, agitata per chissà quale motivo. Quell'agitazione bramosa, vivace e positiva, che senti scorrere nel corpo e morderti ogni centimetro di pelle, che la senti ingarbugliarti lo stomaco. Così anche quest'anno alle sei ero sveglia e poi alle sei e mezza e ancora alle sette e insomma ho deciso di rimanere in quel buio chiaro, sentendo i rumori di mamma e papà già svegli, la mattina che incomincia, inizia ed io nel mio letto tra le lenzuola, leggendo email di auguri, leggendo qualche pagina del libro, facendo trascorrere il tempo prima del suono della sveglia, meditando. Poi mi sono alzata, sempre senza uscire dalla camera, ho steso il tappetino sul parquet ed ho fatto yoga. Nel silenzio e in questo giorno speciale. I primi trilli di dolci messaggi, i primi sorrisi leggendo alcune parole, fuori il tempo non è granché eppure oggi son felice ugualmente. Ancora in pigiama faccio colazione con caffelatte e cereali al miele ed accanto alla tazza trovo un pacchetto color arancio, una dedica sopra, impazzisco! Amo queste piccole sorprese, mamma mi da un bacio ed esclama "auguri". La mattina prosegue nella calma e nel recupero di candeline. Ho preparato da poco un pranzetto leggero, i miei amati spaghetti di zucchine con del pane croccante sbriciolato sopra e dello speck profumatissimo...ho sulle labbra un rossetto rosso acceso, in contrasto con la mia pelle ancora troppo chiara per essere aprile ed un filo di mascara marrone. Attendo gli altri. Fremendo. La torta mi aspetta
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elperegrinodedios · 5 months
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C'è un tipo di follia e di ribellione che io adoro. Nessuno può dirti niente e tu invece puoi fare tutto. Anche di Gesù si diceva che era un fuori legge, un ribelle, un visionario e un pazzo, fino ad accorgersi, che i pazzi pericolosi erano tutti quelli che lo additavano e lo giudicavano senza conoscere colpevolmente la verità e assuefatti alla più totale e volontaria ignoranza. Anche io ho vissuto nell'ignoranza per la gran parte della mia vita, ma soltanto perchè nessuno mi aveva mai detto la verità e tutti gli esempi che potevo vedere non erano esempi da seguire. E cosi, ho vissuto da ateo fino a quando non cercata mi si presentò quella verità sotto forma di miracolo e scoprii, che risiedeva tutta in una persona, in un nome, in un uomo, un ribelle, un visionario, e un pazzo che salvò la mia vita. Non mi ha parlato di religione e nè di dogmi, non di regole e neanche mi ha posto condizioni, mi ha detto di credere in lui, di aprire il cuore, di avere fede e di amare. Ed io che ero un ribelle e vivevo nel buio ho creduto e l'ho seguito: finalmente avevo visto la luce, era il mio salvatore ed è diventato mio fratello e mio amico. Era lui la verità. Lui il cammino, lui la vita.
lan ✍️
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susieporta · 6 months
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- Maestro.
- Stanno succedendo cose orribili nel mondo e non so cosa fare.
Divento triste. Non so come aiutare. Non voglio chiudere un occhio e forse mi sento in colpa per stare bene quando gli altri stanno molto male.
- Il Maestro rispose:
- Quando vai a dormire spegni tutte le luci.
Ma accendi quella nella tua stanza.
Non sei più in cucina.
Non sei più nel cortile con i cani.
Sei nella tua stanza.
Dove devi essere in quel momento.
E lì accendi la luce per non stare al buio.
Così è nel mondo.
Se c'è la guerra
Ma tu non ci sei, è perché non devi stare lì.
E nel posto in cui ti trovi, accendi la tua luce.
Se hai da condividere condividi.
Se hai qualcosa di prezioso da portare al mondo, fallo.
Se sei saggio e sai dare consigli, daglielo.
Se sei carina e ci sono molte cose brutte là fuori, sii più bella.
Sii parte della bellezza della vita.
La Luce si accende perché sulla terra ci sono deserti e mari.
Se hai dovuto far parte dell'acqua,
Perché ti affligge il deserto?
Se ti è toccato essere deserto,
Perché quelli delle acque ti affliggono?
Ognuno è dove gli spetta.
Chiamalo karma,
Destino. Scopo.
Se qualcosa non ha l'universo è ingiustizia.
Non esiste.
Tutto è perfetto.
Se non ci sei.
E' solo che non devi essere lì.
In guerra non tutti muoiono.
E dove non c'è guerra la gente muore.
Chi deve morire muore.
Vive chi deve vivere.
Perché sentirsi in colpa?
O forse decidi tu chi vive o chi muore?
Qual è la tua responsabilità?
Fai solo quello che devi fare.
Che è per questo che sei venuto.
Ed è per questo che sei dove sei.
Accendi la tua luce.
Sii parte della luce, non del problema.
- Disse il maestro.
Il mondo, quando è buio, ha bisogno di più luci accese ✨
SONO LA LUCE CHE ILLUMINA IL MONDO ✨
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kon-igi · 5 months
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UN VIAGGIO NELL'ORRORE
Tranquilli, non è il vostro viaggio ma il mio.
Io sono nato all'inizio degli anni '70, quindi mi sono fatto prima tutta la cinematografia horror di Dario Argento&co e poi tutti gli slasher americani con le icone classiche quali Jason, Freddy, Leatherface etc.
Ma c'è un problema...
Io non ho mai visto nessuno di quei film fino al 1990.
Vedete, io vivevo in una famiglia molto particolare™ dove la televisione era vista come il male assoluto, ragion per cui fino ai 14 anni io sono stato costretto ad andare a letto alle nove di sera e durante il giorno potevo guardare solo un'ora di televisione (stranamente non era conteggiato il tempo davanti al Commodore 64 e indovinate un po' chi era il mio migliore amico).
In quell'ora a disposizione io cercavo, ovviamente, di farci stare i miei cartoni animati preferiti ma non mi era possibile guardare film, tantomeno di sera.
Me li facevo raccontare.
Sì perché, evidentemente, il concetto di film non adatto ai bambini si applicava solo a me mentre tutti i miei amici, invece, rimanevano alzati fino a tardi a guardare film pazzeschi insieme ai loro genitori e il giorno dopo me li raccontavano.
A difesa dei miei genitori posso dire che in effetti ero un bambino particolarmente impressionabile ed è forse a causa dei sogni che facevo alle elementari che scelsero di non espormi a quello che in linguaggio tecnico viene definito nightmare fuel.
Non che ne avessi bisogno, intendiamoci.
Per esempio, in terza o in quarta elementare fui perseguitato da quello che io avevo soprannominato Il Burattinaio Cadavere, che si manifestava nel seguente modo: prima io mi trovavo in un qualsiasi luogo a me conosciuto (casa, scuola, parco giochi etc) poi improvvisamente tutto diventava scuro e dei fili tipo ragnatele scendevano dal cielo per toccare le decine di cadaveri che improvvisamente erano apparsi accasciati a terra, i quali si rianimavano come burattini e mi venivano barcollando incontro. Ovviamente mi svegliavo urlando come un ossesso.
E che dire della Lamante, una donna che ogni notte mi faceva vedere un buco sul braccio e mi sussurrava 'Se mi aspetti poi ti faccio vedere cosa mi hanno fatto'. E dopo tornava con le braccia amputate e due lame lunghissime innestate cercando di trafiggermi.
E poi il Buio, la Porta, il Verme Oculare, lo Sghignazzatore Maledetto...
(Beh, forse ero un qualcosa di diverso da 'impressionabile' ma vabbe'...)
Comunque, il primo film horror che vidi a casa di un amico fu Halloween di John Carpenter e al di là dell'angoscia di vedere REALMENTE un qualcosa horror, mi piacque parecchio e lì cominciò la mia collezione di problemi.
Come qualsiasi manuale di pedagogia insegna fin dai primi capitoli, la lunga privazione di un qualcosa di proibito che ero l'unico a non possedere mi spinse a fare binge watching di ogni film horror, di ogni libro di Stephen King, Clive Barker, Lovecraft e persino a scegliere come gioco di ruolo preferito Call of Cthulhu invece del più innocuo Dungeons&Dragons.
Andai fuori di testa.
Ogni notte un Geteit Chemosit che indossava la faccia strappata di mia madre cercava di entrare in camera mia e di giorno giravo sempre armato perché non si sa mai.
Mandai quasi in ospedale la mia povera mamma che ebbe la pessima idea di entrare in camera mia perché mi lamentavo nel sonno (non avevo capito che la faccia era attaccata alla persona giusta) e a distanza di anni ancora ridiamo con i miei amici di quando in campeggio tenni sollevato per il collo lo sventurato che fece un verso sospetto quando, uscendo per pisciare ancora mezzo addormentato, calpestai per sbaglio il suo sacco a pelo.
Per me valeva il motto 'L'uomo che dorme con un machete sotto al cuscino è un pazzo tutte le notti tranne una' e infatti la routine serale dei miei amici era aspettare che mi addormentassi e poi nascondere tutte le mie armi (grazie Francesca perché quella notte particolare avrei senza dubbio ucciso tutti con la mia Katana).
La notte, insomma, non mi è stata mai amica perché forte in me era la convinzione, per non dire la certezza, che il sonno rendesse possibile la venuta di orrori innominabili che si arrampicavano lungo la parte sbagliata della luce.
Verso i diciannove anni facemmo una festa per la fine della Maturità in un'enorme casa di campagna di non mi ricordo chi e dopo aver bevuto l'impossibile ognuno si appropriò di una stanza a casa, chi per trombare (non io) chi per collassare (io).
Solo che non collassai.
Come in un racconto breve di Stephen King mi misi a sedere su un vecchio letto col materasso di lana e tenendo i piedi nudi su un pavimento di cotto dalle piastrelle tutte storte (assurdo come certi particolari rimangano impressi) cominciai a fissare la porta chiusa.
Faceva caldo ma l'avevo chiusa.
Improvvisamente sento una sensazione strana sulla schiena, come di brividi, e i capelli mi si rizzano sulla nuca.
Un pensiero mi si insinua nelle tempie come un ago nel polistirolo...
'Sta arrivando'.
E poi abbasso lo sguardo e vedo che sto tenendo in mano un lungo coltello da macellaio, che evidentemente non ricordavo di aver preso giù in cucina.
Non ricordavo di averlo preso o forse in quel momento avevo capito qualcosa?
Sta arrivando
Punto i piedi a terra...
STA ARRIVANDO
Mi alzo e stringo più forte il coltello
STA ARRIV...
Ma io mi muovo per primo e scatto verso la porta con un fendente dal basso verso l'alto che avrebbe aperto in due la pancia dell'essere non appena avesse spalancato la porta.
TUNC!
Guardo la lama affondata a metà nel pannello della porta chiusa, assolutamente chiusa ma così chiusa che pareva l'emblema della possibilità che io quella sera trombassi.
Allora scendo in cucina, rimetto il coltello nel cassetto e tra i gorgoglii dei conati di vomito di chi aveva ecceduto e l'assoluto silenzio di chi non stava minimamente trombando, mi sdraio sul letto e mi addormento di un sonno senza sogni.
La parte più nobile e metafisica di me vuole pensare che con quell'ultimo fendente dato al vuoto in realtà uccisi definitivamente l'oscurità in me ma in realtà credo di aver semplicemente realizzato che chiunque fosse entrato in quel particolare momento si sarebbe visto rovesciare gli intestini sul pavimento e questo non rientrava tra le cose che avrei voluto fare da grande.
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