Circoliamo in casa
Video realizzato da La Ribalta Teatro.
2 notes
·
View notes
Storia — Stefania Di Bono
Era stanca di stare a casa. Tutti lo dicevano e sembrava che lo accettassero con una certa facilità, almeno a parole, ma per lei non era così. Detestava quelle lunghe, vuote giornate, riempite di attività sempre uguali, cucinare, pulire, portare fuori il cane. Detestava il fatto che non fosse possibile vedersi con gli amici, parlare, condividere le esperienze.
L’unica sua distrazione erano rimasti i libri; ne aveva tantissimi in casa, alcuni non finiti, altri in parte dimenticati, ma comunque tutti molto amati.
Se ne stava in casa ormai da tre settimane in compagnia di Fucur, un cagnone bianco, con un grande naso nero e due lunghe orecchie, a cui spesso raccontava le sue vicissitudini e la sua noia e lui sembrava ascoltarla e muoveva le orecchie in segno di approvazione.
In un pomeriggio di sole, ma con il divieto assoluto di uscire, trovò un libro che si nascondeva tra gli altri, in seconda fila e ricoperto di polvere, e cominciò a leggere.
Vi si raccontavano le storie del pianeta terra, minacciata da una terribile epidemia che si estendeva su tutto e avrebbe portato all’annullamento totale. Vi si raccontava che la terra si sarebbe potuta salvare solo se un essere non umano fosse stato portato su di essa e le avesse dato un nuovo nome e nuove regole.
Fu completamente assorbita da quella lettura e immaginò di poter aiutare gli uomini a trovare questo essere non umano, e fece ricorso a tutta la sua fantasia per immaginare chi avrebbe potuto aiutarla in questa impresa. Sapeva che la strada sarebbe strada lunga ed impervia, ma trovò estremamente eccitante il compito di salvare il suo pianeta e cominciò la sua avventura.
Contrastare il nulla, che stava per abbattersi sulla terra era molto difficile, richiedeva coraggio, capacità e qualche buon amico di cui potersi fidare. Anche in questo caso le fu utile il libro che stava leggendo.
Lì si parlava di un animale chiamato Fortuna drago che la avrebbe potuta portare ai quattro angoli della terra per rendersi conto delle difficoltà che il suo pianeta stava incontrando, e poi sul pianeta Fantasia dove avrebbe trovato risposte alle sue domande.
Pensò quindi che la prima cosa da fare era affidarsi al suo inseparabile Fucur-Fortuna drago che la avrebbe portata sul pianeta Fantasia. E così fu, passarono sopra paesi e montagne e fiumi ed enormi distese di acqua e videro tutti i danni che erano stati inflitti alla terra.
Insieme arrivarono sul pianeta Fantasia e li incontrarono Atreiu che li avrebbe aiutati nel loro difficile compito.
E cosi fu, Il ragazzo spiegò loro che nel suo pianeta, Fantasia, i sogni avevano una grande importanza., e che la terra si sarebbe salvata solo se gli uomini avessero imparato a dare importanza ai loro desideri e ai loro sogni e li avessero messi al primo posto nelle loro scelte. Atreiu spiegò loro che la terra si era ammalata perché gli uomini non l’avevano rispettata e si erano appropriati delle sue ricchezze senza alcun riguardo.
Lei allora capì che, solo ricostruendo un mondo nuovo pieno di sogni e fondato sul principio di eguaglianza tra gli uomini e sul rispetto per tutte le specie viventi la terra si sarebbe salvata e avrebbe sconfitto il nulla che la stava minacciando.
P.S. Questo racconto è ispirato al libro di Michael Ende “La storia infinita”
3 notes
·
View notes
Poesia di Nicola Donati
Una città che è tutto cielo
un viale che sporge nel vuoto
tra i balconi, una vita in trincea
Siamo canarini che gridano libertà.
Tra le coperte svapora l’istante
e tra le sue pieghe va il ricordo.
Sbuffa la moka, si conta un passante:
anche oggi è già tramonto.
Come un ferragosto ma di marzo
nessuna macchina che sfrigola l’asfalto
Nessun’aria di mare, gomme o di benzina,
e i gabbiani conquistano le strade.
Squarcio fa una sirena
nel frastuono della nostra testa
che nella notte, rimbomba e pensa
Siamo corpi ingabbiati,
scomodi e distratti, distrutti,
in un guscio di calce ristretti.
Tra i giorni uguali
si butta il presente
e le ore sono briciole.
In un ferragosto di marzo
il tempo dalla mattina ci guarda,
invecchiare allo specchio:
e appena svegli,
accompagna tutti i nostri gesti,
che ormai non sono più
per nessuno.
4 notes
·
View notes
Danza di un Fiore Bianco
Il rapporto vicinissimo fra Lindsay Kemp e il Teatro Verdi di Pisa è durato quasi 40 anni…Fino alla fine.
Il 3 maggio di quest’anno - giorno del compleanno di Lindsay – i suoi collaboratori più vicini, David Haughton, Daniela Maccari, con Ivan Ristallo, James Vanzo e Alessandro Pucci, avrebbero portato in scena al Teatro Verdi lo spettacolo "Kemp Dances Ancora", il loro tributo di amore a Lindsay. In tempo di pandemia, invece, celebrano il compleanno regalando all'Archivio Poetico della Pandemia questo particolare evento sogno "Danza di un Fiore Bianco", creato ad hoc per questa occasione, con l'aiuto di Simone Tognarelli e Elena Falchini. Una distillazione dell’arte di Lindsay e un abbraccio universale nei tempi del #iorestoacasa.
0 notes
Pensieri di Riccardo Riffaldi
La bolla del tempo
Si avverte la sua presenza incombente
proprio in un silenzio irreale
e nel reale soffrire di corsie che brulicano
a dispetto delle strade trafficate di appena poco fa
Quel poco che fa la sensazione di troppo tempo ormai
Foto di eroi e guerrieri giungono ogni giorno
stanchi di essere tali
e che tali non vogliono essere chiamati più
Donano forze e risorse per gli altri
ma lo fanno da sempre
anche in un clima che era sfiducia
prima di sapere che il sapere loro
è scienza e coscienza amica
L’umanità è in una bolla del tempo
un accordo di una cadenza che non risolve
in un requiem troppo lungo da suonare
Fuori è primavera che non canta
la gioia del suo incanto
e più ore di sole hanno dato il cambio
alle fosche sorelle
soldati della notte
che hanno percorso al freddo dell’inverno
la marcia delle stagioni più scure
Giorni avanzano verso l’estate
con un passo più lento quest’anno
svogliati verso un mare di strana quiete
La natura riprende fiato
mentre lo toglie all’uomo
col suo male peggiore
pure nel pianto
di chi ha perso affetti e gioia
Che la bolla del tempo in cui siamo racchiusi
veda sparire presto le bolle sulla testa
di chi fa fatica a respirare solo
per guarigioni nuove e sudate
Che venti chiari ci diano aria
per corse incontro ad un tempo nuovo
in cui non dimentichi l’uomo
cosa ha fatto l’uomo
In cui ci si senta più simili
e rispettosi per gli altri
e più grati per ciò che non sarà mai più scontato
Il valore alle cose lo diamo noi
con l’attenzione o la disattenzione
con un sorriso in più o in meno
con l’accoglienza o il rifiuto
con la riconoscenza o l’apparente dovuto
con la gratitudine o l’ingratitudine
con l’uguaglianza o la diversità
con lo stupore o l’indifferenza
col ricordo o la rapida dimenticanza
con l’amore o l’odio
Che la memoria di questo tempo
resti dentro stampata
come lo sarà sui libri di scuola
Allora saremo ancora porte aperte
daremo di nuovo vere mani
non avremo più falsi sorrisi
in tasche vuote
gesti di mera convenienza
incroci senza un saluto
Allora dentro questa bolla di aria stagnante
avremo visto e apprezzato
la bellezza di ciò che sta fuori
desiderato mai
come in questi giorni
attraverso i vetri delle nostre finestre
E avremo compreso davvero qualcosa
per la prima volta forse
veramente
nella stessa barca
sotto lo stesso cielo
nello scorrere dello tesso destino
di chi trema e spera
veglia o sogna
che sia grande o piccolo
ricco o povero
potente o persona di strada
Perché lo spillo per far scoppiare questa bolla
sarà stato nelle mani di tutti o di nessuno.
Senso e tempo
Un giorno inizia
in un insolito vuoto del tempo
ma non in un tempo vuoto
Prendo a braccetto
l’unica solitudine del mattino
a farmi compagnia
Compagna di una vita
da figlio unico
Ma unici lo siamo un po’ tutti
Nessuno ripetibile
Valori immensi ognuno
Scrigni di gioielli che custodiamo
perché l’esistenza sia più preziosa
Vorrei che coltivassimo questi
Valori nella convinzione di trasmetterli
come il lascito più prezioso
l’eredità più grande
Come il più grande dei sorrisi
che stira a rischiarare il volto
e spalanca il cuore
Nutrimento vero nella carestia
Sorgente d’acqua viva
in un tempo di arsura
Quando non si è più tangibili
e non c’è traduzione con il corpo
usuale interprete e tramite
di ciò che sta nell’anima
Che arrivi il mio sorriso a chi mi pensa
immagine soltanto
di ciò che era scontato fino a poco fa
Oggi il sole entra di primo mattino
a rischiarare stanze
immobili stazioni nelle quali riparare
in un mal tempo
che combatte il suo male
Denso di eroi pur stanchi
ma instancabili in densa battaglia
Eroi che tengono la mano
così meno sola appena in tempo
in un tempo di pena
a chi giace incredulo
con occhi pieni di richieste
e polmoni vuoti di aria
Fame di sguardi come di respiri
A loro il mio pensiero
il mio dolore per il dolore del mondo
Lacrime che non colmano
il mare di domande
che chi soffre rivolge
con gli occhi al cielo
Che da queste stanze
dove il sole ancora arriva
ripartano raggi per un’esistenza
che davvero non sarà più la stessa
E non lo sia mai più
Perché il vuoto del tempo
un tempo che ci era scappato
passato o falsamente riempito
non sia mai più tempo vuoto
Perché
il tempo del presente
che ruba il senso
doni un senso
al futuro del tempo.
1 note
·
View note
La Filastrocca della Pandemia — Maria Letizia Boilini
C’era una volta un paese lontano a cui un virus scappò di mano
Era un virus cattivo ed invadente che faceva preoccupar tutta la gente
Aveva tante punte dintorno alla sua zona che gli valsero il nome di virus corona.
Quel virus proveniva dall’Oriente e con l’Italia non c'entrava proprio niente
ma viaggiando con gran velocità si diffuse fin quaggiù con grande abilità.
Il nemico invisibile e silente ci sorprese in modo travolgente,
increduli e così tanto spaventati in vita nostra non lo eravamo mai stati.
Si seppe poi che il virus corona si trasmetteva da persona a persona
e così per contener le diffusioni ci dovemmo attenere a grandi restrizioni.
All’inizio da rispettare ci fu la distanza e 1 metro allora era abbastanza
Poi chiusero le scuole, le accademie, le università
e di andarci perdemmo ogni facoltà
Di casa non si poté più uscire e così paura e tristezza a non finire.
Nonni dai nipoti distaccati, amici e parenti separati.
Io “resto a casa” fu il comando impartito che da tutti fu eseguito a menadito.
Fu così che nelle case in isolamento ed ognuno secondo il suo talento
si imparò insieme a fronteggiare il pandemico evento tra terra e mare,
e con ingegno e laboriosità ciascuno si reinventò con gran creatività.
Chi ritornò a zappare e a pitturare, chi riprese a suonare e a cucinare
chi approfittando dell’isolamento fece lavori tralasciati da tempo
e arti ormai dimenticate vennero così rispolverate.
Per superare i patimenti e le separazioni
si organizzarono giochi e musiche dai balconi,
mentre Tv, radio, computer e cellulari scandivano i nostri tempi
con costanti aggiornamenti.
Molte cose cambiarono nelle nostre vite come mai le avremmo concepite.
Solo uno alla volta potevamo uscire e per proteggerci le mascherine,
e sempre con una valida ragione come descritto nell’autocertificazione.
In molti a lavorare non potemmo più tornare,
ma usando la tecnologia si lavorò da casa con maestria;
e anche la didattica fu fatta in abbondanza, ma sempre a debita distanza.
E mentre l’uomo se ne stava afflitto vittima del suo stesso approfitto
la natura prosperava rigogliosa senza l’umana presenza insidiosa.
Accorati gli appelli di alte autorità che esortavano al coraggio e alla solidarietà.
La pandemia fu così tanto agguerrita
che in molti persero il lavoro, la salute e anche la vita.
Ne scaturì una riflessione, che dalla sciagura nascesse una nuova ragione
che tutto non fosse accaduto invano, che dalle ceneri nascesse un mondo più sano.
E dopo tanto dilagare, la pandemia cominciò a calare,
un chiarore tornò a baluginare, la speranza a riaffiorare,
la speranza per un cambiamento, per un tempo ritrovato più lento
in cui con più senno dialogare, per il pianeta da salvare.
Il nostro unico pianeta che risplende e come una cometa ci riaccende
affinché si possa immaginare un mondo nuovo da ridisegnare.
2 notes
·
View notes
Convivenze difficili
Il video di Lorenzo Scribani dove, tramite un montaggio creativo mette se stesso in scena, rappresentando vari personaggi in combutta fra loro per farsi spazio negli ambienti circoscritti di un appartamento.
1 note
·
View note
Apocalisse/Apocalypse — Laura Bertolini
Apocalisse
Tutti parati dietro lo schermo
nessuno si accorge delle trincee.
Il podcast della vita distrae
dalla fobia della morte.
Il soffio all’orecchio,
nell’atrofia della gente,
è d’invertir le rotte
ma è un suono sordo
che nessuno sente.
Un occhio alla natura
dice che Gaia era malata
d’un cancro snaturato
denominato uomo.
Un focolaio al posto del fuoco,
una violenta pettinata
le strappa i nervi via dal capo.
Si alza un lenzuolo di vuoto
sulle strade, per le scale,
e nei tragitti in cielo.
Gaia respira!
Escono i cervi dalla pineta.
Sbucano dai vasi di fiori
maree di scarafaggi
in battaglioni militari
violano le frontiere,
invadono i paesaggi.
Si diffonde un veleno
che mina la libertà.
È un male universale,
la sovranità nazionale
scivola sul pantano
nel delirio mondiale.
Nella falce eugenetica
una febbre pandemica,
un vibrare invisibile,
una battaglia invincibile
nella corsia d’ospedale
dove non lottano soldati
ma medici e infermieri.
I cassieri nei supermercati
sedano la rappresaglia
del panico da carestia.
La casa diventa una barriera
una distanza sicura
una possibile biosfera
dove ricostruirci,
dove ripensarci.
E in questa resistenza
dobbiamo mantenerci
uniti, vivi
e immuni.
Apocalypse
All shielded behind the screens,
nobody notices the trenches.
Life’s podcast distracts us
from the phobia of death.
In people’s atrophy,
the whisper in the ear,
is to change course,
but it’s a dull sound
nobody heeds.
A glimpse at nature
confirms that Gaea was ill
with a degenerate cancer
named man.
A hotbed in place of fire,
a violent brushing
tearing the nerves from its head.
A sheet of emptiness
rises in the streets, up the stairs
and in the itineraries of the sky.
Gaea breathes!
Deer leave the pine groves.
Tides of cockroaches
in military battalions
pop out from vases of flowers
violating borders,
invading landscapes.
Poison spreads
undermining freedom.
It is a universal evil,
national sovereignty
slides into the marsh
of worldwide delirium.
In the eugenic sickle,
a pandemic fever,
an invisible vibrating,
an invincible battle
in the hospital wards,
where no soldiers
but doctors and nurses fight.
In the supermarkets,
check-out assistants sedate
the retaliation of famine panic.
Home turns into a barrier,
a safe distance,
a feasible biosphere
where to reenact ourselves,
where to rethink ourselves.
And, in our resistance,
we must remain
united, alive
and immune.
Laura Bertolini è un’artista toscana che vive da 10 anni a Davis in California, Stati Uniti.
3 notes
·
View notes
Sulle nostre strade – Giulia Mancin
Si annidano stanchi i pensieri nebulosi
su soffici acchiappasogni contro psicosi.
Trepidazione vigorosa velocemente improvvisata
di una grata esistenza sempre più disorientata.
Privilegiati, combattenti e ahimè perduti
nella stessa guerra si sono imbattuti.
Una preoccupazione non considerata
nella frenesia odierna un po’ accelerata.
Con dovuta accuratezza riaffiorano i suoni
regalandoci forme variegate di emozioni.
Intimi rumori ripercuotono i perduti valori
armonie forestiere risaltano i propri colori.
Ricezione celata di una lunga lettura
scura e indelebile è la sua scrittura.
Bramare con sagacia il varco
inclini per un nuovo imbarco.
Perché i sogni non cessano mai di esistere
e liberi sulle nostre strade torneremo a vivere.
Sperando in tesori prefissati a riunire
per un rispettoso e pacifico divenire.
5 notes
·
View notes
Aspirazioni
Video di Federico Cristiani
1 note
·
View note
Gli occhi miei — Veronica Manghesi
Guarda gli occhi miei
vedi, ti sto sorridendo;
con essi scavalco la benda
che cela le mie labbra
e offusca parole umide
di cordoglio e smarrimento.
Dovrebbe proteggermi dal morbo
e salvare l’uomo dal contagio;
per ora è un vessillo di resa
all’incognita dell’abbraccio,
un filtro all’acribia della mente,
all’olezzo del petricore marzòlo.
Ti sto sorridendo, eccomi,
ostacolista degna di Olimpia,
raccogli il laccio di questo giacchio
che affamata di luce ti lancio,
perché tutto potranno togliermi,
tutto, fuorché il getto degli occhi miei.
Veronica Manghesi è nata a Pisa nel 1969 e vive a Marina di Pisa. Poetessa Federiciana, è Accademica dei Disuniti e Consigliera della Proloco Litorale Pisano.
2 notes
·
View notes
Masterchef — Paola Omezzolli
Faccio spesa al supermarket
come tutti i martedì
cerco, guardo, prendo e afferro
ogni cosa metto lì.
Nel carrello vedo agnello
nella testa c’è un bordello
non riesco più a capire
se fermarmi o proseguire.
Guardo attenta nella lista
acqua pane e frutta mista.
Manca ancora un ingrediente
per creare ciò che ho in mente.
Siamo tutti fra le mura
per far sì sia meno dura
chi lavora, chi sonnecchia, chi sferruzza, chi canticchia,
tutti ingegno e creazione
quest’Italia di persone
ma se parli di cucina
leggi e fai la ricettina.
Dolci, pizza e schiacciatina
diventati medicina.
Uova, zucchero e farina
con l’aggiunta di un po’ d’olio
detto da Cannavacciuolo.
Gia mi manca il Bertolini
senza quello — dice Cracco —
il tuo dolce esce fiacco.
Mentre corro in corridoio sempre a un metro di distanza
vedo scritto in lontananza
l’ingrediente di sostanza.
Lo scaffale è tutto vuoto,
nessun amido o farina, zero zucchero a veletta,
men che mai la lievitante,
c’è un deserto in quell’istante.
Questa triste quarantena
ha prodotto buona lena:
nelle case si cucina
piatti e dolci per un mese
come vuole il buon Borghese.
Torno indietro col carrello
resto a un metro di distanza
niente dolci sul fornello
ma negli occhi ho la speranza.
1 note
·
View note
L’Ora Santa — Antonella Iacoponi
Mio Gesù, giaci con la faccia a terra,
pregando il Padre, dopo l’ultima cena,
neppure per un’ora siamo stati capaci
di pregare con Te!
Dormivamo, come dormiva il nostro cuore,
Abbiamo tradito Te, l’amico più vero
e Ti abbiamo lasciato da solo;
Non abbiamo stretto tra le nostre
La tua mano tesa a coppa,
ma Tu, Padre misericordioso, non ci hai rimproverato,
ci hai lasciato riposare,
Da solo ti sei recato a pregare,
come in solitudine andrai a morire per noi,
senza il conforto di tua Madre, degli amici.
Gesù mio, oggi tanti fratelli muoiono soli,
senza il conforto dei propri cari,
giacciono nei letti di ospedale,
con la faccia nella polvere,
come tu giacevi, prostrato a terra,…
essi elevano a Te suppliche accorate e alti lamenti;
Così, anche noi, ci stringiamo a Te, fisicamente distanti, ma uniti nella preghiera,
e nell’amore che Ti portiamo.
00.00, 10 aprile 2020
1 note
·
View note
La strada che non andava in nessun posto
Sara Genovesi — riadattamento del racconto di Gianni Rodari
1 note
·
View note
Poesie di Ivana Del Maestro
Acquerello
Ho preso il mio acquerello
e ho dipinto un arcobaleno.
Col tempo, col sole, col vento
scoloriranno i suoi contorni…
Resteranno segni sbiaditi,
spero come questi giorni
che ci hanno feriti.
Perché anche il buio più profondo,
per quanto grande sia,
all’alba svanirà, svanirà, svanirà…
Come il mio acquerello…
Col tempo si dissolverà
ma avrò per sempre
il ricordo di com’era bello!
Alla Primavera
Avevo chiesto alla Primavera
quest’anno di tardare,
tanto siamo sconsolati
e liberi nei prati
non possiamo andare.
Ma lei non mi ha ascoltata,
mi sentivo rattristata …
Poi un uccellino volato dal tetto
leggendo il mio pensiero
Mi ha detto:
—Eh sì, è proprio vero,
sappi però che la Primavera
arrivando cantava nel mondo deserto
“Lasciate il cuore aperto!
Restate a casa, vi conviene
Perché tutto andrà bene!”
La cura
Quando splende il giorno
Intorno
l’ottimismo sempre tiene
e penso certa: tutto andrà bene.
Torna poi però la notte
E i neri pensieri si affollano a frotte.
Sole sorgi, comincia a brillare
così squilla il cellulare …
Un video, una battuta, una preghiera,
una sciocchezza,
una cosa seria,
ecco l’antidoto alla tristezza.
Il raggio più caldo voi siete
tutti voi che ora leggete.
Mattino buongiorno
L’erba bagnata di rugiada
sa di bosco,
Intorno tutto è silenzio,
sono sola lungo la strada.
Guardo le colline
che da sempre conosco,
e mi saluta il sole.
Nuovo giorno,
di un tempo che nessuno
avrebbe mai pensato
o immaginato.
Viviamo sospesi,
alla speranza appesi.
Cammino e guardo il cielo.
Così perfetto, l’azzurro d’aprile
mi cattura e mi dice
che niente per sempre dura,
né gioia, né dolore,
e finirà anche tutto questo così atroce.
Ecco, un soffio di vento.
Respiro piano
e così, più leggera, cammino veloce.
Di noi
Chi ha appeso
un ramo di ulivo,
chi un arcobaleno colorato.
Chi ha cambiato i versi di una canzone,
chi di cucina ci ha fatto lezione.
Chi ci ha salutato col buongiorno
e non ha saltato un giorno.
Chi ha scritto una poesia,
chi una frase con sottile ironia.
Chi una preghiera ha condiviso
chi con un video ci ha donato un sorriso.
Chi con un pensiero,
pieno di sapiente leggerezza
se vedevamo tutto nero
ci ha consolato come una carezza.
Per ora lo so, al virus non c’è cura
conosco però un rimedio
e ne sono sicura…
Lo conoscete anche voi:
SIAMO NOI!
Le parole
Quante parole
danzano nell’aria
intrecciando destini,
valicando confini.
A volte sanno aspettare,
altre far male.
Consolano, ingannano,
perdonano, condannano.
A volte leggere,
come le nuvole passeggere
del cielo d’aprile;
a volte cupissime
come le nubi
di una burrasca vicina.
Ora le parole
sono i nostri sguardi,
gli abbracci
che non ci scambiamo,
sono la forza che ci diamo.
Sono il faro che in porto
ci guiderà.
Al sole
Due passi sotto il sole,
splendente e ignaro
di tutto ciò
che accade,
poi di nuovo nella mia casa.
Ma il mondo non resta fuori.
Siamo noi i veri paesi,
portiamo dentro mari, colline e prati…
a volte confini e barriere.
Non bastano i muri
a fermare i pensieri
e non servono spazi
per essere liberi.
Questo sole andrà altrove
e domani ancora mi riscalderà.
Questi giorni
Ricorderemo in eterno
questi giorni d’inferno.
Questi giorni
senza partenze né ritorni
saranno nei libri di storia,
per sempre ricordati,
tatuate nella memoria
le ore in coda ai supermercati.
Questi giorni di nuovi eroi
gli infermieri e i dottori.
Questi giorni di chiese e scuole
che hanno chiuso i battenti,
deserte e sole
senza fedeli, alunni, docenti.
Questi giorni che sui balconi sono sbocciati
arcobaleni colorati.
Questi giorni alle diciotto,
di aperitivi in salotto,
col fiato sospeso
per il bollettino tanto atteso.
Questi giorni quando tutti abbiamo
riconsiderato ciò in cui crediamo.
Questi giorni di Italia ferita
ma forse mai stata così unita.
Di questi giorni … cosa resterà
quando torneremo alla normalità?
Forse li dovremo dimenticare
E nei libri di storia confinare?
Non so di questi giorni cosa resterà …
Di sicuro io terrò le tante e tante parole
che ci han fatto sentire meno sole.
Nuovo giorno
Ecco è mattina
è ora di andare…
Ma i piedi son fermi,
non si vogliono alzare:
non hanno strada per camminare.
Le mani immobili,
non si vogliono alzare:
non hanno bimbi da accarezzare.
E poi gli occhi chiusi,
non si vogliono alzare:
non hanno orizzonti oltre cui guardare.
Il cuore batte, li ignora:
di star chiuso in una stanza,
a lui poco importa…
Sa amare anche a distanza
senza oltrepassar la porta.
Sogni e realtà
Dormivo ed ho sognato
Di correre in un prato
Di camminare senza fretta
Di pedalare veloce in bicicletta
Di dar la mano a chi incontravo
Di incontrare chiunque e lo abbracciavo
Di godermi della primavera l’aria
E poi un’edizione straordinaria
Mi ha riportato alla cruda realtà
Erano deserte le città
Ahimè mi son svegliata
Ancora in casa confinata
Allora ho bevuto il mio caffè
E mi son chiesta perché
Non son rimasta addormentata?
Dalla finestra ho visto il cielo allora
Ed era azzurro come sempre ancora
Mi ha ricordato che passa ogni cosa
Anche la più dolorosa
La più atroce
E il mio cuore batteva più veloce
Libero senza catene
Tutto andrà bene
1 note
·
View note
Caro mondo — Irene Bendinelli
Caro mondo,
ti scrivo questa lettera perché mi manchi tantissimo. Ora più che mai!
Mi trovo a casa, ormai da più di un mese, circondata dal bianco delle pareti domestiche e da qualche spiraglio di luce naturale che filtra dai vetri delle finestre. Come me, ogni altro cittadino che vive su questo pianeta, piegato dall'esercito di un virus micidiale che avanza.
Caro mondo, adesso ti osservo a distanza e ti comprendo meglio, nella tua pienezza: contemplo le tue creature animali e vegetali, ascolto i tuoi suoni, anche quelli impercettibili e respiro i tuoi profumi, come sentimenti floreali. La natura sta rinascendo, doppiamente protagonista dell'attuale stagione primaverile, intenta a recuperare sconfinati spazi e a liberare le proprie energie vitali, che possiamo ascoltare negli acuti strepiti dei gabbiani in una giornata di sole come pure negli starnazzi delle oche in aperta campagna. Adesso è di nuovo possibile, come agli albori di una civiltà, quando la specie umana usciva dalle grotte e, con passo felpato, iniziava a scrutare in ogni direzione intorno a sé, con calma e in silenzio.
Caro mondo, quanto sei meraviglioso! Trionfano di splendore i tuoi colori, adagiati con cura sui vellutati prati, sulle ruvide rocce, sulle ondulate acque, sulle solide terre, sui freddi ghiacciai, sulle ombrose foreste e sui placidi deserti. E sono favolose le variegate forme che hanno i tuoi elementi: stondate le colline, appuntite le montagne, piatte le pianure, lineari le coste sabbiose, frastagliate le scogliere, allungati i colli delle giraffe e allargati quelli degli ippopotami, snodati i corpi dei serpenti e squamati quelli dei coccodrilli, lisci i dorsi dei delfini e corazzati quelli delle tartarughe. Nessuna mano umana, neanche quella di un genio dell'arte, ha mai riprodotto alla perfezione la limpidezza e l'autenticità delle cromature riflesse dalla tua luce divina. Sono canti di voci bianche le sinfonie che arieggiano leggiadre in una sviolinata di clic, cloc, cip, cip, mentre escono timide da gocce di pioggia e da pigolii di uccellini appena nati. Per lievi soffi d'aria, poi, intonano inni alla gioia le alte e snelle canne palustri, che costeggiano bacini lacustri e brevi corsi d'acqua, rivolgendo i loro fusti verso il cielo che resta a guardare. E sono potenti timbri baritonali, che scatenano una rabbia remota in una spedita rincorsa di cavalli al galoppo, gli ululati dei forti venti che preannunciano tempeste, temporali e tifoni.
Caro mondo, grande è il desiderio di tornare a esplorare la miriade dei tuoi sentieri, ogni volta diversi e sorprendenti! Vicoli, viuzze, slarghi, strade e sotterranei, in pietra, di ghiaia, in mattoni, in terra battuta, stretti, ampi o tortuosi ci guidano, come genitori premurosi, verso la visione di spettacoli unici. Dimore storiche, borghi assonnati, balconi fioriti, campanili svettanti, piazze accoglienti, giardini rigogliosi e ruscelli chiacchierini si aprono alla nostra vista, spalancandoci gli occhi e i cuori in un idillio. Sono grandi e piccoli idilli, al pari di quelli decantati da Giacomo Leopardi, i quadretti rurali, autentici e ameni che si fanno poesia, come poetico è, a Recanati, il panorama che si estende illimitato tra le colline e i monti marchigiani dal colle dell'infinito.
Caro mondo, da più di un mese chiusa in casa, constato quanto la quotidianità, finora, abbia reso piccolo ciò che in realtà è grande, quanto i ritmi, gli orari, gli impegni e la frenesia della vita moderna ci abbiano costretti a rincorrere il tempo, con il timore di non raggiungerlo mai, quando invece ora è proprio quel tempo, ritrovato, che ci serve a riflettere. Riflettere su di noi, sull'essenzialità di essere compagni di noi stessi, riflettere sugli altri, avvertendo veramente la loro mancanza e riflettere su una dimensione più ampia, nella quale la nostra vita è inscritta. Il distanziamento e la solitudine di questi giorni permettono di stabilire una relazione con l'immensità che ci trascende, di uscire metaforicamente dai nostri gusci per non pensare soltanto a noi, ai nostri bisogni e ai nostri interessi, ma per guardarci intorno, per sviluppare la consapevolezza che il mondo va avanti anche da sé, girando con le sue storie nello spazio senza fine. Finora noi esseri umani siamo stati distratti dalla punta delle nostre scarpe e ci siamo rivelati superficiali nei discorsi privi di logica, ignorando il mondo oltre, fuori dalle nostre sfere. Adesso, da lontano, è possibile osservare con adeguato stupore un fenomeno naturale come un bagliore che, al contrario, visto da vicino, sarebbe impercettibile.
Caro mondo, per troppo tempo sei stato dilaniato da minuscoli uomini strapieni di ricchezze, che ti hanno voluto governare a loro piacimento, senza curarsi del tuo stato di salute, dell'aumento dell'inquinamento, dei cambiamenti climatici e della qualità della vita, pensando soltanto alla qualità dei loro superflui prodotti. Valeva unicamente, almeno fino a un mese fa, la logica del profitto, del guadagno, del denaro: microscopici esseri crudeli sono stati disposti anche ad abbattere interi boschi, pur di cementificare, costruire e far girare l'economia, sottraendo a ogni specie vivente, anche a quelle innocenti, preziose quantità di ossigeno.
Adesso, alla legge del contrappasso dobbiamo tutti attenerci, per espiare le nostre colpe, per redimere i nostri peccati e sperare nella resa finale dell'esercito virale: che abbia pietà di noi, amen!
Caro mondo, a quel punto i sopravvissuti di questa pandemia comprenderanno davvero la grandezza del creato, tornandola a guardare con lo sguardo di un bambino; apprezzeranno intensamente la bellezza della natura, inchinandosi umilmente di fronte a tanta magnificenza; ascolteranno ogni minimo segnale dell'aria, dell'acqua, del fuoco e della terra, come all'alba di una rinnovata civiltà; percepiranno qualsiasi lampo di sensazioni e ciascun flusso di sentimenti, senza più rimanere indifferenti; ameranno la vita nella sua pienezza, ancora di più e fino in fondo, fino all'ultima goccia di sudore, quando potranno riabbracciare i propri cari.
Caro mondo, ti saluto con un desideroso arrivederci, un arrivederci spero a presto. Penso a te con l'animo pieno di fiducia e speranza: che questo tragico periodo sia origine di un cruciale miglioramento di cui tutti abbiamo urgente bisogno, una riscoperta dei valori più profondi dell'esistenza.
2 notes
·
View notes
C'era un fuoco — Piero Pancanti
C'era un fuoco acceso
nella stanza.
La fiamma era alta
e faceva troppo caldo.
La notte — fuori — mi ha accolto
come una giovane sorella.
Un cane — abbaiando — mi viene incontro.
Lo ignoro. E lui si acquieta.
1 note
·
View note