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#la donna scimmia
filmap · 9 months
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La donna scimmia / The Ape Woman Marco Ferreri. 1964
Museum Piazza Carlo III, 1, 80137 Napoli NA, Italy See in map
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petalodiseta · 7 months
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Un uomo e sua moglie andarono allo zoo.
Videro una scimmia che giocava appassionatamente con la sua femmina. La moglie disse .. "Che Romanticismo" Poi videro un leone e la sua leonessa molto distanti l'uno dall' altro .. il leone silenzioso e solo nel suo angolo come se la leonessa non esistesse.
La moglie disse ..“Che triste scena senza Amore”
Il marito rispose .. “Lancia una pietra verso la leonessa e osserva ". Lanciato il sasso il leone saltò su ruggendo per difendere la sua compagna.
Tornati dalle scimmie la donna lanciò anche verso di loro una pietra .. la scimmia corse via e abbandonò la sua femmina per salvarsi la pelle.
Il marito le disse .. "Non lasciarti ingannare da ciò che vedi come romanticismo in alcuni, molte volte è un'apparenza ingannevole che nasconde un Cuore vuoto .. ce ne sono altri al contrario che non mostrano nulla, ma i loro cuori sono pieni di Amore sincero".
Purtroppo al giorno d'oggi abbiamo così tante scimmie, e così pochi leoni.
Ramon Montañés .
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valentina-lauricella · 8 months
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Foto di Kurt Cobain con un vestitino a fiori.
Poiché nel bene e nel male si tende a vedere negli altri ciò che c'è in noi stessi, voglio accennarvi a un fatto che riguarda un'altra persona, ma ab latere anche me. Ieri mi sono iscritta a un gruppo Facebook di spiritualità che si chiama La nostra casa, ovvero
la casa celeste a cui faremo ritorno, in cui verremo curati e preparati, se lo vogliamo e ne abbiamo bisogno, ad una successiva incarnazione. E molti di voi diranno: fa già ridere così.
E invece il bello è che in questo gruppo ho letto i messaggi di una certa Veronica, che diceva di essere stata un personaggio noto,
con una figlia che non aveva più rivisto, ma della quale sa che sta bene, e tanto le basta, perché capisce che il suo compito è vivere la sua vita attuale.
Io, curiosa come una scimmia, le ho chiesto con garbo se potesse rivelarmi il nome del "personaggio noto", che gli altri membri del gruppo, a giudicare dalle interazioni che avevano con lei, conoscevano già. Lei mi risponde immediatamente, con un nome e cognome:
Kurt Cobain.
Bum! La mia testa fa un botto e vi si affaccia l'unica parola possibile: mitomane. E tutta la catena di riflessioni automatiche su quanto la gente sia disperata e disposta a raccontare o raccontarsi balle per dare un senso alla propria vita. Quindi mi dispongo in mood depressivo. Mantengo però la calma e formulo una risposta gentile in cui le auguro buon cammino, sinceramente grata, nel fondo di me stessa, della sua rivelazione.
So di una donna che è la reincarnazione di Marilyn Monroe, e di un bambino che lo è di Lady Diana. Penso che persino Madre Teresa di Calcutta, e tutte le altre serigrafie pop che abitano il nostro immaginario, sono già diventate qualcun altro, o meglio, non se ne sono mai andate veramente da questo mondo. Il mondo le ha semplicemente riciclate. Vite irrisolte, con nodi da sciogliere, debiti e crediti da compensare.
Noi li immaginiamo tutti al Roxy bar, chi si beve una birra, chi si fa una canna, chi accarezza gentilmente una chitarra, invece sono tutti ancora fra noi, nascosti, visibili, balordi, banali. John Lennon avrà deposto i suoi occhialini d'oro e Janis Joplin il suo boa di piume fuxia.
Quindi penso al "mio" Leopardi, che secondo una medium è in una dimensione di pace e luce, e in alcuni sogni lucidi dei primi mesi in cui lo pensavo, mi aveva inviato direttamente nel cervello tutto l'ologramma degli universi, che non sono contigui, ma parzialmente sovrapposti come degli insiemi che hanno degli elementi in comune, e che anche lui aveva creato un suo universo, a cui altri, con le loro immaginazioni, potevano collaborare, come infatti stava avvenendo.
Quindi, alla fine, non sono tanto diversa da
Veronica che è stata Kurt Cobain,
perciò non la giudico, anzi, la accomuno, nel mio giudizio, a me stessa, con la quale convivo. Il segreto della convivenza, e del non attacco, è vedere se stessi negli altri. Credo sia questo il concetto dietro al grido
"basta guerre!"
e dietro l'assurdo precetto "ama il tuo nemico".
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vecchiorovere-blog · 2 years
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“La natura ha lavorato per secoli per fare della scimmia un uomo... e poi basta che passi una donna per demolire tutto questo.” JEANNE MOREAU   by Bert Stern, 1965)
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macabr00blog · 2 months
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otto
Una settimana di cibo avariato
carne, piselli, aglio che si rotola nella culla
e lavare la biancheria dall’altra parte della sponda, sei
dall’altra parte della sponda, le tue vecchie camicie
da cerimonia appese in macchina.
Mi sterilizzano le tue enormi mani
- sciame carnivoro
sono una preda che ha visto lampade spegnersi, non
ci saranno mai seni troppo bianchi,
non ci saranno mai segni troppo viola,
i colori del mio corpo che si allunga come una lacrima
ingrasso come una vacca,
ingrasso come un vitello,
sono una figlia che ha fame. Tutto per
una settimana di cibo avariato,
le tue unghie senza sonno -
apro la dispensa dei dolciumi, per quanto tempo?
Quanto tempo è passato?
Dodici anni lungo lo sterrato, giocavano a
nascondino con i sessi scoperti, derubavano
l’infanzia dalle pietre senza pelli,
ora io attraverso i loro boccheggianti spiriti,
ancora fisso sulla tavola come una carne pregiata.
Papà, sono passati dodici anni
sono ormai avariato.
La conchiglia serrata a gabbia, guardo le mie ossa che si spiegano
si piegano per cedere. Con o senza bicicletta,
rotazioni dei pedali della bilancia, su e giù come una danza
tra un vitello e un toro,
umile la mia danza, da figlio a padre.
E’ buio come una cantina silenziosa
nella notte hanno portato la ciotola dove raccogliere
i pezzi della bambina. I ringraziamenti di una madre
e di alcune telefonate di conforto, ora che sono
in un corpo che consola non ci sono più suoni.
La mia pelle si rimbocca le maniche -
ho gli avambracci scorticati dal terrore -
e la donna che mi ha partorito esita
ed esita
e sussulta
sua figlia è morta, suo figlio si è ammalato,
non sa più cosa chiedere alla vita, svuota
un secchio di caramelle lungo la via, spera in un regno
di formiche volanti che potrà chiamare figli.
Mia madre possiede il mio corpo purpureo -
rimane in un posto che
somiglia alla prossima dipartita, gli spazi tra i giorni che passano
e i giorni che passano sopra di me,
il cielo scuro e il dolore che avviene e si arresta.
Meglio una pelle suicida o uno spirito che ha fame?
Un paesaggio di uccelli gialli migratori,
aprire il cassetto delle meraviglie
-
quattro pastiglie bianche per assestare il corpo
venti mg sulle teorie del vetro tagliato,
lungo, singola magnolia sfiorita,
-
indomabile come un corpo che cade
e un dolore che si assesta.
Sono una bestia che desidera -
curvo nei tavoli di legno deformato,
parlo di architetture di rose dipinte, Gauguin e la sua scimmia
rossa, due tazze e una lattina dalla base che accoglie.
Il mio sangue è rosso come la gola di un macaco
languido come una vecchia storia di erotismi.
Mia madre mi accomuna alla simmetria di distanze,
ha un figlio adolescente
dopo la figlia morta,
mi riconduce al ghiaccio blu dell’ego, io le ripeto che il ghiaccio
non ha colore. La mia è solo assenza
mangiata a metà, io sto costruendo questo maschio
adolescente a base di bocca e ragione,
nel mio appartamento dipingo un erbario che sa
di una vecchia bugia. La mia prima di essere fame, prima di essere
uno stelo
spesso e scuro, è il naturale formarsi
di una bestia che desidera.
Mi si avvicinano gli occhi, mi si incurva
la mandibola sotto il lieve sonno dell’autunno, scivolo
come una sintesi lungo le lenzuola, vino bianco secco
o massive di scarabocchi
o quel sangue che mi ricorda da dove vengo.
Slaccio il primo bottone,
cenere scura, specchio, luna nuova,
disfaccio il suo secondo, terzo, quarto
ultimo pulsante, lui dice: sei una storia che continua
ad iniziare.
Il tempo che non ho, il tempo rimasto,
chiedere la strada di casa, indicazioni di frazioni appannate,
lenti scure degli occhi di mio padre, il nodo scorsoio nella
gola di mia madre. C’è la parola
che diamo a qualcun altro, lui la dà a me con fatica, mani
da sudorazioni lente, e c’è la parola che teniamo per noi stessi,
e a volte le due coincidono. Come cava, come inseguitore, come afflizione,
o come stupro, che è la nostra parola iniziatrice.
Un uccello ad un altro uccello e l’orecchio che esorta,
la sua camicia intorno alle mie spalle, ci sono voci che
ci svegliano al mattino, dice. E ci sono voci che ci tengono svegli
tutta la notte, dico. Il membro defunto
di quello che avrebbe potuto essere la luce, filtrata,
dalla finestra, perché la finestra poteva essere aperta,
avrebbero sentito le ingiunte, le lodi, ciascuno avrebbe assistito
al canto di un passero.
Ma il canto continua ad andarsene, la finestra era chiusa,
mi ha fatto un po’ male, poi è passato, -
la figlia è morta,
dico, la figlia è morta,
ho visto i suoi lembi nella ciotola,
ho separato gli indizi, i ponti, le ali,
dimenticato il sogno di volare, ora solo
cenere che tiene il sapore dei fumi amari
della legna.
I corpi hanno circondato i corpi fin dall’inizio,
il mio è un Dio che brucia nascosto da sempre,
ora la fiamma accende la libertà.
Quindi
bottone dopo bottone, fuoco che accende la schiavitù,
l’amore è una mano che ti tocca in un altro modo,
in un modo che tutti sapranno riconoscere.
Lo tatueremo sulle mani, dove e come, sapranno
come è facile renderci liberi, tempo dopo tempo, restituendoci
lo spazio del volo.
Papà, ho trovato un modo
per formare un petalo di fetori assemblati,
da bistecca a ombra radiosa,
indovinare i gusti dell’amore
carne, piselli e aglio che si rotola nella culla.
Non avrò mai figli, ma avrò un uccello
come un artista circense, un pensatore da appelli confusi e
Stop e Ancora. Nessun immortale, un viaggiatore con un
viaggiatore, amici che abbassano i rumori della notte,
e la sua lingua a metà come quella di una serpe
che parla di doppia provenienza, sentieri scoscesi tra alleati e nemici,
il sogno di un rifugio perché ora dormo con l’immagine
di un cielo
a misura di santuario,
e ho dipinto un erbario
di desideri, perché sono una bestia
e ogni angolo del giorno
si mescola all’odore del suo corpo.
Papà, smettila di tirare ad indovinare:
di tutte le ore ramificate, verdi e ridondanti, ne ho fatto
poltiglia. Ora
io schiocco la lingua e assaporo le sue costole,
conosco con gli occhi più di quanto il mio corpo sappia,
perché la finestra è aperta.
Mi stanno ascoltando tutti.
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lamilanomagazine · 4 months
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Insulti razzisti a Maignan, identificati altri 4 tifosi: banditi a vita dal Bluenergy Stadium
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Insulti razzisti a Maignan, identificati altri 4 tifosi: banditi a vita dal Bluenergy Stadium. La Polizia di Stato di Udine, nel proseguire le attività investigative relative agli insulti razzisti ai danni del portiere del Milan Mike Maignan, grazie ad un'analisi incrociata delle immagini del sofisticato impianto di vide-sorveglianza presente presso il Bluenergy Stadium, ha individuato 4 soggetti indiziati di aver proferito invettive a sfondo razzista, quali ululati, «negro» e «scimmia». Si tratta di due uomini ed una donna di 45, 32 e 34 anni della provincia di Udine e di un uomo di 42 anni di Udine, tutti deferiti in stato di libertà alla Procura della Repubblica, che sta coordinando le attività di indagine. Il Questore della Provincia di Udine ha emesso nei loro confronti un Daspo per la durata di 5 anni (misura massima prevista trattandosi di soggetti non recidivi). Intanto l'Udinese conferma di averli banditi a vita dal Bluenergy Stadium, così come fatto col primo tifoso individuato, e di aver ufficializzato il ricorso contro la decisione del Giudice Sportivo di far giocare una gara a porte chiuse.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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genevieveetguy · 5 months
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The Ape Woman (La donna scimmia), Marco Ferreri (1964)
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giancarlonicoli · 5 months
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15 dic 2023 13:46
“AVEVO TUTTO, LE DUE DONNE PIÙ BELLE D’ITALIA, VANONI E SANDRELLI, E NON SENTIVO PIÙ NIENTE” - GINO PAOLI, IN UNA BOMBASTICA INTERVISTA CON ALDO CAZZULLO SUL "CORSERA" RACCONTA I MOTIVI CHE LO SPINSERO A SPARARSI AL CUORE - L’ALCOL, LA DROGA, IL CAZZOTTO DEL "BOSS DEL BRENTA" FELICE MANIERO, TENCO A LETTO CON LA SANDRELLI, LUCIO DALLA ("MAI PENSATO FOSSE GAY. SECONDO ME È POSSIBILE CHE FOSSE IL FIGLIO DI PADRE PIO"), "L’ORGASMO" DEL CIELO IN UNA STANZA, GLI INSULTI AL PUBBLICO ALLA "BUSSOLA", LA MORFINA DI CHET BAKER E ORNELLA VANONI CHE “MI HA INSEGNATO IL SESSO”… - VIDEO
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
Gino Paoli, il miracolo italiano comincia nel 1958 con «Volare» di Modugno, e finisce nel 1963 con la sua «Sapore di sale».
«La scrissi in mezz’ora, come se qualcuno me la stesse dettando. Erano anni meravigliosi, anche gli operai avevano le 1500 lire per andare alla Capannina, e si pensava sarebbe durata per sempre. Io però vedevo già nuvoloni all’orizzonte».
E il primo segnale della crisi furono le dissonanze di pianoforte inserite da Ennio Morricone nell’attacco di «Sapore di sale».
«Un genio, allora non ancora famoso: per averlo dovetti litigare con la produzione. Ma l’inizio tambureggiante si deve alla chitarra basso del fratello di Little Tony».
Nell’anno in cui uscì la canzone forse più bella mai scritta da un italiano, lei si sparò al cuore.
«Avevo tutto, e non sentivo più niente. Le due donne più belle d’Italia, Ornella Vanoni e Stefania Sandrelli, erano innamorate di me. In garage avevo una Porsche, una Ferrari e una Flaminia Touring. Cos’altro potevo avere? Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte».
E togliersi la paura della morte?
«La morte non mi fa paura. Il mio amico della vita, Arnaldo Bagnasco, era semmai convinto che fossi depresso per l’incidente stradale in cui era rimasto ucciso un giovane musicista. Io invece penso che la molla decisiva sia stata la guerra».
(…)
Lei Paoli non era comunista?
«Sono convinto che i beni dell’intelletto e della natura vadano messi in comune. Ma il comunismo doveva essere una tappa verso la libertà, l’anarchia. “Anarchie avec une A grande comme amour”, diceva Léo Ferré».
Nel libro c’è anche un ritratto di Léo Ferré.
«La moglie, stanca di tradimenti, lo lasciò, e per sfregio sparò ai suoi due cani. Gli uccise anche la scimmia Pépée, che Léo adorava».
Da ragazzo lei tirava di boxe.
«Mio padre mi disse: se le buschi, il resto te lo do io. Nella Genova del dopoguerra saper fare a botte era una necessità».
È vero che fece a pugni pure con Felice Maniero?
«La criminalità ha sempre costeggiato il mondo dello spettacolo. Maniero stava picchiando una donna. Lo fermai, e mi diede un cazzotto perfetto, bellissimo, dritto al mento. A quel punto gli dissi: andiamo fuori e regoliamo la faccenda. Fu arrendevole: “Quella donna è mia moglie, mentre ero in galera mi ha tradito con i miei amici. Se ora tu e io combiniamo casini, mi riportano dentro...”».
E lei?
«Obiettai che non poteva picchiare la moglie nel locale dove cantavo io; e finì lì. Ma la voce si sparse, Memo Remigi mi disse: “Sei matto Gino a fare a pugni con il capo della mala del Brenta?”. In galera invece sono finito io, ma un’altra volta: picchiai uno che stava bastonando un cane».
Diede mai un cazzotto perfetto pure lei?
«Sì, a un tizio che vedendomi passare si era toccato le palle. Vestivo di scuro, portavo occhiali scuri: girava la voce che portassi sfiga. Lo centrai in pieno volto, poi gli dissi: hai visto? La sfiga è arrivata davvero».
Perché scrive che lo spettacolo è un mondo di m.?
«Perché è tutto apparenza. Oggi peggio di ieri. Ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo».
Ha mai fatto a botte per politica?
«Nel luglio 1960 c’ero anch’io nelle strade di Genova. Del governo Tambroni non ci importava nulla. Ma quando sapemmo che in città per il congresso del Msi sarebbe tornato l’ex prefetto Basile, quello aveva compilato le liste dei deportati in Germania, capimmo che dovevamo batterci».
Torniamo alla notte dell’11 luglio 1963. Perché si sparò al cuore?
«Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato. Mi ricordo di avere due pistole. Faccio le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso, e vedo che il proiettile entra in profondità. Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore».
Come è sopravvissuto?
«Il proiettile si fermò nel pericardio. È ancora lì, e mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector. Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva».
Chi venne da lei in ospedale?
«Ho una foto con Rita Pavone e Teddy Reno al mio capezzale. Ornella passò di notte, per non dare nell’occhio. Nel corridoio Luigi Tenco ripeteva sconsolato: non si fanno queste cose...».
Si disse che lei si era sparato perché aveva scoperto la storia tra Tenco e Stefania Sandrelli.
«Quello accadde dopo. Luigi mi telefonò: “Sono a letto con Stefania”. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione. Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me».
Com’era Tenco?
«Lui e io ci siamo fatti l’immagine di poeti maledetti perché nei locali, anziché corteggiare le ragazze, ci mettevamo in un angolo immusoniti e tenebrosi, alla James Dean, con il pugno sulla tempia, così (Gino Paoli per un attimo diventa Tenco immusonito). Così le ragazze arrivavano. Non ho mai corteggiato una donna; erano loro a venire da me».
In realtà?
«In realtà Luigi Tenco era un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi».
Quali scherzi?
«Il suo preferito era quello della cravatta: si avvicinava sorridendo, ti poggiava una mano sulla spalla, ti faceva parlare, e intanto con le forbici ti tagliava la cravatta. Una volta, dopo aver visto un film su un suicidio, rifacemmo la scena madre su un tetto di Genova: io fingevo di volermi gettare di sotto, lui di trattenermi. Dovemmo smettere perché si era creata una folla in attesa...».
Che idea si è fatto della morte di Tenco?
«Un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo. Andava molto una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso... Appena arrivò la notizia mi precipitai a Sanremo. Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro».
Perché?
«Avrebbe dovuto ritirarsi. Tanto più che la sua canzone si intitolava “Bisogna saper perdere”. E tanto più che tutti collegavano Lucio a me».
Dalla in effetti ha sempre riconosciuto che fu lei a convincerlo a cantare.
«Avevo semplicemente capito che era un genio. D’estate giravamo a torso nudo su una decapottabile, e si formavano resse per vederci: entrambi pelosissimi, non eravamo un bello spettacolo. Dividevamo la stanza, a volte il letto, senza che mi sia mai venuto il dubbio che Lucio fosse omosessuale. La prima volta che lo portai in uno studio discografico, chiese di abbassare le luci. Nella penombra lo vidi cantare nudo, con le mutande in testa».
Guccini racconta che a Bologna girava una voce: Dalla era figlio di padre Pio.
«Secondo me è davvero possibile. Di sicuro la madre lo lasciava tre mesi all’anno in convento da padre Pio».
Guccini dice pure che la canzone italiana d’autore comincia con «Il cielo in una stanza».
«È la storia di un orgasmo. Poco importa se con una prostituta — io sono della generazione dei casini, dove ebbi la mia iniziazione a sedici anni —, con la donna che ami, o da solo. È la stessa cosa. E mentre inizia è già finita».
Mogol fece cantare «Il cielo in una stanza» a Mina.
«Io ero contrario, la consideravo un’urlatrice. Non avevo capito nulla. Ma è vero che Mina diventa Mina con quella canzone. Quando finì di inciderla scoppiò a piangere».
E Celentano?
«Un bambino di quasi 86 anni. Candido. Mi offrì di entrare nel suo clan. Gli chiesi: chi comanda in questo clan? Adriano rispose: io».
E lei?
«Dissi: no grazie, non potrei stare in un clan dove non sia io a comandare».
L’incontro con la Vanoni?
«Primavera 1960. Avevo già scritto “La gatta”. Sono alla Ricordi, al pianoforte. Alzo lo sguardo e vedo questa splendida donna, la voce sensuale, le mani grandi, che mi chiede di comporre una canzone per lei».
Era Ornella.
«Io le ho insegnato a cantare: senza di me avrebbe continuato con le canzoni della mala con cui lei, di famiglia borghese, non c’entrava nulla. Ornella mi ha insegnato il sesso. Ero pieno di sensi di colpa. Con lei ho imparato a parlare facendo l’amore. Prima andavo a letto con chiunque respirasse; con Ornella ho scoperto la libertà e la naturalezza».
È noto che a lei avevano raccontato che la Vanoni fosse lesbica, e alla Vanoni che lei fosse gay.
«Eravamo in un bar di Milano. Un bar brutto, camerieri scortesi. Glielo chiedo con il cuore in gola: ma a te piacciono le donne? Ornella trema, mi risponde di no, e mi chiede: ma a te piacciono gli uomini? Ci baciamo con passione, la porto in un albergo che frequentavo, pieno di prostitute, e ci chiudiamo in camera».
Lei però era già sposato.
Con Anna. Ero alla Bussola con mia moglie, e arriva Ornella, che la vede, si intristisce, e balla per tutta la sera con Sergio Bernardini, piangendogli sulla spalla. Poi vado in albergo a Viareggio, e scopro che pure Ornella ha preso una camera lì. Presagisco il disastro e chiedo al portiere di svegliarmi alle 7, per tenere la situazione sotto controllo. Ma quel disgraziato non mi sveglia, e quando scendo in giardino per colazione le trovo tutte e due, Ornella e Anna, sedute su un dondolo che mi dicono: “Adesso devi scegliere. O una o l’altra”».
E lei?
«Le ho mandate tutte e due al diavolo, e me ne sono andato».
(...)
Ogni tanto lei insultava il pubblico.
«Alla Bussola inizio il concerto con “Non andare via”, la mia versione del capolavoro di Jacques Brel. Il pubblico rumoreggia: “Fai le tue canzoni!”. Lo accontento, e poi lo mando a quel paese: “Imbecilli! Se non capite Brel, non capite neppure me”. In platea c’erano Agnelli e Moratti. Presagisco un altro disastro».
Invece?
«La sera dopo c’era una folla enorme, non si riusciva a entrare. Tutti i borghesi erano lì per farsi insultare da Gino Paoli».
Altre volte cantò dando le spalle al pubblico.
«Comincio “Il cielo in una stanza”, e tra una strofa e l’altra un tizio in prima fila grida: Chiove a zeffunno! “Quando sei qui con me…”. E quello: Chiove a zeffunno! “Questa stanza non ha pi�� pareti…”. Chiove a zeffunno! Dovetti fermarmi e chiedergli: si può sapere cosa vuoi? Voleva una canzone napoletana – chiove a zeffunno vuol dire piove a dirotto – che non avevo mai sentito. Me ne andai».
Poi arriva il ’68, e lei si ritira dalle scene, sul serio.
«Era una falsa rivoluzione. Non mi apparteneva. E mio padre mi aveva insegnato che, quando non si ha niente da dire, si deve tacere. Così mi ritirai a Levanto, dove aprii un locale».
E si diede alla droga.
«Ne ero diventato prigioniero. Per due anni. Avevo iniziato con un canna, per recuperare la voce. Poi ho provato cose sempre più pesanti. Ma quando hanno arrestato il mio pusher, ho smesso. Non per virtù; per necessità».
Con l’alcol è stata più dura.
«Per vent’anni mi sono scolato una bottiglia di whisky al giorno. Ora, come vede, non bevo neppure il pigato».
Nel libro però rimpiange di non aver salvato la persona che amava di più.
«Mio fratello Guido — un fisico, intelligentissimo — sprofondò nell’alcol senza che io me ne accorgessi».
E nella sua vita entrò la donna che ora è sua moglie, Paola.
«Aveva quindici anni. La respinsi: non volevo finire di nuovo in galera. Tornò quando ne aveva compiuti sedici. All’epoca avevo una donna in ogni città: Paola le affrontò tutte. La rivale più pericolosa, quella di Torino, quasi una fidanzata, la mise in fuga sguainando un coltello a serramanico».
È vero che dai discografici si faceva pagare in case?
«Era l’unico modo per non dissipare tutto. I primi concerti me li pagavano in contanti, io infilavo i soldi in un sacco e lo rovesciavo sul tavolo di casa: chi voleva si serviva. Firmai il primo contratto a Milano con la Ricordi, uscii dalla Galleria, c’era una bancarella di tartufi che cominciai a sgranocchiare come caldarroste. Poi entrai in una concessionaria d’auto e comprai una Austin-Healey 3000, con il cambio all’inglese che non sapevo usare. Feci mezza Milano-Genova in prima; a Voghera fusi il motore. Le piace questa casa?».
Dal terrazzo si vede la Liguria da Portofino a Bergeggi.
«Metà me l’ha comprata la Rca, l’altra metà la Cgd. Altrimenti non mi sarebbe rimasto nulla».
Anche Califano cominciò la sua carriera grazie a lei.
«Un talento pazzesco, purtroppo rovinato dalla droga».
Come Chat Baker.
«In Versilia aveva trovato un medico che gli passava farmaci con la morfina. Solo che doveva bucarsi più volte al giorno. Andò in crisi, non si trovava un angolo di pelle dove iniettargli il metadone: alla fine lo bucarono qui, sotto l’occhio, e lo salvarono».
Come trova la Meloni?
«Piccola, dura, tosta. Sono contento che ci sia una donna a Palazzo Chigi. Dovremmo eleggerne di più».
Perché?
«Perché sono più intelligenti. Vale anche per i cani, sa? Io ho solo femmine: Nana, una bulldog; Lula, una labrador; Leila, una lupa cecoslovacca».
E a sinistra chi le piace?
«La Schlein è un mistero: non conosco la sua storia, non capisco come guida il partito. Trovo interessante Greta Thunberg. La barca affonda, e a bordo ci siamo tutti».
Grillo?
«È un amico. Come Antonio Ricci e Renzo Piano. E gli amici non si giudicano. È un idealista che voleva davvero fare qualcosa per il Paese; come l’abbia fatto, è un altro discorso».
Gino Paoli con Beppe Grillo nel 2014 sul palco del Politeama Genovese, a Genova, per una serata ricordo per l’autore televisivo Arnaldo Bagnasco (Ansa)
L’anno prossimo lei compirà novant’anni.
«Festeggerò abbracciando il Cristo degli abissi, nel mare di San Fruttuoso. Fino al Covid lo facevo ogni estate, in apnea. Ora ricomincio».
L’aldilà esiste?
«Non ne ho la certezza, ma la convinzione sì. Un fiore muore e rinasce. Perché noi no? Ma della nostra coscienza che sarà? È da quella notte del luglio 1963 che vivo con questa curiosità».
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gatta-pantera · 7 months
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Un uomo e sua moglie andarono allo zoo.Videro una scimmia che giocava con la sua femmina. La moglie disse .. "Che Romanticismo" Poi videro un leone e la sua leonessa molto distanti l'uno dall' altro .. il leone silenzioso e solo nel suo angolo come se la leonessa non esistesse.
La moglie disse ..“Che triste scena senza Amore” Il marito rispose .. “Lancia una pietra verso la leonessa e osserva ". Lanciato il sasso il leone saltò su ruggendo per difendere la sua compagna. Tornati dalle scimmie la donna lanciò anche verso di loro una pietra .. la
scimmia corse via e abbandonò la sua femmina per salvarsi la pelle. Il marito le disse .. "Non lasciarti ingannare da ciò che vedi come romanticismo in alcuni, molte volte è un'apparenza ingannevole che nasconde un Cuore vuoto .. ce ne sono altri al contrario che non mostrano
nulla, ma i loro cuori sono pieni di Amore sincero".
Purtroppo al giorno d'oggi abbiamo così tante
scimmie, e così pochi leoni.
Ramon Montañés .
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filmap · 11 months
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La donna scimmia / The Ape Woman Marco Ferreri. 1964
Square Piazza Mercato, 80133 Napoli NA, Italy See in map
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londranotizie24 · 2 years
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100 anni di Ugo Tognazzi: due film al Cinema Garden per commemorare l'attore
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Di Simone Platania @ItalyinLDN @ICCIUK @ItalyinUk @inigoinLND CinemaItaliaUK celebra 100 anni di Ugo Tognazzi: due film al Cinema Garden per commemorare l'attore italiano il 26 novembre. 100 anni di Ugo Tognazzi, due film al Cinema Garden per commemorare l'attore Tognazzi rappresenta, insieme a Mastroianni, Gassman e Sordi, una stella pionieristica dell'Età d'Oro della commedia all'italiana. Inventore della supercazzola, è stato capace di offrire uno sguardo critico della società italiana attraverso il suo umorismo. Famoso per i suoi commenti satirici sulla borghesia italiana, per le sue audaci caricature e per i suoi audaci sketch comici, Tognazzi è stato omaggiato innumerevoli volte. Proprio per questo CinemaItaliaUK celebra i 100 anni di Ugo Tognazzi: due film al Cinema Garden per commemorare l’attore verranno proiettati il 26 novembre. I titoli in questione, capisaldi della commedia all’italiana, sono La donna scimmia e Il vizietto. L’evento inizia alle ore 17.30 ed è prenotabile qui. La serata è sotto l'egida del Consolato Generale d'Italia e Vivere all'Italiana. I due film in programmazione al Cinema Garden Continuano gli eventi di CinemaItaliaUK; le due perle di Tognazzi in proiezione il 26 novembre per celebrarne il centenario sono La donna Scimmia e Il Vizietto.  La Donna Scimmia (Marco Ferreri, 1964): è una sorta di freakshow incentrato sulla relazione tra Antonio (Tognazzi) e Maria (Annie Girardot). Quest’ultima è una donna interamente ricoperta di peli. Lo script è liberamente ispirato alla storia reale di una donna indigena messicana sfruttata come attrazione del circo. Questo film bizzarro è a tratti esilarante, a tratti commovente, fornendo il ritratto grottesco di una donna con desideri, emozioni e sogni. L’opera ha concorso per la Palma d'Oro alla 17esima edizione del Festival di Cannes. Il Vizietto/LA Cage aux folles (Édouard Molinaro, 1978): Una coppia di anziani omosessuali, Renato e il suo fidanzato travestito Albin, tentano maldestramente di nascondere il loro stile di vita sgargiante ai futuri suoceri di Renato. Commedia audace e fluida, nasconde la sua forza sovversiva dietro un saluto ai valori familiari tradizionali rendendolo quasi visionario per il suo tempo, Il Vizietto è un commento satirico sulla normatività che ha permesso a Molinaro di ottenere una nomination all'Oscar. ... Continua a leggere su www. Read the full article
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lasko2017 · 2 years
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Un uomo e sua moglie vanno allo zoo. Vedono una scimmia che gioca appassionatamente con la sua femmina. La donna esclama: ′′Che romanticismo!". Poi trovano un leone e la sua leonessa separati l'uno dall'altro. Il leone silenzioso e solo nel suo angolo come se la leonessa non esistesse. La donna commenta: ′′Che triste scena senza amore!". Il marito replica: ′′Lancia una pietra verso la leonessa e osserva". Quando lei getta la pietra, il leone salta ruggendo per difendere la sua leonessa. Rivedono le scimmie e lei fa lo stesso gettando una pietra. La scimmia salta e abbandona la sua femmina per salvarsi la pelle. A questo punto il marito commenta: ′′Non lasciarti ingannare da ciò che vedi come romanticismo in alcuni, molte volte è un'apparenza ingannevole che nasconde un cuore vuoto; ce ne sono altri al contrario che non mostrano nulla, ma i loro cuori sono pieni di amore sincero". Purtroppo al giorno d'oggi abbiamo così tante scimmie e così pochi leoni. Buon inizio di settimana cari amici del mondo del web... (presso Ritz Caffè Riccione) https://www.instagram.com/p/Cisgtqqo4ayExaA9A7WmFrW_6sx1SjBP8b219A0/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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valentina-lauricella · 3 months
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Maria Valtorta, Quaderni, 31 ottobre 1943.
La grande morte è quella che uccide ciò che è immortale: lo spirito vostro.
Dice Gesù:
«Due sono i generi di morte. Già l’ho spiegato. Vi è la piccola morte, quella che vi leva dalla Terra e libera il vostro spirito dalla carne. E vi è la grande morte, quella che uccide ciò che è immortale: lo spirito vostro. Dalla prima risorgete. Dalla seconda non risorgerete in eterno. Sarete per sempre separati dalla Vita: ossia da Dio, Vita vostra. Più stolti degli animali, che ubbidendo all’ordine dell’istinto sanno regolarsi nel cibo, nei connubi, nello scegliersi le dimore, voi, con le vostre continue disubbidienze all’ordine naturale e soprannaturale, molte volte vi date la morte prima e seconda da voi stessi. Intemperanze, abusi, imprudenze, mode stolte, piaceri, vizi uccidono la vostra carne come tante armi maneggiate da voi in delirio. Vizi e peccati uccidono poi la vostra anima. Perciò Io dico: “Non andate a cercare la morte cogli errori della vostra vita e la perdizione con le opere delle vostre mani”.
Ve l’ho detto: Dio, che tutto ha creato, non ha creato la morte. Opera sua il sole che splende da secoli di millenni; opera sua il mare contenuto nei suoi limiti su un globo che rotea negli spazi; opera sua le infinite stelle per cui il firmamento è come uno spazio su cui siano sparsi i gioielli caduti da un aperto forziere smisurato; opera sua animali e piante: dai colossali, come elefanti e baobab, ai più esili, come la esile piuma del musco e l’effimero moscerino del fragoleto; opera sua voi uomini, dal cuore più duro del diaspro e dalla lingua più tagliente del diamante creati e sepolti dall’Eterno nelle viscere del suolo, dal pensiero più oscuro del carbone creatosi negli strati terrestri con decomposizione di millenni, dall’intelligenza potente come aquila negli spazi ma dalla volontà cocciuta e ribelle come quella di una scimmia. Ma la morte non l’ha creata. Quella è stata generata dal vostro sposalizio con Satana. Il vostro padre, nell’ordine del tempo terrestre, Adamo, l’ha generata prima di generare suo figlio. L’ha generata quel giorno che, debole davanti alla debolezza della donna, cedette alla volontà sedotta di lei e peccò dove non s’era mai peccato, peccò sotto al sibilo del Serpente e le lacrime e i rossori degli Angeli. Ma la piccola morte non è un gran male quando con essa cade solo, come foglia che ha fatto il suo ciclo, la carne. È anzi un bene, perché vi porta là donde veniste e dove un Padre vi attende.
Come non ha fatto la morte della carne, Dio non ha fatto la morte dello spirito. Ha anzi mandato il Risuscitatore eterno, il suo Figlio, a darvi Vita quando già eravate morti. Il miracolo di Lazzaro, del giovane di Naim e della figlia di Giairo non sono gran che. Erano degli addormentati: Io li ho destati. Grande è invece il miracolo quando di una Maddalena, di uno Zaccheo, di un Disma, di un Longino, morti nello spirito, ho fatto dei “vivi nel Signore”.
Esser vivi nel Signore! Non vi è cosa più grande in bellezza, in gioia, in durata, in splendore di questa. Credetelo, o figli, e cercate di esser “vivi”. Vivi in Dio Uno e Trino, vivi nel Padre, vivi per l’eternità. Voi che chiamate inferno la Terra, e per quanto infernale l’abbiate resa coi vostri sistemi feroci è un paradiso rispetto alla dimora di Satana, non date per ultima mèta l’inferno al vostro spirito. Dategli Dio che è Paradiso allo spirito vostro e lasciate l’inferno agli inferi, ai dannati, ai maledetti che hanno rigettato la Vita, cibo ripugnante al loro cuore di pervertiti, e accolto la morte di cui erano ben degni. Se tutto finisse sulla Terra, sarebbe ancor poco male apparire malvagi per poco tempo. Gli uomini presto lo dimenticherebbero, perché il ricordo è come nuvola di fumo che presto dilegua. Ma la Terra non è tutto. Il tutto è altrove. E in quel “tutto” troverete ad aspettarvi ciò che avete compiuto sulla Terra.
Nulla sarà senza giudizio. Pensatelo. E come dementi non dilapidate le sostanze che Dio vi ha dato, ma fatele fruttare per la vostra immortalità. Non muoiono coloro che vissero nel Signore. Quanto quaggiù fu dolore, avvilimento, prova, si muterà per essi nell’aldilà in premio, in trionfo, in gioia.
Né pensate che Dio è ingiusto nel distribuire i beni della Terra e la durata della vita. Questo è quello che pensano coloro che già sono fuori di Dio. I viventi nel Signore, delle privazioni, delle pene, delle malattie, della precoce morte se ne fanno una gioia, poiché in tutte le cose vedono la mano del Padre che li ama e che non può dare loro che cose utili e buone; quelle cose, del resto, che ha dato a Me, suo Figlio.
Essi, già proiettati fuori da questo mondo, pensano e desiderano unicamente la gloria di Dio, e Dio li rivestirà di gloria per l’eternità. Saranno dimenticati o ricordati con orrore i malvagi; ma ai santi, ai giusti, ai figli di Dio verrà dato culto duraturo e santo, perché dei suoi diletti ha cura il Signore e non solo si cura di dar loro la gioia nel Cielo, ossia Sé stesso, ma fa dare loro onore vero dagli uomini, facendo brillare come nuova stella lo spirito di un santo agli occhi e alla mente degli uomini.»
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marcoferreri · 5 years
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La donna scimmia (1964)
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ginny-lily · 3 years
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If you dropped me somewhere in Italy right now with no sense of direction and nobody spoke English, it would probably go sth like this:
Me, bowing: Buonasera, signore e signori. Sono una donna. Loro sono mele.
The people around me: ???
Me: Mi dispiace. Sono fuori di testa. Il gatto mangia un topo.
People: ?????
Me: Allora prendi la mia mano, bella senorita. Grazie Roma!
People, slowly backing away: ?????????
Me, panicking: La scimmia legge un libro! Coglioni! Marlena torna a casa?
People: *call the police*
Me: Coraline piange... Chili ti amo! Io cucino la crema di cioccolato. Arrivederci.
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sciatu · 3 years
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Tarocco Siciliano raffigurante l’imperatrice
Madam Effie e l’uomo che non poteva amare 
Prima parte: il senso dei sogni.
“Scusa, posso sedermi?” Lei alzò gli occhi dalla sua insalata e mi guardò stupita. Anch’io mi guardai stupito: stavo facendo una cosa che non solo non avrei mai pensato di fare, ma neanche immaginato che potesse succedere!! io che mi avvicinavo ad una donna che non conoscevo chiedendole di sedermi al tavolo dove mangiava. Era assurdo! Io che importunavo una donna. E una donna camionista per giunta! Una di quelle che appena le guardi male ti davano il crick in testa. “Ma cosa stai facendo? - mi chiesi – quello che Madam Effie mi ha detto di fare” mi risposi e subito mi sentii un coglione.
Era successo qualche mese prima che portavo Cicciuzzu, il mio camion, a Montalbano Eliconda per lasciare un carico di sedie e tavoli e prendere delle scatole piene di caciocavallo, salsicce e pane, quel pane famoso che a Messina appena lo mettevano in esposizione già spariva. Ad un certo punto sul lato della strada vidi una sagoma nera. Era una macchina, una vecchia lancia Kappa ancora ben tenuta. D’improvviso, quando ero ad una cinquantina di metri dalla Lancia, dal davanti della macchina saltò in mezzo alla strada una sagoma scura che senza esitare si mise dritto a mano aperte di fronte al camion. Cicciuzzu fece uno scarto di lato per evitarlo e quasi si stava ribaltando dall’altra parte della strada. Lo ripresi con il controsterzo, mi affiancai sul lato della strada dove era parcheggiata la macchina e fermandomi guardai se avevo urtato qualcuno. Vidi la figura oscura, che riconobbi essere un uomo con un vestito nero attillato, ancora in mezzo la strada a braccia aperte. Abbassai il finestrino e gli gridai “Ma chi si critinu? Ti putia ‘mazzari!!” La figura restò ferma qualche secondo poi incominciò a venire verso di me saltellando. Io ero già incazzato perché mi stava facendo ribaltare Cicciuzzu e a vederlo venire incontro che magari vulia fari na sciarra (guerra), mi slacciai velocemente la cintura e mi tirai su le maniche “Stu jarrusu figghiu i buttana pensa chi mi scantu (spavento). “ E scesi da Ciucciuzzu pronto a fare a pugni con quello stronzo che era, si e no, alto la metà di me e pesava quanto una mia coscia Lui, quasi indifferente al fatto che il suo corpo era la radice quadrata del mio, veniva verso di me saltellando con le gambe larghe e le braccia che sembravano più lunghe del normale, come se fosse uno scimpanzè. Quando fu vicino l’impressione che fosse una scimmia fu più forte perché aveva dei basettoni spelacchiati sulle gote e due orecchie a sventola che sembravano proprio quelle di un scimpanzè. Arrivato a qualche metro da me si fermò. Indicò con il lungo braccio la vecchia macchina e disse “Uhh uhh” Io lo guardai stupito “Comu?” Ma lui si girò e con la sua andatura dondolate e le gambe larghe che ci poteva passare nel mezzo un cane con una scopa in bocca, si avviò verso la macchina. Si fermo dopo qualche metro e voltandosi a guardarmi ripeté “Uhh uhh” e aspettò che facessi qualcosa. Toccai la chiave di Ciucciu in tasca e rassicurato che non me lo potessero rubare lo seguii. Lui riprese la sua andatura saltellante e arrivò vicino alla macchina fermandosi all’altezza della ruota e ripetendo il suo verso “Uhh uhh” La ruota era a terra ed io stupito l’osservai “Chi c’è? Na sai canciari?” “No non la sa cambiare” Disse la voce ferma di una donna seduta nei sedili posteriori della macchina Dal finestrino mezzo abbassato vidi la sagoma di un corpo coperto da una veste traslucida che mi sembrava seta. Anche il volto era ricoperto da una mascherina dai riflessi simili a quelli delle macchie di petrolio sull’acqua. Solo gli occhi sembravano muoversi nella figura immobile. Erano due occhi dal taglio orientale, magnetici e scurissimi, di quelli che ti tagliano l’anima e vedono cosa c’è dentro. “E chi minchia di autista è se non la sa cambiare?” “uno di quelli che non lo hanno mai fatto” rispose freddamente la donna evidenziando il suo accento straniero “va bhe – dissi scuotendo la testa – ora l’aiuto io, aprimi d’arreti” e aprendo il bagagliaio incominciai a prendere il crick e la ruota di scorta. “incredibile - commentai mentre lavoravo – come non si può sapere cambiare una ruota” È scossi la testa “Apollo guida raramente, generalmente non ci muoviamo da Messina” Mi rispose la signora “E ora come mai vi avventurate verso Montalbano?” “Andiamo sull’altopiano di Agrimusco per il solstizio d’inverno, “ “Ma li sarete in alto e farà freddo…” “c’è chi ci aspetta” “poi dicono che è pieno di cose brutte o strane, come pietre dalla forma umana o… mavari maligni (maghi cattivi)” “non ci fanno paura” Rispose con naturalezza la signora guardando i monti mentre lo scimmione-autista si mise a ridere come se quello che aveva detto la donna, fosse stata una battuta di cui solo lui poteva capirne il senso. “Ma su “sustizziu” chi boli dire, è una sagra?” Chiesi mentre cambiavo la ruota e solo per gentilezza, perché mi sembrava maleducato lavorare in silenzio con quella signora. “È il giorno in cui vi è la notte più lunga prima che il sole ritorni a splendere ogni giorno di più. Nella notte più lunga si possono vedere cose che negli altri giorni mancano ed i morti possono stare di più sulla terra ed è più facile incontrarli e parlargli” “Sarà – dissi scettico, riponendo la ruota bucata nel bagagliaio - deve cambiarle queste ruote, sono ormai vecchie. A Montalbano, c’è un gommista, dica che la manda Gaetano, il padrone di Cicciuzzo, le farà un buon sconto cambiandole tutte le ruote” “Lei è molto gentile: Apollo, ringrazia il signore” Lo scimpanzè vestito da autista sorrise e d’improvviso allungò verso di me un braccio nella cui mano, tenuto tra l’indice e il medio, apparve un biglietto di cinquanta euro. L’ osservai stupito per la rapidità del gesto “No grazie, certe cose bisogna farle perché si è uomini” “È solo un modo di ringraziarla” “Un grazie basta e avanza” E mi girai per andare verso Cicciuzzo. Avevo fatto un paio di passi che la donna parlo ancora “Mi scusi, non volevo offenderla” “non mi sono offeso – le dissi girandomi verso la macchina - ma la gratitudine per un aiuto non può essere accompagnata dal denaro, se no non è gesto d’ aiuto nato dalla buona volontà, ma un lavoro” “Ha ragione, mi scusi ancora. Allora prenda un mio biglietto da visita e mi venga a trovare; ripagherò un aiuto con un altro aiuto” Sotto il naso mi apparve, tenuto da due dita pelose di Apollo, un biglietto da visita color Lavanda con una scritta rossa purpureo che diceva: Madam Effie Veggente via Palermo 1317 Messina Mi venne da ridere. “Vaddassi che io, a queste cose di mavare e streghe, non ci credo.” Le dissi sorridendo “Non si preoccupi, mavare e streghe esistono dovunque c’è il male e il bene anche se lei non ci crede; venga pure a trovarmi e parleremo del suo problema” “Problema, quale problema? Io non ho nessun problema!” Gli occhi di lei mi guardarono e già mi immaginai la sua bocca sorridere. “non si preoccupi – fece Madam e velocemente i suoi occhi si abbassarono quasi a indicare dove le mie gambe finivano e tornarono a fissare i miei occhi - nessuno saprà del suo problema, ma se viene a discuterne, magari lo risolveremo” La Lancia mise in moto e si mosse verso la careggiata velocemente, allontanandosi aumentando sempre di più la velocità, lasciandomi sul bordo della strada con il biglietto in mano.
Ora voi signori miei vi chiederete: perché non hai stracciato il biglietto, buttandolo via e facendoti due risate? La risposta è semplice: perché io un problema, di cui non avevo mai parlato a nessuno, e che Madam aveva indicato con lo sguardo, lo avevo veramente! Una serpe qui dentro di me che si tucciuniava (contorceva) e mi mordeva il cuore, avvelenando la mia anima e i miei giorni. Che quella donna me lo rinfacciasse in maniera superficiale e quasi banale, voleva dire che magari lei lo conosceva molto meglio dei dottori dove ero andato perdendo tempo e speranza. Sembrava che ne sapesse i dettagli e che ben conosceva l’amaro che donava ai miei giorni rendendo il mio sangue aceto. Quale è il mio problema? È un problema da maschio, che è un doppio problema perché a me i fimmini mi piacciono e assai e io, se potessi, le vorrei fare felici tutte, ma non per un minuto, per tutta una vita. E invece… Invece, quando arriviamo al dunque … niente! Non c’è cosa. Non si duma, non si isa, non si drizza, resta li annoiato e monchiu (mollaccio) come se la cosa a lui non lo interessasse e DomineIddiu lo avesse fatto solo per stare sudato e appiccicaticcio incollato alle paĺle e nulla più. Un uomo è uomo, non solo se ne ha gli attributi ma soprattutto se li usa e quindi, signori miei, se questo uso non c’è, allora che uomo è. Ma a parte questo, voi sicuramente vedete a primavera sul viale quelle ragazze con quei vestitini leggeri, con il seno che danza su e giù ed il sedere che ad ogni passo si tende, si gonfia, mostra i muscoli che lo formano e poi ridiventa morbido, soffice, delicato;  quelle ragazze  che lasciano una striscia di profumo delicato come la loro pelle che sarebbe da accarezzare, leccare, baciare... quelle ragazze o quelle donne esperte, che dovrebbero essere adorate, esplorate, amate, saziate, nella penombra di una stanza, sull’altare di un letto disfatto … Ed invece io potevo solo immaginarle, desiderarle, sognarle forse, ma nulla più! Nulla …di più. Per questo ero felice di essere camionista, sempre in viaggio, da solo, sulle autostrade, lontano da ogni tentazione e dal sapore della vita che le tentazioni stesse sanno dare! A volte però mi chiedevo che vita era la mia? Che senso aveva, che piacere o sapore mi poteva dare questa maledetta vita che facevo, se io stesso ero incapace di gustarla? Mi misi il bigliettino in tasca, pensando che magari quella signora diceva la stessa cosa a tutti per procacciarsi un cliente, Ma il tono con cui l’aveva detto e lo stesso momento e modo in cui ne aveva parlato, non mi sembravano quelle parole e quei modi in cui un imbonitore che va a caccia di qualche bonaccione da truffare, lanciava la sua esca. Tornai da Cicciuzzo pensando e ripesando a cosa era successo. Inconsciamente mi misi il bigliettino in tasca indeciso su cosa fare. Qualche giorno dopo, in un Autogrill nelle Calabrie incontrai U Principi, un camionista messinese mio amico Dopo aver mangiato allo stesso tavolo gli mostrai il biglietto “Guarda, l’altro giorno ho incontrato una tua compaesana” E gli passai il bigliettino. Nel vederlo lui sbiancò e tenendolo a distanza si fece il segno della croce “Cu tu desi?” “Madam in persona” “Propriu idda?” Chiese sottovoce stupito. “Si me lo ha dato lei di persona” Me lo restituì tenendolo delicatamente con due dita e continuò con un filo di voce “È na Mavara Janca putenti. Se te lo ha dato lei, vuol dire che ti protegge. Se hai bisogno vai da lei. Fidati.” “Na Mavara Janca?” “Si. Ci su i Mavari Nivuri (nere), che servono u Malignu, chiddi Janchi, chi ci vannu contru e i Lamii, chi servunu a natura! Idda è Janca, non fa u mali, ma aiuta” L’osservai stupito “ma tu comi sai sti cosi?” “A Missina ci su chiù sette sataniche che in ogni altra città italiana. Sti cosi si sannu. Idda aiuta a genti onesta, i dispirati, i puvirazzi, cu nun avi chiù spiranza …” “Mah ...” “Non spiari – mi fermò U Principi – non su cosi pi nui. È meglio non parlarne: u Mali avi i ricchi longhi” E restò in silenzio guardandosi alle spalle. Per il resto della pausa che ci eravamo presi in Autogrill parlo di tutt’altro, alla fine mi salutò abbracciandomi e guardandomi seriamente negli occhi, mi disse solo “stà a cura (stai attento)! Cu si vaddoi si sabboi (chi si riguarda si salva)” U Principi è una persona onesta e affidabile che da sempre ha viaggiato sulle strade del mondo, tanto da conoscerne ogni bellezza ed angolo oscuro, se uno “espettu” come lui le riconosceva un potere che altri non avevano allora voleva dire che dovevo andare a trovare Madam Effie.
Mi guardò sorpresa con quei suoi due occhi che facevano più rumore di tutti i clienti del ristorante, poi seria chiese “E se io ti dirria di no?” La guardai anch’io, sprofondando nel rosso delle sue labbra immense come l’orizzonte del mare. Non poteva dirmi di no, dopo tutto quel tempo che l’avevo cercata. Non potevo fermarmi, dovevo ingranare la marcia e accelerare. Mi sedetti e sorridendo aggiunsi “Ti chiederei perché non mi vuoi seduto qui con te” Lei ingoiò il boccone e rispose tenendo i suoi occhi fissi nei miei a sfidarmi altera come una regina “Perché hai fatto passare avanti due clienti per fargli occupare i tavoli liberi e poi sei venuto qui a chiedermi se potevi sederti. Ecco perché! Ammia chiddi troppu scattri nun mi quagghiunu (a me i troppo furbi non mi piacciono)” Sorrisi “Se lo hai notato allora non sono abbastanza scattru! quindi posso restare – e senza darle tempo di rispondere alzai la mano e chiamai – cammireri!” Lei sorrise “Hai a testa dura!!!” “Solo quando serve. Tu bevi vino?” “Chi c’è? mi voi fari mbriacari?” “ti voglio offrire un buon vino per fare la pace” “Astemia sugnu” “E fai bene – e al cameriere che era arrivato – Portami quello che hai portato alla signora e una bottiglia di vino, la migliore” Appena il cameriere si allontanò allungai la mano “Mi presento, sono Gaetano, ma i nostri colleghi camionisti, mi chiamano Cicciuzzu ” Lei mi guardò “Ah Cicciuzzo sei… e picchi non lo dicevi prima?” “Picchì, mi canusci?” lasciò la forchetta e mi strinse la mano “Piacere sono Angela detta Sant’Agata. Mio marito mi ha parlato di te. A Sansone, uno del paese nostro, si era bloccato il camion sul valico del Sempione e tu ti sei fermato per aiutarlo. Sei riuscito a far partire il camion e gli hai evitato una notte in mezzo alla neve” “E’ un vizio che non riesco a perdere quello di aiutare gli altri – dissi seccato perché avevo scoperto che aveva un marito – ma non ne posso fare a meno” Non ne potevo fare a meno, non poteva lasciarla. Anche se aveva marito non potevo assolutamente lasciarla. Lei era finalmente chi stavo cercando Mangiai un boccone di pane mentre il cameriere apriva la bottiglia di vino e ne versava ad entrambi un sorso. Non potevo lasciarla andare, mi ripetei mentre facevamo un brindisi con il vino e la guardavo negli occhi. Bevvi lentamente pensando e raccogliendo le idee, mentre lei non toccò il vino e continuò a mangiare. L’osservai e mi sembrava perfetta. I capelli ondulati di un nero brillante, la carnagione abbronzata su cui affioravano le lentiggini, gli occhi scuri come i capelli, vivaci e dallo sguardo intenso, il volto tondo come quello delle bambine, il seno grosso da madre, il corpo proporzionato. Era lei, quella che cercavo, la sola che in quella sala del ristorante vedevo, l’unica di cui ero curioso. Era lei che cercavo. Non potevo lasciarla andare.
Salutato U Principi, scesi a Villa e di li traghettai per Messina. Una volta in città lasciai Cicciuzzo in un posto tranquillo e sicuro e andai in via Palermo, da Madam Effie. Quando entrai nella sala d’attesa, vi era solo una vecchietta e una coppia di ragazzi che sembravano fidanzati. La vecchia li fece entrare da Madam,  si avvicinò a me e tutta seria mi chiese “Tu si Gaetanu u camionista?” “Si signora” “Madam ti aspettava. Devi entrate per ultimo. Se arriva qualcuno lo faccio passare avanti, poi entri tu” “Va bene signora, comi dici lei” La vecchia fece un segno di assenso e poi si andò a sedere vicino alla porta da cui si andava verso Madam e prendendo un rosario, incominciò a sgranarlo muovendo in silenzio le labbra. Arrivò una signora vestita di nero che dopo poco entrò da Madam, Arrivò quindi un signore che sembrava un direttore di banca ed entrò anche lui dopo qualche minuto d’attesa. Dopo quasi un’oretta, la vecchia si alzo e aprì la porta che portava da Madam. “Ora puoi entrare” Arrivai, attraverso un corridoio buio in uno studio fiocamente illuminato, in un angolo dietro un enorme scrivania, c’era Madam Quando entrai si alzò e mi invitò a sedermi su una poltrona messa di fronte la scrivania. “Sei venuto. Mi fa piacere. Posso restituirti l’aiuto che ci hai dato” “E comi sta l’autista chi non sapi canciari i roti?” “Apollo Sta riposando, lui non vive per come viviamo noi” Quella frase, non so perché mi fece venire i brividi. “Ecco Madam – dissi senza ulteriori convenevoli – sono venuto per quel problema che lei forse sa” Lei si fece seria “Non ne conosco i dettagli: so che c’è! La tua Aura Vitale è inquieta, sembra quasi che si rivolti su sé stessa, ma non ho bisogno che me ne parli, troverò le informazioni con i miei mezzi. Probabilmente hai già provato le strade “normali” dove occorrono dati “tangibili” per diagnosticare un male.  Io non ho bisogno di questo tipo di informazioni perché i miei mezzi non sono “normali” e spesso quello che si percepisce è più esatto di quello che si comprende con numeri e analisi. Dimmi prima di tutto quando sei nato.” Una volta saputa la mia data di nascita dispose cinque carte a croce e da un altro mazzo, con la mano sinistra, mi fece mettere tre carte su ogni carta della croce. Alla fine, alzandole lentamente una ad una le studiò a lungo. “Nella tua vita, quando eri molto giovane, è successo qualcosa … di grave … di molto grave….” improvvisamente mi sentii debole, privo di ogni forza e volontà, provavo un senso di ansia che fino a poco prima non avevo e che mi soffocava. Forse era l’agitazione, la fretta di arrivare … Girò un tarocco “Questo fatto ti ha segnato, profondamente …  ti ha segnato, … ti ha levato il desiderio … l’amare …. “ Si, sentivo freddo, e sudavo freddo, le mani, la fronte… perché sudavo? prima stavo bene? … forse era il Covid… “Tu non riesci più ad amare… non ne sei più capace … anche se vorresti ma non puoi … “ Stavo male, dovevo andar via, magari qualcuno mi aveva sicuramente infettato sul traghetto. Dovevo dirlo a Madam, che non era il caso che … sentivo freddo, … tanto… “anche se non puoi più vivere così … hai bisogno d’amare … fortemente” Non riuscivo a respirare, sudavo, mi veniva da vomitare … dovevo dirle di smetterla, che ne avremmo parlato domani, … mi sarei alzato e avrei detto…. Diventò tutto buio.
Sentì un odore fortissimo penetrarmi dalle narici ed arrivare fino al cervello come uno schiaffo. Aprii gli occhi e vidi le rughe della vecchia guardarmi “Comu stai? Mi senti?” E mi diede uno schiaffetto sulla guancia, per farmi rinvenire “cosa è successo?” Chiesi biascicando “Sei fuggito. – rispose Madam seduta dietro la scrivania - Il tuo subconscio ha chiuso tutto per evitarti di rivedere quanto hai visto, quello da cui nasce il tuo problema” “Mi capitava lo stesso quando andavo dallo psicologo. Mi veniva l’ansia e dovevo andare via. Una volta che mi sono imposto di restare ho incominciato a spaccare tutto” La vecchia mi porse un bicchiere dalla forma strana, sembrava un cristallo di rocca racchiuso tra due serpenti che si avvolgevano attorno a esso e che attorcigliandosi formavano il gambo. “Bevi, è una bevanda che gli indigeni delle amazzoni chiamano Sangue di Giaguaro, ti fortificherà; vi è anche del curaro verde, bloccherà temporaneamente la tua emotività e le armi del tuo subconscio” Qualcuno mi prese dalle ascelle e mi alzò e malgrado i miei novanta chili, lo fece come se fossi un fuscello senza peso. Questo qualcuno mi mise a sedere sulla poltrona e si spostò dietro a Madam Effie diventando un’ombra nascosta dal buio alle sue spalle. La vecchia, una volta che finii di bere quell’intruglio che sapeva di mango e liquirizia, prese il bicchiere e scomparve nella penombra della stanza verso la sala d’attesa. “Va meglio ora?” Feci cenno di si con la testa, cercando di riordinare le idee. “Perché fuggo sempre?” Le chiesi stupito “Perché noi uomini vogliamo dimenticare il dolore. Ricordiamo appena le felicità passate, ma tendiamo a cancellare la sofferenza. La tua anima non vuole più soffrire, non vuole più riprovare il dolore che ha avuto e per questo è disposta a tutto: a non farti sapere, a non farti amare a non farti provare una possibile felicità” “Vuoi dire che ho avuto una esperienza, un trauma che mi blocca con le donne?” “È molto probabile. Ma tu stesso pensi di non ricordarlo tanto profondamente lo hai nascosto dentro di te” “non capisco, da una parte tu dici che dimentichiamo il dolore, dall’altra che non voglio ricordare come se dentro di me quel ricordo fosse ancora vivo” “Noi siamo il nostro passato. Siamo quello che abbiamo vissuto. Possiamo dimenticare il dolore provato in un certo istante, ma tutte le azioni che sono il risultato di quel dolore, diventano la nostra vita. Quindi, anche se vogliamo cancellarlo, ce lo portiamo dentro nei gesti di ogni giorno” Restò in silenzio per qualche secondo “Hai detto che hai già provato ad andare da uno psicologo” “Si, qualche hanno fa volevo capire cosa avevo e sono andato da un dottore. Ha incominciato ha parlare di disfunzione erettile, di blocco psicologico dovuto ai rapporti tra mio padre e mia madre… tutte cose che io non capivo cosa c’entrassero col fatto che non si isa” “Tuo padre e tua madre non andavano d’accordo?” “Mio padre era uno che portava i panari i cesti per raccogliere i limoni, il mestiere più povero che fa chi non sapeva fare nulla. Passava la maggior parte del tempo a cercare lavoro in piazza e quei pochi soldi che trovava se li beveva. A volte tornava a casa e sfogava la rabbia della sua condizione su mia madre. Una volta tornò a casa pieno di vino e con la voglia di fare ma mia madre lo cacciò dal letto allora lui la prese a cinghiate e cercò di usarle violenza, si fermò solo perché mi misi a piangere. Allora dormivamo tutti nella stessa stanza ed io vedevo tutto quello che faceva a mia madre. Così è stato fino a che non ho avuto l’età per arruolarmi e a militare ho preso la patente dei camion. Mi sono fatto la mia strada e appena ho potuto ho preso mia madre per farla stare con me in un'altra casa lontano da suo marito. Mio padre rimase solo a vagare di bar in bar a beversi la vita che non aveva avuto.” “E questo non basta per giustificare il tuo problema?” “Non lo so. I dottori dicono di si, ma a me la cosa non convince. Da piccolo mi chiudevo nel mio mondo cercando di non vedere o sentire perché se intervenivo avevo più botte di mia madre. Dopo le botte dovevo stare a casa perché mia madre diceva che a vedermi le maestre avrebbero denunciato mio padre. Insomma, sopravvivevo e non ho un ricordo orribile della mia infanzia anche se di notte avevo incubi strani dove sentivo gridare delle ragazze e che dovevo fuggire”. Mi fermai un minuto a pensare “mio padre alla fine non era cattivo, o meglio, la sua cattiveria nasceva dalla sua disperazione. Quando ormai vecchio e solo lo portai dal dottore e gli dovetti dire che aveva un brutto male lui mi disse solo “mu meritu” e tutte le cure che dovette fare le subiva come una punizione per quello che aveva fatto a me e mia madre. L’ultima volta che portai mia madre a vederlo prima che morisse, le disse solo “scusami, la vita che ti ho fatto fare non te la meritavi” e non le disse più niente, la sera stessa entrò in coma e dopo qualche giorno mori. Io ho giudicato mille volte mio padre, come fa ogni figlio e non riesco a credere che quello che faceva mi abbia fatto così male” Vi un lungo silenzio in cui Madam osservò a lungo le carte, finchè non ne prese una mostrandomi la carta dell’imperatrice “Ad un certo punto hai incontrato qualcuno. Una donna che ha cambiato la tua vita. Ricordi? Non hai avuto nessun tipo di rapporto con lei o con le donne in generale?” “Ma si, curiosità toccatine, anche li tra la gelosia dei compagni e la guardia dei genitori, ma niente di importante, niente che non fossero esplorazioni innocenti e improduttive” Lei mi guardò studiandomi e sentii i suoi occhi entrarmi dentro quasi a scavare nella mia anima “Tu non vuoi guarire – mi disse infine – stai cercando solo di giustificarti che stai provandole a guarire” Resto ancora in silenzio “La tua anima è come questa stanza: Tu ne vedi i dettagli?” “No è buia e mi sembra vuota” “Eppure è piena di oggetti ed entità che non percepisci ma che la rendono affollata. Lo stesso è la tua anima: quello che vedi di giorno è solo quello che vuoi vedere e che ti rassicura; di notte invece il tuo subconscio ti racconta una realtà diversa che ti rende inquieto, perché i nostri sogni sono la voce del nostro vero io e con sincerità ci parlano di noi stessi: è questo il senso dei sogni. A chi credere quindi, alla rassicurante normalità del giorno, o all’angoscia della notte che ti ha spinto qua per farti amare come è giusto amare? Io penso che dobbiamo chiedere a questa tua parte primitiva e inquieta il perché del tuo impedimento e quindi tirare le somme. Tu, come testimone di te stesso, non sei attendibile” “Non capisco “ Madam prese una carta e la mise di taglio in piedi sulla scrivania e questa rimase come era stata messa senza cadere “Questo tarocco siamo noi” Prese un'altra carta e la mise di piatto sul lato alto della prima appoggiandola a metà “Questa e la nostra anima, che oscilla tra odio e amore – il tarocco incominciò a dondolare scendendo prima su un lato ora sull’altro. Madam riprese a parlare – ora è più alto l’uno ora è più alto l’altro lato. L’equilibrio è regolato dal nostro cuore, dal saper distinguere quando è necessario l’odio o è giusto l’amore – il tarocco si fermo restando piatto e orizzontale sopra l’altro tarocco che restava sempre in piedi. – succede però che la nostra intelligenza diventa schiava del nostro ego e non crediamo al cuore, cosi giustifichiamo entrambi i sentimenti nello stesso momento: l’amore diventa uguale all’ odio, ad esempio l’amore che si trasforma in odio per la stessa donna – la carta piatta incominciò a piegarsi con i due estremi che scendevano entrambi verso il basso - E questo atto innaturale viene motivato dalla nostra intelligenza con cui, se ci conviene,  giustifichiamo ogni ingiustizia” Le due carte caddero sulla scrivania smosse da un vento impercettibile. “Questo sei tu, accetti inconsciamente che dentro di te vivano il bisogno d’amore e il suo rifiuto, perché dentro di te, l’orrore dell’esperienza provata te lo ha imposto. Il problema non è il fiume della tua incapacità in cui nuoti. Il tuo problema è la sorgente che l’alimenta e che tu non vuoi svelare” Sorrise, come se fosse arrivata ad un punto importante. “Per questo è meglio che sia tu stesso a confessarti il tuo male” Schiacciò un pulsante e un faretto illuminò su una parete un quadro coperto da un velo nero con una enorme cornice barocca tutta dorata. Madam si alzo e lentamente, accompagnata solo dal fruscio del suo lungo vestito andò verso la parete alla sua sinistra dove prese un piccolo braciere con un gambo a forma di gatto nero. Mise dei granelli di una qualche resina, disse una sola parola e apparve una fiamma che incomincio a danzare subito circondata da una spirale di fumo odoroso. Prese il braciere e si avvicinò a me “Metti sulla fiamma dei tuoi capelli e una tua unghia.” Mi toccai i capelli e mi ritrovai con un ciuffo tra le mani. Li versai sulla fiamma che li accolse con un crepitio cambiando colore. Con il tagliaunghie che avevo attaccato alla chiave di Cicciuzzo, feci quello che avevo fatto con i capelli. La fiamma si spense e un fumo denso e cupo prese il suo posto. Madam prese il piccolo braciere e lo pose ai piedi dello specchio che venne avvolto dal fiume denso. “Ora mettiti di fronte allo specchio seduto. Quando toglierò il velo, vedrai il tuo io e potrai chiedergli il perché del tuo problema. Solo tu potrai vederlo, parlargli ed ascoltarlo. Io sarò qui alle tue spalle. Non sentirò quello che vi direte ma se ti vedrò troppo alterato o in difficoltà, coprirò lo specchio. Ti senti pronto?” Del sudore freddo mi circondò la fronte ma immediatamente si fermo così come il bruciore nello stomaco si calmò, forse per effetto della bevanda di Madam “Sono pronto” Le risposi stringendo i pugni come se dovessi fare a un incontro di pugilato. Ad un suo gesto il velo che copriva quello che aveva chiamato specchio si levò e mi ritrovai davanti un ragazzo seduto su una sedia simile alla mia, circondata dall’oscurità e che mi guardava con la mia stessa curiosità. Il ragazzo aveva il corpo esile ed era alto e portava con una grande chioma disordinata. A vederlo mi ricordò come ero quando ero stato ragazzo. Mi girai verso Madam per dirglielo e anche lui si giro cercando qualcuno nel buio alle sue spalle. Allora tornando a guardarlo, incontrando i suoi occhi che erano i miei occhi, capii con stupore che quel ragazzo spaventato e stralunato, era il mio “io”.
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