Dire quello che provo a volte è facile, altre volte no.Allora sto in silenzio, ti guardo, e poi spero che tu mi senta.Ascoltami anche se non parlo e amami anche se sono fragile.
ho visto la mia vita e il mio corpo cambiare, le abitudini che avevo per me erano certezze, alleviavano l’ansia. ho sempre avuto paura del cambiamento e controvoglia lo accettavo, non lo facevo passare. poi, l’ho dovuto far entrare, pian piano, per paura di sconvolgere quell’equilibrio che mi stavo ricostruendo, quell’equilibrio che i pensieri mi avevano fatto quasi perdere. ma è proprio con quel ‘pian piano’ che poco alla volta sono stata meglio; sapevo e credevo che tutto sarebbe dipeso da me, come le altre cose in passato, avrei dovuto accettarlo prima a me stessa, ma è in questi momenti che ho visto, gesti, parole, sguardi con occhi pieni di affetto, che mi hanno ricordato che non per forza ci si deve rialzare da soli, che a volte basta che uno si sieda e aspetti con te. continuerò ad amarmi più spesso, consapevole che alla fine tutto passa e non per forza nuoce. le cicatrici mi ricorderanno soltanto che sono stata forte, anche se ho fatto le cose lentamente, perché quello è il mio di tempo, e mi ricorderanno dell’amore che ho ricevuto e che spero io possa un giorno ricambiare
E amo di te
la tua pelle
sempre calda
e il tuo corpo
così tanto mio.
Amo baciarti
e toccarti i capelli
e stringerti la testa
e poggiare il mio petto
al tuo
come per paura
che tu possa scappare
ma che poi non lo fai mai.
“Monet ha dipinto oltre duecento ninfee. Guardando lo stesso stagno. A riprova di quanto può essere bella la stessa cosa ogni giorno. Quando la guardi con amore.”
“Manzoni non l’aveva vista, la peste, ma aveva studiato documenti su documenti.
E allora descrive la follia, la psicosi, le teorie assurde sulla sua origine, sui rimedi.
Descrive la scena di uno straniero (un “turista”) a Milano che tocca un muro del duomo e viene linciato dalla folla perché accusato di spargere il morbo.
Ma c’è una cosa che Manzoni descrive bene, soprattutto, e che riprende da Boccaccio: il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità.
Boccaccio sì che l’aveva vista, la peste.
Aveva visto amici, persone amate, parenti, anche suo padre, morire.
E Boccaccio ci spiega che l’effetto più terribile della peste era la distruzione del vivere civile.
Perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori.
La peste metteva gli uomini l’uno contro l’altro.
Lui rispondeva col Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà.
Manzoni rispondeva con la fede e la cultura, che non evitano i guai ma, diceva, insegnavano come affrontarli.
In generale, entrambi rispondevano in modo simile: invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.”
«E ti dico ancora: qualunque cosa avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non accadrà mai che, nel momento in cui tu mi chiami seriamente e senta d’aver bisogno di me, mi trovi sordo al tuo appello. Mai.»