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#Flotta Ateniese
greciaroma · 29 days
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Temistocle
Temistocle, membro della nuova generazione di politici sale alla ribalta della democrazia ateniese, insieme al suo grande rivale Aristide. Aveva Combattuto a Maratona durante la prima guerra persiana, essendo uno dei dieci strateghi ateniesi menzionati da Erodoto. Come grande politico, Temistocle era vicino al popolo e godeva dell'appoggio delle classi inferiori ateniesi, che, in generale, lo contrapponevano alla nobiltà. Eletto arconte nel 493 a.C prese una serie di misure per aumentare la potenza navale di Atene, cosa che sarebbe diventata fondamentale per tutta la sua carriera politica.
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lanuovaalleanza · 7 months
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COSA FARE DI #GAZA?
Oggi ho detto un po' provocatoriamente ad un mio coetaneo, che annienterei Gaza con la bomba atomica: ovviamente non lo farei mai, anche se nella storia è sempre stato un po' così.
È stato così a #Poitiers, il 25 ottobre 732 (a proposito, attenzione al 25 ottobre, anniversario della battaglia di Poitiers, visto che gli islamici scelgono sempre date simboliche per i loro attacchi!), dove ci fu un massacro di soldati islamici talmente gigantesco, che spaventò perfino gli storici cristiani dell' epoca.
Fu così a #Vienna, dove - l' 11 settembre 1683 (11 settembre!) - 45 Mila soldati islamici persero la vita sul campo di battaglia.
Fu così a #Lepanto il 7 ottobre 1571 (7 ottobre!), quando la flotta navale islamica fu distrutta ed affondata.
Nella storia è sempre stato così: gli islamici provocavano, provocavano...... fin che l' Occidente perdeva la pazienza e compiva una strage che lasciava i musulmani storditi e sbigottiti per secoli.
Tuttavia, a differenza di quanto sopra, a Gaza ci sono anche anziani, bambini, donne e malati.
C'è un' altro discorso che poi va fatto. L' Occidente non può venire ridotto, come spesso si è cercato di fare, all'eredità giudaica, che è una delle 2 componenti la civiltà occidentale: l'altra componente è quella razionale greca, con la sua centralità della ragione, del #Logos.
Logos significa pensiero, misura, parola, proporzione, scansione, enumerazione, discorso, catalogo, elenco etc. ed è legato al verbo greco legein, che significa appunto scansionare, enumerare, selezionare, distinguere, passare in rassegna.
Per questo (e lo scrissi anche a proposito dell' uccisione senza processo di Osama #BinLaden) lo sterminio di massa è permesso, in teoria, all'ebreo (e ci sono molti esempi nell' Antico Testamento), ma non al laico occidentale ed al cristiano.
Per il Cristiano il Logos è Lui Stesso Dio Onnipotente (e su questo punto le strade di #ebraismo e #cristianesimo si separano).
Diceva, appunto, Mons. Renato De Zan, che il PROLOGO al Vangelo di San Giovanni ( PRO-LOGO= in difesa del Logos) è uno degli scritti più anti-ebraici dell' umanità.
No. All' Occidentale e, ancora di più al cristiano, lo sterminio indiscriminato vetero-testamentario non è permesso ed anche se in una cassa ci fossero più mele marce che mele buone, sia il laico occidentale sia soprattutto il cristiano non può sottrarsi, a differenza dell'ebreo, alla fatica della scansione, dell' enumerazione, della selezione e del passare in rassegna distinguendo (#λέγειν).
Battiato cantava che a #Sion il Sole tramonta 2 minuti più tardi che a Rion (quartiere ateniese), cioè che l'ebreo ha più luce del razionalista greco. Per il cristiano la fede feconda la ragione, ma non la nega. Anche Platone percepiva la sterilità del puro Logos e cercava un mythos che lo fecondasse.
Le <Schegge Impazzite> come ho scritto in polemica con Serena Biasin sono quei cristiani che, messa da parte la ragione, si basano solo sulla Rivelazione. Ma questo non è cristianesimo, bensì una sua maldestra perversione, nata nel mondo protestante statunitense, in ambienti cristiani molto intrecciati con ambienti ebraici (la cosiddetta Destra religiosa trumpiana).
L' ebraico #דבר non è coincidente con il #λόγος greco e, soprattutto, Cristiano.
#Islam #Israel #Israele
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I FRUTTI VELENOSI DELL’UOMO CARISMATICO
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I FRUTTI VELENOSI DELL’UOMO CARISMATICO
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Dalla storia greca un tragico episodio figlio della politica populista di Pericle.
La nostra fonte più importante sulla guerra tra Sparta ed Atene (guerra del Peloponneso) è Tucidide, un gigante della storiografia. Ma Tucidide muore che la guerra è ancora in corso. L’ultima parte ce la racconta Senofonte, nell’opera intitolata “Elleniche”.
Nell’anno 406 a.C. nelle acque delle isolette Arginuse, non lontano da Lesbo, ci fu l’ennesimo scontro di guerra tra la flotta ateniese e quella spartana. E, come al solito, gli ateniesi avevano vinto la battaglia, come invece per terra vincevano sempre gli spartani. Per questo la guerra si trascinò per 27 anni (431-404).
Gli otto ammiragli ateniesi si consultarono sul da farsi. Poi decisero di lasciare sul posto 47 navi, al comando di Teramene e Trasibulo, lì a raccogliere il migliaio di ateniesi tra morti e naufraghi, ed il resto della flotta la destinarono all’inseguimento degli spartani, per dar loro il colpo di grazia. Ma il mare cominciò ad ingrossarsi, ed impedì che si facessero l’una e l’altra cosa. Dunque tutte le navi si diressero in golfi sicuri: l’unica vera e formidabile forza di Atene era la flotta, e gli ammiragli non ritennero saggio metterla a rischio.
La notizia dei fatti arrivò ad Atene, ed in città si diede poca importanza alla vittoria e la massima attenzione a ciò che era seguito dopo, specie per naufraghi e cadaveri di marinai, imbarcati sulle 25 navi affondate dagli spartani. Le famiglie dei caduti lamentavano la miserevole fine dei loro congiunti, ipotizzando che da parte degli ammiragli non si fosse fatto tutto il dovuto. Gli ammiragli erano di estrazione o di affinità aristocratica, ed i demagoghi, populisti ed arruffapopolo – animati da odio di classe – pensarono di prendere la palla al balzo, per mettere sotto accusa il partito avverso. Ci furono assemblee popolari sempre più infiammate, ed alla fine si decise di mandare l’ordine agli ammiragli di rientrare subito, perché dessero conto del loro operato. Due di quelli sentirono tirare una brutta aria, e, benché si sentissero come i colleghi con la coscienza a posto, decisero di non tornare. Intanto erano tornati Teramene e Trasibulo, quelli che erano stati incaricati di raccogliere naufraghi e cadaveri. Avvertirono puzza di bruciato, si resero conto del risentimento strisciante tra il demos (classe popolare e maggioritaria), capirono che si era a caccia di capri espiatori, e pensarono bene di assecondare la tendenza dell’assemblea, accusando gli ammiragli.
Tornarono quindi in sei e subito dovettero presentarsi davanti all’assemblea popolare, per dare conto del loro operato. E narrarono come dopo la vittoria intendessero distruggere definitivamente la flotta spartana, ed avessero lasciato a raccogliere naufraghi e caduti 47 navi agli ordini di Teramene e Trasibulo, comandanti esperti, essendo già stati ammiragli. Loro sei però non intendevano accusare quei due, per trarsi di impaccio, perché il vero responsabile di tutto era da considerarsi il mare, fattosi minaccioso, tanto da obbligarli a rinunciare all’inseguimento del nemico e ad abbandonare al loro destino naufraghi e cadaveri dei caduti. Perché non si interrogavano marinai e timonieri, perché confermassero o smentissero questa versione?
L’orientamento dell’assemblea popolare sembrava virare in direzione favorevole agli inquisiti. Allora i caporioni popolari cercarono prendere tempo: dissero che ormai si stava facendo tardi, ed il buio avanzava, e non si poteva essere sicuri di leggere bene il voto dei cittadini, espresso per alzata di mano. La decisione quindi la si rinviava al giorno seguente.
Ma, quando l’assemblea si riunì di nuovo, si fecero avanti degli uomini vestiti di nero come a lutto e con la testa rasata, dichiarandosi familiari dei caduti, e reclamavano giustizia, mediante la punizione degli ammiragli. A far precipitare la situazione fu un tizio, evidentemente comprato, che si disse marinaio di una delle navi affondate, e si era salvato aggrappandosi ad una cassa di farina che galleggiava, e fortunosamente si era salvato. E puntò decisamente l’indice contro gli ammiragli. Fu allora dal demagogo di nome Callisseno proposto di procedere ad una modalità di voto palesemente illegale. A tale illegalità si opposero alcuni pritani (magistrati di turno), che Callisseno accusò di complicità con gli imputati, minacciando di mettere sotto processo anche loro. Impauriti mutarono decisione ed accettarono la proposta di Callisseno, benché l’avessero dichiarata illegale. E votarono a favore. Ma non Socrate, il quale disse che mai e poi mai avrebbe violato la legge.
Agli imputati fu concesso per l’autodifesa anche meno del tempo stabilito dalla legge: insomma dovevano morire, non perché rei, ma per ragioni politiche e per odio di classe. Il risultato fu la condanna a morte per i sei ammiragli, eseguita immediatamente.
Il trentennale dominio di Pericle aveva trasformato la democrazia ateniese. Prima di lui il governo della città, secondo la riforma di Clistene, era prerogativa della Boulè (consiglio, e noi diremmo parlamento). La cittadinanza era stata da Clistene divisa in 10 circoscrizioni, ognuna delle quali eleggeva 50 rappresentanti o bouleuti. Dunque le boulè era composta da 500 parlamentari, e la loro carica era annuale. Non posso fare a meno a questo punto di fare una osservazione: in Italia oggi si grida al trionfo, perché si è ridotto ilo numero dei parlamentari a 600 unità. Ad Atene erano 500 per una popolazione di circa 20 mila abitanti. La democrazia rappresentativa non può prescindere dai rappresentanti, e ridurne o accrescerne il numero di per sé non comporta in automatico alcun vantaggio. Ogni circoscrizione eleggeva 50 rappresentanti, dopo che i cittadini di quella avevano esaminato le candidature una per una. Le assemblee popolari generali ed ordinarie erano due, una all’inizio della legislatura, ed una alla fine, quando i bouleuti dovevano dare conto del loro operato. E’ ovvio che i 50 di ogni circoscrizione erano i migliori cittadini della medesima, quindi anche la boulè esprimeva il meglio della cittadinanza.
L’avvento di Pericle aveva via via modificato questo schema: la boulè, cioè il parlamento, aveva sempre più perduto di autorevolezza, a vantaggio dell’assemblea generale. La conduzione politica di Pericle aveva portato la democrazia ateniese a passare da rappresentativa a diretta. Mi viene da pensare che su questo aggettivo/participio ci sia un equivoco di fondo. In quanto aggettivo, infatti, starebbe ad indicare una modalità di conduzione politica della comunità fatta di partecipazione diretta dei singoli cittadini, senza la intermediazione di rappresentanti. In quanto participio, però, diretta è il participio passato del verbo dirigere, ed il participio passato dei verbi transitivi attivi, e dirigere è tale, ha sempre valore passiva. Perciò è inevitabile la domanda: DIRETTA DA CHI?
L’anno seguente la flotta ateniese, decapitata degli ammiragli esperti e competenti, andò incontro alla devastante sconfitta di Egospotami: l’intera flotta ateniese fu distrutta o catturata, tutta tranne solo nove navi. Tra queste la nave sacra Pàralo, che arrivò di notte ad Atene. La notizia della disfatta si diffuse rapidamente dal Pireo fino all’acropoli, ed allora gli ateniesi si resero conto del tragico errore dell’anno prima. Ma ormai…..
L’ascesa di Atene subì un brusco arresto: si dovette arrendere e subire pesanti condizioni di pace da parte degli spartani. Dopo una breve ma terribile esperienza di governo oligarchico, con i famosi trenta tiranni, ai quali il solo Socrate ebbe il coraggio di dire di no, tornò la democrazia, ma era come ingessata, inamidata a causa della tremenda scottature della guerra durata 27 anni. Atene perdette il suo primato, ma non fu sostituita da Sparta nel ruolo di città egemone: gli spartani miravano al primato nel Peloponneso, e, a dispetto del potente esercito che avevano, erano poco propensi ad avventure militari, trasferendo armati lontano dalla penisola, con il rischio di rivolte delle città sottomesse, Messene in testa. Ci fu il breve periodo di predominio tebano, a cui tenne dietro quello macedone, prima con Filippo e poi con Alessandro. E poi arrivarono i romani.
Nel paragrafo 12 del capitolo 7 del I libro delle Elleniche, Senofonte riferisce che i demagoghi ateniesi, di fronte alla proposta che si precedesse secondo legge, aizzarono la folla: “La massa protestava urlando che era una cosa terribile che al popolo non si lasciasse fare ciò che voleva.”. e cosa voleva il popolo? Che si ghigliottinasse il re. Salvo poi sottomettersi ad un nuovo monarca, quel Napoleone così amato ancora oggi in Francia, ed inspiegabilmente: partì con 700 mila soldati per la Russia, e ne tornarono 18 mila!
Questa forma degenere di democrazia ebbe l’ostilità pressoché totale di quasi tutti gli intellettuali del tempo, cominciando da Senofonte, proseguendo per Socrate e Platone, per i tragediografi ed i commediografi, tendenzialmente schierati su una democrazia rappresentativa. Ma si agognava ad una impossibile democrazia diretta. Già, diretta: ma da chi?
Nel prossimo post vorrei fare un esperimento con voi: tradurre una brano dell’opera di Cesare. Niente paura: vi prenderò per mano, e vi farò sperimentare quanto il latino sia una lingua matematica, ed il suo studio un’esperienza altamente formativa per le menti giovani.
Nel post successivo l’ultima parte di questa specie di “trilogia antica”, con riferimento a Pericle, l’uomo carismatico. Roba antica? Vediamo: i parlamentari danno pessima prova di sé, ne deriva malcontento tra i cittadini, gli avventurieri soffiano sul fuoco del discredito verso le istituzioni, le masse si convincono che qui ci vuole l’uomo carismatico, il messia laico. E il gioco è fatto, come noi italiani abbiamo già sperimentato. Uno vale uno? Anche Genny ‘a carogna? Roba antica? Grillo vuole togliere il voto agli anziani: Genny potrà votare ed io no?
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personal-reporter · 3 years
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Storie del passato del mondo: Pericle
Storie del passato del mondo: Pericle
Pericle non fu solo un grande politico dell’antica Grecia, ma divenne un simbolo della democrazia, nato ad Atene nel 495 a.C. in una famiglia di origini aristocratiche. Suo padre Santippo era il comandante della flotta ateniese nella battaglia di Micale e sua madre, Agariste, era la nipote di Clistene e discendente dalla famiglia degli Alcmenoidi.  Continue reading
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amantedilibri · 7 years
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L'assassinio di Socrate di Marcos Chicot
Buongiorno lettori!
Finalmente è venerdì e per me sarà una piccola gita a Roma mentre impazzisco giorno e notte dietro la tesi del master. Ma finalmente mi sono ritagliata qualche momento per me e vi lascio con la prima recensione di questo incasinatissimo periodo imprevisto!
Titolo originale: El asesinato de Sócrates
Genere: Storico, Thriller
Editore: Salani Editore
Data di pubblicazione: 31 Agosto 2017
N°pagine: 705
Trama: Grecia, V secolo a.C. Un oscuro oracolo predice l’assassinio di Socrate da parte di ‘un uomo dallo sguardo più chiaro’. Tra lo sconcerto dei suoi amici e seguaci, il filosofo sembra essere l’unico a non avere paura.
In che modo questo terribile vaticinio si interseca con la condanna a morte da parte del suo stesso padre di un neonato spartano, un bambino dagli occhi quasi trasparenti?
Mentre la guerra tra Atene e Sparta insanguina la Grecia, i destini di uomini politici, artisti e filosofi si intrecciano a quelli delle persone comuni: soldati che combattono fino allo stremo delle forze, madri che lottano per difendere i propri figli, giovani amanti disposti a tutto per difendere il loro amore…
Con l'Assassino di Pitagora l'autore mi aveva conquistato, risvegliando quella passione "greca" che non sempre riesco ad appagare e con questo nuovo romanzo, ancora una volta Marcos riesce a trasportarci nell’Antica Grecia, questa volta nelle due città che identificano i due ideali contrapposti della democrazia e della monarchia, della libera espressione e dell’ubbidienza, del libero scambio e della proprietà dello stato, della potente flotta e dell’esercito. Due mondi diversi ed opposti che si scontrano anche negli ideali.
In un alternarsi delle vicende ad Atene ed a Sparta, incontriamo personaggi studiati sui libri di scuola, politici come Pericle e Alcibiade, commediografi come Euripide e Aristofane, lo scultore Fidia, numerosi generali delle due fazioni, ecc.
Socrate non è il personaggio principale, bensì uno degli ateniesi descritti, è un comune cittadino, richiamato alle armi come oplita, guerriero forte ed esperto, che partecipa ai comizi e alle assemblee, si sposa e ha figli, con l’unica prerogativa di istruire, peraltro senza richiedere compensi, alla continua ricerca della sapienza quelli che un giorno potrebbero guidare la città.
La storia raccontata è coinvolgente, appassionante, estremamente precisa nella ricostruzione storica sia degli eventi che delle due diverse società, ateniese e spartana, di quei tempi.
via Blogger http://ift.tt/2xknWXM
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battaglia delle termopili tra spartani e persiani
300 Battaglia delle Termopili. Parla Sua Altezza Imperiale il principe Roberto d’Amato della battaglia delle termopili in cui persero la vita i 300 spartani guidati Re Leonidaaltre informazioni su http://royalhousedamato.orgLa battaglia delle Termopili (in greco antico: ἡ ἐν Θερμοπύλαις μάχη, hē en Thermopýlais máchē[5]) fu combattuta dalle poleis greche, unite in un’alleanza e guidate dal re di Sparta Leonida I e dall’impero persiano governato da Serse I. Si svolse in tre giorni, durante la seconda invasione persiana della Grecia, nell’agosto o nel settembre del 480 a.C. presso lo stretto passaggio delle Termopili (”Le porte calde”) contemporaneamente alla battaglia navale di Capo Artemisio.L’invasione persiana era una risposta allo smacco subito durante la fallita prima invasione della Grecia che si era conclusa con la grande vittoria ateniese nella battaglia di Maratona nel 490 a.C. Serse aveva raccolto un enorme esercito e una potente flotta per conquistare tutta la Grecia. Il generale ateniese Temistocle propose che i Greci si disponessero a bloccare l’avanzata dell’esercito persiano al passo delle Termopili, ostacolando nello stesso tempo la flotta persiana presso lo stretto di Capo Artemisio.Parole correlatela battaglia delle termopili versione greco nulla di troppobattaglia delle termopili yahoobattaglia delle termopili youtubesparta la battaglia delle termopili youtubetrucchi sparta la battaglia delle termopili yahoobattaglia delle termopilibattaglia delle termopili tra spartani e persianibattaglia delle termopili traditorebattaglia delle termopili treccanisparta la battaglia delle termopili trucchigioco sparta la battaglia delle termopili onlinesparta la battaglia delle termopili onlinela battaglia delle termopili kata logonsparta la battaglia delle termopili kickassbattaglia delle termopili pdfbattaglia delle termopili per scuola primariabattaglia delle termopili poesia300 la battaglia delle termopilibattaglia delle termopili leonidabattaglia delle termopili librila battaglia delle termopilila battaglia delle termopili documentariola battaglia delle termopili filmla battaglia delle termopili latinola battaglia delle termopili quadrobattaglia delle midwaybattaglia delle termopili mappabattaglia delle termopili mappa concettualesparta la battaglia delle termopili mappere leonida termopilire leonida sparta300 spartani film300 spartani film completo300 spartani film completo italiano300 spartani film completo italiano 2014300 spartani film full  http://www.sharenator.com/profile/chukuyu818/ 
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I FRUTTI VELENOSI DELL’UOMO CARISMATICO
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I FRUTTI VELENOSI DELL’UOMO CARISMATICO
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Dalla storia greca un tragico episodio figlio della politica populista di Pericle.
La nostra fonte più importante sulla guerra tra Sparta ed Atene (guerra del Peloponneso) è Tucidide, un gigante della storiografia. Ma Tucidide muore che la guerra è ancora in corso. L’ultima parte ce la racconta Senofonte, nell’opera intitolata “Elleniche”.
Nell’anno 406 a.C. nelle acque delle isolette Arginuse, non lontano da Lesbo, ci fu l’ennesimo scontro di guerra tra la flotta ateniese e quella spartana. E, come al solito, gli ateniesi avevano vinto la battaglia, come invece per terra vincevano sempre gli spartani. Per questo la guerra si trascinò per 27 anni (431-404).
Gli otto ammiragli ateniesi si consultarono sul da farsi. Poi decisero di lasciare sul posto 47 navi, al comando di Teramene e Trasibulo, lì a raccogliere il migliaio di ateniesi tra morti e naufraghi, ed il resto della flotta la destinarono all’inseguimento degli spartani, per dar loro il colpo di grazia. Ma il mare cominciò ad ingrossarsi, ed impedì che si facessero l’una e l’altra cosa. Dunque tutte le navi si diressero in golfi sicuri: l’unica vera e formidabile forza di Atene era la flotta, e gli ammiragli non ritennero saggio metterla a rischio.
La notizia dei fatti arrivò ad Atene, ed in città si diede poca importanza alla vittoria e la massima attenzione a ciò che era seguito dopo, specie per naufraghi e cadaveri di marinai, imbarcati sulle 25 navi affondate dagli spartani. Le famiglie dei caduti lamentavano la miserevole fine dei loro congiunti, ipotizzando che da parte degli ammiragli non si fosse fatto tutto il dovuto. Gli ammiragli erano di estrazione o di affinità aristocratica, ed i demagoghi, populisti ed arruffapopolo – animati da odio di classe – pensarono di prendere la palla al balzo, per mettere sotto accusa il partito avverso. Ci furono assemblee popolari sempre più infiammate, ed alla fine si decise di mandare l’ordine agli ammiragli di rientrare subito, perché dessero conto del loro operato. Due di quelli sentirono tirare una brutta aria, e, benché si sentissero come i colleghi con la coscienza a posto, decisero di non tornare. Intanto erano tornati Teramene e Trasibulo, quelli che erano stati incaricati di raccogliere naufraghi e cadaveri. Avvertirono puzza di bruciato, si resero conto del risentimento strisciante tra il demos (classe popolare e maggioritaria), capirono che si era a caccia di capri espiatori, e pensarono bene di assecondare la tendenza dell’assemblea, accusando gli ammiragli.
Tornarono quindi in sei e subito dovettero presentarsi davanti all’assemblea popolare, per dare conto del loro operato. E narrarono come dopo la vittoria intendessero distruggere definitivamente la flotta spartana, ed avessero lasciato a raccogliere naufraghi e caduti 47 navi agli ordini di Teramene e Trasibulo, comandanti esperti, essendo già stati ammiragli. Loro sei però non intendevano accusare quei due, per trarsi di impaccio, perché il vero responsabile di tutto era da considerarsi il mare, fattosi minaccioso, tanto da obbligarli a rinunciare all’inseguimento del nemico e ad abbandonare al loro destino naufraghi e cadaveri dei caduti. Perché non si interrogavano marinai e timonieri, perché confermassero o smentissero questa versione?
L’orientamento dell’assemblea popolare sembrava virare in direzione favorevole agli inquisiti. Allora i caporioni popolari cercarono prendere tempo: dissero che ormai si stava facendo tardi, ed il buio avanzava, e non si poteva essere sicuri di leggere bene il voto dei cittadini, espresso per alzata di mano. La decisione quindi la si rinviava al giorno seguente.
Ma, quando l’assemblea si riunì di nuovo, si fecero avanti degli uomini vestiti di nero come a lutto e con la testa rasata, dichiarandosi familiari dei caduti, e reclamavano giustizia, mediante la punizione degli ammiragli. A far precipitare la situazione fu un tizio, evidentemente comprato, che si disse marinaio di una delle navi affondate, e si era salvato aggrappandosi ad una cassa di farina che galleggiava, e fortunosamente si era salvato. E puntò decisamente l’indice contro gli ammiragli. Fu allora dal demagogo di nome Callisseno proposto di procedere ad una modalità di voto palesemente illegale. A tale illegalità si opposero alcuni pritani (magistrati di turno), che Callisseno accusò di complicità con gli imputati, minacciando di mettere sotto processo anche loro. Impauriti mutarono decisione ed accettarono la proposta di Callisseno, benché l’avessero dichiarata illegale. E votarono a favore. Ma non Socrate, il quale disse che mai e poi mai avrebbe violato la legge.
Agli imputati fu concesso per l’autodifesa anche meno del tempo stabilito dalla legge: insomma dovevano morire, non perché rei, ma per ragioni politiche e per odio di classe. Il risultato fu la condanna a morte per i sei ammiragli, eseguita immediatamente.
Il trentennale dominio di Pericle aveva trasformato la democrazia ateniese. Prima di lui il governo della città, secondo la riforma di Clistene, era prerogativa della Boulè (consiglio, e noi diremmo parlamento). La cittadinanza era stata da Clistene divisa in 10 circoscrizioni, ognuna delle quali eleggeva 50 rappresentanti o bouleuti. Dunque le boulè era composta da 500 parlamentari, e la loro carica era annuale. Non posso fare a meno a questo punto di fare una osservazione: in Italia oggi si grida al trionfo, perché si è ridotto ilo numero dei parlamentari a 600 unità. Ad Atene erano 500 per una popolazione di circa 20 mila abitanti. La democrazia rappresentativa non può prescindere dai rappresentanti, e ridurne o accrescerne il numero di per sé non comporta in automatico alcun vantaggio. Ogni circoscrizione eleggeva 50 rappresentanti, dopo che i cittadini di quella avevano esaminato le candidature una per una. Le assemblee popolari generali ed ordinarie erano due, una all’inizio della legislatura, ed una alla fine, quando i bouleuti dovevano dare conto del loro operato. E’ ovvio che i 50 di ogni circoscrizione erano i migliori cittadini della medesima, quindi anche la boulè esprimeva il meglio della cittadinanza.
L’avvento di Pericle aveva via via modificato questo schema: la boulè, cioè il parlamento, aveva sempre più perduto di autorevolezza, a vantaggio dell’assemblea generale. La conduzione politica di Pericle aveva portato la democrazia ateniese a passare da rappresentativa a diretta. Mi viene da pensare che su questo aggettivo/participio ci sia un equivoco di fondo. In quanto aggettivo, infatti, starebbe ad indicare una modalità di conduzione politica della comunità fatta di partecipazione diretta dei singoli cittadini, senza la intermediazione di rappresentanti. In quanto participio, però, diretta è il participio passato del verbo dirigere, ed il participio passato dei verbi transitivi attivi, e dirigere è tale, ha sempre valore passiva. Perciò è inevitabile la domanda: DIRETTA DA CHI?
L’anno seguente la flotta ateniese, decapitata degli ammiragli esperti e competenti, andò incontro alla devastante sconfitta di Egospotami: l’intera flotta ateniese fu distrutta o catturata, tutta tranne solo nove navi. Tra queste la nave sacra Pàralo, che arrivò di notte ad Atene. La notizia della disfatta si diffuse rapidamente dal Pireo fino all’acropoli, ed allora gli ateniesi si resero conto del tragico errore dell’anno prima. Ma ormai…..
L’ascesa di Atene subì un brusco arresto: si dovette arrendere e subire pesanti condizioni di pace da parte degli spartani. Dopo una breve ma terribile esperienza di governo oligarchico, con i famosi trenta tiranni, ai quali il solo Socrate ebbe il coraggio di dire di no, tornò la democrazia, ma era come ingessata, inamidata a causa della tremenda scottature della guerra durata 27 anni. Atene perdette il suo primato, ma non fu sostituita da Sparta nel ruolo di città egemone: gli spartani miravano al primato nel Peloponneso, e, a dispetto del potente esercito che avevano, erano poco propensi ad avventure militari, trasferendo armati lontano dalla penisola, con il rischio di rivolte delle città sottomesse, Messene in testa. Ci fu il breve periodo di predominio tebano, a cui tenne dietro quello macedone, prima con Filippo e poi con Alessandro. E poi arrivarono i romani.
Nel paragrafo 12 del capitolo 7 del I libro delle Elleniche, Senofonte riferisce che i demagoghi ateniesi, di fronte alla proposta che si precedesse secondo legge, aizzarono la folla: “La massa protestava urlando che era una cosa terribile che al popolo non si lasciasse fare ciò che voleva.”. e cosa voleva il popolo? Che si ghigliottinasse il re. Salvo poi sottomettersi ad un nuovo monarca, quel Napoleone così amato ancora oggi in Francia, ed inspiegabilmente: partì con 700 mila soldati per la Russia, e ne tornarono 18 mila!
Questa forma degenere di democrazia ebbe l’ostilità pressoché totale di quasi tutti gli intellettuali del tempo, cominciando da Senofonte, proseguendo per Socrate e Platone, per i tragediografi ed i commediografi, tendenzialmente schierati su una democrazia rappresentativa. Ma si agognava ad una impossibile democrazia diretta. Già, diretta: ma da chi?
Nel prossimo post vorrei fare un esperimento con voi: tradurre una brano dell’opera di Cesare. Niente paura: vi prenderò per mano, e vi farò sperimentare quanto il latino sia una lingua matematica, ed il suo studio un’esperienza altamente formativa per le menti giovani.
Nel post successivo l’ultima parte di questa specie di “trilogia antica”, con riferimento a Pericle, l’uomo carismatico. Roba antica? Vediamo: i parlamentari danno pessima prova di sé, ne deriva malcontento tra i cittadini, gli avventurieri soffiano sul fuoco del discredito verso le istituzioni, le masse si convincono che qui ci vuole l’uomo carismatico, il messia laico. E il gioco è fatto, come noi italiani abbiamo già sperimentato. Uno vale uno? Anche Genny ‘a carogna? Roba antica? Grillo vuole togliere il voto agli anziani: Genny potrà votare ed io no?
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I FRUTTI VELENOSI DELL’UOMO CARISMATICO
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Dalla storia greca un tragico episodio figlio della politica populista di Pericle.
La nostra fonte più importante sulla guerra tra Sparta ed Atene (guerra del Peloponneso) è Tucidide, un gigante della storiografia. Ma Tucidide muore che la guerra è ancora in corso. L’ultima parte ce la racconta Senofonte, nell’opera intitolata “Elleniche”.
Nell’anno 406 a.C. nelle acque delle isolette Arginuse, non lontano da Lesbo, ci fu l’ennesimo scontro di guerra tra la flotta ateniese e quella spartana. E, come al solito, gli ateniesi avevano vinto la battaglia, come invece per terra vincevano sempre gli spartani. Per questo la guerra si trascinò per 27 anni (431-404).
Gli otto ammiragli ateniesi si consultarono sul da farsi. Poi decisero di lasciare sul posto 47 navi, al comando di Teramene e Trasibulo, lì a raccogliere il migliaio di ateniesi tra morti e naufraghi, ed il resto della flotta la destinarono all’inseguimento degli spartani, per dar loro il colpo di grazia. Ma il mare cominciò ad ingrossarsi, ed impedì che si facessero l’una e l’altra cosa. Dunque tutte le navi si diressero in golfi sicuri: l’unica vera e formidabile forza di Atene era la flotta, e gli ammiragli non ritennero saggio metterla a rischio.
La notizia dei fatti arrivò ad Atene, ed in città si diede poca importanza alla vittoria e la massima attenzione a ciò che era seguito dopo, specie per naufraghi e cadaveri di marinai, imbarcati sulle 25 navi affondate dagli spartani. Le famiglie dei caduti lamentavano la miserevole fine dei loro congiunti, ipotizzando che da parte degli ammiragli non si fosse fatto tutto il dovuto. Gli ammiragli erano di estrazione o di affinità aristocratica, ed i demagoghi, populisti ed arruffapopolo – animati da odio di classe – pensarono di prendere la palla al balzo, per mettere sotto accusa il partito avverso. Ci furono assemblee popolari sempre più infiammate, ed alla fine si decise di mandare l’ordine agli ammiragli di rientrare subito, perché dessero conto del loro operato. Due di quelli sentirono tirare una brutta aria, e, benché si sentissero come i colleghi con la coscienza a posto, decisero di non tornare. Intanto erano tornati Teramene e Trasibulo, quelli che erano stati incaricati di raccogliere naufraghi e cadaveri. Avvertirono puzza di bruciato, si resero conto del risentimento strisciante tra il demos (classe popolare e maggioritaria), capirono che si era a caccia di capri espiatori, e pensarono bene di assecondare la tendenza dell’assemblea, accusando gli ammiragli.
Tornarono quindi in sei e subito dovettero presentarsi davanti all’assemblea popolare, per dare conto del loro operato. E narrarono come dopo la vittoria intendessero distruggere definitivamente la flotta spartana, ed avessero lasciato a raccogliere naufraghi e caduti 47 navi agli ordini di Teramene e Trasibulo, comandanti esperti, essendo già stati ammiragli. Loro sei però non intendevano accusare quei due, per trarsi di impaccio, perché il vero responsabile di tutto era da considerarsi il mare, fattosi minaccioso, tanto da obbligarli a rinunciare all’inseguimento del nemico e ad abbandonare al loro destino naufraghi e cadaveri dei caduti. Perché non si interrogavano marinai e timonieri, perché confermassero o smentissero questa versione?
L’orientamento dell’assemblea popolare sembrava virare in direzione favorevole agli inquisiti. Allora i caporioni popolari cercarono prendere tempo: dissero che ormai si stava facendo tardi, ed il buio avanzava, e non si poteva essere sicuri di leggere bene il voto dei cittadini, espresso per alzata di mano. La decisione quindi la si rinviava al giorno seguente.
Ma, quando l’assemblea si riunì di nuovo, si fecero avanti degli uomini vestiti di nero come a lutto e con la testa rasata, dichiarandosi familiari dei caduti, e reclamavano giustizia, mediante la punizione degli ammiragli. A far precipitare la situazione fu un tizio, evidentemente comprato, che si disse marinaio di una delle navi affondate, e si era salvato aggrappandosi ad una cassa di farina che galleggiava, e fortunosamente si era salvato. E puntò decisamente l’indice contro gli ammiragli. Fu allora dal demagogo di nome Callisseno proposto di procedere ad una modalità di voto palesemente illegale. A tale illegalità si opposero alcuni pritani (magistrati di turno), che Callisseno accusò di complicità con gli imputati, minacciando di mettere sotto processo anche loro. Impauriti mutarono decisione ed accettarono la proposta di Callisseno, benché l’avessero dichiarata illegale. E votarono a favore. Ma non Socrate, il quale disse che mai e poi mai avrebbe violato la legge.
Agli imputati fu concesso per l’autodifesa anche meno del tempo stabilito dalla legge: insomma dovevano morire, non perché rei, ma per ragioni politiche e per odio di classe. Il risultato fu la condanna a morte per i sei ammiragli, eseguita immediatamente.
Il trentennale dominio di Pericle aveva trasformato la democrazia ateniese. Prima di lui il governo della città, secondo la riforma di Clistene, era prerogativa della Boulè (consiglio, e noi diremmo parlamento). La cittadinanza era stata da Clistene divisa in 10 circoscrizioni, ognuna delle quali eleggeva 50 rappresentanti o bouleuti. Dunque le boulè era composta da 500 parlamentari, e la loro carica era annuale. Non posso fare a meno a questo punto di fare una osservazione: in Italia oggi si grida al trionfo, perché si è ridotto ilo numero dei parlamentari a 600 unità. Ad Atene erano 500 per una popolazione di circa 20 mila abitanti. La democrazia rappresentativa non può prescindere dai rappresentanti, e ridurne o accrescerne il numero di per sé non comporta in automatico alcun vantaggio. Ogni circoscrizione eleggeva 50 rappresentanti, dopo che i cittadini di quella avevano esaminato le candidature una per una. Le assemblee popolari generali ed ordinarie erano due, una all’inizio della legislatura, ed una alla fine, quando i bouleuti dovevano dare conto del loro operato. E’ ovvio che i 50 di ogni circoscrizione erano i migliori cittadini della medesima, quindi anche la boulè esprimeva il meglio della cittadinanza.
L’avvento di Pericle aveva via via modificato questo schema: la boulè, cioè il parlamento, aveva sempre più perduto di autorevolezza, a vantaggio dell’assemblea generale. La conduzione politica di Pericle aveva portato la democrazia ateniese a passare da rappresentativa a diretta. Mi viene da pensare che su questo aggettivo/participio ci sia un equivoco di fondo. In quanto aggettivo, infatti, starebbe ad indicare una modalità di conduzione politica della comunità fatta di partecipazione diretta dei singoli cittadini, senza la intermediazione di rappresentanti. In quanto participio, però, diretta è il participio passato del verbo dirigere, ed il participio passato dei verbi transitivi attivi, e dirigere è tale, ha sempre valore passiva. Perciò è inevitabile la domanda: DIRETTA DA CHI?
L’anno seguente la flotta ateniese, decapitata degli ammiragli esperti e competenti, andò incontro alla devastante sconfitta di Egospotami: l’intera flotta ateniese fu distrutta o catturata, tutta tranne solo nove navi. Tra queste la nave sacra Pàralo, che arrivò di notte ad Atene. La notizia della disfatta si diffuse rapidamente dal Pireo fino all’acropoli, ed allora gli ateniesi si resero conto del tragico errore dell’anno prima. Ma ormai…..
L’ascesa di Atene subì un brusco arresto: si dovette arrendere e subire pesanti condizioni di pace da parte degli spartani. Dopo una breve ma terribile esperienza di governo oligarchico, con i famosi trenta tiranni, ai quali il solo Socrate ebbe il coraggio di dire di no, tornò la democrazia, ma era come ingessata, inamidata a causa della tremenda scottature della guerra durata 27 anni. Atene perdette il suo primato, ma non fu sostituita da Sparta nel ruolo di città egemone: gli spartani miravano al primato nel Peloponneso, e, a dispetto del potente esercito che avevano, erano poco propensi ad avventure militari, trasferendo armati lontano dalla penisola, con il rischio di rivolte delle città sottomesse, Messene in testa. Ci fu il breve periodo di predominio tebano, a cui tenne dietro quello macedone, prima con Filippo e poi con Alessandro. E poi arrivarono i romani.
Nel paragrafo 12 del capitolo 7 del I libro delle Elleniche, Senofonte riferisce che i demagoghi ateniesi, di fronte alla proposta che si precedesse secondo legge, aizzarono la folla: “La massa protestava urlando che era una cosa terribile che al popolo non si lasciasse fare ciò che voleva.”. e cosa voleva il popolo? Che si ghigliottinasse il re. Salvo poi sottomettersi ad un nuovo monarca, quel Napoleone così amato ancora oggi in Francia, ed inspiegabilmente: partì con 700 mila soldati per la Russia, e ne tornarono 18 mila!
Questa forma degenere di democrazia ebbe l’ostilità pressoché totale di quasi tutti gli intellettuali del tempo, cominciando da Senofonte, proseguendo per Socrate e Platone, per i tragediografi ed i commediografi, tendenzialmente schierati su una democrazia rappresentativa. Ma si agognava ad una impossibile democrazia diretta. Già, diretta: ma da chi?
Nel prossimo post vorrei fare un esperimento con voi: tradurre una brano dell’opera di Cesare. Niente paura: vi prenderò per mano, e vi farò sperimentare quanto il latino sia una lingua matematica, ed il suo studio un’esperienza altamente formativa per le menti giovani.
Nel post successivo l’ultima parte di questa specie di “trilogia antica”, con riferimento a Pericle, l’uomo carismatico. Roba antica? Vediamo: i parlamentari danno pessima prova di sé, ne deriva malcontento tra i cittadini, gli avventurieri soffiano sul fuoco del discredito verso le istituzioni, le masse si convincono che qui ci vuole l’uomo carismatico, il messia laico. E il gioco è fatto, come noi italiani abbiamo già sperimentato. Uno vale uno? Anche Genny ‘a carogna? Roba antica? Grillo vuole togliere il voto agli anziani: Genny potrà votare ed io no?
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TUCIDIDE: GLI ATENIESI E GLI ABITANTI DI MILO
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TUCIDIDE: GLI ATENIESI E GLI ABITANTI DI MILO
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  Siamo nel corso della lunga e dispendiosa guerra del Peloponneso, tra Atene e Sparta (431-404 a.C.). Una guerra che non trova mai fine: gli spartani vincono negli scontri campali, gli ateniesi in quelli navali. Ci sono vari armistizi e solennissime tregue pluriennali con tanto di giuramento sugli altari degli dèi santissimi. Sono di breve durata, perché le cause del tremendo scontro non vengono mai rimosse: Sparta è al centro del Peloponneso, ha regime aristocratico ed economia chiusa, poco incline cioè al mercato, basata sull’agricoltura. Il Peloponneso è regione fertile, ed ancora oggi vi sono colture lussureggianti: due raccolte di agrumi l’anno, ulivi e vigneti a perdita d’occhio, abbondanza di acque (il monte Taigeto, un enorme massiccio, supera i 2000 metri, grava su Sparta e d’inverno ha copiosa neve). Atene invece è lanciata sulla via dei mercati, che la rendono ricca ed opulenta, vera dominatrice dei mari. E’ retta a regime democratico, quindi non facilmente conciliabile con quello aristocratico di Sparta. Ma quella ateniese è una democrazia che ha virato a demagogia, populismo, assemblearismo, e tutti reclamano , pretendono, vogliono la loro fetta di benessere, e con la minor fatica possibile. Quindi l’economia che si realizza, non è mai in grado di soddisfare le richieste del demos, la classe più bassa e più numerosa e rumorosa. In città si vive in un perenne stato di tensione, ed i dirigenti della città sono sotto il continuo ricatto della plebe scatenata, faziosa ed esigente ogni oltre limite, che agita lo spauracchio dell’esilio se non della morte a chi non la soddisfa. Di qui la necessità di acquisire sempre nuovi mercati, nuove risorse in tutto il Mediterraneo, fino a mettere in piedi una prassi chiaramente imperialistica. Sparta si spaventò, temette l’accerchiamento, ruppe gli indugi. E guerra fu. E le tregue? Inutili.
Siamo nel 416, e le ostilità, a dispetto della solennissima tregua giurata chiamando a testimoni gli dèi onnipotenti ed immortali, sta per essere violata. Gli ateniesi, lanciati alla conquista di nuovi mercati, per soddisfare le inesauribili pretese del demos: controllo di nuove risorse, di nuovi mercati, sfogo demografico, vita opulenta per tutti, imperanti i demagoghi, i “populisti” diremmo oggi, che promettono la luna nel pozzo. Socrate si dissociava dal coro di elogi per Pericle, morto all’inizio della guerra, per quella peste in Atene, figlia della guerra stessa. Le truppe spartane, infatti avevano invaso l’Attica, costringendo gli ateniesi che vi dimoravano a rientrare in città. Le condizioni igieniche erano quelle che erano, scoppiò il contagio, e molti furono i morti, tra cui Pericle stesso. Avevano iniziato gli ateniesi a praticare la medicina ippocratica, che nelle condizioni fisiche ed ambientali individuava le cause delle malattie, prima formulazione di quella che è la nostra medicina. Purtroppo i rimedi ippocratici non erano adeguati al caso, ed allora fu portata in trionfo la statua di Asclepio, dio della medicina, la quale individuava o pretendeva di farlo nella colpa morale la causa dei mali fisici: quando la medicina scientifica non funziona, la disperazione ci porta a Lourdes, in un estremo e per lo più inutile tentativo di fregare la “commare secca”, si dice a Roma, per indicare la morte. Socrate, dicevamo, aveva una pessima opinione di Pericle: ogni ateniese – diceva – quando lui iniziò a governare era in parte bravo ed in parte cattivo, in proporzioni variabili da persona a persona. Ha governato trent’anni, Pericle, dopo di che gli ateniesi sono divenuti totalmente pessimi: sfaticati (Pericle aveva sancito il diritto alla remunerazione, se si partecipava all’assemblea: e le assemblee si susseguivano una dietro l’altra, per campare senza lavorare, e l’istituto dell’assemblea aveva di fatto esautorato il potere del parlamento – boulè – con la minaccia dell’ostracismo, delle multe e della pena capitale: regime assembleare, quello che ha redatto il certificato di morte della democrazia. Una considerazione: il parlamento ateniese era composto da 500 eletti, per una popolazione di circa 20 mila abitanti: penso a questo, quando, come oggi, si sproloquia di riduzione in Italia dei parlamentari – circa 900 per 60 milioni di abitanti –come rimedio al cattivo funzionamento delle camere: basterebbe invece restituire al popolo realmente il potere di scelta, togliendolo dalle mani dei segretari di partito, e recuperare il filo diretto tra elettore e deputato); li aveva resi prepotenti, superficiali – parlavano di tutto, senza sapere nulla – e coltivatori dell’ingiusto, ad iniziare dalla macchina del fango.
Ecco, dunque, che nel 416 gli ateniesi si accingono a riaprire le ostilità contro Sparta. Hanno la necessità di acquisire alleati, anche coercitivamente, e si presentano a Milo, per esigere che i Milii si schierino con loro. E questo benché a Milo vivano coloni di provenienza spartana. La delegazione ateniese viene accolta in un posto riservato ed appartato: i capi dell’isola – infatti – di estrazione aristocratica ritengono pericoloso per loro che il demos sappia ciò che si sta preparando, e cercano di resistere alla delegazione ateniese con tutta una serie di argomentazioni. Due in particolare: sperano negli dèi e nell’aiuto degli spartani. Vogliono rimanere neutrali, non schierarsi con gli spartani, perché vivono in un’isola e la flotta ateniese è la più forte di tutte; né con gli ateniesi e fare la guerra ai loro concittadini di origine. Ma gli ateniesi rispondono loro con brutale franchezza:
“ Quindi noi non vi offriremo un lungo discorso ipocrita con argomenti convincenti, cioè che noi esercitiamo il potere, giustamente perché abbiamo sconfitto i Persiani, o che ora siamo giunti contro di voi perché ci avete fatto qualche ingiustizia; né riteniamo giusto che voi pensiate di convincerci, dicendo che non avete combattuto con noi perché siete coloni degli Spartani o che non avete commesso ingiustizia nei nostri confronti. Invece riteniamo giusto che sia fatto il possibile a partire da ciò che ciascuno di noi due pensa veramente, del tutto convinti noi come voi, che invece lo sapete solo in teoria, che le azioni giuste si possono scegliere nelle azioni degli uomini quando c’è una condizione di uguaglianza, e che al contrario chi è superiore esige quello che vuole e i deboli non possono che cedere.”.
Insomma trattative alla pari sono possibili solo tra potenze di pari valore. Il diritto delle genti è con voi, e, se volete, potreste in teoria rimanere neutrali. Ma nelle cose umane vale il diritto del più forte: o con noi, o contro di noi. E quelli si rifiutarono, ed arrivarono le forze armate da Atene, e tutti i cittadini maschi furono trucidati, e le donne con i bambini resi schiavi.
Più volte ho dovuto ripetere che “Historia magistra vitae”, dalla Storia c’è da imparare a vivere. E le anime candide, magari anomalisti in grammatica, ad obiettarmi che la Storia non si ripete mai uguale, come se io avessi fatto un’osservazione simile. E mi tocca ripetere un esempio: un bambino di cinque anni sta vicino al fuoco di un camino, e c’è un tondino di ferro, appoggiato alla parete nella bocca del camino. E’ nero, e sembra innocuo, in realtà è arroventato senza essere incandescente. Il bambino, ingannato dal colore nero, lo afferra e si brucia la mano. Quello potrà campare anche fino a 90, ma, se non è stupido, un tondino di ferro dritto vicino ad un fuoco non lo afferrerà più: lui sarà ovviamente diverso per gli anni passati, il camino non sarà mai lo stesso, ogni camino del mondo non fa differenza, il tondino di ferro sarà un altro, ma lui, forte dell’esperienza dolorosa fatta a cinque anni, un tondino di ferro nero accanto ad un fuoco non lo afferrerà più. Se non è stupido. L’essenza del fascismo non era Mussolini, né la camicia nera, né il balcone, né l’oratoria ad effetto perché squallida e banale, condita da pose istrioniche, non era tutto ciò: era razzismo, sovranismo – chiamato allora nazionalismo – classismo, stato etico, credere obbedire combattere, briciole per la plebaglia, pensiero unico, inclinazione al punire castrare incarcerare ammazzare, con il saluto romano – un’invenzione cinematografica -, esiliare. Si rivede ciò o qualcosa di simile? Il tondino di ferro nero, allora, non ha insegnato nulla.
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  Siamo nel corso della lunga e dispendiosa guerra del Peloponneso, tra Atene e Sparta (431-404 a.C.). Una guerra che non trova mai fine: gli spartani vincono negli scontri campali, gli ateniesi in quelli navali. Ci sono vari armistizi e solennissime tregue pluriennali con tanto di giuramento sugli altari degli dèi santissimi. Sono di breve durata, perché le cause del tremendo scontro non vengono mai rimosse: Sparta è al centro del Peloponneso, ha regime aristocratico ed economia chiusa, poco incline cioè al mercato, basata sull’agricoltura. Il Peloponneso è regione fertile, ed ancora oggi vi sono colture lussureggianti: due raccolte di agrumi l’anno, ulivi e vigneti a perdita d’occhio, abbondanza di acque (il monte Taigeto, un enorme massiccio, supera i 2000 metri, grava su Sparta e d’inverno ha copiosa neve). Atene invece è lanciata sulla via dei mercati, che la rendono ricca ed opulenta, vera dominatrice dei mari. E’ retta a regime democratico, quindi non facilmente conciliabile con quello aristocratico di Sparta. Ma quella ateniese è una democrazia che ha virato a demagogia, populismo, assemblearismo, e tutti reclamano , pretendono, vogliono la loro fetta di benessere, e con la minor fatica possibile. Quindi l’economia che si realizza, non è mai in grado di soddisfare le richieste del demos, la classe più bassa e più numerosa e rumorosa. In città si vive in un perenne stato di tensione, ed i dirigenti della città sono sotto il continuo ricatto della plebe scatenata, faziosa ed esigente ogni oltre limite, che agita lo spauracchio dell’esilio se non della morte a chi non la soddisfa. Di qui la necessità di acquisire sempre nuovi mercati, nuove risorse in tutto il Mediterraneo, fino a mettere in piedi una prassi chiaramente imperialistica. Sparta si spaventò, temette l’accerchiamento, ruppe gli indugi. E guerra fu. E le tregue? Inutili.
Siamo nel 416, e le ostilità, a dispetto della solennissima tregua giurata chiamando a testimoni gli dèi onnipotenti ed immortali, sta per essere violata. Gli ateniesi, lanciati alla conquista di nuovi mercati, per soddisfare le inesauribili pretese del demos: controllo di nuove risorse, di nuovi mercati, sfogo demografico, vita opulenta per tutti, imperanti i demagoghi, i “populisti” diremmo oggi, che promettono la luna nel pozzo. Socrate si dissociava dal coro di elogi per Pericle, morto all’inizio della guerra, per quella peste in Atene, figlia della guerra stessa. Le truppe spartane, infatti avevano invaso l’Attica, costringendo gli ateniesi che vi dimoravano a rientrare in città. Le condizioni igieniche erano quelle che erano, scoppiò il contagio, e molti furono i morti, tra cui Pericle stesso. Avevano iniziato gli ateniesi a praticare la medicina ippocratica, che nelle condizioni fisiche ed ambientali individuava le cause delle malattie, prima formulazione di quella che è la nostra medicina. Purtroppo i rimedi ippocratici non erano adeguati al caso, ed allora fu portata in trionfo la statua di Asclepio, dio della medicina, la quale individuava o pretendeva di farlo nella colpa morale la causa dei mali fisici: quando la medicina scientifica non funziona, la disperazione ci porta a Lourdes, in un estremo e per lo più inutile tentativo di fregare la “commare secca”, si dice a Roma, per indicare la morte. Socrate, dicevamo, aveva una pessima opinione di Pericle: ogni ateniese – diceva – quando lui iniziò a governare era in parte bravo ed in parte cattivo, in proporzioni variabili da persona a persona. Ha governato trent’anni, Pericle, dopo di che gli ateniesi sono divenuti totalmente pessimi: sfaticati (Pericle aveva sancito il diritto alla remunerazione, se si partecipava all’assemblea: e le assemblee si susseguivano una dietro l’altra, per campare senza lavorare, e l’istituto dell’assemblea aveva di fatto esautorato il potere del parlamento – boulè – con la minaccia dell’ostracismo, delle multe e della pena capitale: regime assembleare, quello che ha redatto il certificato di morte della democrazia. Una considerazione: il parlamento ateniese era composto da 500 eletti, per una popolazione di circa 20 mila abitanti: penso a questo, quando, come oggi, si sproloquia di riduzione in Italia dei parlamentari – circa 900 per 60 milioni di abitanti –come rimedio al cattivo funzionamento delle camere: basterebbe invece restituire al popolo realmente il potere di scelta, togliendolo dalle mani dei segretari di partito, e recuperare il filo diretto tra elettore e deputato); li aveva resi prepotenti, superficiali – parlavano di tutto, senza sapere nulla – e coltivatori dell’ingiusto, ad iniziare dalla macchina del fango.
Ecco, dunque, che nel 416 gli ateniesi si accingono a riaprire le ostilità contro Sparta. Hanno la necessità di acquisire alleati, anche coercitivamente, e si presentano a Milo, per esigere che i Milii si schierino con loro. E questo benché a Milo vivano coloni di provenienza spartana. La delegazione ateniese viene accolta in un posto riservato ed appartato: i capi dell’isola – infatti – di estrazione aristocratica ritengono pericoloso per loro che il demos sappia ciò che si sta preparando, e cercano di resistere alla delegazione ateniese con tutta una serie di argomentazioni. Due in particolare: sperano negli dèi e nell’aiuto degli spartani. Vogliono rimanere neutrali, non schierarsi con gli spartani, perché vivono in un’isola e la flotta ateniese è la più forte di tutte; né con gli ateniesi e fare la guerra ai loro concittadini di origine. Ma gli ateniesi rispondono loro con brutale franchezza:
“ Quindi noi non vi offriremo un lungo discorso ipocrita con argomenti convincenti, cioè che noi esercitiamo il potere, giustamente perché abbiamo sconfitto i Persiani, o che ora siamo giunti contro di voi perché ci avete fatto qualche ingiustizia; né riteniamo giusto che voi pensiate di convincerci, dicendo che non avete combattuto con noi perché siete coloni degli Spartani o che non avete commesso ingiustizia nei nostri confronti. Invece riteniamo giusto che sia fatto il possibile a partire da ciò che ciascuno di noi due pensa veramente, del tutto convinti noi come voi, che invece lo sapete solo in teoria, che le azioni giuste si possono scegliere nelle azioni degli uomini quando c’è una condizione di uguaglianza, e che al contrario chi è superiore esige quello che vuole e i deboli non possono che cedere.”.
Insomma trattative alla pari sono possibili solo tra potenze di pari valore. Il diritto delle genti è con voi, e, se volete, potreste in teoria rimanere neutrali. Ma nelle cose umane vale il diritto del più forte: o con noi, o contro di noi. E quelli si rifiutarono, ed arrivarono le forze armate da Atene, e tutti i cittadini maschi furono trucidati, e le donne con i bambini resi schiavi.
Più volte ho dovuto ripetere che “Historia magistra vitae”, dalla Storia c’è da imparare a vivere. E le anime candide, magari anomalisti in grammatica, ad obiettarmi che la Storia non si ripete mai uguale, come se io avessi fatto un’osservazione simile. E mi tocca ripetere un esempio: un bambino di cinque anni sta vicino al fuoco di un camino, e c’è un tondino di ferro, appoggiato alla parete nella bocca del camino. E’ nero, e sembra innocuo, in realtà è arroventato senza essere incandescente. Il bambino, ingannato dal colore nero, lo afferra e si brucia la mano. Quello potrà campare anche fino a 90, ma, se non è stupido, un tondino di ferro dritto vicino ad un fuoco non lo afferrerà più: lui sarà ovviamente diverso per gli anni passati, il camino non sarà mai lo stesso, ogni camino del mondo non fa differenza, il tondino di ferro sarà un altro, ma lui, forte dell’esperienza dolorosa fatta a cinque anni, un tondino di ferro nero accanto ad un fuoco non lo afferrerà più. Se non è stupido. L’essenza del fascismo non era Mussolini, né la camicia nera, né il balcone, né l’oratoria ad effetto perché squallida e banale, condita da pose istrioniche, non era tutto ciò: era razzismo, sovranismo – chiamato allora nazionalismo – classismo, stato etico, credere obbedire combattere, briciole per la plebaglia, pensiero unico, inclinazione al punire castrare incarcerare ammazzare, con il saluto romano – un’invenzione cinematografica -, esiliare. Si rivede ciò o qualcosa di simile? Il tondino di ferro nero, allora, non ha insegnato nulla.
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Le guerre persiane
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Le guerre persiane
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Sui banchi delle nostre classi elementari, dal libro chiamato sussidiario, imparavamo la storia antica, in particolare quella dei greci, e della loro eroica resistenza contro l’invasore persiano. Divenivano familiari i nomi di Leonida e di Milziade, di Temistocle e di Aristide, di Santippo e Pausania, e le Termopili e Maratona, Salamina (nome che ci strappava un sorriso) e Platea, Micale e Mileto, Dario Serse Mardonio Dati Artaferne….. Il testo era accompagnato da disegni fatti ad hoc, e da cartine geografiche, e dovevamo imparare a memoria il dove il quando ed il chi, e ripeterlo alla maestra, che ci interrogava con l’espressione severa, che voleva dire: “Vediamo se la sai”. Le figure di guerrieri ce l’ho ancora qui davanti agli occhi, e, se solo fossi capace di disegnare, le riprodurrei, tanta impressione suscitavano in noi. La seconda guerra mondiale era finita da poco, il regime finalmente crollato, ma certa retorica patriottarda era ben viva: gli eroi, la guerra, il nemico invasore e barbarico, la patria. Alle medie avremmo viaggiato nello spazio e nel tempo a rimorchio delle parole di Omero, ma nella terribile versione di Monti e Pindemonte, che ci costringeva ad un grosso lavoro di interpretazione e comprensione, ma, se posso affermare di conoscere un po’ di lingua italiana, lo devo ad Ettore, Achille, Andromaca, Aiace, Ulisse, Elena………. Nella terribile versione di Monti e Pindemonte. Ma le cause, le cause di tanto sangue versato, quali erano? Le cause restavano in ombra, e lì rimasero anche negli anni del liceo. La guerra, la guerra contava, l’eroe la patria l’eroismo il nemico di solito cattivissimo. Insomma una Storia fatta di guerre intervallate da strani periodi di pace, in cui si preparava la guerra successiva. Ma la ragione vera di tanto massacrarsi, quella non emergeva. Allora per le guerre persiane ci proviamo stamattina. La lontana origine la possiamo collocare nel 547 a.C., quando Creso, re della Lidia e quinto discendente di quel Gige divenuto re suo malgrado, dopo aver ucciso il re Candaule e averne sposato la vedova, quando Creso dunque dichiarò guerra a Ciro il vecchio, il costruttore del potente regno di Persia. In precedenza Creso aveva conquistato l’intera Anatolia, densamente popolata da greci coloniali. Ma Creso aveva lasciato la più ampia autonomia a quelle città, che si erano organizzate in modo strano, che ora vedremo, accontentandosi solo del tributo annuale. I greci coloniali del resto erano soddisfatti anch’essi: erano liberi di muoversi nel vasto territorio della Lidia pacificata, e dunque potevano trafficare con buoni guadagni in tutto il medio oriente, divenendo così il nodo indispensabile per i commerci dell’intero Mediterraneo. L’arrivo dei persiani modificò radicalmente la situazione. L’organizzazione economica del vasto regno di Persia era quella diffusa in tutto il mondo antico, eccettuata proprio la Grecia, in madrepatria e nelle città coloniali. Il territorio persiano era diviso in satrapie (simili alla lontana alle provincie romane), ed ogni satrapia era un’entità a sé stante quanto all’economia: una forte centralizzazione, il prodotto radunato all’ammasso, e poi redistribuito secondo meriti e possibilità, con successivo traffico tra satrapie. Un’organizzazione fortemente centralizzata, di tipo vagamente comunistico, che aveva preso forma in funzione dei problemi di Egitto e Mesopotamia. Per sfruttare a dovere il bene dell’acqua di tre fiumi, Nilo Tigri ed Eufrate, occorrevano lavori di grande impegno, da effettuare a mano, e con l’aiuto di strumenti elementari e della forza animale. Impensabile affrontarli privatamente. Quindi il centro deliberava, e la gente, volente o nolente, eseguiva. Si trattava di LAVORO COATTO e non di SCHIAVITU’, che ancora non esisteva (anche la schiavitù è un’invenzione greca, ad opera dei viticultori dell’isola di Chio nell’ottavo secolo a.C.). I greci, invece, a partire dal medio evo ellenico (1200 a.C.- 900) avevano sviluppato un sistema economico, che noi chiamiamo MODO DI PRODUZIONE SCHIAVISTICO, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione della vita (terre, animali, edifici, attrezzi, navi) e l’utilizzo di manodopera umana, per lo più di schiavi, o di salariati per un tozzo di pane. In politica il tutto si manifesta con il regime democratico, che è tale anche quando è di marca aristocratica: le decisioni, infatti, non sono frutto della testa di un re, più o meno teocratico, e dei suoi stretti consiglieri, ma sono l’esito di un confronto, un dibattito tra uguali, aristocratici per gran parte dell’epoca arcaica (900-599 a.C.), e poi democratici (esclusa Sparta, che resterà sempre aristocratica) in età classica. Allora le guerre persiane sono uno scontro senza possibilità di compromesso tra due modi radicalmente inconciliabili di intendere la vita: centralistico e piramidale, quello persiano, e individualistico e basato sulla libera iniziativa privata, quello greco. Per i greci entrare, per di più in maniera coattiva, nel sistema persiano voleva dire la morte come civiltà, cultura, modo di pensare, modo di vivere, e passare dalla condizione di cittadini a quella di sudditi. Ed iniziò a partire dal 547 (anno della vittoria dei persiani sulla Lidia), fino a deflagrare in aperta guerra totale. La crisi di rigetto greca cominciò a farsi acuta intorno al 510 a.C., con effetti tipo domino per tutto il bacino del Mediterraneo (distruzione di Sibari in Calabria, inizio del tramonto degli etruschi, che sono cacciati da Roma, costruzione a Roma stessa della repubblica romana), e diviene guerra aperta nel 499 con la ribellione delle colonie ioniche d’Asia Minore, capitanate da Mileto, distruzione della stessa Mileto nel 494. E nel 490 spedizione punitiva contro Atene, colpevole di avere aiutato i ribelli. Ma l’esercito ateniese, guidato da Milziade, e rafforzato da mille plateesi, nella piana di Maratona, pur in condizioni di evidente inferiorità numerica, attaccò e sbaragliò l’incredulo nemico. Poi Milziade a tappe forzate trasferì i soldati ad Atene, che giunsero prima delle navi nemiche. E queste se ne tornarono a casa. Il re persiano Dario meditò allora una spedizione in grande stile contro la Grecia, per punirla ed anche sottometterla: era un pericoloso esempio di stile di vita diverso, un’anticipazione alla lontana del contrasto tra sovietici e capitalisti occidentali. Ma nel 495 morì, ed il suo progetto fu ripreso dal suo successore, il figlio Serse. Questi preparò una invasione in grande stile, ed Erodoto, la nostra principale fonte di informazione, parla di milioni di uomini e migliaia di navi, dati che a me paiono gonfiati, per rendere più significativa la vittoria dei greci. E vittoria fu: Temistocle ingannò Serse, inducendolo ad attaccare a Salamina, e la flotta persiana fu distrutta in gran parte (480); e l’anno dopo l’esercito persiano si scontrò a Platea con gli spartani, e fu disfatto. Completò l’opera Santippo, il padre di Pericle, che nelle acque di Micale (tra Samo e Turchia) distrusse ciò che s’era salvato della flotta persiana a Salamina. Per i greci questa vittoria fu la riprova della bontà del sistema democratico, anche nella versione aristocratica, la famosa prova del fuoco, di cui andarono smisuratamente orgogliosi. Per i persiani fu un fatto marginale, di relativa importanza, ma che provocò qualche scricchiolio nell’enorme edificio. Temistocle fu l’artefice principale della vittoria, ma poi i suoi avversari politici lo mandarono in esilio. Qualche decennio dopo sorse la stella di Pericle, che dominò la scena politica per un trentennio, facendo più danni che opere valide, come succede sempre agli uomini della Provvidenza. Ma questa è tutta un’altra storia. Anche il lupo (l’umanità) perde il pelo, ma non il vizio. E così periodicamente torna il desiderio della sottomissione all’uomo forte, o al buon papà, nella versione edulcorata ma sostanzialmente identica, e da Benito siamo passati a Bettino, da questi a Silvio, da Silvio a Matteo, ed alcuni si sono scelti Beppe. Aspettate che arrivi ad effetto la “buona scuola”, ed allora tutto questo sarà dimenticato. Ma guai a quel popolo che dimentica la propria storia: è destinato a ripetere errori già commessi, anche tragici.
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Le guerre persiane
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Le guerre persiane
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Sui banchi delle nostre classi elementari, dal libro chiamato sussidiario, imparavamo la storia antica, in particolare quella dei greci, e della loro eroica resistenza contro l’invasore persiano. Divenivano familiari i nomi di Leonida e di Milziade, di Temistocle e di Aristide, di Santippo e Pausania, e le Termopili e Maratona, Salamina (nome che ci strappava un sorriso) e Platea, Micale e Mileto, Dario Serse Mardonio Dati Artaferne….. Il testo era accompagnato da disegni fatti ad hoc, e da cartine geografiche, e dovevamo imparare a memoria il dove il quando ed il chi, e ripeterlo alla maestra, che ci interrogava con l’espressione severa, che voleva dire: “Vediamo se la sai”. Le figure di guerrieri ce l’ho ancora qui davanti agli occhi, e, se solo fossi capace di disegnare, le riprodurrei, tanta impressione suscitavano in noi. La seconda guerra mondiale era finita da poco, il regime finalmente crollato, ma certa retorica patriottarda era ben viva: gli eroi, la guerra, il nemico invasore e barbarico, la patria. Alle medie avremmo viaggiato nello spazio e nel tempo a rimorchio delle parole di Omero, ma nella terribile versione di Monti e Pindemonte, che ci costringeva ad un grosso lavoro di interpretazione e comprensione, ma, se posso affermare di conoscere un po’ di lingua italiana, lo devo ad Ettore, Achille, Andromaca, Aiace, Ulisse, Elena………. Nella terribile versione di Monti e Pindemonte. Ma le cause, le cause di tanto sangue versato, quali erano? Le cause restavano in ombra, e lì rimasero anche negli anni del liceo. La guerra, la guerra contava, l’eroe la patria l’eroismo il nemico di solito cattivissimo. Insomma una Storia fatta di guerre intervallate da strani periodi di pace, in cui si preparava la guerra successiva. Ma la ragione vera di tanto massacrarsi, quella non emergeva. Allora per le guerre persiane ci proviamo stamattina. La lontana origine la possiamo collocare nel 547 a.C., quando Creso, re della Lidia e quinto discendente di quel Gige divenuto re suo malgrado, dopo aver ucciso il re Candaule e averne sposato la vedova, quando Creso dunque dichiarò guerra a Ciro il vecchio, il costruttore del potente regno di Persia. In precedenza Creso aveva conquistato l’intera Anatolia, densamente popolata da greci coloniali. Ma Creso aveva lasciato la più ampia autonomia a quelle città, che si erano organizzate in modo strano, che ora vedremo, accontentandosi solo del tributo annuale. I greci coloniali del resto erano soddisfatti anch’essi: erano liberi di muoversi nel vasto territorio della Lidia pacificata, e dunque potevano trafficare con buoni guadagni in tutto il medio oriente, divenendo così il nodo indispensabile per i commerci dell’intero Mediterraneo. L’arrivo dei persiani modificò radicalmente la situazione. L’organizzazione economica del vasto regno di Persia era quella diffusa in tutto il mondo antico, eccettuata proprio la Grecia, in madrepatria e nelle città coloniali. Il territorio persiano era diviso in satrapie (simili alla lontana alle provincie romane), ed ogni satrapia era un’entità a sé stante quanto all’economia: una forte centralizzazione, il prodotto radunato all’ammasso, e poi redistribuito secondo meriti e possibilità, con successivo traffico tra satrapie. Un’organizzazione fortemente centralizzata, di tipo vagamente comunistico, che aveva preso forma in funzione dei problemi di Egitto e Mesopotamia. Per sfruttare a dovere il bene dell’acqua di tre fiumi, Nilo Tigri ed Eufrate, occorrevano lavori di grande impegno, da effettuare a mano, e con l’aiuto di strumenti elementari e della forza animale. Impensabile affrontarli privatamente. Quindi il centro deliberava, e la gente, volente o nolente, eseguiva. Si trattava di LAVORO COATTO e non di SCHIAVITU’, che ancora non esisteva (anche la schiavitù è un’invenzione greca, ad opera dei viticultori dell’isola di Chio nell’ottavo secolo a.C.). I greci, invece, a partire dal medio evo ellenico (1200 a.C.- 900) avevano sviluppato un sistema economico, che noi chiamiamo MODO DI PRODUZIONE SCHIAVISTICO, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione della vita (terre, animali, edifici, attrezzi, navi) e l’utilizzo di manodopera umana, per lo più di schiavi, o di salariati per un tozzo di pane. In politica il tutto si manifesta con il regime democratico, che è tale anche quando è di marca aristocratica: le decisioni, infatti, non sono frutto della testa di un re, più o meno teocratico, e dei suoi stretti consiglieri, ma sono l’esito di un confronto, un dibattito tra uguali, aristocratici per gran parte dell’epoca arcaica (900-599 a.C.), e poi democratici (esclusa Sparta, che resterà sempre aristocratica) in età classica. Allora le guerre persiane sono uno scontro senza possibilità di compromesso tra due modi radicalmente inconciliabili di intendere la vita: centralistico e piramidale, quello persiano, e individualistico e basato sulla libera iniziativa privata, quello greco. Per i greci entrare, per di più in maniera coattiva, nel sistema persiano voleva dire la morte come civiltà, cultura, modo di pensare, modo di vivere, e passare dalla condizione di cittadini a quella di sudditi. Ed iniziò a partire dal 547 (anno della vittoria dei persiani sulla Lidia), fino a deflagrare in aperta guerra totale. La crisi di rigetto greca cominciò a farsi acuta intorno al 510 a.C., con effetti tipo domino per tutto il bacino del Mediterraneo (distruzione di Sibari in Calabria, inizio del tramonto degli etruschi, che sono cacciati da Roma, costruzione a Roma stessa della repubblica romana), e diviene guerra aperta nel 499 con la ribellione delle colonie ioniche d’Asia Minore, capitanate da Mileto, distruzione della stessa Mileto nel 494. E nel 490 spedizione punitiva contro Atene, colpevole di avere aiutato i ribelli. Ma l’esercito ateniese, guidato da Milziade, e rafforzato da mille plateesi, nella piana di Maratona, pur in condizioni di evidente inferiorità numerica, attaccò e sbaragliò l’incredulo nemico. Poi Milziade a tappe forzate trasferì i soldati ad Atene, che giunsero prima delle navi nemiche. E queste se ne tornarono a casa. Il re persiano Dario meditò allora una spedizione in grande stile contro la Grecia, per punirla ed anche sottometterla: era un pericoloso esempio di stile di vita diverso, un’anticipazione alla lontana del contrasto tra sovietici e capitalisti occidentali. Ma nel 495 morì, ed il suo progetto fu ripreso dal suo successore, il figlio Serse. Questi preparò una invasione in grande stile, ed Erodoto, la nostra principale fonte di informazione, parla di milioni di uomini e migliaia di navi, dati che a me paiono gonfiati, per rendere più significativa la vittoria dei greci. E vittoria fu: Temistocle ingannò Serse, inducendolo ad attaccare a Salamina, e la flotta persiana fu distrutta in gran parte (480); e l’anno dopo l’esercito persiano si scontrò a Platea con gli spartani, e fu disfatto. Completò l’opera Santippo, il padre di Pericle, che nelle acque di Micale (tra Samo e Turchia) distrusse ciò che s’era salvato della flotta persiana a Salamina. Per i greci questa vittoria fu la riprova della bontà del sistema democratico, anche nella versione aristocratica, la famosa prova del fuoco, di cui andarono smisuratamente orgogliosi. Per i persiani fu un fatto marginale, di relativa importanza, ma che provocò qualche scricchiolio nell’enorme edificio. Temistocle fu l’artefice principale della vittoria, ma poi i suoi avversari politici lo mandarono in esilio. Qualche decennio dopo sorse la stella di Pericle, che dominò la scena politica per un trentennio, facendo più danni che opere valide, come succede sempre agli uomini della Provvidenza. Ma questa è tutta un’altra storia. Anche il lupo (l’umanità) perde il pelo, ma non il vizio. E così periodicamente torna il desiderio della sottomissione all’uomo forte, o al buon papà, nella versione edulcorata ma sostanzialmente identica, e da Benito siamo passati a Bettino, da questi a Silvio, da Silvio a Matteo, ed alcuni si sono scelti Beppe. Aspettate che arrivi ad effetto la “buona scuola”, ed allora tutto questo sarà dimenticato. Ma guai a quel popolo che dimentica la propria storia: è destinato a ripetere errori già commessi, anche tragici.
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