Ho rivisto per caso camminando per strada una ragazza di cui sono stato assai innamorato anni fa. Fu amore disperato, dantesco: la guardavo mentre salutava gli altri, fondamentalmente. E, senza stupore, si mise con un artista bello e maledetto. Mi ha riconosciuto lei, io non l'avevo vista, stolto miope che non sono altro. È ancora bellissima, con il sorriso che accende anche il mondo intorno e non solo il suo viso invero un po' malinconico. O forse è una sensazione mia perché mi ha detto che ha avuto due anni difficili. Una ragione potrei conoscerla: stava ancora con l'artista ma è finita male, dopo una vita insieme. Bello rivederla. E anche abbracciarla. E , vaffanculo, ri-innamorarsi per trenta secondi.
Poche ore dopo mi ha distratto un fischio acuto dentro le orecchie. Conoscete il gioco, no? Se ti fischiano le orecchie, qualcuno ti sta pensando. "Fai che sia lei" dico nella mia testa mentre guardo che ore sono per fare la somma delle cifre e poi abbinare a quel numero casuale la lettera dell'alfabeto corrispondente. Fa che sia lei, dico mentre arrivo all'iniziale del suo cognome. Allora è lei davvero. E sorrido, sentendomi scemo come a sedici anni.
Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l'odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio, l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.
La signora (vedova e senza figli) che abitava sul mio stesso pianerottolo, dopo un paio di anni faticosi, è ricoverata in una RSA nel Veneto. Era un po’ più giovane dei miei. Una donna gentilissima, ogni Natale un regalino per i miei figli, un pensiero gentile, un’attenzione. Da quando è andata via assisto alla predazione dei suoi beni da parte dei parenti. Primi fra tutti, tutti i fiori e le piante che curava sul balcone: portati via e buttai in un paio di settimane. Compreso un bellissimo limone. Automobile venduta e box affittato. Casa svuotata con tanto di libri buttati nei contenitori condominiali per la carta. Cantina svuotata, con altri oggetti distrutti. Vogliono la casa vuota per poterla vendere al più presto, non appena Irene, questo il suo nome, chiuderà le trasmissioni. Nessuna cura, nessun rispetto, nessun amore. Nel we hanno appunto svuotato la cantina ed hanno portato via anche il portaombrelli che c’era sul pianerottolo, ombrelli (nostri) inclusi. Senza chiedermi nulla. È questa la fine che ci aspetta? Senza amore, senza compassione, un’attesa nervosa, impaziente, della nostra fine? No, non è così, lo so. Molto dipende dall’amore che hai dato a tua volta e dal cuore delle persone che ti vogliono bene. Certo però che vedere certe cose fa male. Sto già dando ai miei figli quello che penso non mi servirà più, anche economicamente. Mi basta il gruzzolo per il mio piano Colombia.
“Guai a chi è solo” diceva spesso mio padre. Aveva perfettamente ragione.