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#Quando la nostra terra toccava il cielo
soprabito · 3 months
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Tsering Yangzom Lama / Leggere è partecipare. E imparare
Tsering Yangzom Lama / Leggere è partecipare. E imparare
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theladyorlando · 6 months
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Frontone
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Cesare Pavese a Fernanda Pivano (Gressoney, 30 agosto 1942)
Cara Fernanda,
mi vengono in mente alcuni bei pensieri, che non c’è ragione perché non Le comunichi. È il solito problema di quanta fantasia un luogo possa contenere. Sono qui davanti a una parete ripida e irta di pini (o abeti che siano), ma un paretone grandioso, impervio, rigato di un’inaccessibile cascatella bianca che adesso pare un rivolo di sudore ma per tutta la notte mi ha fatto credere che piovesse a morte.
Di questi luoghi non ne ho mai veduti se non, raggentiliti, in fondo a qualche quadro toscano. Né ho mai sentita la Wally che pare li contenga. I wonder che cosa posso farne ‒ s’intende, in fantasia. Se, per esempio, raccontassi qualche faccenda che fosse in qualche modo condizionata da questa parete. Qualche misteriosa avventura che avesse luogo qui sotto, dove i pini, la cascatella, i prati sospesi a mezz’aria, le cicatrici rosso-brune della roccia, fossero il setting, l’antefatto, la realtà, il «ricordo» nella vita interiore delle persone. Giacché le persone di un racconto devono essere radicate nella loro realtà circostante da innumerevoli radici che sono i loro ricordi, la loro vita fantastica. Ora, io non ho ricordi di questi luoghi, di questa natura, di questa realtà: per me è un mondo gratuito, vuoto, oggettivo, come una persona veduta la prima volta. È evidente che non ho nulla da dire su di esso.
E allora, che storiella è mai questa, che tutti vantano i luoghi, i paesaggi, insoliti e belli, che costituirebbero appunto il «bello naturale»? E ci si sposta, si viaggia, per trovarne e ammirarne? Un interesse per questo colpo d’occhio inaudito è innegabile che lo provo, e un interesse creativo, badi bene, fatto dello sforzo per costruire queste impressioni in un racconto, in una fantasia. Nel che ‒ per ora almeno ‒ non riesco.
In montagna a casa dei miei. Non c'è niente qui che mi parli di me, tutto è, seppur bello, come estraneo, alieno, qualcosa ancora da imparare, quasi fosse la prima volta che le vedo, le montagne, dopo venti anni che ci vengo a passare qualche giorno d'estate. Mi è sempre sembrato come se il cielo fosse troppo grande qui, troppo pesante, come se non ci fosse riparo alcuno al suo penderti, gravoso, sulla testa: sempre sul punto di franare. Ora che mio padre non c'è più è anche peggio, è come starsene appesi in una specie di amnesia: ma le more, poi, si potevano mangiare qui su? E la passeggiata al bosco va fatta per forza col bastone? Questa non è la nostra terra, nessuno di noi viene da qui, e i locali fanno di tutto per fartelo sentire per bene: hanno quell'atteggiamento di difesa che forse gli viene da una vita trascorsa su un cratere, su una faglia che ogni tanto butta giù un paese intero che a te piace solo la prima quindicina di agosto. E invece noi siamo stati bravi, noi non ci siamo mai venuti per Ferragosto qui in montagna, perché ai miei piaceva il silenzio, la pace di un paese che non ha nemmeno il bar per un caffè: la seconda quindicina, insomma. A pensarci bene mio padre era l'anello che legava la mia famiglia dalle origini più disparate alle gole del Velino e alle sue cime nascoste, perche lui trovava una ragione buona in tutti posti: il giusto motivo. Quando saliva su per la strada di tornanti, inchiodava improvvisamente e gridava alla ghiandaia come al miracolo, e io lo chiamavo Charles Darwin: anche lui stava imparando? E infatti era lui che accendeva il fuoco con calma, senza fretta, ché tanto qui non c'era niente da fare in fondo, lo aveva capito; lui che si prendeva il suo posto sul tavolo della cucina per scriversi il diario, ogni mattina, con molta calma; lui che tirava fuori la sdraietta e intratteneva conversazioni incuriosite e cordiali con lo sparuto vicinato: per imparare. Mio padre sapeva di avere qualcosa da imparare da tutti i paesi che incontrava. E così andava a finire che anche lui si trovasse addosso qualcosa da dare ad ogni posto che toccava. Quello che tocca a me, invece, è ancora il duro lavoro di discente alle prime armi con il suo studio dell'alfabeto, io qui ho soltanto da imparare, e sento, senza di lui, di doverlo rifare tutto daccapo. C'è però qualcosa di buono nel fare tabula rasa: così estraneo mi è sempre sembrato questo posto che non ci ho mai passato una notte spensierata, qui in cima ho sempre pensato al terremoto, al buio fuori casa, agli animali selvatici in giro. invece ora mi sento come in pace col mondo fuori da questa casetta che è solo scale, che se ne sta seduta in verticale in cima a un paese senza neanche un bar. La morte di mio padre ha come normalizzato le disgrazie, e il terremoto può infuriare quanto gli pare, ormai per me è messo in conto, lo tollero come una delle tante eventualità su cui nessuno, tantomeno io, ha controllo alcuno. Qui dentro mi sento al sicuro, forse perché mio padre qui dentro c'è anche più di prima.
Ma io dove sono, invece?
L'altra sera siamo scesi al paese qui sotto per una passeggiata. Un paesotto che è quanto di più simile alla civiltà si possa immaginare, perché se ne sta a cavallo della via Salaria, ed è quindi un passaggio obbligato per chiunque la percorra a scavallare l'appennino, da Roma ad Ascoli Piceno: qui il bar c'è, e ce n'è anche più di uno, dunque la civiltà. La passeggiata al paese è uno dei pochi diversivi che offre la zona, e la vasca del corso va fatta sotto lo sguardo giudicante dei locali che, abbronzatissimi e vestiti di tutto punto ti tanano inesorabilmente dalle loro postazioni di favore ai tavolini, proprio quelli dei bar: guarda quelli di Roma, eccoli. Girando per le strade del paese mi è successa una cosa singolare: le case qui sono variamente assortite, alcune di pietra, con un'aria inconfondibile di appennino, alcune persino di cemento del più becero, forse prefabbricate. Altre sono palazzine eleganti, con le loro ricche finestre, i loro balconi in ferro lavorato, i loro bei portoni: il loro nome. Altri ancora sono comunissimi condomini, palazzine senza nome stavolta, che si sono trovate per caso nelle gole del Velino con la loro vile batteria di citofoni in alluminio: allo maniera di quella di Loreto, sono giunte in volo un giorno dalla periferia sud di Roma e qui hanno deciso di stabilirsi per nidificare. In mezzo a quelle costruzioni, camminando per il corso e guardando in alto il cielo tra i cornicioni, è successa la cosa singolare: mi sono ricordata di me.
È stato come ritrovarmi improvvisamente quando mi credevo persa sotto un cielo che pesava troppo, tutta presa ad impare qualcosa che mi era estraneo. Invece il cielo fra due cornicioni io posso pure sopportarlo, ho scoperto. E se poi i cornicioni sono quelli di due palazzine belle, qualcosa di più del progetto conveniente di un geometra di paese, magari il disegno di un piccolo architetto di provincia, allora tanto meglio. Mi sono trovata sotto a una fila di finestre che qualcuno, a un certo punto della storia senza grandi pretese architettoniche di questo paese, prima ancora che un muratore mettesse mano alla calce e al legno per impalcarle, ha ritenuto degne persino di un frontone. Una fila di frontoni triangolari, stupendi. Non so davvero da dove venga la mia ossessione per i frontoni e per i timpani, soprattutto quelli delle finestre, perché che una chiesa sia degna di un frontone mi pare un affare più che ovvio. Ma una finestra? Trovo semplicemente affascinante che in architettura questi siano stati elementi decorativi da dare persino per scontati: a questa fila mettiamo il frontone. punto. così, senza cerimonie. E in effetti mi sembra impossibile che non si trovi su internet un mare di informazioni su una decorazione che nella mia città è più nutrita degli stessi sampietrini a terra. E invece niente, sono avvolti in uno stupendo mistero della rete, i frontoni. In mezzo a queste case dimesse, tra questi vicoli già un po' tristi ad agosto e che in inverno devono far venir voglia di scappare correndo a piedi per la Salaria, ci sono delle file di finestre bellissime, di brave finestre, così brave che si sono meritate un frontone, così lontano da Roma. E così lontano da Roma c'ero io. E c'è in effetti una cosa segreta, nella bella architettura, che mi piace, che mi parla come all'orecchio. C'è che il frontone di una sola finestra di un paesotto sulla Salaria è una cosa incredibilmente grande se paragonata alla mia piccola vita. C'è che io ci passo sotto oggi e potrebbe essere l'ultima volta che lo vedo, così bello, così degno: e lui, invece, di fronte alla mia piccola vita, è come immortale. Per me un frontone di provincia è persino più immortale di una montagna che se ne sta lì da quando si è sollevato l'Appennino; più immortale della montagna che ha assistito alla sua posa sulla finestra e che, a suo discreto piacimento, deciderà quando creparlo con una bella scossetta dei suoi fianchi di pietra. Per me il frontone è più di una montagna, perché in lui c'è la mano buona dell'uomo, quella che vuole lasciare una traccia degna del suo passaggio, un passaggio non solo convenientemente operato, ma pregevole, mirabile: significativo agli occhi degli altri uomini. E questo mi commuove. Questo mi ricorda di me stessa, del riparo che mi serve quando sono lontana da casa, delle cose segrete che cerco per la mia strada e dove trovarle. Un portone di pietra male illuminato mi fa venire un nodo alla gola, e così un piccolo lucernario ovale scavato nella parete profonda di una vecchia casa. Così io sto misurando la mia piccola vita contro quella degli altri, che trovo incisa, scolpita, imbiancata sui muri di una abitazione. Il frontone forse è diventato la personale unità di misura della mia anima contro quella degli altri.
O forse sono semplicemente una snob delle palazzine eleganti, e mi piace fermarmi a guardare le loro file di finestre agghindate e dirmi compiaciuta, mentre sto ferma come una fessa in mezzo alla strada, che sembrano affacciarsi sul corso proprio per me, solo per me, mentre i locali dalle loro postazioni di vantaggio ai tavolini del bar scuotono la testa e mi additano ormai senza alcuna discrezione.
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claudiocisco · 4 years
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EROS E MORTE
Eros e morte
camminano insieme,
l'uno a fianco dell'altro,
dall'origine dell'universo
sino all'eternità.
Non può esistere il sesso
senza l'incombente presenza della morte,
e non si può morire per sempre
se non si sparge prima su questa terra il seme dell'amore.
Ogni essere umano comincia a morire
da quando un orgasmo lo genera,
e conserva nella memoria d'una lapide
parte di quell'amore che non separa la vita dalla morte.
Non c'è maga Circe capace di convincere Ulisse
col dono dell'immortalità,
e non esiste spada di Damocle sul punto di crollare
che spaventi l'uomo
perchè quest'ultimo, bramoso d’avere tutto e subito,
ostinato e vanitoso,
innamorato di quel breve soffio che è la vita,
è pronto a sfidare persino gli dei primeggiando
pur di amare e morire,
respirando fino all'ultimo alito di vita,
sfruttando anche l'ultima goccia di sangue che arrivi al cuore.
Dinanzi a tanta meravigliosa presunzione di vitalità
anche l'Onnipotente resterebbe senza parole.
    MADRE E FIGLIO
Perchè sei così sporco, figlio mio?
sembri il figlio di nessuno!
Ho fatto l'amore per la prima volta, madre!
con una grande signora.
Perchè l'hai fatto, figlio mio?
c'è il tempo giusto per ogni cosa.
Volevo farlo, madre!
non volevo avere rimpianti.
Ma sei impazzito, figlio mio!
hai imboccato una strada sbagliata.
Forse sto sbagliando, madre!
ma abbiamo sentito di farlo sulla terra e nel fango.
Tu hai perso il senno della ragione, figlio mio!
non ascolti più neanche tua madre.
Io ti voglio ancora bene, madre!
ma oggi ho scoperto di avere un'altra madre:
è questa terra che stringo nelle mani,
e l'aria che sto respirando,
e la natura, il mondo, l'universo
e tutto ciò che mi sta intorno.
E quando mi sentirò triste e solo,
mi arrotolerò con gioia nel fango,
soffierò felice sulla polvere delle mie mani,
bacerò i fiori dei campi
e mi laverò la faccia con l'acqua dei ruscelli.
Non ti capisco e non ti riconosco più, figlio mio!
ma come parli?
Io invece ora mi conosco bene, madre!
parlo col linguaggio dell'amore!
E darei tutto quel che ho
pur di trasmetterti la felicità che ho dentro.
    IL MIO CORPO SUL TUO CORPO
Il mio corpo sul tuo corpo
si muove lentamente.
Il mio corpo sul tuo corpo
si dimena dolcemente.
Voglio scoprire il tuo segreto,
sprofondare nell'intima tua essenza
fino a esplodere in te violentemente
svuotando il mio liquido nel tuo nido inebriante.
Ora che sono in te
non puoi più nascondermi nulla,
ho svelato il tuo mistero di donna,
io ti possiedo, so tutto di te.
Prepotente,
sono entrato nella tua inesplorata caverna,
e nei tuoi umidi anfratti
sto scivolando.
Sono io il tuo corpo.
Sono io l'universo.
       BIANCANEVE
Ragazzini eravamo forse bambini
una decina circa non di più
8-10-13 anni al massimo
queste le nostre età.
35 anni aveva lei se ben ricordo
Biancaneve la chiamavamo noi,
per cinquemila lire il pisellino ci toccava,
per dieci lo succhiava.
Infine per trentamila l'amore faceva
e sempre con uno per volta
mai tutti assieme
o più di uno.
Com'era bella Biancaneve nostra!
Com'era dolce e comprensiva!
Come ci sapeva fare!
Un dolce segreto era e nessuno di noi mai parlò.
Per caso l'ho rivista dopo 30 anni e forse più
appesantita, invecchiata, sfiorita, la nonna pareva
di quella Biancaneve conosciuta allora
ma un sussulto al cuore ho avuto lo stesso nel vederla:
"Biancaneve!"
d'istinto le ho detto senza volerlo;
"Prego?"
mi ha risposto stupita lei.
      LE TUE MANI
Le tue mani morbide più della seta
sfiorano con dolcezza il mio pene,
lo accarezzano,
lo stringono,
lo muovono.
Chiudo gli occhi
mi concentro su quel delizioso piacere,
sospiro piano,
mi abbandono vinto,
abbraccio l'estasi.
Come un trovatello ragazzino
stretto fra le tue mani,
il mio membro si lascia andare,
cresce sempre più
nell'eccitante movimento d'un'altalena.
Il cuore ora sembra scoppiarmi in petto,
incontrollabile diviene il mio respiro,
esplode come neve bianca
il succo del mio piacere
splendido dono per le tue sapienti mani.
       AMPLESSO
I nostri corpi che si scontrano
e si possiedono senza tregua.
Pelle bollente,
segnata,
battuta,
e il sangue che scorre dentro
impazzito.
Fluisco dentro di te
come un'onda inarrestabile
che mi porta a riva,
e poi
mi spinge di nuovo al largo.
Scopro limiti che mi fai superare
ancora prima che io me li ponga.
Non resisto perchè non voglio resistere.
Prima ti penetro la mente con la mente,
poi il sesso con il sesso.
Il tuo corpo apre la folle danza del piacere
e il mio puntuale risponde.
Penetro in te in profondità.
E' come se io stesso entrassi in me,
scavando tra emozioni e desideri
che non conosco
e scopro ogni volta come fosse la prima.
Ti accarezzo
come un soffio di vento
e mi scuoto quando esplodo in te,
quando godo nella parte più intima del tuo corpo,
quando esce l'animale che ruggisce dentro di me.
E in quei momenti,
possiedo anche la parte più intima
della tua anima.
Ti faccio gemere, urlare, tremare, godere, venire.
Per me tu sei sempre
completamente nuda
anche quando sei vestita,
mai ho desiderato tanto conoscerti!
possederti!
amarti!
     TI POSSIEDO
Ti guardo negli occhi fiore del male
e poi ti bacio tirandoti i capelli.
Ti mordo forte le labbra,
ti strattono, ti sgrido, infine ti faccio gemere.
Stringo la tua carne fra le mie mani,
ti spoglio fin dove voglio,
ti costringo in tutto e per tutto.
Ti colpisco forte e non smetto
neppure quando mi supplichi,
poi piego il tuo corpo sul tavolo
e ti espongo, ti offro, ti apro.
Ti insulto,
ti faccio promettere l'impossibile,
m'impongo e dispongo di te,
ti infilo dietro qualsiasi cosa,
la forzo sempre più dentro lasciandola lì come dolce tortura,
ti ficco il mio sesso in bocca fino a non farti respirare.
Poi ti alzo il volto e ti guardo,
ti penetro col mio membro
riempiendoti di me e di altro.
Ignorando le tue lacrime
ti sbatto violentemente,
ti uso,
ti possiedo.
Non puoi più pensare ora
e nemmeno agire: kamasutra dammi l’estasi!
Finalmente ti ho dominata,
mi appartieni,
sei totalmente mia.
     LEGATO
E' inquietante
questa corda nera
come l'atmosfera che respiro
attraverso la benda.
Mi preme sulla pelle
e mentre imprime strani disegni su di essa
sembra che il fuoco divoratore di cui è capace
mi trasformi ammaestrandomi con disciplina.
In preda a questo vizio perverso
che mi hai insegnato,
non so difendermi
nè voglio, mi lascio andare sconvolto nei sensi.
Questa corda mi appartiene,
i suoi fili intrecciati m'immobilizzano
iniettando nei miei occhi
sete di sfida.
Le parti del mio corpo vibrano
imprigionate in quella ragnatela di piacere,
risalta inconfondibile il desiderio
di abbandonarmi completamente a te.
Se non fosse stato creato il piacere sessuale
quanti peccati legati ad esso
non sarebbero stati commessi!
E’ perché è considerato peccato se piace così tanto?
Può il piacere sessuale essere anche piacere dell’anima?
       STRANE SENSAZIONI
 Strane sensazioni pervadono il corpo e la mente
mi attraversano, mi riempiono, mi lacerano, mi annientano:
la frusta, le corde, le catene
tutto mi consuma.
Attraversato, riempito, lacerato e infine annientato
e poi ancora sconfitto, umiliato, usato
in qualunque gesto, in ogni parte del corpo.
Quale grande capacità possiedi!
Quante infinite sensazioni mi regali!
Che potente nettare di piacere mi offri!
Strane sensazioni mi vincono
fino a divenire  un tutt'uno di orgasmi
in una perfetta simbiosi.
    IL MIO IMPERO
Sono entrato prepotentemente
nella tua anima fortificata.
Inesorabile ho abbattuto ogni tua difesa
e conquistato la tua nuda terra.
E ora
senza nessuna clemenza, nessun mistero
ciò che un tempo era soltanto tuo
adesso è anche mio.
Mi muovo espandendomi dentro te,
come fuoco che brucia appare il mio pene
forte quando divampa,
umiliato quando si spegne.
Ma anche tu sei crollata senza scampo,
nel tuo fragile corpo ormai
ho costruito il mio impero.
Arrenditi a me!
     PAGLIACCIO BAMBINO
Tu sensuale, invitante, carnale
magica e perfetta nelle tue assurde follie di donna.
Gemiti appena sussurrati,
orgasmi urlati a squarciagola
ma sei sempre tu, tu e soltanto tu
dolce e glaciale, candida e perversa,
lucente angelo meravigliosamente diabolico.
Tu carne e cibo della mia mente,
pericoloso rifugio per la mia anima,
cavallone impazzito che travolge il mio mare di insicurezza.
Sento di essere un uomo
solo nell'istante in cui vengo in te,
poi torno e resto per sempre
pagliaccio bambino.
      LA FINE DELLA MAGIA
Il mio respiro,
il suo.
Il mio battito,
il suo.
I respiri che si accordano
ritmici,
affannosi,
incalzanti,
ansimanti.
Il cuore
batte, batte, batte
tutto il petto batte,
pulsa in gola,
pulsa nell'anima.
I pensieri assumono lo stesso ritmo,
la stessa intensità,
si uniscono,
si esaltano.
Un crescendo folle e continuo:
vertigini,
ronzii,
la mente
che ha lasciato ogni controllo.
Le emozioni
sono padrone dei corpi.
Avvinghiarsi,
rotolarsi,
ubriacarsi,
urlare.
Secrezioni,
sudore,
saliva,
odori intensi.
Segnale della fine
o è solo l'inizio?
Silenzio...
assaporando la fine della magia.
       SOLO UN ISTANTE
Il cuore che scoppia,
il respiro affannoso.
Esplodo finalmente
come unico rimedio
per non impazzire di piacere
ma è solo un istante!
La mente si svuota,
lentamente sento uscire
poco a poco ciò che è di lei.
Non sento più le mani, le gambe
non so più chi e dove sono:
odore, sudore, respiro
non sento più nulla!
non ho più un corpo,
mi sfugge l'anima.
E' solo un istante,
poi mi sento leggero.
Una piuma che lieve
si culla tra le nuvole
in un cielo immenso
e mai si posa.
Rientro di colpo nella realtà
disteso sopra il suo corpo abbandonato:
ho soltanto amato!
      FRA LE TUE COSCE
Ora che mi ritrovo fra le tue cosce
vorrei stare fermo per un istante:
donna di terra e di acqua
plasma la mia nella tua intensità!
invadi anche la mia mente!
prendi tutto del mio essere!
Io cane fedele d'ogni tuo desiderio
desisto nel non voler più il poeta in me
in questa sera di stelle senza tempo,
dove in una folle danza di erotismo
si perde persino il mio gemito
formica nella tua foresta di peli.
Donna che mi ami senza amore,
non è alba o tramonto,
non è estate o inverno
e non è nemmeno gioia o dolore:
è un fiore che germoglierà tra le tue cosce
donato insieme con te a questo mondo.
     NETTARE DI TE
Col fuoco addosso
umida tana
non placa il rogo
che di te s'avvampa.
Dentro il tuo corpo
su quel sentiero
inseguo paradisi
a luci spente.
Nel tuo regno
frugo l'oscuro
cercando sensazioni
oltre il tempo.
Ti desidero
in quel possederti
gocce di sole vanno
oltre il cielo.
Esplorandoti
oscuro tunnel
dov'è racchiusa in te
luce di stelle.
Sabbie mobili
affondano nel clitoride
ma in quel cader mio
non cerco scampo.
Mappe d'estasi
sul tuo mare
disegnano le magie
dell'infinito.
Nettare di te
raccolgo le gocce
d'oscuri paradisi
fra i cespugli.
     UN LAMPO NELL'OMBRA
Donna completa, mela carnale, luna calda
denso aroma d'alghe, fango e luce mischiati
quale oscura chiarezza s'apre tra le tue colonne?
Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi?
Ahi! amare è un viaggio con acqua e con stelle,
con aria soffocata e brusche tempeste di farina,
amare è un combattimento di lampi
fra due corpi da un solo miele sconfitti.
Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,
i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi minuscoli villaggi,
e il fuoco genitale trasformato in delizia
corre per i sottili cammini del sangue,
si precipita come un garofano notturno
fino a essere e non essere che un lampo nell'ombra.
      EROS D'ESTATE  
E siamo
mari in tempesta
venti che onde
già portano in cielo,
aliti ardenti
che accendono di fiamma
l'umida tua pelle.
S'intrecciano le dita
a catturar magie
mentre
sotto le stelle
un vulcano si risveglia.
Nudi
vestiti d'amore,
ci prendiamo,
ci sentiamo
annullandoci a vicenda.
Il tempo dei sogni
s'è assopito,
ora pulsa la vita,
l'amore!
Ed il respiro,
frenetico,
corre
sui ritmi
dell'estate.
       CANTO DI DELIZIA
La mia lingua sfiora la tua lingua,
il mio sesso nel tuo sesso,
il mio cuore nel tuo cuore,
la mia vita nella tua.
Anima sguarnita da ogni vincolo
stretta a me in un desiderio sfrenato
rincorre la perfetta incarnazione del godimento.
Bagnato è il tuo corpo
di linfa sacra
dove riposa la più alta eccitazione
delle fantasie più proibite ed inconscie.
Profumo di rose appena colte
sparse nel tuo campo che ho appena sconfinato,
in un sussulto il tuo respiro
sa di mandorle e canditi.
I tuoi vagiti si fondono con i miei
creando intensi movimenti fisici
di pura creazione artistica
tramutandosi in un canto di delizia.
       GODI
Eccoti giungere
stanotte e mille altre ancora
preda esclusiva del mio letto,
trappola divina di desiderio.
Su colline di creta morbida
i miei baci sparpagliati,
accarezzami con gli occhi
mentre scorri sul mio cuore arso.
Benvenuta, entra!
Spengo la luce?
Soffio sul buio e ti accolgo,
senza una parola
ingurgiti il mio sesso
bevendone avida il succo.
In un abbraccio stordito
mi trascini giù
su lenzuola chiare
che odorano ancora di candele spente,
ritratto di mani voraci e volti sconosciuti.
Nel silenzio
che ci avvolge insieme,
strappi incauti di sospiri, atti più impuri
orgasmi che ritmicamente si susseguono
e che rammendo senza fretta.
No, non chiedermi niente! Sei già proposta indecente.
Godi...
            OMBRE SUL MIO GIACIGLIO
Non sarà nè legno nè pietra
a vegliare sul mio riposo,
nè sarà un fiore
il pegno del ricordo.
E non saranno le fronde dei cipressi
a fare ombre sul mio giaciglio,
nè epitaffio nè voce nè ricordo di un caro
come amara consolazione del mio definitivo viaggio.
La terra è la mia culla,
la selva intatta il mio nascondiglio,
la polvere e gli sterpi il dolce lenzuolo,
il silenzio il mio unico compagno.
     ESSENZA LARVALE
Su strada nera conduco i miei passi,
nascosto oltre un nulla d'infinito,
una volta oscura sovrastante incombe.
Ascolto le cadenti lacrime della natura,
scendono sul mondo e me
cencioso essere mortale.
Enigma è la mia inesistente provvidenza,
nichilismo dei buoni sentimenti
icone perdute di essi.
Come dalla psiche profonda
omissioni di verità approdano
caricandomi di brama di comprensibilità.
Fuori da mura di pelle
le febbri son più grandi
dei geli del cuore.
Respiro zolfi del mondo
dove il calore diviene sempre più tenuo,
solo fredde spinte sussistono in me.
Nessun vigore ausilia la triste marcia,
tranne un'anomia fredda come il cuore
d'essenza larvale che sono.
E soltanto ora la mia anima maledetta
comprende il senso insensato
di un'esistenza di vela senza vento,
di airone senza ali,
di carne senz'anima.
       NULLA ESISTE OLTRE I SOGNI
Nel buio della notte,
seduto sull'orlo di un precipizio,
ammiro la bellezza della luna,
il suo pallore è come il viso della morte
che affamata di anime
attraversa l'aria contaminandola.
Niente!
solo oscuri pensieri
che trafiggono la mia mente,
grigie lame di metallo
che perforano la mia anima,
sangue che scorre
lungo il mio corpo.
Il cammino da seguire è lungo
ma non riesco più a vedere oltre,
non ce la faccio a capire,
non posso più correre.
Morfeo mi avvolge nel suo mantello ramato,
lacrime di morte
scendono dal cielo illuminato dalla triste luna
mentre il vento sfiora il mio corpo
e la solitudine mi trascina nella valle della morte.
Ho perso ogni mia speranza,
il fuoco della vita brucia il mio spettro.
Nulla esiste
oltre ai sogni,
mondi fantastici  di oracoli e maghi
che cancellano la realtà.
       DEPRESSIONE
La salute c'è
non presenta nessuna malattia.
Eppure è così deperita,
quando dorme sembra morta!
Cos'ha questa povera ragazza?
Non ha niente!
Ha solo il verme
della depressione
che la sta consumando
pian piano
ogni giorno di più.
       ANGELI SPORCHI
Essere due piccole gocce di inchiostro nero
su una tela dipinta
ove falsi colori vivaci
esaltano con cattiveria e pregiudizio
la loro diversità:
non spetta anche a  loro sognare l'armonia?
No! il cielo non ammette angeli sporchi
e violento strappa loro le ali.
Essere creati
per vivere accanto alla colpa,
insieme alla vergogna
ma di cosa?
Di essere diversi? Ma da chi? Perchè?
Domande che chiamano altre domande
in un girotondo senza risposte.
La confusione aumenta
al pari di uno strano risentimento
che fa soffocare,
che induce a dubitare:
E' questo ciò che gli altri vogliono da loro?
Che non esistano?
E' quello che vuole il loro Dio?
Che non esistano?
Sì! il cielo non ammette angeli sporchi
e graffia la carne sotto la loro pelle.
Ho visto quelle due piccole gocce avvicinarsi
fino a diventare una sola,
angeli che finalmente hanno qualcuno
che asciughi le loro lacrime,
che li accarezzi,
che li abbracci!
Angeli sporchi
che ora si stringono tra loro
consolandosi a vicenda.
Un solo gesto,
un grande coraggio!
Il piacere profondo del peccato giudicato dagli altri
peccato come realizzazione di un sogno
come fuga da un mondo ipocrita in bianco e nero,
come vendetta verso una madre
che cerca di soffocare sul nascere
le proprie creature.
Perchè mai l'uomo
non rispetta l'uomo?
Non riesco proprio a capire...
      LA BESTIA RARA
Sguardi sconosciuti,
persone che mi scrutano, esaminano, giudicano
che ridono guardando
verso di me o nel vuoto.
Non so...
in qualunque caso
sono persone come altre
che seguono la massa.
Non apprezzano la diversità come novità.
Alcune mi fissano
come se fossi una bestia rara, un bersaglio da colpire
a volte mi fanno paura
sembra che mi disprezzino,
che vogliano farmi del male.
Forse solo perchè mi distinguo dal gregge
e sono per inclinazione
fuori dal coro.
Mi sento un ebreo fra i nazisti.
Ma io non sono nato per far fare numero
o per consumare ossigeno prezioso,
ho un'anima con me anch'io,
preziosa e brillante più di un tesoro,
io e Dio soltanto
sappiamo bene il valore che ha.
       I MIEI PIU' ATROCI INCUBI
Sono stato al parco.
Era notte.
Buio.
Cielo nero a sovrastarmi.
Incerto presagio di fine.
Io e l'oscurità.
Mi sono inginocchiato
ai piedi dell'acqua sporca che scorreva.
Ho rivisto il mio volto,
nel silenzio ho urlato,
ho urlato,
urlato!
fino a non avere più voce.
Non ero solo,
eppure mi sentivo come abbandonato.
La solita sensazione di dispersione
che si impadroniva nuovamente di me.
Sarei voluto correre via, scappare via
veloce, sempre più veloce
ma sono rimasto paralizzato
senza armature per difendermi
vittima dei miei più atroci incubi.
       OMBROSI PENSIERI
Desolazione d'anime
nella valle dell'attesa.
Da crisalidi pendenti
cadono lembi di carne putrida
(adombrata metamorfosi
di esseri un tempo umani).
Coltivazioni demoniache
di ombrosi pensieri.
      PERDUTI
Percorrendo una vuota spirale
alla fine della quale troveremo noi stessi,
osserviamo la nostra ombra crollare al suolo
affrontando il riflesso di una nostra immagine residua
concepita nella più cupa desolazione.
Giacendo su queste corrotte strade di vorticanti pensieri,
mentendo ai nostri propri stati mentali,
tratteniamo tutto ciò che non saremmo
anelando a ciò che ci è proibito.
Un delirio di onnipotenza è ciò che chiamiamo conoscenza
senza renderci conto che il decadimento è solo un passo avanti
ma la vanità in cui crogioliamo
si è mutata nella nostra gloriosa tomba cristallina
coesione sublimata di un ego inferiore pieno di incompiutezze.
L'umanità si consola aspettando l'arrivo di un nuovo messia sintetico  che possa risanare i nostri corti circuiti interiori
decretando l'annullamento dei nostri ultimi atomi,
così saremo definitivamente perduti.
       SORELLA MORTE
Gioco con le mie emozioni,
una manciata di biglie di vetro nella mia mano.
Per ogni biglia infranta
un sogno si dissolve.
Resto a fissare
il cupo riflesso della mia noia,
Biglia infranta,
crepa nel mio cuore.
Frammenti di vetro,
illusioni svanite.
Con sguardo apatico
osservo pezzi di intonaco volare via,
e non tenderò alcun muscolo
posseduto da un'inerte volontà,
non cercherò di andare al di là di questo velo
che mi copre tutto.
La mia anima si scioglie,
ogni cosa grava, ingarbugliati pensieri
nulla emana benefica essenza.
Ardo di una luce opaca.
Fallo con grazia, sorella morte
spegnimi con un soffio!
        UN MONDO DISFATTO
Il mio demone  mi mostra la realtà più brutta di com’è
guarda attraverso i miei occhi deformandola
e contempla un modo disfatto.
Il canto della sirena
giace impotente ai piedi del rumore.
Il senso della vita
ha perduto lo scettro,
resta una lapide senza nome
del tempo che fu.
Il mausoleo del giardino delle rose
è stato violato
da malvagi profanatori.
Ma non riesco a gioire
nel vederli annegare
in laghi di sangue.
L'amore perduto
non tornerà mai più
a specchiarsi dentro di me.
Siringa e sangue lungo il mio cammino,
confini sordi alla realtà per la mia mente in gabbia,
ciechi gli occhi dello spirito.
Non so come uscirne fuori!
     IL SERPENTE
Un'eco
insegue la mia fuga,
è una lingua di fuoco
che tutto brucia
e che quando mi raggiungerà
consumerà il mio essere.
È forte solo perché io gli permetto di esserlo.
Il vortice
si avvicina sempre di più,
gira
sempre più forte,
e il suo buco nero,
al centro,
mi risucchia,
mi avvolge i sensi e la mente.
Annaspo nel turbinio
ed ho paura di toccarti
per non contaminare anche te
e trascinarti con me
nell'immenso occhio nero.
Vedi accanto a te  un mostro con tante teste
il grande serpente
che oscilla fra te e il futuro?
Vedi
le sue lingue di fuoco
che bruciano tutto davanti ai tuoi passi?
E non senti i suoi piedi
calpestare la polvere,
bruciare nella cenere?
Ridicolo essere umano, ammasso di briciole tenute su dalla presunzione,
non puoi vincere
una potente soprannaturale forza.
Ti prego
guarda accanto a te: E’ bugiardo! Abile mistificatore!
Non si rivela mai per quel che è realmente:
è il tuo serpente!
       QUEL CHE SONO NON MI PRENDE
Chiuderei gli occhi
e in un soffio me ne andrei
stanco di tutto,
il solo respirare
mi affatica,
qualcosa mi opprime,
credo sia il peso della vita.
Mi guardo allo specchio
e fisso l'obbrobrio riflesso.
Continuo a guardare quella oscena figura
fino a sferrargli un pugno,
osservo il sangue scorrere sulla mia mano,
e mi perdo nei piccoli frammenti dello specchio
ma è ancora lì:
Cosa vuole questa vita da me? Perche mi ha voluto?
Non l'ho chiesto, non ho desiderato esserci
ho pregato per andarmene!
Perchè quel che sono non mi prende?
Un'eternità di nulla, una vita di vuoti, solo rimpianti!
Nessuna lacrima, forti dolori, un grande amore!
Sono all'inferno, spiritualmente morto
immenso vuoto e depressione.
Come ombra che svanisce alzo bandiera bianca.
Poi e per sempre
solo morte!
        INVOLUCRO DI CARNE
Piccola anima
accartocciata dentro un involucro di carne,
il tuo respiro attraversa il petto.
C'è luce, c'è ombra.
Ancora luce e di nuovo ombra.
La mano ascolta il tumulo, l'ossessione.
La punta della penna solca il foglio.
Scrivi per te, scrivi di te.
Mi parli di una realtà che regna dietro tante porte chiuse.
Di sangue del proprio sangue.
Di verità custodite nel silenzio.
Fa tutto parte del gioco,
tu stai gelando ora!
Si può morire di disperazione, la testa fra le mani
la penna caduta per terra,
le braccia stese sul pavimento
mentre le ombre avvolgono ciò che resta di te.
Un involucro di carne e niente di più!
Solo un miserabile e insignificante involucro di carne.
Una mano ti abbassa delicatamente le palpebre,
il segno della croce
e subito dopo il nulla.
Non sono un angelo.
Non sono un demone.
Io sono la verità.
La verità a volte uccide.
      MASCHERA
Sembra tutto così perfetto
come scenario di un'opera teatrale
ma quale sarà il segreto,
l'orrendo retroscena di questa farsa,
di questa commedia che chiamiamo vita?
Qual'è il ruolo che mi è stato assegnato?
Cos'è questa maschera che prontamente
le mie emozioni cela?
Come una lumaca
mi rinchiudo con viltà nel mio guscio.
E' piu adatto a lacrime e vani sorrisi
questo mio volto coperto e deturpato
miserabile sotto la sua ridicola perenne smorfia.
Teschio
a ghigno
eternamente condannato.
        LA SOLITUDINE
Lacrime nere rigano un volto,
pallido
e senza segni di vita.
Ghiaccio nell'anima,
foglie morte al vento,
inverno che piange.
Uno sguardo,
quello di una creatura non sola pur essendo sola
vogliosa e assetata d'affetto
che crede d'affogar in un bicchier d'acqua.
Ormai abbattuta
china il capo
e si piega alla grandezza,
al potere immenso di quell'essere.
Quell'essere di cui è umile serva:
la solitudine!
        LUCIDO E FREDDO E' IL MARMO
Lucido e freddo è il marmo,
riflette tutto come uno specchio.
C'è disordine,
oggetti dimenticati,
ed un velo di polvere
copre tutto.
Regna il silenzio,
le torri sfidano il cielo,
fantasmi appaiono nell'ombra.
Lucido e freddo è il marmo,
candide come la neve le statue,
la piccola bambola fissa
con occhi verdi di smalto
abbandonata nel buio.
Rena la quiete,
i bastioni proteggono il castello,
i passaggi merlati paiono ponti sulla fantasia.
La bella addormentata non è mai stata qui,
non vi è mai stato un sogno incantato,
lucido e freddo è il marmo.
      MIA SORELLA SOLITUDINE
Ubriaco di te
smaltisco la mia sbornia
su una panchina isolata
nella periferia della città
di Paranoia.
Non so dove andare,
non so chi cercare,
non so perchè respiro
ma protendo ancora la mano verso te,
nuovamente implorante ai tuoi piedi
mia amante,
mia amica,
mia compagna,
mia sorella Solitudine.
      ANCESTRALI PAURE
Fievole luci
che all'imbrunire
non vincon l'ombre.
Indecise sagome
arrancanti nel buio
nero antro di ancestrali paure.
Figure incerte
di bieco pensiero avvolte
che di nera cronaca s'ammantano.
Passi veloci
come a sfuggir tempesta
nei vicoli t'inseguono.
Il gelo del comune sentire
tutto avvolge
come unico sudario.
E a nulla vale
il lume della ragione che è vanto
nè il saper che l'amor mio m'è accanto.
Solo il colore del sogno
potrà spezzare
del grigio orrore il cerchio.
Solo di poesia il volo
potrà sciogliere delle catene
l'angosciante nodo.
Subisco l'ultimo disperato assalto
di chi sa che la sua guerra
ha già perduto ormai.
        LO SBADIGLIO DEL TERRORE
Nessuno ascolta
il rumore assordante del lupo
estasiato
dinanzi ai bagliori
della notte
stregata.
Un luccichio assorbe
il silenzioso spazio,
nel vuoto dell'ignoto
respiro accaldato dalla lucciola
che traballante attraversa il sentiero,
dal folto dell'ugola fuoriesce soave alito umano.
Ascolta la notte!
Ascolta la nebbia!
Ascolta i battiti del cuore!
Ascolta e non restare
senza un fruscio oblungo
nel dolce mio silenzio.
    "GIACOMO LEOPARDI"
RIPROPOSTO IN UN LINGUAGGIO MODERNO:
  "L'INFINITO"
 Ti ho sempre amato, colle
solitario come me.
Ti ho sempre amata, siepe
che mi fai aprire l’anima
verso l’orizzonte,
me lo nascondi
ma me lo fai amare
immaginando spazi infiniti.
Ho sempre amato questo posto,
il suo sovrumano silenzio,
la sua profondissima quiete,
e il tenue soffio del vento tra gli alberi,
e la dolcezza di queste piante che dormono.
E mentre sono seduto e guardo lontano
mi tornano in mente le stagioni fuggite,
l’ora presente,
l’eternità,
ed è dolcissimo
perdersi nell’immensità della natura.
   “IL PASSERO SOLITARIO”
 Ti vedo in cima a quella antica torre,
solo,
proprio come me!
Tu canti finchè non muore il giorno
mentre la primavera brilla nell’aria,
esulta per i campi
festeggiata da mille uccellini
che fan mille giri nel cielo.
Ma tu passero solitario non ti curi di loro,
resti indifferente a quella festa,
non la cerchi, non provi a volare
consumi così nella solitudine
la parte più bella della tua vita.
Quanto è simile il mio modo di vivere al tuo!
non c’è spensieratezza in me,
gioie e divertimenti io li evito,
mi sento estraneo e quasi fuggo da loro
e il dramma è che non so spiegare a me stesso
nemmeno il perchè.
Chiuso nella mia stanza
passo le mie giornate vuote e monotone
in silenzio, in solitudine.
Eppure questo giorno che ormai volge alla sera
è festeggiato da tutti in questo paese,
si odono nell’aria suoni di festa vicini e lontani,
i giovani sono allegri
indossano i loro abiti migliori
si divertono
ed è persino bello guardarli.
Ma io,
in quest’angolo del paese vicino alla campagna,
io resto da solo come sempre,
ogni divertimento
lo rinvio in altri tempi
non so a quando!
guardo il sole che si dilegua dietro i monti
e sembra ricordarmi
che anche la mia giovinezza sta morendo.
Tu, passero solitario
alla fine dei tuoi giorni
non potrai pentirti d’aver vissuto così,
è la tua natura che ha deciso questo.
Ma io,
se non riuscirò a evitare la detestata vecchiaia
e tutto sarà noia più di adesso,
cosa penserò della mia giovinezza sprecata
e non goduta?
Forse piangerò,
guarderò indietro
ma sarà ormai troppo tardi.
   “IL SABATO DEL VILLAGGIO”
 La ragazzina spunta dalla campagna
al tramontar del sole
con la dolcezza, con la malizia
d’una età che non dà pensieri.
Ha un fascio d’erba in mano,
un mazzo di rose e di viole,
domani è festa, deve farsi bella.
La vecchietta con le sue amiche,
seduta sull’uscio di casa,
è intenta a filare
e con una lacrima agli occhi
ripensa a quando anch’ella era ragazza
e spensierata e felice
era circondata da tanta compagne.
L’aria si fa bruna,
le ombre scendono dai colli e dai tetti,
una luna bianchissima splende nel cielo.
Una tromba suona annunciando la festa,
i bambini giocano felici nella piazzetta,
il contadino torna a casa fischiettando.
Poi, quando le luci si spengono
e tutto tace,
si ode soltanto il rumore d’un martello
e di una sega,
è il falegname che ha fretta di terminare il suo lavoro
prima dell’alba.
Questo è il più bel giorno della settimana
pieno di gioia, di speranza
domani tutto ritornerà normale, triste, monotono
e ciascuno riprenderà il suo lavoro col pensiero.
Ragazzo mio,
la tua splendida ma fuggitiva età
è proprio come questo giorno
chiara, serena
che prepara la festa della tua vita.
Ragazzo mio divertiti!
non mi sento di dirti altro!
Ma ti prego non rammaricarti
se la tua festa tarda a venire.
    “AMORE E MORTE”
 Amore e morte,
fratelli,
furono creati insieme
e insieme vanno uniti per il mondo,
l’uno elargendo il piacere
l’altra annullando il dolore.
Quando l’amore nasce nel petto
lo accompagna sempre un languido desiderio di morte.
Non so perchè…
forse l’uomo,
presentendo i mali futuri che ne deriveranno,
brama di giungere al porto della sua vita
e di annullarsi.
Financo nel furore della passione,
quante volte gli amanti ti invocano o morte!
E che sentimento di invidia
al rintocco della campana funebre
per chi se n’è già andato!
Perfino il contadino e la timida fanciulla
non temono più,
comprendono l’ineffabile dolcezza della morte.
Talvolta l’amore
mina un fisico già prostrato,
talvolta invece
induce al suicidio giovani e fanciulle.
E tu morte
da me tanto invocata e celebrata
fin dai miei primi anni,
chiudi pietosamente gli occhi miei.
Ho sempre disprezzato le consolazioni della religione.
Non ho mai lodato e benedetto i patimenti.
Ho rifiutato i fanciulleschi conforti degli uomini.
Te sola ho sempre invocato!
Aspetto serenamente
di addormentarmi sul tuo seno.
   MEMENTO
(Dalla lirica omonima di I.U. Tarchetti)
 Quando bacio le tue labbra profumate,
cara e dolce fanciulla,
non posso dimenticare
che un bianco teschio vi è nascosto sotto.
Quando stringo a me il tuo corpo sensuale,
cara e dolce fanciulla,
non posso proprio dimenticare
che uno scheletro nascosto vi è celato all'interno.
Quando faccio l'amore con te, cara e dolce fanciulla,
mi è impossibile dimenticare che sotto la tua pelle
vi è un ammasso di sangue, vene e organi schifosi.
E assorto in questa orrenda visione,
dovunque ti tocchi, ti baci o posi le mie mani
sento sporgere le ossa fredde d'un morto.
   IL CANTICO DI FRATE SOLE
(Dall'opera omonima di S. Francesco d'Assisi)
 Benedetto tu sia, mio Signore!
con tutte le tue creature
specialmente per fratello sole
che fa diventare giorno
e illumina ogni cosa intorno
ovunque ci sia vita
con grande splendore,
ed è bello, radiante.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per sorella luna
che bianchissima non dorme mai
per vegliare la notte,
e per le sorelle stelle
che hai creato in cielo
chiare, preziose e belle.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per la sorella acqua
che è molto utile
è preziosa, è casta.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per fratello fuoco
che rischiara la notte
e trasmette il suo calore,
ed è forte, è vivo.
E per fratello vento
che muove l'aria, le nuvole
rigenerando con la pioggia tutte le creature.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per la nostra madre terra
che ci sostenta stringendoci al suo seno
e ci offre frutti, fiori colorati, erbe.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per i miei fratelli che sanno perdonare
aiutali nelle loro tribolazioni terrene,
hanno bisogno della tua presenza
nella loro vita.
Beati quei fratelli che difenderanno la pace!
saranno da te premiati.
Benedetto tu sia, mio Signore!
per la nostra morte fisica
dalla quale nessuno di noi può scappare
e guai a coloro che morranno nel peccato,
beati invece quelli che su questa terra
avranno fatto la tua volontà.
Laudate e benedite tutti il mio Signore!
e ringraziatelo
e servitelo con grande umiltà.
    OSSESSIONE PER UNA NINFETTA
(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)
  Spiccava col suo giovane corpo e l’aria da bambina
 tra la gente ignara,
 quel piccolo micidiale demonietto,
 inconsapevole anche lei del proprio fantastico potere.
 Mi guardò col suo visino indecifrabile di ragazzina tredicenne
 come se mi avesse letto il desiderio negli occhi
 fino ad intuirne la profondità,
 e nel preciso momento in cui i nostri occhi s’incrociarono,
 tra di noi si stabilì subito un’intesa
 capace di annullare in quell’attimo qualunque barriera
 ed io non avrei potuto abbassare gli occhi
 neanche se fosse stata in gioco la mia vita.
 La sfiorai ma senza osare toccarla,
 respirai intensamente quella sua delicata fragranza
 che sapeva di borotalco,
 e da quel punto così vicino eppure disperatamente lontano,
 ebbi per la prima volta la consapevolezza,
 chiara come quella di dover morire,
 di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto
 o potuto immaginare,
 e di voler essere il primo ad assaporare quel piacere proibito
 che soltanto la mia giovanissima dea dell’amore
 avrebbe saputo offrirmi
 in un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno.
 Un uomo normale,
 forse per vergogna o sensi di colpa,
 scaccerebbe via dalla propria mente simili pensieri.
 Bisogna essere artisti,
 eterni bambini sempre in volo senza logica né equilibrio,
 folli di malinconia e di disperazione,
 di solitudine e di tenerezza
 per lasciarsi totalmente trasportare e tormentare
 dalla magica ossessione per quella ninfetta.
  ASSENZA
(liberamente ispirata al libro LOLITA di V. Nabokov)
 Bastava un tuo sorriso
 per mostrarti bella dentro e fuori
 come un inno alla grazia,
 malgrado le tue smorfie ed i tuoi capricci,
 desiderabile, né donna e né bambina, favolosa e splendida
 con la tua travolgente sensualità acerba
 mista di malizia e d’innocenza.
 Eri un cucciolo indifeso tra le mie braccia,
 non riuscivi a tirare fuori la donna che stava nascendo in te.
 Di quella mia incantevole lolita
 che mi aveva stregato persino l’anima
 fino a possedermi del tutto,
 e del suo sconvolgente modo di essere,
 non mi rimane ora che l’eco di un coro di fanciullesche voci
 udite in lontananza e perdute per sempre
 come foglie morte sparse lungo il sentiero
 in una stordita calma irreale.
 È la mia fine come uomo,
 l’apice della mia ispirazione come artista.
 La mia vita è ormai alla deriva nelle tue mani di bambina,
 legata a te da un cordone ombelicale
 obbedisce al tuo volere senza più orgoglio, senza dignità.
 Mi tormenta l’immagine dei tuoi coetanei
 che posano i loro sguardi carichi di desiderio
 sul tuo giovane corpo.
 È folle il pensiero che la tua verginale bellezza
 appartenga esclusivamente ad un uomo della mia età
 ma più ti sento irraggiungibile
 e più cresce in me il desiderio di averti.
 Come un vecchio mendicante ormai solo ed esausto,
 chiedo ancora ad una ragazzina che non ha colpa,
 l’elemosina d’un amore che mai potrà darmi.
 Un amore impossibile, assurdo, folle
 incomprensibile, a senso unico, non corrisposto
 ma pur sempre un amore!
 Forse sono posseduto dal diavolo
 o forse ho solo qualche rotella fuori posto
 è tutto così assurdo e illogico
 ma io credo di amarla.
        R I S U S C I T A M I
Maestro, ho tanto bisogno di un miracolo
trasforma la mia vita e tutto in me
da tempo non vedo più la luce
hanno spento già la mia gioia di vivere
umiliato la mia speranza,
vedo i miei sogni cancellati tristemente
lacrime di solitudine bagnare i miei occhi.
Maestro, non ho altro che io possa fare
solo tu hai tutto il potere,
sono seppellito come Lazzaro in questo sepolcro di disperazione
c’è un macigno che Satana ha messo davanti.
Maestro, chiama il mio nome ti prego
ascolterò con fede inginocchiato la tua voce
rimuovi la pietra delle mie paure e chiamami ad uscire
fai rivivere i miei sogni: liberami!
Sospinto dalla fede che c’è in te
sicuro d’una vittoria che tu solo dai
risuscitami.
    ALBA
 Alba!
 tu stai sorgendo,
 silenziosa brezza nell’aria,
 leggiadre ali intorno.
 Alba!
 tu stai spargendo
 il tuo colore
 sul mare
 addormentato.
 La tua pace
 mi sta
 cambiando.
 La mia anima,
 svegliandosi,
 si sta aprendo all’amore
 verso l’infinito.
 Io sento
 che sto per nascere
 sì,
 lo sento,
 io sto nascendo.
    IN SILENZIO
 Io e te,
 mano nella mano,
 camminiamo verso il sole
 guardandoci in silenzio.
 Le nostre orme sono raggi di luce,
 nel loro chiarore, riflesso,
 osservo il tuo viso dolcissimo
 che m’incanta, in silenzio.
 Siamo solo noi due,
 creati l’uno per l’altra,
 rapiti da questo sole immenso.
 Un amore senza fine grande più di noi
 ci trascina via lontano
 e tu esisti ormai dentro di me
 ti sento in ogni parte del corpo,
 tu sei l’aria che sto respirando,
 sei la mia stella che brilla nel cielo.
 Vicinissimi, avvolti dal calore,
 noi ci amiamo sfiorandoci in silenzio.
 Siamo in viaggio da qui all’eternità,
 eroi di un sogno in questo breve vivere,
 non svegliamoci mai,
 ed ora, in quest’istante magico,
 tu ed io siamo un solo essere,
 non so più dove finisci tu e comincio io,
 dove si dilegua il sogno e appare la realtà,
 ora tutto acquista un senso
 e finalmente scopriamo insieme
 che c’è qualcosa di noi,
 un motivo per vivere.
 Non siamo più soli,
 finché mi starai vicina, saprai tutto di me,
 avrai il meglio di me stesso
 e tu con me sarai sincera.
 Stringimi la mano più forte,
 sei l’unico scudo tra me e il mondo,
 ho bisogno di te per non morire.
    PRIMO AMORE
 Un’ondata improvvisa di luminosi ricordi
 sommerge per un attimo i duri scogli della mia realtà
 e la schiuma che ritorna al mare,
 lascia un immenso prato verde
 ricamato morbidamente dalle esili mani della primavera
 e in quel giardino, d’incanto,
 sbocciarono fiori di mille colori e ali dorate di farfalle,
 lì v’era un bimbo che inseguiva felice il volo d’un aquilone
 ed una bambina
 che sfogliava dolcemente i petali d’una margherita.
 Era bello correre insieme a lei, mano nella mano,
 tra le spighe di grano più alte di noi
 e l’azzurro del cielo che sembrava così vicino, non finire mai,
 saltellare a gara con i cerbiatti,
 e seduti in riva al ruscello,
 gettare ramoscelli sull’acqua per vederli galleggiare dolcemente
 e all’imbrunire, sudati e sporchi di terra,
 scappare sul colle più alto
 ed osservare il volo libero di stormi di gabbiani su oceani limpidi,
 aspettare in silenzio l’arrivo dell’arcobaleno con i suoi mille colori
 e lì: “Io ti voglio bene anche se non so baciare” le dissi
 col cuore che batteva forte come un uragano,
 lei sorrise, mi baciò la guancia
 e sbocciava così il mio primo amore
 mentre una cicogna volteggiava in festa per me.
 Ed ora, proprio in quest’istante mentre ti bacio amore mio,
 io rivivo l’emozione d’allora,
 la stessa gioia ti giuro, lo stesso candore
 e quanti ricordi ancora vorrei rivivere con te,
 non più da bambino, ma da uomo ormai,
 quante piccole emozioni nascoste in fondo al mio cuore
 vorrei regalarti!
 quanti segreti avrei da svelarti!
 Ma tu ... tu non capiresti mai
 perché non so capirmi neanch’io
 e non so come mai stai con un ragazzo come me
 che ha ancora quei prati vergini nell’anima,
 che resta sempre solo anche se tu sei qui vicino a me
 pronta ad amarmi: che buffo!
 Ti prego non dirmi che sono un bambino
 anche se non so far l’amore,
 anche se il mio mondo è ingenuo.
 Tu mi sorridi e sfiorandomi la mano, mi dici:
 “Non esiste al mondo ragazzo migliore di te”.
 Amore mio,
 io ti amo per non sentirmi solo,
 per sorridere e volar via,
 per vincere la paura che c’è in me,
 per fermare la mia giovinezza che va via.
 Amore mio,
 è così naturale essere felici,
 come mai la gente non lo sa,
 non mi crede!
     DOLCISSIMA STELLINA
 Dolcissima Stellina,
 timida come un pallido sole dietro le nuvole,
 tenera come un piccolo usignolo addormentato sul nido,
 dal sorriso luminoso e fresco come stilla di rugiada
 tu sei per me il sogno d’una notte incantata,
 l’effimera illusione d’un amore irrealizzabile.
 Sei in questo mio vivere terribilmente oscuro
 come una luce fioca
 che da lontano cresce... cresce... fino ad abbagliarmi l’anima
 col tuo modo di muoverti sublime come ali di cigno
 e la tua voce melodiosa come cori di augelli.
 Lacrime lucenti di gioia
 brillano adesso nei miei occhi.
 In un attimo tu hai riempito di bello il mio cuore,
 dipinto di sogno la realtà
 ed io non vorrei mai più svegliarmi da questo momento magico.
 Sembra quasi d’averti già conosciuta tanto tempo fa
 in qualche sogno lontano chissà dove
 e se guardo attentamente nel fondo dei tuoi occhi,
 scopro in essi l’infinito vibrare
 e tu ed io uniti che voliamo via sempre più su senza limiti,
 dileguandoci come due gabbiani liberi verso l’orizzonte.
 Restano ammutolite nel mio silenzio magico
 mille parole, mille sensazioni
 che sento ma non riesco ad esprimerti,
 non so come spiegartelo
 ma avverto dentro, qualcosa d’indefinibile, mai provata prima,
 meravigliosamente reale al tempo stesso:
 un bene prezioso e profondo sommerso in me stesso
 come il rosso corallo negli abissi del mare.
 Da una vita sono in cerca di te
 ma tu sei più di quanto aspettassi.
 Dolcissima Stellina
 Abbi cura di te, ti auguro di non cambiare,
 resta quel germoglio che sei adesso.
 Non gettare al vento il fiore della tua giovinezza,
 non smarrire col tempo la purezza dei tuoi sguardi,
 l’armonia d’ogni tuo gesto
 perché solo tu riesci a sorridermi con gli occhi,
 hai in te qualcosa in più che appartiene solo agli angeli:
 che ne sarà mai del tuo viso innocente e pulito
 quando, domani, cadranno le lacrime degli anni?
 e quel giorno, ora tanto lontano, ti ricorderai di me?
 Addio mia dolcissima Stellina!
 avrei voluto darti molto di più
 tornando adolescente insieme con te nel tuo mondo
 ma sono dai tuoi anni
 ormai disperatamente lontano.
 Ti lascio in questa poesia
 il mio ricordo di ragazzo solo come te
 ed ogni volta che la leggerai, d’incanto,
 non esisteranno più barriere né distanze tra noi due,
 io, di colpo, rinascerò in te
 e tu, specchiata nella mia anima,
 sarai qui vicino a me.
     BELLA MESSINA
 Come chiave d’oro che apre al paradiso,
 Messina spalanca la porta alla Sicilia perla incantevole.
 Bella Messina,
 che si lascia corteggiare da due mari,
 contemplata dall’alto dalle sue montagne,
 sempre spettinata dal vento,
 bagnata dal mare ed asciugata dal sole,
 Messina presa per mano dalla Madonna.
 Bella Messina
 quando dondola dolcemente le navi del suo porto,
 quando incoraggia e protegge il sudato lavoro dei suoi pescatori,
 quando saluta piangendo ma aspetta con ansia
 il ritorno d’un suo figliuolo che s’allontana senza lavoro,
 quando, nelle sue ville, accompagna il lento andare d’un vecchio,
 guarda commossa gl’innamorati delle sue panchine,
 gioca trasformata in bambina con i suoi piccoli.
 Bella Messina
 quando si tinge di giallorosso dietro la sua squadra,
 quando si pavoneggia per accogliere i forestieri,
 quando, tutta parata, si trucca con i colori della vara
 ed il mito dei Giganti,
 divertente e scapestrata come il suo dialetto.
 Messina lunga donna dagli esili fianchi
 con gli occhi blu come il suo mare
 ed i capelli d’oro come il sole delle sue spiagge,
 baciata sulla superficie del mare da mille gabbiani,
 che col suo stretto maliziosamente s’avvicina
 senza lasciarsi toccare,
 Messina che all’alba apre gli occhi sul mare
 e di notte s’addormenta sotto un lenzuolo di mille luci.
 Messina solare dalle ali libere verso l’orizzonte
 con gli occhi luminosi mai annebbiati,
 sposa d’un clima ch’è armonia in ogni stagione,
 Messina che con frutti e fiori profuma di primavera.
 Bella Messina
 defunta ma risorta dopo il 1908,
 Messina che vuole andare avanti,
 che non vuol morire più,
 vestita ormai di abiti sempre più moderni.
 Bella la mia Messina
 è la mia terra, la mia città,
 qui sto bene, sono felice.
 Ogni sua strada, ogni sua via
 è casa mia, il mio giardino.
 In lei sono nato
 ed in lei voglio morire.
     TU BAMBINA
 Tu bambina, tu semplicità,
 tu gioia e serenità, tu l’infinita innocenza.
 Tu che vivi felice i giorni della tua giovinezza,
 tu che ti affacci con paura alla tua adolescenza.
 Dai tuoi occhi traspare ancora
 la magia di un mondo che sa di fantasia
 e chissà se il tuo piccolo cuoricino
 riuscirà ad esprimere ciò che sente dentro.
 È sbocciato adesso un amore
 e forse stai provando qualcosa che non hai mai provato prima,
 sarà per te il primo dolore
 ma sarà dolce lo stesso come il succo d’una caramella,
 e le prime lacrime
 avranno ancora lo splendore della tua innocenza.
 I tuoi pensieri sono di amori fugaci,
 i tuoi giochi tenere primavere
 e tu ora dondoli spensierata nell’altalena dei tuoi desideri
 come quando stringevi la tua bambola
 che hai perso ormai.
 Dipingerai di sogno i tuoi giorni,
 colorerai d’arcobaleno persino i tuoi disegni
 e li annoterai dolcemente nel tuo caro diario.
 Vorrei regalarti una vetrina e riempirla dei tuoi sentimenti
 così chiunque, sostando lì,
 scoprirebbe la ricchezza che hai dentro.
 Crescerai in fretta e non mi vedrai più con gli occhi di bambina
 so che ti perderò per sempre.
 Mille ed infinite parole non bastano a descriverti,
 mille ed infinite poesie
 non potranno farti capire quanto sei importante
 ma quello che provi dentro non crescerà mai,
 servirà a farmi rivivere ricordi di adolescenze perdute.
 Con te bambina
 correremo insieme e voleremo via lontano
 verso nuovi orizzonti,
 lì, resteremo per sempre
 anche se dovrò dirti mille ed infinite volte: “Tu bambina”.
    LA FINE DELLA CICOGNA
 Un serpente velenoso
 s’insinua vischioso nel mio giardino d’infanzia,
 due mani sporche di fango,
 maliziosamente,
 rubano al mio impubere corpo l’innocenza.
 Sui miei occhi appena aperti
 calano inesorabili ombre senza più luce.
 I sorrisi ingenui delle fate
 divengono tentacoli della paura.
 Muore sbocciando quel fiore reciso
 che non crescerà più.
 Mi hanno ucciso la cicogna
 e con lei anche Gesù Bambino.
    NOSTALGIA
 Le inquietudini del mio primo bacio
 e poi le affascinanti scoperte intime,
 i primi turbamenti,
 quei peccati d’una età che non torna più,
 scomparsa per sempre.
 E tu sorellina timida timida
 ed io fratellino impacciato e buffo,
 tra sguardi e silenzi ci spiavamo dentro l’anima,
 imparavamo ad amare.
 Cerco invano di ricreare quegl’innocenti momenti intensi,
 provo con la fantasia a tornare bambino
 insieme con te nella poesia di quel nostro magico mondo,
 mi ritrovo il fantasma d’un uomo
 già inesorabilmente invecchiato.
 Quelle due giovani creature
 ora son come cristalli di ghiaccio d’un viso d’inverno.
 Quell’antica primavera
 è ormai neve e gelo.
    RICORDO D’UNA RAGAZZA SCOMPARSA
 Le serate passate sulla nostra scogliera,
 il bacio lì, in riva al mare
 col tramonto che ascoltava le nostre anime
 mentre il mare suonava la nostra canzone.
 Tanti ricordi, tanti momenti felici,
 tanto amore.
 È questo che vorrei gridare in silenzio
 ma a che serve ora che non ci sei più?
 La tua vita è stata troppo breve
 come il nostro amore.
 Forse il tuo compito
 era farmi provare un sentimento nuovo per me: l’amore
 per poi scomparire come un angelo.
 Sei salita al cielo
 ed ogni notte, piangendo,
 cerco di vederti tra le stelle.
 Addio per sempre!
    SPERANZA
 Nel buio della mia solitaria esistenza,
 proprio sul punto di smarrirmi,
 vorrei improvvisamente incrociare la luce dell’amore,
 tra mille volti riconoscere il tuo soltanto,
 e come un bambino,
 di colpo,
 scoppiare a piangere di gioia.
    VIAGGIO NELL’ANIMO MIO
 Muta di parole e sguardi,
 la mia mente vaga lontano in penombra
 dove il pensiero non ha confini
 e tutto può sembrare reale.
 Così, col bisogno del ricordo e del pianto,
 penso al mio passato e alla sua perduta giovinezza,
 al mio presente fatto di tempo fuggente,
 al mio futuro sconosciuto ed incerto nelle sue mille paure.
 Quanta dolcezza nel guardarsi dentro e perdersi in sé stessi!
 Quali emozioni
 nel vagare libero tra solitudini e silenzi profondissimi!
 Mi scuoto
 e lentamente mi desto da un viaggio
 nel profondo della mia anima,
 del mio essere così fragile, così indifeso
 rispetto alla grandiosità della mia vita.
      VOLO
  Ho aperto i miei occhi, liberato la mia mente
 sfidando tutti i miei limiti,
 ho lasciato alle spalle gabbie, catene,
 labirinti, muri insormontabili,
 e quell’uomo morto ch’ero ieri
 e che oggi non riconosco più,
 fino a ridere della mia disperazione del passato,
 persino la morte sembra inchinarsi
 alla mia nuova voglia di vivere.
 Dentro di me
 l’oscurità s’è trasformata in un riverbero di luce,
 nell’anima esplode
 l’incredibile forza dell’amore verso la vita.
 Vedo nuovi orizzonti
 distendersi davanti ai miei occhi.
 Intorno a me
 spazi infiniti m’invitano a raggiungerli.
 Tutto è ancora da scoprire
 e mi sta aspettando,
 e con l’entusiasmo di un bambino,
 m’accorgo per la prima volta,
 quanto sia meraviglioso vivere.
 Non ho più paura ormai.
 Solo,
 con il vento in faccia,
 apro le mie ali
 e mai più mi fermerò.
 Finalmente adesso volo.
    RICORDI
  Si dirada come per incanto
 la nebbia che mi avvolge
 e s’apre d’improvviso il cielo
 col suo manto azzurro,
 torno a ritroso nel tempo in seno ai miei ricordi
 come alghe marine che succhiano caute mammelle di roccia.
 Mi vedo a otto anni
 quando avevo un’amica soltanto
 che volevo bene come sorella.
 Ricordo ancora come fosse ieri
 i suoi capelli neri a boccoli
 che le coprivano quell’esili spalle
 come schiuma del mare accarezza gli scogli.
 Era una bambina orfana
 e la sera, quando andava a dormire,
 si addormentava con due pupazzi vicino:
 un orsacchiotto grande suo padre, una Barbie la madre,
 aveva un segreto, teneva quei pupazzi sotto il cuscino.
 Mi chiedeva spesso:
 “Come mai le tue poesie son tristi e tu non ridi mai?”
 non sapevo mai risponderle.
 Da grande sognavo già di sposarla,
 le dedicavo poesie e come per magia il suo caro viso spariva
 ed io mi vedevo in un teatro affollato
 con tanta gente in piedi ad applaudirmi.
 A quindici anni
 evitavo i compagni, i giochi e le feste
 e restavo da solo per ore
 ad osservare la distesa infinita del mare,
 una voce dentro mi ripeteva sempre:
 “I sogni non muoiono mai”.
 Cercavo la libertà,
 mi chiedevo se nell’universo esistesse qualcuno simile a me,
 immaginavo di volare via per scoprire il mondo
 senza ritorno, senza fermarmi
 come un’onda senza mai una spiaggia
 ed i miei occhi ragazzini curiosi e attenti,
 si perdevano in lontananza,
 laggiù dove si disperdeva il mare oltre l’orizzonte.
 Son diventato uomo troppo in fretta
 e non riesco più a sognare.
 Cerco ancora l’arcobaleno d’allora,
 trovo le inquietudini di adesso.
 La speranzosa attesa d’un tempo,
 le antiche illusioni,
 come oggetto prezioso caduto per terra
 e frantumato in mille pezzi,
 sono morte e crollate inesorabilmente
 nell’amara consapevolezza del nulla che mi circonda.
 Ma perché bisogna dire addio
 sempre alle cose più belle?
 alle delizie che promette ma non concede la vita?
 Rassegnati animo mio,
 le tue domande non conosceranno mai risposte!
     IL TRENO DELLA VITA
  E il treno corre,
 corre lontano sui binari della vita,
 lungo la strada del mio dolore.
 Va via velocemente
 proprio come i miei anni,
 il mio tempo che scorre.
 Dai vetri del finestrino il quadro cambia sempre
 vedo montagne invalicabili di paure,
 pianure non più verdi di speranze invecchiate,
 laghi salati di pianto amaro.
 Vedo fiumi, violente cascate trascinare via tutto quanto,
 mari in tempesta come i miei pensieri irrequieti.
 Vedo gallerie coprire il sole come i miei momenti bui,
 prigioni di tanti limiti ed arrese,
 miraggi di felicità nei deserti della mia esistenza,
 il cielo dove non ho mai volato,
 lontane isole esplorate solo nei sogni,
 nebbia lontana e foschie senza amore, senza fortuna
 e poi
 file di alberi e nuvole passare come un susseguirsi di emozioni,
 paesi e città fuggire malinconicamente come i ricordi più belli,
 prati verdi dove correvo sull’erba da bambino,
 rivedo mia madre aspettarmi a braccia aperte,
 odo nel vento la sua voce che mi chiama.
 Il treno corre
 la sua corsa senza fine
 senza ritorno, senza fermate
 ed io via con lui
 m’allontano sempre più senza sapere dove andrò,
 certo di perdermi solo
 come un vagabondo senza famiglia.
 Addio casa mia d’infanzia!
 Addio amici della mia adolescenza!
 Addio giovinezza perduta per sempre!
 Quanta struggente nostalgia mi avete lasciato!
 Com’è triste non poter tornare indietro!
 Ma perché la vita è una corsa continua?
 Perché la fine di un viaggio non c’è mai?
 Mi fermerò soltanto
 quando giungerà l’autunno con la sua folata gelida,
 come foglia ormai ingiallita,
 sarò strappata dal mio albero,
 trascinata nel vento.
      LA FRASE PIÙ BELLA
  “Se per gli altri ormai sei grande
 per me resterai sempre il mio bambino”.
 È la frase più bella che mi hai detto
 e che da sempre avrei voluto sentire.
 È un pensiero profondissimo,
 a tal punto che neanche tu puoi capire quanto.
 Forse è Dio che ti ha ispirato
 per rendermi felice.
 Tu mi hai gettato in mare un’àncora di salvezza
 dove io mi aggrappo con tutte le mie forze per non annegare
 e trovo le mie poesie, il tuo amore per me.
 Nessuno malgrado i propri sforzi
 è mai riuscito a cogliere la mia ricchezza interiore,
 la mia sensibilità profondissima, la mia particolarità,
 il mio disperato bisogno d’amore.
 È solo riuscito a intravedere
 come sono dentro
 ma in lontananza
 senza mai percepirmi a fondo.
 In questo mondo dell’immagine
 l’apparire conta più dell’essere
 anche perché spesso l’essere non c’è.
 Amante della solitudine e della tenerezza,
 senza nessuno che mi somigli,
 cerco da sempre
 un’anima che mi comprenda.
    ATTRAVERSANDO IL SOLE
  Da questo carcere,
 chiuso dietro le sbarre,
 vedo il sole uscire dai monti.
 La sua luce m’abbaglia.
 Continuo ad osservarlo
 con l’anima aperta alla speranza
 ed i miei occhi rimbalzano sul suo splendore
 e vanno su te
 che sei così tanto lontana
 al di là della mia immaginazione.
 Ti vedo riflessa nel sole in controluce.
 E tu puoi guardare me.
 Tu ed io alle due estremità d’una scia luminosa
 che ci avvicina passo dopo passo
 unendoci sempre più.
 Ci veniamo incontro
 percorrendo raggi di luce.
 Ora tutti sono morti,
 sono più vecchi
 ma noi due siamo ancora insieme nell’aria
 come bambini
 attraversando il sole.
 Ho cercato a lungo qualcosa che non c'è
 bastava semplicemente che guardassi il sole.
 Dalla sofferenza scaturisce il carburante per la rinascita!
 Non occorre essere in carcere per sentirsi prigionieri
 dentro di me mi sento adesso libero,
 il male ha finito di avermi in pugno: è inefficace.
 È l’ultimo atto del suo progetto diabolico.
 Il demone ora trema ed è lui ad aver paura di me.
    PREGHIERA D’UN’ANIMA IN PENA ALLA LUNA
  Luna,
 tu muta e bianca
 sul destino degli umani
 posi silente lo sguardo.
 Solinga e distante,
 sorella del buio e delle ombre,
 non ti diletti e non piangi
 ma taci,
 osservi e sempre taci.
 Eppure chi può dirmi se non tu sola
 se è per natura perdente l’umana sorte
 o se riposerà alfin ciascun mortale
 e avran sollievo le sue notturne paure?
 Vorrei chiederti o mia cara luna
 a che serve vivere
 e dove porta questo terreno viaggiare,
 per cosa si arresteranno i battiti del mio cuore?
 Ma tu mi appari misteriosa e vana
 come lo è tutta l’esistenza umana
 senza risposte, né certezze,
 incurante della mia anima che anela, brama di sapere.
 Io fragile essere, piccolo e limitato
 tu immortale creatura d’uno sconfinato universo,
 eppure quanta grandezza nell’umano spirito
 nel desiderare l’infinito pur comprendendo la propria piccolezza!
 Silenziosa luna presto dovrai andar via,
 l’alba si sta svegliando,
 la terrena notte illuminerai nuovamente alla fine del giorno
 ma gli occhi del mortale uomo rivedranno ancora luce?
 e le piante e gli animali tutti qual destino avranno?
 Luna
 musa ispiratrice di poeti e cantanti,
 meta irraggiungibile di sogni lontani,
 compagna notturna di viandanti e zingari,
 lascia che io alzi lo sguardo fino a te,
 ultima sconsolata preghiera d’un’anima in pena.
 Tu luna vegli sopra uno strano mondo
 fatto di pazzi.
 Qui non c’è amore né comprensione
 ed io non voglio più starci.
 Un immenso buio
 ha schiuso le ali sul mondo
 e sul cuore degli uomini,
 e questa notte sembra non aver mai fine.
 Addio anche a te luna!
 la mia solitudine è ormai segnata
 in un presagio di morte
 che prelude al pianto.
    SOGNO
  Io cerco
 quel che non esiste
 e che nel nulla svanisce
 in un effimero sogno.
     IL MISTERO
  Rapito dal tuo vortice
 sto scrutando il tuo cielo infinito,
 volteggiando nel tuo vento impetuoso,
 naufragando nel tuo mare in tempesta,
 sprofondando nei tortuosi meandri della mia mente,
 ma sto solo impazzendo
 perdendomi in un labirinto enorme.
 Scopro l’ignoranza della scienza.
 Smarrisco la mia fede.
 Rimango spaventosamente affascinato.
 Sulla riva un bimbo col suo secchiello
 vuol prendere un pò alla volta tutto il mare.
        NULLA ETERNO
  Non vi fate sedurre,
 non esiste ritorno,
 non c’è nulla dopo,
 morrete come tutte le bestie
 divorati da vermi.
     COME IN UN INCUBO
  Penso agli anni della mia giovinezza
 che mi sono lasciato alle spalle
 e, per nostalgia,
 mi viene una gran voglia di piangere
 e un terribile timore d’invecchiare e di morire.
 Mi sento dentro
 terribilmente solo e smarrito
 con una forte e struggente
 paura nell’anima,
 come in un incubo
 dal quale non posso svegliarmi o fuggire.
 Qualcosa che non riesco a scacciare
 mi opprime e tormenta
 ma non so cosa sia
 contro cosa combattere,
 lentamente mi succhia l'energia.
 Il tempo che mi rimane davanti,
 oscuro e minaccioso,
 è una clessidra di morte
 che m’avvicina sempre più alla fine
 inesorabilmente.
     QUESTA VITA BREVE
  Non camminare piano
 quando puoi correre,
 e non ti accontentare
 se ti accorgi che puoi volare,
 e non restare muto
 quando puoi gridare.
 Ascolta la voce della natura
 e piangi quando hai voglia di farlo.
 Vivi intensamente l’amore,
 rincorri la tua felicità.
 Apprezza il valore della salute,
 ama chi ti sta vicino come se lo vedessi per l’ultima volta.
 Non rimandare a domani quello che puoi fare ora,
 non indugiare e non procurarti rimpianti,
 questa vita è talmente breve ed imprevedibile,
 la vecchiaia e la morte son sempre in agguato
 come belve affamate, sbranandoti quando sei isolato.
     SOLITUDINE E LIBERTÀ
  Solitudine è libertà,
 libertà è solitudine.
 Voglio essere completamente solo
 per sentirmi veramente libero.
    PRIMAVERA
   Petali di fiori,
 ali di farfalle,
 canti di uccelli,
 profumi nell’aere.
 Il sole che sorride,
 il cielo che sta a guardare.
     L’ARMONIA DEL CREATO
 Da ogni notte buia
 rinasce sempre il sole
 così come dal bruco
 fuoriesce ogni volta una crisalide.
 E fra una stella lassù ed una lucciola quaggiù
 nessuna distanza, la stessa luce.
 Tra Dio e l’ultimo insetto creato
 nessuna differenza, la stessa perfezione e l’identico amore.
 Ogni cuore che palpita,
 anche il più piccolo che esista nell’universo,
 è un battito di vita e d’amore.
     LUNGO LE STRADE DEL MONDO
  Girando a lungo per le strade del mondo
 ho incontrato tanta gente:
 bianchi e neri, ricchi e poveri,
 santi e carcerati.
 Ho conosciuto servi e re,
 cristiani e musulmani, suore e prostitute.
 All’apparenza
 mi sembravano diversi gli uni dagli altri
 ma poi li ho visti piangere
 tutti allo stesso modo.
 Ho capito dentro di me
 che esiste una sola razza: l’umanità,
 un solo gesto: la solidarietà.
   DOLCE SILENZIO
  Dolce silenzio
 cosa mi nascondi?
 chi può dirmi se m’inganni?
 se dolori e tempeste son prossimi?
 e mentre io,
 estasiato,
 dalla dolce tua magia mi lascio rapire,
 chissà quant’altra gente
 soffre, si dispera, s’abbandona.
 Dimmi o dolce silenzio
 dov’è celata la chiave dell’umana esistenza?
 Che sarà di me?
 e fin quando goderti posso?
 perché eterno peregrinar è questo nostro viver
 e quel poco di pace che mi vuoi offrir
 è gran gioia per me e di essa mi nutro
 errando solitario per i campi
 tra immote piante e assopite creature.
 Dolce silenzio,
 immenso tu sei
 ed il mio esser fragile
 dinanzi a te si perde sotto l’azzurro del cielo
 come piccola cosa tra le innumerevoli cose,
 come formica d’un enorme formicaio
 persa tra tutte le altre.
 O dolce e profondo silenzio
 che all’eterno sonno somigli,
 prendimi con te e invasami,
 i miei tormenti assopisci,
 e nel tuo languor pacato,
 supino m’addormento in un dolcissimo morir,
 forse senza mai più mirar
 la viva luce del sole.
    LA LEGGENDA DI CAMILLA
 Chi di realtà si nutre
 defunta ombra del nulla eterno è,
 chi ai sogni crede,
 la collera del tempo affamato
 vincerà nei secoli.
 Fra i castelli fatati dei mie sogni
 Illa io ti sto inseguendo,
 è la tua leggenda.
 Gelosi folletti la raccontano in sogno.
  Una notte di duemila anni or sono,
 Camilla, una leggiadra ed esile ancella,
 scrisse nel suo cuore:
 “L’amor non vien da me, la fede stanca illusione,
 la mia tenera età fior che appassisce,
 ai sogni affido il mio avaro destino”.
 Disperata ma senza lacrime,
 corse verso quel dirupo che dominava quella valle
 incantata da filtri magici, popolata da gnomi,
 e da lassù altissima si gettò
 gridando al vento prima di schiantarsi al suolo:
 “Io vivo e vivrò per sempre”.
 Sopra quella valle,
 il tempo arrestò la sua corsa affannata
 e, come per incanto, tutto restò immutato.
 Ed ancor oggi, duemila anni dopo, il viandante solitario
 che ignaro non conosce la storia di lei
 ed attraversa quell’angusta e remota valle,
 senza veder né capir nulla,
 ode nel leggero mormorio del vento,
 l’eco della voce del fantasma di lei
 che ripete ancora:
 “Io vivo e vivrò per sempre”.
  Sì, nella mia fantasia,
 tu Illa sei viva
 e vivrai per sempre
 con me.
    IL VOLTO INQUIETANTE DEL MIO MALE
  Vorrei svegliarmi da quest’incubo,
 gettami acqua fresca in viso,
 il ghiaccio mi assale,
 scaldo le mani con un po’ di fiato.
 Cerco in me una via d’uscita
 ma non esiste fuga,
 non c’è posto per nascondersi,
 proteggermi non puoi.
 Diverso da ogni altro,
 nella terra di nessuno,
 tutto intorno tace
 in un silenzio irreale.
 Guido senza meta,
 faccio sesso senza amore,
 riflesso in uno specchio
 c’è un fantasma al posto mio.
 E non trovo le parole
 per spiegare ciò che ho,
 ogni cosa intorno a me
 appare sadica e crudele.
 È inutile sforzarsi
 di essere normale,
 non posso fingere a me stesso
 proprio non funziona mai.
 Trascinato dentro un labirinto enorme
 vedo stanze tutte uguali;
 in ognuna di esse
 mi attraggono piaceri sempre nuovi.
 Sembrano dirmi:
 “Entra da noi, esaudiremo qualunque desiderio
 non importa che sia proibito
 vedrai sarà bellissimo”.
 Sbagliare è facile
 se non sai più chi sei,
 non ho saputo dire no,
 mi sono perso in un vicolo cieco.
 La strada ammaliante del piacere
 mi viene incontro senza ostacoli,
 preda inerme della concupiscenza
 tocco il fondo pensando di raggiungere la cima.
 Sono schiavo del mio istinto,
 intrappolato nella mia angoscia,
 c’è un’ombra che mi insegue,
 dovunque vado non mi lascia mai.
 In una danza infernale,
 senza fermarsi mai,
 girano intorno a me
 fantasmi ed incubi.
 Voglio scoprire la tua origine,
 combattere ed annientare le tue tentazioni,
 fino a giungere faccia a faccia
 con il volto più inquietante del mio male.
 Sì, scaverò nei miei profondi abissi
 tirerò fuori il demone a cui appartengo,
 a costo d’impazzire,
 giuro io mi libererò.
 La mia anima smarrita
 ora sprofonda dove non c’è luce,
 nuda nuota sott’acqua,
 non riemerge più.
        LA MIA ANIMA È NUDA
 La mia anima è nuda
 anarchico il mio istinto
 folle la mia mente
 immorale la mia libertà.
 La mia anima è nuda
 ama i bambini
 sta al fianco di barboni, disadattati, emarginati
 adora gli ultimi della classe sociale.
 La mia anima è nuda
 non sa vivere in società
 non scende a compromessi e non concepisce le regole
 non lavora e non produce.
 La mia anima è nuda
 è troppo grande per essere prigioniera in un corpo di carne
 non può esser limitata dal tempo
 è uno spirito libero che anela alla libertà assoluta.
 La mia anima è nuda
 posta al centro d’una corda tirata ai lati da lussuria e innocenza
 come un verme striscia e bacia i piedi del demonio
 poi di colpo s’alza in volo e abbraccia Dio
 sempre in bilico tra inferno e paradiso.
 La mia anima è nuda
 soltanto nell’arte, di notte quando tutti dormono,
 esce manifestando la sua diversità
 se venisse scoperta verrebbe fatta fuori e forse anche uccisa,
 bisogna lasciare dormire tranquillamente la gente,
 guai a chi provasse a risvegliarli!
 quando si sta troppo al buio, si ha paura della luce.
 La mia anima è nuda
 immortale e ribelle
 aliena venuta da chissà quale mondo
 destinata a perdersi e soffrire
 nel crudele gioco della vita e della morte.
 La mia anima è nuda
 scevra da qualunque vanità
 spogliata nella sua infinita miseria
 non si lascia etichettare in nessun modo
 non è né maschio né femmina, né schiava né regina.
 La mia anima è nuda
 conosce la sensibilità del male
 è attratta dal fascino del proibito
 è inquietante ma sincera.
 La mia anima è nuda
 è ancora bambina quando sogna
 terribilmente vecchia quando insegue la logica
 morta e sepolta quando si lascia sedurre da religioni e ricchezze.
 La mia anima è nuda
 condannata dalla sua stessa sensibilità
 ad un isolamento senza uscita,
 non chiede più comprensione ormai
 sa di averla data ma di non poterla ricevere.
 La mia anima è nuda
 dannata
 salvata
 ma dannata ancora.
 Anime perverse, entrate in sintonia con me!
 sono qui, se volete potete trovarmi
 non ho maschere e non mi nascondo:
 la mia anima è nuda.
   LA MIA MENTE
 Silenzi e vuoti intorno a me
 quiete assoluta nella mia stanza
 sguardo assente, occhi chiusi
 la mia mente mi porta lontano fuori da qui
 mi trascina via con sé e nessuno se ne accorge,
 prende il largo sulle acque
 attraversa un fiume tranquillo
 che cancella i ricordi
 e li fa scivolare via.
 La mia mente
 è volo di idee
 ragnatele di ragionamenti
 archivio di esperienze rimosse
 cassetti colmi di dubbi incessanti.
 La mia mente
 è follia pura
 immaturità e saggezza insieme
 è un gigantesco pallone
 che vaga rimbalzando continuamente
 da un soffice sogno all’altro.
 La mia mente
 è finto silenzio
 fantasie strane
 vertigini e vortici di pensieri
 spinta per vivere.
 Crea una tempesta
 non dorme la notte
 incubi che si accavallano
 sogni che nascono e rimangono sospesi
 paure e solitudini senza fine.
 La mia mente
 è invasa di ricordi che si susseguono
 notizie divorate
 date, sentenze, nomi, schede ormai ingiallite
 profumi di opere buone
 domande senza risposte
 amori cancellati e poi riscritti
 sì che diventano no.
 La mia mente
 è un insieme di cose da dimenticare
 una cantina di occasioni perdute
 di progetti mai portati a termine
 di ricordi nostalgici.
 La mia mente
 silenziosa corre, vola, sfugge,
 anela, brama di sapere.
 Va via col vento, più su delle nuvole
 sopra gli oceani
 sorvola spazi infiniti
 raggiunge nuovi orizzonti.
 La mia mente
 mi convince
 ha sempre la meglio
 detta le sue leggi
 ed io non posso sfuggirle,
 la seguirò perché lei vuole così.
 La mia mente
 mi fa impazzire
 mi fa venir voglia di scoppiare
 mi lascia i segni di chi ha vissuto un’eternità.
 Uccidimi il cuore!
 la mia mente mi resterà ancora intatta.
 Legami con una catena fortissima!
 lei mi slegherà,
 forse neanche la morte fisica
 potrà riuscire a fermarla.
 Ti prego mente mia
 portami con te lontanissimo
 nei grandi campi di neve dove il sole non c’è
 nei deserti sabbiosi senza confini
 nelle praterie immense
 nei mari in tempesta
 nelle cime vertiginosamente alte
 nelle strade vuote senza fine
 che portano al nirvana e all’estasi.
 Portami o mente mia
 attraverso paesaggi sfocati e laghi annebbiati,
 le mie vene saranno fiumi tra le rocce
 le mie mani pallidi monti nella notte
 il mio sangue torrente rosso più del fuoco.
 Solo con te sulla scia delle ninfe
 tra cascate argentate, ghiacciai sterminati
 i miei pensieri frustati dal vento
 scatenati e prendi, prendi tutto di me!
    VORREI
 Vorrei vagare nell’universo
 e cercarti ovunque,
 nelle intrecciate tele di un ragno
 nel fruscio delle foglie morte
 nel dondolare dei rami stecchiti
 nel profumo d’un incensiere
 sfogliando la Bibbia
 dinanzi al portone d’un antico monastero.
 Vorrei essere portato via da te nella tua carrozza
 lontano dalla prigione d’un grattacielo
 lungo le strade dell’inverno
 ed osservare riflessa nel lago argentato
 la mia immagine vecchia e deforme
 trasformarsi nella tua pelle giovane e bianca
 e contare poi una per una
 le perle della tua corona.
 Vorrei capire chi sono
 mostrandoti fotografie sbiadite e diari segreti,
 mostrandoti la scia luminosa dei ricordi
 di quello che ero ieri,
 l’anima immortale che vive nei miei versi adesso,
 la statua, la lapide e la polvere
 di ciò che rimarrà dei miei sogni domani.
 Vento impetuoso della fuggevole immaginazione mia
 tu spalanchi con forza la porta di questa mia tacita realtà
 e nelle annebbiate stanze del tuo nido
 io mi sto sempre più addentrando.
 Ed ora sento di poterti raggiungere.
 Vorrei avvicinarmi ma non so chi sei
 vorrei chiamarti ma non so il tuo nome
 vorrei seguirti ma tu ti stai sciogliendo lentamente
 in aria,
 scompari quando credo d'afferrarti.
 Eppure io ti inseguo da sempre
 nei labirinti della mia mente,
 cercandoti affannosamente
 in ogni piccolo spazio
 della mia camera vuota e solitaria.
 E nelle lacrime della solitudine mia
 che percorron lente il mio viso pulito,
 vedo i miei sogni evanescenti
 morire uno dopo l’altro
 ed un bimbo,
 quel bimbo che vive in ognuno di noi,
 li porta con sé invecchiati
 fino ad estinguersi
 nel riposante approdo d’un obitorio.
  NICO
 Nico!
 Ti ricordo ancora
 avevi dodici anni, la mia stessa età
 solo qualche giorno in meno.
 Nico!
 Sei nella memoria coi tuoi occhi scuri
 una bocca grande ma con pochi denti
 ti facevo il verso
 non te la prendevi.
 Nico!
 Eri sempre con le brache corte
 e le gambe viola
 per il grande freddo.
 Nico!
 Ma com’eri buffo
 con quel cappellino con il paraorecchie
 una grossa sciarpa fatta da tua mamma
 come ci tenevi.
 Nico!
 Il compito in classe
 lo copiavi sempre da me
 eri furbo
 non so come facevi.
 Nico!
 Insieme sulle piante
 a buttar giù palle di neve
 alle barbagianne, le ragazzine con gli occhiali
 quelle proprio racchie.
 Nico!
 Non ti ricordi le mele
 rubate insieme e mangiate di nascosto
 in quel mercato rionale?
 E le domeniche d’agosto?
 correvamo per le strade deserte
 c’eravamo solo noi
 chissà cosa volevamo dalla nostra vita!
 Nico!
 Eri il mio migliore amico
 un giorno mi dicesti:
 “Se fossi nato femmina ti amerei”.
 Quel giorno al doposcuola
 ci presero un po’in giro
 avevano scoperto
 i nostri giochi strani.
 Non mi vergognavo di volerti bene, di prenderti per mano,
 di regalarti il mio affetto
 quello che riuscivo a darti,
 quello che potevo darti.
 Nico!
 Ma tu adesso cosa fai?
 chissà se ti sei sposato, se hai dei figli
 se pensi ancora a noi.
 Com’era bello uscire da scuola!
 e col sole o con la neve
 tornare a casa
 insieme.
 Nico!
    MADAME CLELIA
 Un’emozione forte
 si fa strada nei miei pensieri,
 lenta scende come un’ombra
 nella mia realtà ormai stanca
 e tra la fantasia e l’età
 mi trascina via con sé
 in un tempo ormai lontano.
 Mi rivedo di colpo lì
 a spiarti dietro la finestra
 di quella tua tenebrosa casa antica.
 Sui miei undici anni appena compiuti
 cadeva già il primo velo di follia,
 e che sussulti, che tremiti segreti
 in quelle mie inquiete notti di fanciullo
 quando impaurito e rannicchiato
 mi nascondevo sotto le coperte,
 la mia prima masturbazione
 la conobbi proprio allora e fu per te.
 Madame Clelia!
 Eri grande, troppo grande
 forse vecchia per i miei occhi e per il mio corpo.
 Avevi perso il marito
 ti avevano abbandonato i figli
 io come un giocattolo, un barboncino
 ero tutto quello che ti rimaneva
 nella tua vita mai vissuta
 sempre attesa, mai avverata.
 Ancor adesso
 a distanza di tanti anni
 non so cosa volessi tu da me
 né cosa avrei potuto darti io.
 Ma ti giuro Madame Clelia,
 tu sei stata per me una regina
 ti vedevo danzare nei miei sogni di bambino,
 mi chiedo come mai così bella dentro
 nessuno, all’infuori di me,
 ti aveva vista mai.
    PAESE NATÌO DI MIA MADRE
 Al tuo paese torni
 con me
 ogni tanto,
 ma sei triste
 pensierosa
 non parli.
 La tua fontana rivedi
 i vicoli
 la piazza
 che a miglior tempo
 ti furono amici.
 Anche la tua casa
 giace silente e vuota
 negletti i fiori
 accanto ai muri.
 Guardi fissa la chiesa
 e odi la voce
 di chi la preghiera
 t’insegnò a ripetere.
 Vedi tutti i ricordi
 segnati da croci
 cerchi ma non trovi
 la speme d’un dì.
     IN SIMBIOSI CON L’UNIVERSO
 È solo mio questo improvviso aprirmi
 e rivedere in un attimo tutta la mia vita come in un film registrato
 e poi simultaneamente
 allargare le braccia all’universo che mi circonda
 e respirare a pieni polmoni
 come volessi trasportarlo in me
 per sentirmi parte di esso.
 E poi ancora rivedere con gli occhi della memoria
 lontanissimo come da un cannocchiale rovesciato
 me stesso bambino giocare in un cortile
 e paragonarlo alla luna
 distante anch’essa mille anni luce da me.
 E continuare a rivivere nei ricordi
 la spensieratezza della giovinezza
 e nello stesso istante
 dirigere lo sguardo verso l’azzurro del cielo
 ammirare spazi infiniti
 nuvole bianchissime come zucchero filato, mongolfiere in volo
 Ridiscendere poi negli anfratti della mia memoria
 e riscoprire la ragazza che ho baciato e amato
 per la prima volta,
 e confrontare la luce limpida dei suoi occhi
 con quella delle stelle
 o semplicemente della stella cometa.
 Ricordare infine i dolci versi
 scritti in tenerissima età
 nella mia prima poesia,
 immaginando di trovarmi
 tra fiorellini di campo di vario colore,
 solleticati dolcemente da un leggero venticello,
 mentre uccellini nel nido assieme alla loro madre
 e tanti piccoli animaletti festanti
 tutti insieme
 cantano la loro canzone alla primavera.
 Capisco proprio in questi dolci momenti
 di non essere solo
 malgrado il tempo che passa
 malgrado non abbia una compagna.
 Intorno a me
 vedo tutto un mondo magico
 che pullula d’amore.
 C’è tanta musica nell’aria che respiro
 ed ora finalmente anch’io posso sentirla
 e lasciarla entrare nel mio cuore.
 Sono in simbiosi con l’universo.
   SOLITUDINE UNIVERSALE
 Uno spaventoso silenzio
 avvolge tutto l’universo,
 gli uomini come marionette di pezza
 si susseguono nel tempo gli uni agli altri
 e non nascono che per morire definitivamente.
 Quanta gente nel corso dei secoli
 mi ha soltanto preceduto!
 uomini in carne e ossa proprio come me
 col mio stesso sangue
 con le mie stesse paure, le mie stesse speranze.
 Hanno vissuto in tempi diversi
 e per età differenti
 ma di loro non è rimasto più nulla!
 Dov’è l’uomo delle caverne?
 e gli antichi Egiziani con le loro piramidi?
 e i gloriosi Romani? e i pensatori Greci?
 imperatori e papi, uomini comuni ed eroi
 tutti scomparsi
 nell’inesorabile scorrere del tempo.
 Vorrei uccidermi subito
 al solo pensiero che anch’io farò la stessa fine,
 è strano come gli uomini
 continuino a vivere con impegno
 pur sapendo che dovranno morire,
 anche se vivessero per cento anni
 sarebbe sempre un soffio di fiato
 rispetto all’eternità.
 Ma poi mi consolo tra me
 pensando che la solitudine non è solo mia
 ma è presente in ogni angolo dello sconfinato universo
 e non esiste gioia più grande
 del sentirsi parte di questa immensità
 pur consapevole della propria piccolezza
 e piangere l’intima fragilità
 in un pianto accorato e senza speranza.
 Così mi nasce dentro un’emozione fortissima
 che, anche se nata dalla disperazione
 è pur sempre un’emozione
 e subito dopo rido, rido e ancora rido.
 Ormai più nulla ha valore per me.
 Scopro la dolce ebbrezza del non senso,
 non m’importa della seduzione della fede
 né del ragionamento della scienza.
 Sono totalmente felice
 e la mia gioia scaturisce dalla mia solitudine
 che ora riesco a proiettare nel cosmo
 e la solitudine dell’universo
 è la mia stessa solitudine
 e mi dà conforto
 mi rende grande.
   TRISTEZZA
 Tristezza di cose perdute
 di voci, di grida, d’amore
 è struggente la pena che sento
 come una lama mi trafigge il cuore.
 Addio nidiata di bimbi!
 è tanto quel che mi rimane di voi
 siete riusciti a far sparire il dolore
 per sempre compagno di vita.
 Sorridevo felice all’innocenza
 di nascosto, nel silenzio, tra le ombre
 in segreto e in perfetta armonia
 entravate uno dopo l’altro in me.
 M’illudo di avervi vicino
 vedo i vostri corpi e li tocco, li sento
 immagino che siate con me
 nel pensiero più dolce ch’esista.
 Ripiomba di colpo ogni cosa
 in grembo all’eterno destino
 i vostri visi risplendono come dolci memorie
 e poi muoiono con un tremulo brillio.
   SENSAZIONI
 È tutta avvolta nel mistero e nella meraviglia
 questa vita mia,
 con genuino e infantile stupore,
 della natura osservo ogni manifestazione
 fino ad esserne rapito.
 Con sensibilissima attenzione nel silenzio ascolto
 le voci, i suoni
 anche i più tenui,
 delle piccole cose intorno a me.
 Affascinato e curioso
 percepisco la suggestione, la religiosità, il mistero
 nascosti in esse.
 Ai miei occhi non appaiono
 sempre traducibili e afferrabili
 ma sciogliendosi in musica, in sospiro
 mi riempiono ugualmente l’animo d’immenso.
    INFANZIA LONTANA
 Storia d’una infanzia lontana
 ricognizione di un mondo
 pietrificato nei ricordi.
 È il canto della memoria
 che si eleva
 è profondo, sentito, cercato.
 In esso
 si rincorrono
 gli attimi che hanno lasciato una traccia.
 Rivivono anch’essi
 insieme alle cose, alle persone familiari
 ai sogni di più remote stagioni.
 La memoria mi appare così
 come immagine sovrapposta al presente
 e i suoi impulsi,
 ritornando dal passato,
 s’intrecciano sinfonicamente,
 trovano una finale armonia.
     SULL’ORLO DELL’ABISSO
 Dimora in me
 un continuo e sempre vivo bisogno d’innocenza
 come memoria limpida, essenziale
 non coperta da incrostazioni.
 Tornano nella mia mente
 lontane primavere, gigli appassiti
 come visioni taciturne e distanti
 e tra echi sepolti
 in un urlo senza voce
 cadendo vittima del segreto logorio della vita,
 subisco inerme la vecchiaia
 come qualcosa di ineluttabile
 stagione ultima, cupa e persino squallida
 in cui sopravvive solo la memoria.
 Non è tanto l’immagine della decadenza fisica
 dell’inarrestabile declino che mi colpisce,
 quanto la fugacità, la brevità del tempo
 lo spazio attraversato in un lampo da ogni cosa,
 anche le immensità celesti
 dove ho cercato quasi un punto focale
 della mia esistenza.
 Oggi sono immerso nella follia più lucida,
 il mio mondo è l’irrazionale, sembra una maledizione o una profezia
 il mio pensiero si muove sempre sull’orlo dell’abisso.
 Non c’è più luce, non c’è chiarezza
 nel mondo informe, tumultuoso del mio vissuto.
 Mi sgorga dentro un’impressione d’inerzia, di passività
 che traspare dalla contemplazione della natura,
 ha il gusto del tempo e delle sue rovine
 perché quest’ultimo, pur nella disperazione e nella malinconia,
 è il solo che mia dia una qualche trepidazione
 un’incertezza, una sorpresa.
     IL MIO IO COSMICO
 Vedo vivere e sfiorire intorno a me
 inesorabilmente
 le persone, le cose, le stagioni
 preda d’un sentimento panico dell’universo.
 Trovo conforto abbandonandomi nella natura
 per dimenticare in essa la mia forma umana
 accogliendo nel sangue
 il brivido solare d’una vita pura.
 Il mio io cosmico pone la propria oggettività
 per poi tornare a se stesso
 nel perpetuo flusso della vita.
 Mi fondo nella natura
 contemplando il momento in cui l’amore
 sarà libero fuori dal corpo
 per farsi cielo.
 Sublimo l’anima con i sensi
 ma non interrompo il contatto fisico col mondo.
 Forse spero di trovare in fondo alla strada percorsa
 il silenzio e la solitudine dell’universo
 anche quando silenzio e solitudine
 sembrano chiudermi e annientarmi.
    SFACELO
 Gioco artificiale e platonico di specchi
 sempre mutevoli
 con tante facce e tante luci,
 non trovo il filo interiore
 quello vero e profondo,
 cado così nel gioco delle invenzioni
 delle contraddizioni.
 Una totalità non trovata
 che rivela disagio, sofferenza.
 Cerco rifugio altrove
 senza sapere dove
 ma ciò che mi rimane di questa umana fatica
 è la coscienza di una prigionia
 e mi sento rinchiuso nel cerchio delle mie abitudini
 che si avvicendano in modo sterile.
 Sogno impossibili evasioni attraversato da sussulti e vertigini
 invano lotto per non essere travolto dal tempo
 ma l’amore mi appare perduto
 tra la cenere dell’esistenza.
 Archivio la memoria
 come un mondo ormai passato per sempre
 fatto di resti sospetti,
 tracce che tendono a scomparire nel tempo
 come carte antiche e indecifrabili
 vere e proprie reliquie.
 Sopra tutto questo sfacelo
 aleggia sovrano il sentimento del tempo
 che sfugge, che rovina, che travolge.
 Non mi rimane
 che una ragione stanca, ferita
 al limite della resistenza
 ma non vinta
 che cerca in fondo alla dolcezza,
 nella disperazione,
 la speranza d’una morte amica.
   LA LUCE DEL COSMO
 Come per magia
 il divino traluce
 o affiora nei margini del mistero sovrasensibile
 e la mia anima s’insinua
 tra sensazioni terrene e misteri dell’essere,
 nelle cose che l’occhio può scoprire mutate
 in una luce e un suono
 insospettato, nuovo, più profondo.
 Sento nascere in me
 il bisogno di illuminare con la luce del cosmo
 le cose infinitamente piccole.
 La mia anima così si fa largo
 e nello spazio che mi creo
 c’è il senso del tempo, del moto, del divenire,
 e insieme del mistero
 che avvolge il mondo delle mie sensazioni.
 Entro in contatto
 con tutto ciò che ignoro, intravedo, avverto
 e soltanto in quell’istante,
 sia pure con animo turbato,
 riesco a capirmi.
    PRESENZA VIVA
 Momenti magici, favolosi
 della mia infanzia,
 ricordi evocati
 da attimi di malinconia,
 visioni incantate
 della mia terra natìa.
 Naufrago dolcemente
 in un’infanzia che è ormai
 il mito di se stessa,
 e del dolore che l’ha portata via.
 Pur tuttavia è suono, movimento
 vita che trascorre.
 Non la confronto con altri silenzi
 con gli arcani mondi dell’immaginato
 dello sperato, d’una irraggiungibile felicità.
 Diventa invece voce intima del ricordo
 presenza viva di qualcosa che passa
 come echi, rintocchi.
 Immersa nel tempo fluido
 la natura come per magia
 penetra nel tessuto della mia anima
 e si fa poesia
 ne scioglie i nodi, ne ispira i versi
 è pianto che rasserena.
    L’ALBA DELL’UOMO
 Da un chiarore lontano
 spunta l’alba
 repentinamente
 e colora di luce il nuovo mondo.
 Intorno,
 piante stecchite
 animali selvatici
 grotte e caverne buie.
 Si svegliano anche gruppi di scimmie
 sono nude come vermi della terra,
 schiamazzano
 litigano
 si riuniscono.
 Qualcosa sembra dire loro:
 “Uniamoci
 e combattiamo insieme”,
 una battaglia che durerà nei secoli
 sino alla fine dell’universo
 se fine ci sarà.
   MIA EVA
 Mia Eva! Inizio della fine
 sei tu la prima donna
 l’origine delle mie perversioni
 il pretesto per la mia follia
 la madre dell’animale che è in me,
 hai creato il mio istinto che ormai è morboso
 il mio desiderio che è già sporcato.
 Nel paradiso terrestre, trascinato indietro di mille secoli
 io ti osservo nuda, allucinante visione,
 misteriosa e invitante. Giochi con le armi della seduzione.
 Dammi la mela ti prego, che aspetti?
 voglio mangiarla!
 è eccitante peccare
 se tu mi sei vicina, nel pericolo mi sento al sicuro.
 Dimmi dov’è il serpente, l’hai calpestato o no?
 Voglio essergli amico e non mi farò esorcizzare.
 Non mi importa di rimanere dannato per l’eternità
 di lavorare, sudare e morire
 di bruciare nelle fiamme dell’inferno,
 l’importante è averti accanto.
 Sei tu la causa del mio male
 ma lo stesso male è ambiguo
 cambia forma quando credo di conoscerlo.
 Dal giorno che mangiasti quella mela
 ogni uomo è sempre guidato
 dalla follia d’una donna.
   LA RIGENERAZIONE
 Albero solitario
 che mi aspetti in un campo di grano,
 io ti vado incontro
 e ai tuoi rami
 mi appendo.
 Ora sono appeso ai tuoi rami
 e dondolo felice.
 Tu ed io siamo un solo essere
 una sola forma.
    IL MIO FUNERALE
 Come quando ci si toglie un abito
 così avevo lasciato il mio corpo con i suoi pesi
 ma ero vivo in una  dimensione di immortalità e benessere.
 Lento veniva trasportato
 un corpo straccio
 dentro quella bara
 avara di ghirlande,
 quel corpo era il mio
 sì, ero io.
 E quel carro funebre
 attraversava le strette vie
 che portavano a quel piccolo cimitero di collina
 dove io fui sepolto
 e riposo di già.
 Scialli neri
 vecchie facce coperte da veli
 silenziosa processione,
 dormiva mio padre
 piangeva mia madre
 quell’accompagnamento era il mio
 sì, era il mio
 ma io non capivo, ero felice fuori dal tempo
 al di là dello spazio
 e dall’alto osservavo stupito
 quello strano spettacolo
 sulla mia morte.
     COINCIDENZE
 Seguo una linea grandiosa
 un’acutezza di senso
 capace di rendere concreta
 persino la fantasia.
 E la visione
 che parte generata dalla mia anima
 si spande al di là degli orizzonti,
 al di sopra delle piccole cose domestiche
 ed è bellissimo
 sentire come il senso dell’infinito
 coincida fino a fondersi in uno stesso clima
 con le cose più piccole.
    NULLA È LONTANO
 Grandezza e malinconia interiore
 e povertà del mondo presente
 ma la trasposizione mia
 muta i termini del dissidio
 ed è il bisogno di sognare
 che rende grande l’opaco atomo terreno
 illuminandolo di altre verità.
 La fantasia ora avverte nel mondo
 più segreti e profondi significati
 dà immagine all’eco
 si spande in altri mondi
 si dissolve nell’immensità.
 Ormai nulla è lontano dal mio spirito.
    IL MARGINE SILENZIOSO DELLA MEMORIA
 Nel margine silenzioso della memoria
 che non è presente in me,
 trovo rivelazioni e scoperte
 un ricchissimo terreno umano.
 La poesia restituisce alla vita
 i nodi segreti
 i ricordi assopiti
 le reazioni più remote,
 fa conoscere una nuova dimensione del reale,
 a volte contro la ragione
 a volte in armonia con essa,
 sempre con libertà.
    EGOISMO SOLITARIO
 Sono il re
 del mio egoismo solitario
 che ha coscienza
 soltanto per esprimerla in privato
 in una totale esaltazione dei sensi.
 Io non cerco più
 un rapporto dialettico tra me e gli altri
 e la mia concezione estetizzante della realtà
 diviene dominio sulla folla,
 forma una solitudine privata
 dove il mio pene riaffiora docile tra le mie mani
 fino a divenire una strana sensualità
 fuori dai sensi
 trasformata in un processo di spiritualizzazione.
   ALLA DERIVA
 È grigio il clima del perenne essere.
 Tutto è caduto
 le speranze perdute, le preghiere vane
 le parole inutili, l’amore illuso
 le primavere sfiorite, gli ideali mortali.
 Ma non v’è più dramma in me
 in questo continuo appassire e morire
 ma completo abbandono.
 Accetto di andare alla deriva
 lasciandomi cullare dalla marea del tempo
 in cui tutto si dissolve
 fino a compiacermi del mio dolore.
 È dolce sentirsi vittima, indifeso, inascoltato.
 Capire che persino la vanità delle cose
 diventa pura armonia.
    VERRÀ POI LA MORTE
 La mia vita passerà molto presto
 drammatica e patetica
 e con essa anche la sua ricchezza
 fatta umana dalla fatica.
 Il tempo,
 un male che impoverisce la vita,
 mi toglie ogni energia vitale,
 il mio corpo senza speranza e senza salvezza
 si rivolta, si risparmia, geme
 s’illude ancora di strappare giorni, ore, minuti alla fine.
 Ma vi è un altro male
 subdolo e ancor più disperato:
 quello di essere completamente solo
 nell’umana comprensione di sé
 costretto a tacere e fingere,
 a rivedere il passato riflesso
 nelle lacrime degli occhi che piangono
 in un profondo bisogno di confidenze.
 Triste appare allora il volto della memoria
 come immobile silenzio che tende all’astrazione.
 Verrà poi la morte del corpo
 il distacco amaro.
    LA MIA SOLITUDINE
 Schivo mi stupisco di vivere
 mi sento staccato ed incompreso
 da tutti gli altri uomini.
 Mi aggrappo agli scarti della vita
 tutto il resto è inconsistente.
 Non mi aspetto comprensione
 né consolazione né tregua
 consapevole della mia solitudine.
 Ho scelto liberamente l’aridità e il deserto
 e osservo le cose della vita
 prosciugate e fisse
 come simboli magici in una luce rarefatta.
    LO STRAZIO D’ESISTERE
 Urlo di masse
 voci, passi, gesti
 tra pietà curiosa e fanatismo,
 irrazionale catena di incubi e fobie
 ai margini dell’ossessione.
 La personalità umana si lacera
 il senso dell’alienazione incombe
 la coscienza si smarrisce.
 Spinto da una sofferenza solitaria e indecifrabile,
 contagiato dalla multanime esistenza
 affogo lentamente nel caos
 e non ho scampo
 se non nella perfetta solitudine.
    LA MIA FOLLIA
 L’infinita miseria della vita
 la solitudine del mondo
 la caducità della fama che passa.
 E poi la morte delle persone care
 l’incombente paura delle malattie
 il continuo vagabondare senza pace dell’uomo
 acuiscono la mia sensibilità
 ma accrescono i sintomi della mia follia.
 Cupe ombre di pazzia
 si addensano minacciose su di me
 travestite da un’atmosfera di lucida estasi.
 È il dramma della mia ansia angosciante
 la disperazione di tutto il mio essere
 forse creato da Dio
 ma poi lasciato a se stesso
 privo d’identità, privo di vita
 impossibilitato di comunicare
 di capire e farsi capire.
     LA MIA MODESTA FORMA UMANA
 Ormai ridotto ad accettare la mia condizione
 di uomo consapevole del proprio destino,
 sento tristemente che la vita in me
 invecchia inesorabilmente
 che altri sentimenti, altre idee
 mi nascono nell’anima,
 che arte e vita procedono insieme,
 e la poesia della mia vita solitaria
 diventa essa stessa memoria.
 Non è più la storia d’un uomo
 che cerca l’illusoria grandezza dell’universo
 ma semplicemente la povertà di chi
 insegue soltanto la sua modesta forma umana.
 Affido alla mia scrittura,
 unico ed ultimo appiglio rimastomi,
 la speranza di trovare ancora
 punti luminosi sul mio cammino terreno
 proiettandomi fin quando mi sarà possibile
 e ne avrò ancora la forza,
 nel tempo e nell’universale,
 solo così la realtà della poesia
 potrà apparirmi più ricca di significato
 di quella della vita.
     DESIDERIO D’INFINITO
 Un sentimento dell’esistenza umanissimo
 mi scorre dentro,
 la mia spiritualità
 è attraversata da malesseri sublimati
 da torpori e da abbandoni,
 trasalimenti e sofferenze confessate,
 si distacca dalle cose terrene
 diventa consapevole della fugacità umana,
 è poesia per questo suo fluire
 in mezzo alla vita
 non ancora del tutto purificata
 non ancora donata a una fede.
 Le mie parole sono ultime gocce d’una vena
 che ha già dato ciò che poteva dare.
 La strada che porta alla bontà
 mi libera dall’ansia
 restituendomi un desiderio d’infinito.
     LA FAVOLA DI UNA PICCOLA LACRIMA
 Da una bimba e un pianto
 nacque lei
 piena di paure e ingenuità
 chiara e trasparente
 dai suoi occhi si affacciò
 e da quelle ciglia sottili
 piano piano scese giù.
 Attraversò quel viso
 dai lineamenti dolci
 pulito di bambina
 e per il mondo
 sola sola
 s’incamminò.
 Ma era troppo ingenua
 non conosceva il male
 e la sua vita
 era già in pericolo.
 E passarono in fretta gli anni
 e anche le stagioni
 venne presto l’inverno
 portando con sé la pioggia.
 Tante grandi gocce
 cadevano giù dal cielo
 tutte insieme,
 erano prepotenti
 si spingevano tra loro
 si bisticciavano.
 La dolce lacrima ben presto
 si trovò sommersa
 cercò di ribellarsi
 ma era troppo buona
 e non aveva la forza.
 Così per non morire
 pensò di tornare
 dentro quegli occhi
 dov’era nata.
 Sola e stanca
 cercò quella bambina
 la cercò dovunque
 e la trovò alla fine.
 Ma era ormai cresciuta
 non era più bambina
 il suo viso era truccato
 non si ricordò di lei
 e la cacciò via con forza.
 Così la povera lacrima
 restò proprio sola
 in balìa di tutti
 senza alcuna difesa.
 Vagava per il mondo
 ignorata da chiunque
 sembrava invisibile
 trasparente
 proprio come una lacrima.
 E venne il sole
 e con la sua luce
 forte forte
 la illuminò.
 Ma era ormai vecchia
 allo stremo delle forze
 e lentamente
 si sciolse da sola.
 Finisce così
 la sua insignificante vita,
 la sua insignificante storia
 e nel silenzio,
 la gocciolina
 muore.
 Così è il mio destino
 la storia di quella piccola lacrima
 è uguale alla mia.
        IL SILENZIO NEL SILENZIO
 Erba appena bagnata sulla livida terra,
 odore di pioggia da poco caduta
 trasporta nell’aria bollicine di sogni
 in questo autunno che scorre lento...
 Silenti alberi ammutoliti e spogliati
 attendono stanchi giovani foglie,
 con la nuova stagione arriveranno
 in questo autunno che respira lento...
 Un colore giallognolo suggestivo e irreale
 avvolge ogni cosa di magico incanto,
 sfumature di anime invocano il sole
 in questo autunno che sbadiglia lento...
 Piante e animali stanno dormendo,
 la natura è un fantasma che si aggira ramingo,
 persino le pietre chiudono gli occhi arrossati
 in questo autunno che dorme lento...
 Non si avvertono rumori, non si odono lamenti
 non c’è più linfa, è sottratta ogni energia
 domina il nulla immobile e statico
 in questo autunno che tace lento...
 Una coltre di nebbia come una nuvola
 disegna il paesaggio di malinconica assenza,
 una sottile tristezza scende sul cuore
 in questo autunno che muore lento...
 E in questo bosco solitario e sperduto
 dove anche il vento non ha la forza di soffiare,
 io perdo me stesso ed i miei pensieri
 e nel silenzio io rimango in silenzio.
   NARRAMI L’ADDIO
 Dimmi del tuo verbo,
 preziosa fioritura
 d’un ramo di ciliegio,
 slegando il tuo pensiero
 nel soffio del maestrale.
 Parlami dell’onde,
 in gioielli di turchese,
 che il mare partorì
 nel ventre dell’aurora.
 Suonami il canto
 che desta il fiume di memorie,
 aprendo tra le rocce
 profonde feritoie.
 Dell’erbe, poi, donami il profumo
 che al mondo porta il suo risveglio,
 dopo fiocchi candidi di dolci nevicate
 narrami l’addio del freddo sonno.
   FOGLIE D’AUTUNNO SUL CUORE
 Non cede il passo alla morte
 questo silenzio di riflessi tenui
 nel meriggio,
 un dolce intreccio di piccole luci
 che divorano, tremule, ombre ovattate.
 Forse solo l’impercettibile suono
 d’un brusio lontano
 che giunge sfidando pensieri assopiti,
 carezze morbide, candide piume che vengon giù
 come foglie d’autunno sul cuore.
    GIRASOLI
 Sfidavano austeri
 azzurri afosi,
 lo sguardo profuso d’incanti
 nei tramonti sterminati di terra,
 l’onda gialla di petali solari
 come una mano dalle lunghe dita.
 Era una culla ad arte plasmata
 dalla grande anima del vento,
 e quei giorni irradiati di speranze,
 nel calore biancastro dei desideri,
 offuscavano sovente i sensi
 abbandonando l’anima
 ai passi selvatici del vivere.
     CHIOME DI MANDORLI IN FIORE
 Così modellata in ambrato miele
 venne al mondo la resina bluastra del mattino,
 protesa al chiarore di poche nubi sfumate
 tra chiome di mandorli in fiore.
 Primavera! dissero, ma era solo
 la magia d’un antico risveglio,
 l’intarsio indolente di colline smeraldo,
 l’eco stordito dei passeri in volo.
 E nel lampo dei primi bagliori,
 dipinta in turchese fu l’onda del mare
 nel ricamo perenne di schiume d’avorio.
     NEL BAGLIORE D’UN TRAMONTO
 Qui ti vedo,
 struggente nube del mio cielo,
 nel riflesso di ricordi sulla pianura quieta,
 nella foschia che avvolge
 le colline addormentate di crepuscolo,
 nel silenzio che sospinge
 la mente oltre l’orizzonte:
 io ti vedo.
 Ancora non mia.
 Ancora uccello in volo,
 vento che passa e non resta.
 Sfuggente nube del mio cielo silenziosa e inerte
 nel bagliore d’un tramonto,
 che muore.
    PROFUMO D’AUTUNNO
 Calici rubini,
 foglie arse
 nel morire dei passi in fondo al viale.
 Oltre cristalli di liquida pioggia
 speranze esili come fuscelli spogli,
 le dolci parole di stelle in delirio
 per il nuovo addio alla calda stagione.
 Carezze rideste di foschi cieli
 languore di nubi nel profumo d’autunno
 e le candide nebbie
 che avvolgono il ventre in orme dolenti.
 Solo ieri eravamo erba di primavera
 oggi soffio di gelido vento.
   FUSI NEL VERDE
 Spiano, tra le fronde,
 pallidi volti senz’arti,
 così stupiti di vedere,
 fusi nel verde come riflessi
 d’uno stesso smeraldo.
 Due cuori poi vennero,
 mano nella mano,
 dal ventre d’ogni pianta,
 come respiro di vita
 linfa dell’essere.
 E non fu solo amore
 il passo del cammino,
 ma molte altre storie
 ancora da narrare.
   PASSI DI LUCE
 Passi di luce,
 in contrasto di cielo,
 deformano il tratto
 lievemente ambrato
 della carezza erbosa
 tra capelli leggeri.
 Alcova di fiabesche creature
 forse elfi assorti
 in dolci preghiere
 o sogni di nubi
 che spalancano piano
 sguardi radiosi
 sul nostro piccolo mondo.
   IN RELIGIOSO DELIRIO
 Mi porterai farfalle
 sul palmo della mano,
 come petali d’arcobaleno sconnessi.
 Le maschere del cuore,
 in religioso delirio,
 resteranno mute ad osservare
 valanghe di colori travolgere il mondo.
    RIVE LONTANE
 Rive lontane
 che placide attendete approdi
 di cuori smarriti,
 nella carezza di nebbie
 osservo il vostro sorriso languido
 sfiorato da voli eterei.
 Tremulo il volto del giorno
 m’appare incerto nella meta
 da questo vascello corroso
 che custodisce l’anima.
 Voce di quiete regna su queste terre,
 al di là dei mondi conosciuti,
 qui solo gli Erranti possono arrivare
 per abbandonarsi ad indicibili sogni
 nella placida culla d’acqua sciabordanti.
 Ma, ahimé, pochi giungono alle rive lontane,
 a sfiorare giunchiglie flessuose di vento,
 poiché i loro cuori, bramosi e impuri,
 rimangono impigliati nel velo di foschie.
 Il canto dell’oblio, poi,
 giunge inaspettato come soffio di gelo
 a costruire monumenti di cenere.
 Dimore di freddo marmo
 assiepate tra i boschi silenti
 popolano le solitudini umane,
 meschine creature,
 presuntuose e corrotte anime
 che sgretolano il loro essere
 al tocco del sole ardente.
 Rive lontane, aspettatemi!
 con fragili ali d’umanità
 anch’io, vi sto raggiungendo.
   CANCELLI
 Varchi di nebbie dense
 come cancelli aperti
 sui giardini dell’inverno,
 accarezzano marmoree figure, antiche armature
 che sembrano prendere forma e riacquistare vita
 lungo sentieri traslucidi d’ombre.
 Tra il soffuso crepitio dei passi,
 soffici foglie danzano la fine
 nel profondo silenzio del nulla
 come un leggero vapore che scema la terra.
 Fra le dita del crepuscolo
 aprirò i miei cancelli.
 O cielo, fa' che questa notte mi sia sorella
 affinché possa spargere i miei bagliori
 e fonderli in stelle!
    COME UN CORVO
 Una goccia di sangue rubino,
 rosso che stinge nel blu,
 s’oscura eclissando i pensieri
 negli antri bui d’un qualche incubo recondito.
 È forse il presagio che incombe sull’anima
 come una mano che dipinge ghiacci,
 è l’odore acro d’ataviche tempeste
 che implacabile spazza aridi steli.
 È il sapore di lacrime mischiato ad uva acerba
 nel vortice d’un grido che frantuma il silenzio
 come un corvo che plana rapace
 sui rami avvizziti d’un gelido inverno.
     AMBROSIA
 Nettare divino,
 capriccio di un dio pagano,
 inzuppami di cieli d’anima ed inebriami
 in questa notte in cui le stelle
 suonano violini di luce.
 Geme un angelo ai piedi di un muro infinito,
 i suoi occhi hanno veli di colori,
 cerco nelle sabbie e nei venti
 qualcosa che assomigli a verità,
 ma solo stracci di bugie nascono da albe stanche.
 Ere infinite sono trascorse in queste terre,
 tombe e muschi han ricoperto i prati,
 i fiori della notte sono sbocciati con petali d’incanto
 liberando lussuriosi profumi.
 Nettare che disseti,
 versa la tua essenza su questi mondi di uomini dormienti,
 destali da sonni eterni che accarezzano destini,
 lascia che la luce trafigga gli astri, che volino colombe,
 che remino barche verso la riva,
 non lasciarci in balia del buio, in città martoriate,
 a levare il canto d’una preghiera muta.
 Io cerco il tuo aroma nel calice di fiori di rugiada,
 spargo nenie al vento che mi travolge.
 Sulla strada del fiume vidi una donna ...
 i suoi occhi si posarono su me,
 aveva un mantello di dolcezze e il volto dell’amore.
 Ombra della mia ombra divenne il mio passo,
 sangue del mio sangue la sua vita terrena,
 ma ci divorò una bestia atroce.
 Ora sono tornato al calice dell’anima
 a bere questo nettare di illusione.
 Lasciami ai miei sogni, donami follia,
 canto con l’arpa in mano gesta di tempi che furono,
 sull’orlo della notte inseguo favole impazzite.
    ALI DI CERA
 Carezze di crepuscolo
 pervase di zagara
 nel gioco di tenui riflessi
 han spiegato ali di cera,
 bianchissime e candide
 lingue di pace
 al galoppo del vento.
 Forse eterei angeli
 venuti dal nulla
 prodighi di sogni
 ed ingenue purezze.
 Forse demoni arresi
 alla bellezza del cielo
 stanchi d’eresie infernali
 o semplici ricami di luce
 intarsiati d’ombre incombenti.
     SUSSURRI MILLENARI
 Segni di civiltà lontane
 perse nella notte dei tempi,
 la terra riporta alla luce
 vite disperse nel cosmo.
 Le pietre mute testimoni,
 raccontano storie
 a chi ha orecchie magiche
 per ascoltare il suono del vento,
 di mille foglie che sussurrano instancabili
 la vita.
    CHIAROSCURO
 Entra una luce obliqua,
 di sole dimenticato,
 dalla finestra del tempo
 a schiarire la scabra stanza.
 Ombre in controluce
 mi vengono incontro lievi,
 come foglie di un autunno senza fine,
 volteggiano nell’anima.
 Presto il tuo volto
 delinea contorni in chiaroscuro,
 un canto... un sussulto...
 colma siderali silenzi.
 - Ti prego ombra, danza con me! -
 Vestimi d’innocenza bambina,
 quegli echi di risa perdute
 risuonano ancora
 come carillons fatati.
 Sono petali di dolcezza
 che piovono su noi,
 visioni mai osate,
 sogni d’immensità,
 delitti di desideri abbandonati.
 E al fine, quando tutto cessa
 e il sogno si dilegua lesto
 nella notte silenziosa,
 resta sulla mia retina, impresso,
 un chiaroscuro dal tratto incerto,
 come se quella mano che disegnò
 non avesse fatto in tempo
 a trattenere l’attimo di luce.
    L’AMORE
 L’amore...
 triste fantasma dei miei ieri
 sparge ancora a tratti
 leggeri petali sul cuore.
 Come angelo ferito,
 che perde le sue piume in nevicate di dolore,
 ricopre i desideri di velati risvegli,
 dolce il suo tocco ferisce a sangue l’anima
 travolgendo i sogni in impossibili minuetti.
 Arpeggi dolcissimi di malinconie
 inghirlandano giorni d’autunno sfumati,
 somigliano a rose dischiuse sul sentiero di lievi respiri.
 L’amore...
 rondine smarrita senza primavere,
 archi che disegnano ombre al tramonto,
 oceano ed onde
 castelli di smeraldo,
 draghi sconfitti da lance avvelenate... l’amore.
 Eppure, m’è parso, stamane
 nel riverbero d’un’alba rassegnata,
 sentirlo alitare ancora in liquidi ardori
 sciogliendo le sue chiome di fuoco ai miei passi.
    ACACIE STRIDENTI
 Nell’aria a frusciare
 ibridi sonagli dai vaghi colori,
 protendono il verso, leggiadro,
 al sentore del vento,
 nel fertile giugno delle chimere.
 Sono acacie stridenti di pudiche foglie
 che sfiorano magiche il velo del cuore.
     LA TRISTEZZA DEL REGNO DI AWEL
 Del breve passo d’un istante
 si nutrono le gioie terrene,
 lampi fugaci, temporali evanescenti
 la luce cangiante nel ventre della foresta
 cela eterni misteri,
 solo i liquidi occhi di una pioggia di novembre
 possono sfiorare ingenui
 le foglie smeraldine del Regno di Awel.
 Il re senza corona,
 che regge lo scettro degli Aracnidi,
 non sa che la sua regina è scivolata in una brezza d’oblio
 e canta sospirando l’antica nenia del ritorno.
 Ma la gioia
 è cosa assai più rapida d’un batter di ciglio,
 mai più i passi di colei che intrecciava margherite
 accarezzeranno il mattino con petali candidi,
 nelle nuvole è rimasto il suo alone,
 nel vento, il profumo triste del perduto amore.
   GL’INQUIETI FOLLETTI DEL CUORE
 Nella penombra avvolgente
 d’un pomeriggio d’estate,
 un’esplosione di luce colpisce
 i muri bianchi dell’anima
 corrodendo ogni pietra
 sulla strada polverosa di caligine.
 Fasci di luce, che sembrano lame,
 entrano nelle stanze sonnolente
 ferendo le persiane accostate
 nell’attesa di baci di luna.
 E nel pulviscolo indecente,
 che il sole svela denudando, danzano ora
 gl’inquieti folletti del cuore.
    INCANTESIMI
 Ho udito voci stregate sulle soglie del buio
 bisbigliare incessanti nenie ancestrali.
 Invadono sentieri scoscesi,
 riflessi d’indaco sfumato,
 tra le foreste e i campi,
 baciando lapidi addormentate d’eterno.
 Nell’abside della luna, poche stelle,
 ergono cattedrali di smeraldo
 sulle rovine del giorno sconfitto,
 mentre una pioggia di piume d’angeli feriti
 trafigge l’oscurità di candida dolcezza.
 Fili d’erba a frusciare come arpe celtiche,
 arcaici suoni di mondi dimenticati,
 risvegliano indicibili malinconie
 nella danza del vento.
 Sortilegi di streghe nelle caverne del desiderio
 stringono in un abbraccio d’edera
 le nostre passioni,
 avvinghiate in un sudario febbrile.
 I nostri corpi trasformano ombre
 in coreografie di luminosi draghi.
 Rose carminie sbocciano ad ogni nostro respiro,
 elfici sussurri fremono tra le umide foglie dell’anima,
 freschi effluvi d’incensi muschiati si fondono
 in litanie di gufi nebbiosi
 e la tua mano scivola lieve tra le guglie del cuore
 come fumoso spettro etereo, imprendibile,
 che accarezzando sepolcri e rovine, subissando anatemi
 spezza segreti incantesimi e sigilli arcani.
     FOSCHI RESPIRI
 Animami!
 come nella notte di plenilunio,
 cadavere obliquo sui miei fianchi di cera.
 Straziami!
 lungo la pelle di graffi indossati
 con stellati artigli di liquide ombre.
 Accecami!
 con occhi stregati intrisi di perle e pugnali,
 suadente pressione di foschi respiri.
 Stregami!
 con dense parole rubate alle tenebre
 intarsi netti del cuore profondo.
 Uccidimi!
 nell’eco rimbombante d’illusioni tragiche,
 il mio lento veleno
 talamo e sudario del tuo ventre oscuro.
 Ora sono pronto
 a far l’amore con la morte.
     LONTANE ORME
 E scenderò
 lungo le sponde acquatiche dell’origine,
 figlio di soli raggianti,
 nella fertile terra madre d’ogni vita.
 E lo farò con quelle mani tese
 nel gesto di avere briciole di tempo,
 in un sinuoso cammino d’albe antiche,
 lontane orme tra il Tigri e l’Eufrate.
    MIA OMBRA
 Il pianto ha stuprato la città
 e tu vaghi indistinta con la mia anima,
 ombra, ti aspettavo, come sempre,
 per inseguire la tua lunga scia oscura,
 riverbero di nero, lacrima e lamento,
 perduto sogno sepolto negli abissi dell’infinito.
 Ho camminato per lunghe ere
 con la tua presenza al mio fianco,
 compagna di ore fameliche a divorare il nulla
 e adesso che il gelido vento,
 tristemente, scuote alberi e cuori,
 scorgo un bagliore incombente rischiarare il cielo,
 un’alba vicina che riscopre gli orrori del mondo,
 delicatezze violate,
 tenui respiri nel silenzio,
 ho ancora desiderio di te, mia ombra!
    CANDELABRI DI FOLLIA
 Quella notte il vento trascinò i respiri
 fino alle mura d’un’abbazia solenne
 ombre nella danza d’un crepuscolo di ghiaccio,
 occhi smarriti fra lagune silenti
 e l’anima tace come lapide in oblio,
 nel sussurro senza tempo
 che trafigge rosoni sventrati
 un mistico canto di rovi,
 tremula luce di candelabri di follia.
    SULLA SCIA DELL’AURORA
 Rosa purpurea, gelido fiore
 petalo di cristallo, profumo di cera.
 Gocce di linfa tra le mani impotenti
 carezze sopite nell’attesa d’un bacio
 che schiuda corolle e riverberi antichi.
 È danza di luci, sculture d’ombre,
 occhi che seducono
 nella seta di notti struggenti.
 Presenze indefinite,
 creature d’altri mondi,
 giungono stupite nel cuore
 tra fumo e vapore,
 tra sogni e speranze.
 Gemme di fuoco attraversano il silenzio
 regalando una pioggia di miele e d’ambra,
 geme l’anima nel risveglio inatteso
 scivolando lenta sulla scia dell’aurora.
   ATLANTIDE NEL CIELO
 Ma chi ti sommerse negli oceani
 se tu risplendi tra le nubi dei giorni
 coi leggiadri giardini sospesi nel vento?
 Genitrice di splendide passioni,
 perla pagana tra spezie stregate
 oro che riluce nell’oscurità del tempo,
 mito nel mito, leggenda errante,
 scomodo sogno di chi ti volle continente perduto.
    OMBRA DELLA VITA
 Silenzio,
 spazio circonciso,
 elastico fluttuare,
 un nulla dei sensi,
 un vuoto sadico,
 un respiro lento di notti insonni
 e giorni come vele perdute,
 in un mare stanco, ferito, livido,
 mi sorprendo ancora ombra della vita.
    QUANDO TU DORMI
 Quando tu dormi sdraiata al mio fianco, amor mio,
 sei il sogno che aleggia,
 il vapore sulfureo d’un mondo ignoto,
 tu sei scrigno di magie e misteri.
 Ed io che, come poeta, sbircio nel tuo respiro
 rubando il tesoro silenzioso di quel dolce sonno.
    FIGLIA DEL VENTO
 Lei è nata sulle rive del Sindh
 aveva lunghi capelli neri,
 sua madre la lavò nel fiume
 suo padre le cantò una canzone tribale.
 È nata mentre arrivava l’inverno
 le capanne erano fredde,
 crescendo ha teso la mano, la sua voce voleva parlare
 ma la gente volgeva lo sguardo altrove.
 Ha camminato a piedi scalzi
 e ballato sotto la luce del sole
 mentre i violini sembravano piangere in musica,
 e i vecchi del campo narravano misteriose leggende.
 L’hanno vista fare l’amore sulla terra nuda
 parlare agli animali
 sfogliare i petali d’un fiore
 giocare prendendo per mano i bambini del campo.
 Lei leggeva il destino
 vedeva l’anima riflessa negli occhi
 poi in silenzio
 riprendeva il suo cammino.
 È una ROM figlia del vento
 la sua strada è lunga e faticosa
 ma è libera e felice di essere quel che è:
 la vita è andare verso dove non sai.
   BAMBINO SEMPRE
 Mi hai chiuso gli occhi
 che avevo avuto in dono
 per farne pianto
 ai confini dell’aurora.
 S’è fatta sera
 senza ch’io vedessi giorno
 incatenato al limbo
 e nudo di carezze.
 Ti ho reso il cuore
 che non ha mai ricevuto amore
 sfogliando petali
 agli angoli del sogno.
 Non più domani
 per noi che abbiamo ali
 recise in volo
 verso il paradiso.
 Pensami stella,
 stanotte veglierò in silenzio,
 bambino sempre
 per mano del destino.
   L’ANGELO NERO
 L’angelo nero è tornato
 a bussare alla mia porta.
 È entrato
 senza che me ne accorgessi.
 Nel silenzio assoluto
 dei suoi passi inesistenti,
 mi avvolge nel suo manto
 fatto di fumo e di tenebre.
 Muta creatura
 della notte più buia,
 mi hai preso
 senza che un lamento
 venisse fuori dalle mie labbra gelide,
 bianche come la cera.
 Ora sono anch’io una creatura della notte
 una sorta di vampiro
 assetato di vita, assuefatto di morte,
 faccio parte del tuo mondo allucinante.
 Voglio solo fuggire via, nell’oscurità,
 spiegare le mie ali di pipistrello
 e volare lontano
 nella notte che adesso sento d’amare.
 Fuori il fiume sta scorrendo,
 dentro il fuoco non si spegne
 mai un momento,
 ed io come ti sento, io ti sento!
 E tu, angelo nero,
 ormai vivi nell’oscurità della mia anima
 come una candela accesa
 che va spegnendosi lentamente
 ma che non si consuma.
    BIMBA
 Quella notte,
 avvolta in una nuvola calda,
 una pallida luce nei tuoi occhi
 sussurrava mille parole,
 nascondeva mille segreti.
 Ti guardavo,
 ascoltavo il tuo respiro,
 sentivo i tuoi pensieri scivolare nel regno delle ombre.
 Avrei voluto seguirti anche lì
 per proteggerti nel sonno,
 tenerti per mano,
 baciare i tui piedi,
 stringerti,
 ascoltare battere il tuo cuore.
 Ma sono rimasto immobile a guardare il tuo viso.
 Angelo che socchiudi gli occhi,
 nell’istante in cui abbassi le palpebre,
 porta nei tuoi sogni
 il mio ultimo sorriso per te.
 Il tuo viso
 si distendeva dolce come non mai
 mentre la mia mano scivolava leggera
 donandoti sulla guancia l’ultima carezza.
 Dormi bimba mia, ti sussurravo piano
 per non svegliarti,
 e vicino a te provavo a chiudere gli occhi anch’io
 come fossi di colpo tornato bambino nella culla,
 e insieme attendevamo la nuova alba
 mentre nel soffitto, anche quella notte,
 brillavano miriadi di stelle.
   MIA DOLCE REGINA
 Non avrai mai più il suo sorriso
 immobile è l’immagine nei tuoi occhi,
 il regista ha chiuso il sipario
 straziante fine di una lunga sofferenza.
 Mia dolce regina, di questo teatro
 ascolta gli applausi della platea,
 il sentito ringraziamento
 per un’esibizione mai stata così vera.
 Ora che sei più leggera dell’aria,
 non aver paura di volare,
 perché non potrai mai più cadere.
 Lentamente abbandoni te stessa
 e, in un istante lungo una vita,
 rivedi tutto ciò che è stato
 e che mai più sarà.
 Invano tengo stretta la tua mano
 mentre le lacrime mi solcano il viso,
 tu sei già in paradiso.
 Sento ogni giorno la tua mancanza,
 ma mi basta alzare gli occhi al cielo
 e guardare il sole,
 ogni suo raggio mi porta il tuo sorriso.
    SILENZI
 Suonano rintocchi nella mia mente
 fragili oasi di rimembranze lontane
 sentieri e odori, ombre e querceti
 divine corse infantili.
 Di te tutto mi parla,
 sei come il vento
 l’aria
 il dolce canto d’uno scricciolo,
 e dipingo la mia anima di ricordi,
 il mio pensiero cerca improbabili fughe.
 L’eco dei tuoi silenzi
 annebbia ogni attimo, ogni vuoto.
 Dove sei impalpabile luce
 che perenne mi perdo a cercar?
     SULLE ALI DELLA FANTASIA
 Per tutta la vita ti ho cercata
 graziosa adolescente io ti ho sognata
 e nel mio cuor già dipinti
 v’erano i tuoi quadri pieni di colori e fantasia.
 E un bel giorno di primavera
 la tua voce lontana l’ho sentita vicina
 mia dolce principessina,
 finalmente hai trovato il tuo amato principe.
 Nel tuo mondo fantastico sono entrato con te
 rivivendo le fiabe nei tuoi quadri dipinte
 rifugiati insieme come creature senza tempo.
 Abbiamo viaggiato nel cielo ricco di luci e colori
 accarezzati dal sole e cullati dal vento,
 abbiamo cavalcato vicini le ali della fantasia.
 In quel mondo bambino tutto brillava
 ed era trasparente, ed era luminoso
 e come nelle fiabe tutto era possibile.
    QUANDO I NOSTRI SOGNI DIVENTERANNO AMORE
 Mi lascerò trascinare dal vento
 ascoltando la dolce melodia dei gabbiani,
 diventerò leggero come una piuma
 e navigando tra oceani di nuvole, ti ricorderò.
 Con la punta delle dita sfiorerò le stelle,
 e mi nutrirò della loro luce,
 danzando tra magiche aurore.
 Volerò come un angelo immortale
 e a cavallo di una stella cometa,
 giungerò sino in fondo al tuo cuore.
 Sfiorando leggermente le nostre labbra,
 ci guarderemo ancora una volta,
 ed esalando il nostro ultimo respiro,
 ci baceremo all’infinito
 trasformandoci in polvere di stelle.
 E ci rivedremo in un’altra vita,
 quando saremo tutti e due sogni
 o quando i nostri sogni diventeranno amore.
      OBLIO DI SENTIMENTI
 Fra le tenebre di questo mondo
 stolti e scellerati ansimano
 per il dominio di se stessi
 e la soppressione degli altri.
 Ma in quest’oceano di maledetti,
 magnifica la natura
 mi ha concesso l’immensità dei tempi,
 l’infinita profondità degli spazi,
 la tua divina esistenza
 che sola mi aggrada e mi conforta
 in quest’oblio di sentimenti.
     IL RISVEGLIO
 Tu che sei nato in estate
 quando la terra è gravida
 e l’aria è satura di fragranze e sapori,
 di colori vivi e di luce accecante,
 forse non ami l’autunno.
 Gli uccelli migrano lontano
 lasciando la terra desolata
 a ricordare nel sopraggiunto silenzio
 l’eco delle loro grida nel cielo.
 La luce del sole è ormai timida nel comparire,
 le nuvole nella notte trasformano la luna piena
 in un riflesso opaco.
 Ombre scure hanno preso il posto delle case
 ed hanno contorni indefiniti e tremanti.
 L’anima del mondo si è incarnata altrove
 e tu ne erediti le spoglie.
 Eppure,
 se riuscirai a soffermarti per un istante fra i rami spogli,
 ad ascoltare il vento che spazza via le foglie morte,
 a lasciarti accarezzare dalla pioggia sottile che rigenera i solchi,
 ad amare questa terra nuda e fredda
 attraverso le tenebre che l’avvolgono,
 ti accorgeresti di un respiro sommesso,
 del battito lieve di un cuore che sta riposando.
 E se saprai attendere paziente il risveglio,
 allora, avrai per te una terra vergine da fecondare
 e fiori e frutti riempiranno le tue mani,
 e nei tuoi occhi brillerà la luce
 d’un giorno senza tramonto.
 E udirai nuovi sussurri, nuove grida che avranno il tuo nome
 e stormi di uccelli che si libereranno per te soltanto
 imbastendo danze d’amore
 sulle note di una musica scritta per te
 dalle acque dei ruscelli.
 Ed il vento ti porterà in un viaggio senza fine
 accarezzando il tuo sorriso perché non svanisca,
 il sole penetrerà le tue membra
 per infondere calore e forza
 e sarai stordito di profumi inebrianti
 che rapiranno i tuoi sensi fino a confonderli.
 Allora,
 e solo allora, mi incontrerai di nuovo
 e guardandomi, non mi riconoscerai.
      IL TUO ANGELO BAMBINO
 In segreto,
 un amore ti dorme accanto,
 muto e invisibile,
 ha soltanto occhi per guardarti
 e mani che non possono stringerti.
 Della sua malinconia non ti accorgi
 quando lo guardi e non lo vedi,
 quando lo accarezzi e non lo senti.
 Come un fantasmino si aggira per la stanza
 urla a volte per destarti dal sonno ma invano
 e poi di nuovo tace
 vinto dalla tua indifferenza
 più solo e più piccolo di prima.
    L’ABISSO
 Ho spiato l’abisso dell’anima mia
 spalancando gli occhi incredulo
 a quel buio senza fine, senza luce.
 Ho teso la mano
 a toccare il fondo
 dove frammenti vagano
 in cerca di pace.
 Un dolore profondo a fiotti
 come magma infuocato
 travolge ogni cosa.
 Ferite aperte
 mai rimarginate
 ormai senza più riposo
 anelano carezze.
 I miei occhi impotenti
 ora scrutano tutto il mio dolore,
 nel buio piangono lacrime
 che brillano di sole.
   SPREMI IL MIO SUCCO
 Spremi il mio succo ragazza!
 spremi tutta la vigna
 e beviamo sino ad esserne ebbri
 che anch’io sono pazzo di te
 e di nuovo ardo di febbre.
 Spremine ancora e ancora
 e riempi la coppa proibita
 per brindare sorella all’aurora
 splendida amante della vita.
     ERA UN GIOCO
 Le rincorse sui prati
 quell’acchiapparci
 per finire lottando fra l’erba
 ... era un gioco.
 Era un gioco
 il mio corpo sul tuo
 e trattenerti vinta per terra,
 posarti la testa sul seno
 aspettando che il respiro
 tornasse leggero
 ... era un gioco.
 Era un gioco
 la prigionia contro i sassi
 del muretto tra i rovi,
 il tuo viso offerto nel sole
 la dolce schermaglia dei fianchi
 ... era un gioco.
 Ma quel gesto in più,
 la mia incontrollata reazione,
 la follia che ci prese
 e che ci sconvolse la vita,
 era un gioco dal quale
 non abbiamo più fatto ritorno.
      MEDUSA
 Chioma di Medusa
 ha i suoi tentacoli stesi sul letto.
 Salice piangente
 sul colle d’illusioni,
 la luce dell’alba l’accende
 fonde le fronde col cielo infuocato,
 disegna l’ombra e il profilo
 amaro e sommesso ... dolce e sottile ...
 ... fiero e slanciato.
 Occhi penetranti come fari di luce,
 inestinguibili fonti di vita,
 pozzi profondi, impercepibile essenza
 dolce presagio di un amaro futuro
 prova incombente di vita e di morte.
     ANIME GITANE
 Abitano una terra di confine
 piccole Charlot in blue jeans,
 crisalidi incantate,
 figlie di Veneri avare e rinnegate.
 Hanno sguardi intensi e fuggevoli
 e corpi sprofondati nei maglioni,
 a proteggere anime gitane senza casa.
 Vivono il sogno sospeso
 di adolescenti cresciute
 e di donne mai trovate,
 cercando in un volto lo specchio
 che rifletta quella parte di esse perduta.
     STELLA DEL MATTINO
 Bentornata stella del mattino
 ancora dai miei occhi sgorga pianto:
 che giorno è questo in cui tu dormi ignara,
 mentre io già veglio sui miei fantasmi antichi?
 Ti sveglierà l’odore del bosco
 e il lento dischiudersi di altri baci.
 Avrai suoni e colori anche per oggi.
 Io, soltanto la tristezza.
     ASCOLTA
 Per quel che vale anche tu ascolta
 non riesco a sbiadire il volto
 disegnato nella mappa della memoria,
 contorno scuro
 chioma di inchiostro e di seta.
 La tua voce rauca richiama
 lacrime come di rime sparse.
 E ti posseggo solo
 con parole che ripeto
 magia di nenia o canto,
 voce che si incunea
 fra i lacci della vita,
 su ciglia chiuse.
 Dimmi: sei una donna o una strega?
 le tue labbra dolce pretesto,
 nei tuoi occhi la magia:
 una bugia!
 La tua malizia mi accende
 il corpo mi rendi
 e l’anima vendi.
 Io ti seguirò
 annientandomi,
 fino a frantumarmi nella tua follia.
     PASSIONI FRA DONNE
 Danziamo molto vicine
 ma non ci tocchiamo,
 una specie di intimità sessuale ben presto
 ci costringe a usare le mani.
 La notte è calata su noi
 ma la musica ci riempie di energia,
 è eccitante spingerti su me,
 adoro sentirti mia.
 Bere dalla tua bocca
 ha un significato purificante per la mia arte,
 è così inebriante il tuo odore,
 sai che hai la voce sensuale.
 Sei divina, così aggressivamente tenera,
 farò di tutto per raggiungerti in quella sfera magica
 delle nostre menti che non sanno spegnersi
 nemmeno quando il corpo sa di anima.
 Perdonami se non ho parole
 per dirti quanto ci tengo alla luce
 che vedo nei tuoi occhi,
 siamo in pochi
 ad averla ancora.
 Stringimi, baciami, mordimi, abbracciami!
 Non voglio restare sola
 ora che tu con un sorriso
 cacci via ogni malinconia.
 Non posso che cercare
 di fare del tutto per renderti mia
 perché sei splendida, splendida, splendida
 così come sei.
     L’ANTIMATERIA DEL CUORE
 La persistenza del cuore,
 vorrei che questa cenere
 ti desse il segno che tu non sai.
 Ali di farfalla nella notte,
 il viaggio senza fine,
 il tuo profondo desiderio della terra australe.
 Siamo noi il confine, l’antinomia,
 il duro esserci per inerzia.
 La materia opaca del corpo
 per desolare il desiderio,
 solo gli occhi con un cenno vanno oltre.
 E mi dicono gli insonni spiriti dei luoghi siderali
 che nelle lacrime di Orione c’è l’amore ignoto
 come quando sul pontile ti chiesi un bacio che mi desti
 ma te lo vidi poi chiudere in cassaforte
 come un gioiello di antenati.
 Ma sconosco la chiave
 che gira a vuoto per questo silenzio di galassie
 sparse nel cosmo vagabonde,
 sento che l’antimateria del cuore
 è labile cometa
 visibile nella sua traccia di contigua assenza.
     PAGLIACCETTO AZZURRO
 Leggevo tempo fa
 le tue poesie,
 piccolo arcobaleno ribelle,
 scheggia di sorriso
 e di follia,
 fra la stanchezza generale
 che invade la gente.
 E mentre sfogliavo le tue pagine,
 ti vedevo
 pagliaccetto azzurro
 saltellare fra la rugiada,
 nei fiori giocare,
 coi fili d’erba
 burlati dal sole,
 amare la notte,
 e poi morire
 in un’autostrada di parole.
 Quanta tenerezza mi susciti!
 il mio mondo alla tua età
 era così simile.
 Vorrei dirti pagliaccetto azzurro
 non smettere mai di sognare
 ma non sarebbe giusto, ti farei del male.
 Siamo rimasti entrambi su una giostra di colori
 forse non riusciremo mai ad imparare a vivere.
     AL DI LÀ DELLA SIEPE
 Odore di foglie di menta
 bagnate in una notte estiva
 circondate dalle lucciole
 nel giardino della mia infanzia.
 Ascolto,
 a testa in giù come un acrobata,
 l’eco delle tue parole
 incontrare i miei pensieri,
 sottile momento di comunione
 al di là della siepe.
     IL MIO DELIRIO
 Cosa vedo,
 dai miei occhi trapela solo pensiero,
 solo erosione che non mi appartiene,
 amore che sfugge al mio delirio,
 passione che arde
 nell’oscurità dei miei giorni.
 Vedo potenti fiamme bruciare una casa
 eppure non è per me
 il chiarore che giunge alla mia vista,
 devo lasciare che bruci sola
 senza poterla salvare,
 però dentro di me un vortice di sensazioni
 scuote la mia mente.
 Il mio corpo vibra in una danza impazzita,
 si agita,
 è rovente,
 vuole amore,
 ma dove cerco, non trovo nulla,
 solo gelido inverno.
 Mi trapassa,
 mi gira intorno,
 mi lascia ferite sul corpo,
 mi dà dolore.
 Ora un fuoco riscalda la mia pelle,
 toglie l’antica solitudine,
 eccita i miei sensi,
 dà pienezza alla mia anima
 e mi libera da lei.
   MAGICA NOTTE
 Mi giungi nell’anima, magica notte!
 che hai ridato il sorriso al mio volto,
 uno sguardo ai miei occhi.
 Ho incontrato i tuoi, unici
 perfette lagune di sogni
 e tutto il mio corpo vibra
 attendendo di immergersi ancora in essi.
 E respirare la tua aria
 assaporare la tua vita
 sarebbe il sogno a cui la mia anima
 vorrebbe aggrapparsi
 per far divenire tutto
 calda estasi.
 Tu magica nella tua perfezione di donna,
 nelle tue dolci labbra
 sulle quali vorrei morire
 lasciando i miei sensi in delirio.
 Tu o notte,
 ipnotica visione
 che non voglio dimenticare
 lasciami il tuo ricordo,
 un tuo momento.
 Tenderò le braccia a te
 anima che delicatamente ti scopri a me.
 Ti toccherò con la mia,
 ti avvolgerò con il mio amore,
 ti darò pressante passione,
 ti offrirò tutto me stesso,
 il mio delirio per te.
    AQUILA DALLE GRANDI ALI
 Salti per il mondo
 e in cima in un attimo ti ritrovi,
 da quell’altezza sei tu la padrona,
 niente potrà più fermarti.
 Aquila dalle grandi ali
 ti stagli di profilo,
 i tuoi occhi
 puntano la preda.
 Cosa ricordi di te stessa?
 forse il fiore che ti generò,
 il respiro del fuoco,
 l’aria aperta.
 A chi somiglia?
 della natura sei complice
 bocca bellissima.
 Non avrò timori,
 il sentiero è dritto
 e la ghiaia bianca.
 L’erba che raccoglierai
 sul ciglio ti basterà
 e gli anni futuri
 ti vedranno fiera
 in cima alla montagna.
 Ed io saprò dove cercarti:
 nel tuo nido.
    ESTASI LUNARE
 Vedo l’inviolabile notte implorare,
 mi muoverò lentamente in un arido silenzio
 come un gatto protetto dalla sua torpidezza,
 cullerò un’infinità di rumori e di fumo
 e a stento la notte ritroverà la sua pace.
 Vedo un lucente angelo esanime,
 infido torcerò gemme colorate
 e vagherò nudo, tedioso e inerte
 tra i docili fremiti degli antri di donna
 e a stento l’angelo ritroverà la sua forza.
 Vedo un’incantevole regina piangere,
 rifiorirò tra le grinfie dell’amore e della vita
 nel perduto e meraviglioso oblio rosso
 sussurrando poesie tra le spire d’una stella
 e a stento la regina ritroverà il suo sorriso.
 Vedo una bambina perdere la sua infanzia,
 insidierò ancora l’umidità delle tentazioni,
 eviterò l’abbaglio dei cristalli
 cancellando anche il sapore della nebbia
 e a stento la bambina ritroverà il suo gioco.
 Ma nel solenne splendore delle mie visioni
 della notte, dell’angelo, della regina
 e persino dell’innocente bambina,
 attenuerò il lacerante taglio dei ricordi
 e danzerò nell’estasi lunare.
     ADOLESCENTE LUNA
 Erano brevi attimi di buio
 interrotti da labbra di neve,
 addolciti da profumi d’incenso
 e deliziose manie.
 Era l’estate appagante
 nella sua rossa solitudine
 assordante di rumori al sapore di grano.
 Ti adoravo mia adolescente luna,
 disegnandoti sul mio diario segreto
 illuminavi i miei giorni confusi, le notturne paure,
 e le memorie ancora acerbe prendevano forza
 in una danza eclettica di ondeggianti stelle.
 Eri mia, lunghi fianchi sinuosi
 distesi su letti d’argento,
 e lì riappariva il mare nella sua immensa distesa.
 Oggi che i miei giorni si consumano di vecchiaia,
 sei ancora mia
 attraverso rughe di arrugginite memorie.
       CREATURE SAFFICHE
 Svelatemi
 o Numi del cielo
 o amabile Venere
 o chiunque abbia creato l’Eros,
 svelatemi vi scongiuro
 l’arcano mistero di costoro:
 son giovanissime dee puttane
 e dolci figlie di Saffo?
 Ninfette in amore,
 amabili creature saffiche
 con i loro giovani corpi nudi
 attorcigliati e avvinghiati uno sull’altro
 fino a formarne un solo.
 Anima nell’anima
 respiro nel respiro
 fiamme di paradiso.
 Acerbi potentissimi sensi
 scambiatevi lancinanti effusioni,
 esplodete di malizia e innocenza.
 Brividi, sussulti e fremiti
 son lugubri rintocchi di messa funebre,
 orgasmi, orgasmi e orgasmi
 rosari sussurrati nel silenzio della chiesa.
 Grazie potente Zeus
 grazie divinità tutte dell’Olimpo
 per avermi donato occhi
 che possono ammirare
 così celestiale visione.
 Perdonami Dio della bontà e della purezza
 ma io non so rinunciare
 alla tentazione di quei corpi.
      CHE BELLA SEI
 Scorre la pioggia su di noi,
 che bella sei!
 sembri un cucciolo
 infreddolito, stretto nelle tue spalle.
 È bello il rumore
 dell’acqua sull’asfalto tra pozzanghere di specchi
 e aghi di pioggia che cadono giù.
 È dolce sentire
 il tuo corpo umido
 contro il mio, bere dalle tue labbra.
 Vedere i tuoi capelli gocciolare
 arruffati selvaggiamente
 stupendi nel loro disordine.
 Che bella sei!
 troppo bella per essere tangibile,
 per essere mia.
 Sento che sei parte di un sogno
 ed ho paura di svegliarmi,
 vorrei morire dormendo
 con te al mio fianco.
      IL RESPIRO LENTO DELLA FINE
 E odo soltanto
 l’impercettibile canto delle farfalle
 quelle ebbre di vita nel loro ultimo giorno.
 Il respiro lento della fine
 ancor più mi strazia le carni,
 mi indica il sentiero.
 Una spirale di nebbia mi avvolge,
 i rovi fermano i miei passi,
 in lontananza un pallido sole
 allunga le ombre dei cipressi
 che come antichi guardiani scandiscono il mio tempo
 con le loro lance sugli scudi di bronzo.
      L’EFEBO NELL’ANTICA GRECIA
 Che splendor mio grazioso giovinetto
 quasi femmineo puro tutto ben curato
 sii pronto su è giunta l’ora
 d’esser da viril uom sodomizzato.
 Oh si è bello è natural
 e l’accoppiamento sai è gran giusta cosa
 eroe e signor diman anche tu sarai
 assai degno di fedele sposa.
 Che aperte menti pensatrici
 avean quei greci valorosi!
 oggi mamma mia che tabù sarebbe
 s’aprirebber celle per ricchi e per morosi.
 Come corri in fretta pazza civiltà
 c’è internét altro che lontan caverne
 siam del progresso già tutti robots
 e al natural piacer addio senza più goderne.
 Così Sant’Uomini col mal dentro Sé stessi
 san trovarlo ovunque persin dove non sta
 e ciò che con durezza sono pronti a condannar
 in segreto è praticato in Lor Sacra Autorità.
    IO L’HO VISTA
 Io l’ho vista
 quand’ero ancora adolescente e mi sentivo solo
 in un freddo pomeriggio d’inverno,
 nel silenzio,
 in quella grotta buia coperta da fronde.
 L’ho vista
 nella sua nudità d’angelo
 librarsi in volo con le sue ali dorate,
 mi ha parlato
 con la sua voce dolce e suadente.
 L’ho vista, lo giuro!
 anche se nessuno mi vuol credere,
 mi ha detto di non svelare il suo segreto
 che da allora è anche il mio.
 Nella notte delle stelle cadenti
 sono tornato nel punto dove mi è apparsa
 ma non ho veduto più nulla
 silenzio assoluto anche del vento,
 ma una luce brillante si è accesa
 subito dopo che sono andato via.
 Da allora la Madonna non ha mai smesso
 di comunicare con me proteggendomi e guidandomi.
    IL CLOWN
 Se in questa vita proprio devo fingere
 voglio essere un clown
 un trasformista multicolore
 che diverte il mondo scherzando di sé.
 Voglio essere l’arcano numero zero,
 l’amico dei bambini,
 il nano di corte, il giullare, il folletto.
 Voglio essere il folle saltimbanco
 che entra in scena,
 che rompe gli schemi,
 che fa ridere i cuori,
 che sa indossare sulla guancia dipinta
 una lacrima vera camuffata per finta.
 Sarò triste come Pierrot
 o forse allegro come Arlecchino,
 non so neanch’io quello che diventerò.
      LETTERA AD UN AMORE LONTANO
  Messina 16-12-1989
 È quasi Natale ormai ma non è più festa per me,
 ogni giorno è uguale all’altro.
 Io lo so che in paradiso
 non si può vivere per sempre,
 ma nei tuoi occhi l’infinito
 libera la mia mente,
 se potessi io ti raggiungerei dovunque.
 Sei tu
 che mi fai sognare, ridere, impazzire.
 Sei tu
 che mi dai il coraggio di ricominciare.
 Con te
 ci sarà ancora tutto da scoprire
 ed io so già
 che la mia vita cambierà colore.
 Ma tutto ormai appartiene al passato
 e sembra non avere futuro.
 Oggi cammino da solo per le strade ricche di addobbi natalizi
 straniero anche per me stesso con la sola compagnia di lacrime che sanno di sale,
 non so dove vado né se sto vivendo.
 Mi sono guardato riflesso allo specchio
 la barba lunga, i capelli arruffati
 io sono cambiato sai
 ma si è abbruttito pure il tempo, non si vede più il sole.
 Quando l’aria si trasforma all’improvviso
 e la tramontana sale,
 è il mio cuore che mi chiede dove sei
 e proprio in quei momenti tristi,
 mi rendo conto che lunghe distanze
 ormai mi separano da te.
 Una sottile crescente malinconia
 allora mi prende sempre più
 e sembra che mi arrivi da lontano il calore della tua pelle,
 mi par di sentire il suono della tua voce,
 il ritmo regolare dei tuoi respiri sul mio petto.
 E mi lascio andare così
 alla dolce melodia di questi pensieri
 e dentro di me fra mille paure
 conservo ancora il tuo fuoco.
 Giuliana, io darei qualunque cosa per rivederti un solo istante,
 mi chiedo se è lo stesso anche per te.
   Con amore, tuo Claudio
     SOLO NEL CIMITERO DEI VIVENTI
 Solo,
 insieme a mitiche creature,
 mi cullo su un filo di ragnatela.
 Navigo nel mondo
 su di una zattera fatta di sogni,
 le mie vele idee immorali,
 i miei remi i miei peccati.
 Solo,
 con arti di plastica
 che sfiorano il mio corpo,
 lo scuotono in convulsi balli tribali,
 in un vortice nero perdo me stesso
 per ritrovarmi vuoto
 senz’anima.
 Solo,
 sotto la pallida luce
 di una sterile luna invernale,
 vago per il cimitero dei viventi
 che chiamo casa.
 Solo,
 attraverso la linea di confine,
 unico superstite di un’era di scintille e ferro,
 passo al di là dello specchio.
 Le mie orme si confondono con quelle del mio clone
 nell’arido deserto dell’Ade.
    ACROBATI
 Emozioni sul trapezio della vita,
 equilibri instabili di cuori in bilico,
 questo è il nostro destino,
 essere acrobati
 rappresentare ogni giorno noi stessi
 ora guitti, ora attori dai mille volti,
 capaci sempre di carpire l’ultimo applauso,
 sempre pronti a giocare con il fato.
 Nella notte offriremo lo spettacolo più bello,
 saliremo sul ciglio della luna,
 saremo giocolieri delle stelle,
 cammineremo in punta di piedi nei sogni dei bambini
 e strapperemo loro lo stupore più innocente,
 salteremo di cuore in cuore.
 Questa è la nostra forza,
 questa è la nostra scelta:
 essere equilibristi di noi stessi.
     I SEGRETI DELLA LUNA
 Per ore lunghe e lievi
 ho scrutato i segreti della luna,
 e senza accorgermi,
 una notte dietro l’altra,
 ho cercato una forma di vita
 sul suo pallido volto
 per colmare questo purpureo calice
 ancor vuoto.
 È vero,
 eterni sentimenti ci uniscono,
 e come lupo in fuga,
 orfano d’eteree rimembranze,
 tendo le mani e la ricerca
 nel mezzo dei suoi argentei fili,
 chioma di madre celeste.
 Non sogni o fatue visioni,
 non amori o delitti,
 non tormento o quiete
 a cui abbandonarsi
 finché lei resta lassù
 con il capo chino
 sulle mie mani aperte.
                                         LA FORZA DELLA PREGHIERA
Tanto tempo fa
qualcuno disse:
“Se non sarete puri come bambini
 non entrerete nel regno dei cieli”.
Poi,
aggiunse di pregare
col cuore e con fede,
per ottenere qualunque cosa.
L’uomo,
da sempre lontano dal Creatore
con le mani giunte,
per la prima volta iniziò a pregare.
Dopo pianse di gioia
e il mostro a tante teste
diventò un coleottero,
l’orco cattivo
si trasformò in un arcangelo bambino.
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alemicheli76 · 4 years
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La mia professoressa di storia dell’università sosteneva sempre che è nella cosiddetta piccola storia che su può apprendere il vero elemento che rende questa disciplina indispensabile: lo spirito del tempo.
I secoli che passano, tra eventi più o meno sanguinari, i cambiamenti sociali e politici, le alleanza, e le conquiste non sono altro che indicatori della brava e autentica motivazione alla base di questo strano percorso a spirale: l’evoluzione.
E per evoluzione si intende un non meramente scientifico, quando intimo e morale.
Sono le macine del grande mulino che dando spazio a un era o l’altra, possono donarci complessivamente una visione di insieme laddove è il dentro dell’essere umano a cambiare, è la sua mentalità, la prospettiva, i valori e persino la sua anima.
Ecco, la meraviglia dello spirito del tempo che timido si nasconde dietro accadimenti puramente e fintamente logici che vanno vivisezionati per tirar fuori le cosiddette radici illogiche di ogni azione e di ogni evento.
E cosi noi studiamo la storia per comprendere chi siamo e forse il mondo verso cui sogniamo di dirigerci, quasi mai simile a quello delle nostre utopie.
I grande fatti, come le battaglie, come gli intrighi politici sono, dunque, specchietti per le allodole.
E’ nella vita di tutti i giorni, in come essa dagli stessi viene trasformata a celare il vero autentico sentimento storico.
Non è nella battaglia di Lepanto, ad esempio, il vero interesse nello storico, ma a tutto ciò che ruota attorno e che ci fa comprendere come, anche le realtà più brutali fanno nascere ibridi interessanti, fanno avvicinare le culture e creano la nostra sfaccettata identità.
E cosi una semplice guerra navale si arricchisce di quelle piccole storie che la rendono unica, che ne isolano il vero significato, che stravolgono le vite degli umili più che dei potenti, che cambiano drasticamente gli occhiali con cui guardare il mondo.
Non è tanto nella battaglia di Annibale il tratto particolare, quanto nell’impatto che esso ebbe sulla popolazione a rendere leggendarie le sue gesta. Furono forse, i suoi 37 elefanti a diventare storia più della sua meravigliosa tattica e strategia. E cosi bisogna, se si vuole immergersi nel passato, trovare spiegazione non tanto nel clamoroso quanto nel piccolo, nel consueto per comprendere come cambia il quotidiano di fronte alle grandi storie che irrompono quasi amai a passo leggiadro, nella nostra esistenza.
La Giustiniani lo ha compreso bene, tanto che il suo racconto del meraviglioso Egitto specie dei periodi più traumatici, si interseca con vicissitudini apparentemente banali ma che contengono tutta la rivoluzionaria specificità di quegli anni confusi. Id che età stiamo parlando?
Non so quanti di voi masticano le storia del sacro Egitto, ma per noi appassionati il momento più tragico e al tempo stesso più interessante, fu il periodo che va dall’ascesa del faraone eretico alla sua morte, fino a toccare il breve regno del suo sfortunato erede. E’ in quell’attimo che si compie il vero cambiamento dell’Egitto che si troverà a dover cambiare la sua radicata identità culturale.
Amenofi IV, conosciuto più comunemente Akhenaton, fu un sovrano molto particolare, oserei dire eccessivamente particolare.
Egli, infatti operò una riforma religiosa che non toccava solo il culto formale ma sopratutto sostanziale ossia introdusse un culto solare al posto di quello “stellare” dell’antichità.
Secondo molti studiosi e io sono concorde, non si tratto di una vera rivoluzione monoteistica, come è passato nell’immaginario popolare. Non introdusse una religione rivelata che potesse dare origine e radici al cristianesimo.
Più che altro si potrebbe individuare un substrato semitico dell’innovazione tanto da far propendere a un meraviglioso Freud per una strana e inquietante somiglianza tra Mosè e il re eretico. Fu, quindi una solarizzazione delle divinità riunite nella forma di Amon Ra.
Il risultato fu una sorta di religione universalistica che però è molto lontana dal vero monotesimo, tanto che Max Muller verso la fine del XIX secolo parlò di enoteismo.
Con tale termine si indica una religione che si contrappone fortemente all’animismo, ossia all’esistenza di una moltitudine di divinità ognuna con una sua identità ben definita, per passare a una divinità principiale, unica da cui si irradiavano divinità secondarie.
Parti dello stesso tutto. Diciamo che forse, Akhenaton fu un pro-tocibernetico.
Ma bando alle ciance filosofiche…quello che va sottolineato, dunque, è la conspegueza sociale e politica di tale “innovazione”: il riunire le varie personificazioni della natura sotto un unico elemento significava limitare sensibilmente il potere sacerdotale.
Se la divinità era secondaria e emanazione dell’unico, anche il potere della casta andava a diminuire. Fu quindi più che manovra religiosa profondamente politica, evitando la delega del sacro a un clero specializzato.
Aton, permise la percezione immediata dal divino in netta opposizione alla divinità quasi nascoste del pantheon stellare.
Ciò significava la perdita costante di influenza di Osiride e di tutte le pratiche funerarie egizie: grazie a Aton tutti potevano sperare nel paradiso del Duat.
Se per molti storici l’influenza sul popolo fu minima, quella sul clero e sull’èlite fu sicuramente di grande importanza.
L’assolutismo teocratico ne usci rafforzato, raggiungendo quasi lo stesso potere del diritto medievale del re.
Mentre il popolo continuava in fondo a venerare le divinità tradizionali, capaci di rassicurare un identità messa in crisi non solo da questa riforma ma dalle pressioni ai suoi confini da parte di ittiti e Mitanni, le alte cariche dello stato iniziarono una sorta di muta ribellione.
Dopo la sua morte e l’avvento la regno del re bambino Tutankhamon la situazione mostrò tutta la sua crisi interna:la messa in disparte di istanze locali in favore dell’amministrazione centralizzata, provocò un sistema di corruzione, intrighi contro cui, più tardi dovette combattere il faraone Horemheb.
Ecco che la Giustiniani usa, come scenario per le avventure/disavventure di Nimaat proprio questo contesto di transizione.
Ricco di complotti, di insicurezza, di tradimenti e di valori messi in discussione, i protagonisti si muovono sul filo del rasoio alla ricerca di un identità del se messa in discussione proprio dai cambiamenti.
Il culto di Aton messo poi da parte dal Tutankhamon che ristabilì forse costretto l’antico culto pone i nostri protagonisti in una sorta di limbo in cui tutto è confuso e nulla è certo.
Lo stesso rapporto tra padre e figlia Thutmosi e Nimaat sembra richiamare questo conflitto tra il faraone padre di tutto l’Egitto e i suoi sudditi, che non si riconoscono più nelle leggi e nelle sue parole, non si riconoscono più in una terra che ha visto troppi ripensamenti, che è sta preda di troppe rivisitazioni, e di poche certezze.
Che non riesce più a essere immagine del cielo e della Maat cosmica e troppo immagine del principio caotico di Seth.
E cosi nel primo libro, la città dei morti o la città Set-Maat tenta di trovare se stessa attraverso la manualità creativa,trovandosi, però il blocco di convenzioni sociali che la osteggiano e al tempo stesso la stimolano, fino a costringerla a infrangerle.
Nimaat è l’immagine di un Egitto che non si arrende e che tenta d salvare se stesso coniugando il passato con il presente, un presente meno coinvolgente meno certo e meno avvolgente.
L’Egitto di questi libri appare cosi fragile, in costante pericolo non più unito sotto lo sguardo benevolo degli Dei.
Essi si sono ritirati, essi hanno sciolto l’Enneade, e lasciato i propri figli abbandonati, nel caos.
Nel sigillo di Anubis è il dio dei morti a dominare.
Con il suo sguardo di fuoco osserva il mondo conosciuto sfaldarsi lentamente, sotto giochi di potere che compromettono il legame originario tra la terra e il sovrano, tra il sovrano e il popolo sempre più in balia di scelta più impronta alla ragion di stato che al raggiungimento della vera unica finalità del patto di governo degli antichi: la concordanza di cielo e terra.
Ecco che si assiste non solo al crepuscolo di una dinastia, ma di un intero paese. L’Egitto di Nimaat non sarà più quello raccontato nelle leggende, lontano dal Zep Tepi, lontano da ogni sogno e da ogni utopia. Il suo ultimo regalo al mondo sarà appunto la città dei morti, dove un giovane Carter scoprirà tesori inestimabili ma anche la maledizione che accompagnerà il giovane sfortunato sovrano per tutta la vita: essere stato incapace di divenire il collante tea passato e futuro, figli odi tempi fragili, figlio di una decadenza che, forse è inscritta nel DNA delle grandi civiltà. L’Egitto, da allora non sarà mai più lo stesso. Diretto verso il declino, si lascerà alle spalle un passato glorioso quasi sommerso dalla sabbia del tempo.
Tra amori e lacrime, tra avventure e meravigliosi intrighi, l’Egitto dei miei sogni mi parla attraverso il contesto tornato a vivere grazie alla penna talentuosa di Isabel
Arriverà il momento in cui si vedrà che gli Egiziani hanno onorato gli Dei con sincera pietà e assiduo servizio; e si vedrà che tutta la nostra santa adorazione sarà stata inutile e inefficace
Perché gli Dei torneranno in cielo dalla Terra.
L’Egitto sarà abbandonato e la Terra che una volta fu la casa della religione rimarrà vuota, sprovvista della presenza dei suoi Dei.
Questa terra e regione sarà piena di stranieri; e gli uomini non si occuperanno più del servizio per gli Dei,ma anche…; e l’Egitto sarà occupato da Sciiti o Indiani e da qualche razza dei paesi barbari della zona. Quel giorno la nostra terra più sacra, terra di santuari e templi si riempirà di funerali e cadaveri
…. e questa terra che una volta fu santa, una terra che amava gli Dei e nella quale , come ricompensa della sua devozione, gli Dei si degnarono di risiedere sulla Terra, una terra che fu la maestra dell’umanità per santità e pietà, questa terra andrà aldilà di ogni fatto crudele….
Oh Egitto, Egitto, della tua religione non rimarrà che racconto vuoto, a cui i tuoi stessi in futuro non crederanno; non rimarranno altro che delle parole scolpite e solo le pietre parleranno della tua pietà.
E in quei giorni gli uomini saranno stanchi della vita, e smetteranno di pensare all’universo come degno di rispetto e ammirazione.
E così la religione, la più grande di tutte le benedizioni, perché non c’è niente e non c’è stato nè ci sarà cosa che possa considerarsi una benedizione più grande, sarà minacciata dalla distruzione; gli uomini la considereranno un peso e arriveranno a disprezzarla.
Non ameranno più questo mondo che ci circonda, questa opera incomparabile di Dio, questa struttura gloriosa che egli ha costruito, quella somma di beni composti da molte forme diverse, questo strumento con il quale la volontà di Dio opera su quello che lui ha fatto, favorendo diligentemente il benessere dell’uomo, questa combinazione e accumulo di tutte le molteplici cose che possono provocare la venerazione, l’adorazione e l’amore di chi è osservante.
Si preferirà l’oscurità alla luce e la morte sarà considerata più redditizia della vita;nessuno alzerà gli occhi al cielo; i pietosi saranno considerati pazzi e gli empi saggi; il pazzo sarà considerato un uomo di valore e i malvagi buoni.
In quanto all’anima, e la credenza che è immortale per natura o può sperare di raggiungere l’immortalità, come ti ho insegnato, si burleranno di tutto ciò e si convinceranno che è falso.
Nessuna parola di reverenza o pietà, nessuna dichiarazione degna del cielo e degli Dei del cielo, sarà ascoltata o creduta.
E così gli Dei si allontaneranno dall’umanità, una cosa grave! E rimarranno solo angeli malvagi che si mescoleranno con gli uomini e condurranno i poveri disgraziati con la forza verso ogni genere di crimini insensati, guerre ruberie e frodi e tutte quelle cose ostili alla natura dell’anima….
Così la vecchiaia scenderà sul mondo. La religione già non esisterà più e tutte le cose saranno disordinate storte, tutto ciò che è buono scomparirà.
Asclepio III
  Il romanzo di Tutankhamon “La città dei morti” e “Il sigillo di Anubis”. di Isabel Giustiniani. A cura di Alessandra Micheli La mia professoressa di storia dell'università sosteneva sempre che è nella cosiddetta piccola storia che su può apprendere il vero elemento che rende questa disciplina indispensabile: lo spirito del tempo.
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sakrum1 · 4 years
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Mercoledì 15 Gennaio 2020 : Commento Sant'Antonio di Padova
Si dice a ragione: "Giacobbe vide in sogno una scala"; per mezzo di essa puoi elevarti (...). Questa scala, a due montanti e sei gradini, rappresenta Gesù Cristo, la sua natura umana e divina, e le sue virtù: l'umiltà e la povertà, la sapienza e la misericordia, la pazienza e l'obbedienza. Gesù fu umile assumendo la nostra natura e quando "ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,48). Fu povero nella nascita, quando la Vergine povera lo diede alla luce non ebbe altro luogo dove posarlo, avvolto in fascie, che una mangiatoia per animali (cfr Lc 2,7). Fu sapiente nella predicazione, perché cominciò col fare e poi insegnare (At 1,1). Fu misericordioso accogliendo i peccatori: "Non sono venuto - disse - per chiamare i giusti, ma i peccatori alla penitenza" (cfr Mt 9,13). Fu paziente sotto i colpi di frusta, gli schiaffi, gli sputi: "Rendo la mia faccia dura come pietra", dice per bocca di Isaia (50,7). Gesù "oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta" (cfr 1Pt 2,23). E infine fu "obbediente fino alla morte di croce" (Fil 2,8). Questa scala era poggiata sulla terra quando Cristo predicava e operava miracoli; toccava il cielo quando passava notti pregando il Padre. Ecco dunque che la scala si è alzata. Perché non sali? Perché continui a trascinare a terra mani e piedi? Sali dunque. Salite angeli, vescovi, superiori religiosi e fedeli di Gesù Cristo! Salite, vi dico, contemplate quanto soave è il Signore; scendete per aiutare e consigliare, poiché è di questo che ha bisogno il prossimo. Perché cercate di arrivare a questa montagna per altre vie e non con questa scala?
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