Tumgik
#pure il navigatore si perde
elianashome · 5 years
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Venessia 2019
Foto1: Hotel Principe, quattro stelle di hall e colazione ciccionissima, temperature caraibiche e vista “mozzafiato” dalla nostra piccinissima camera
Foto2: Ponte di Rialto (ci siamo passati, giusto? Cit)
Foto3: Ca D’Oro che guardiamo solo da fuori perché col cazzo che spendiamo altri soldi, siam superficiali e ci interessa solo la tua facciata
Foto4: “ho sceso dandoti milioni di braccia milioni di scale e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino”. Grazie ad uno dei pochi quadri senza volti di madri e bambini deformati per aver rappresentato alla perfezione questa poesia autentica del signor Montale, che mi ricorda gli innumerevoli ponti e quindi gli innumerevoli scalini affrontati in questi giorni
Foto5: vista di Piazza San Marco, Basilica e Torre dell’Orologio da una finestra del Museo Correr(non ho altri commenti, sono una bravissima fotografa e a quanto pare “me la credo” per questo)
Foto6: Libreria Acqua Alta, famosa in tutta Europa e un po’ strettina, a tal punto che c’è chi spintona e butta giù povere signore indifese pur di passare avanti
Foto7: Burano, isoletta bella solo per le casette colorate che fanno sembrare il mondo un cartone animato(ahimé però il Museo del Merletto è il più noioso e piccolo del globo). Insieme a Torcello è diventata l’isola del litigio (quanto è stupido mangiare in un parco circondati da piccioni e con le mani congelate), si salva solo Murano, che per questo sarà l’isola predestinata per il matrimonio
Foto8: dolci esclusivi di ImprontaCafe, che insieme ai suoi antipasti ci han fatto sognare a bocca aperta e salivante, anche a distanza di un giorno. Da Pedrocchi con il suo pesce liscoso e asciutto, al Florida con una beshtia di orata e la giacca unta di sughetto, per concludere le cene da viziatoni con il ristorante più buono provato a Venessia. Ci tornerei anche solo per tornar lì, lo ammetto
Foto9: due innamoratini sulla Loggia della Basilica di San Marco, fotografati da una coppia che aveva palesemente appena litigato. Da un lato un iracondo, dall’altro una disorientata con la testa fra le nuvole. Da un lato un occhio gonfio, dall’altro un naso tappatissimo. Tra sperperate di 6 euro al casinò e camminate, camminate e camminate, due teneri avventurieri pronti a vedere tutta la città più unica al mondo(tranne San Giorgio, l’Accedemia, i giardini di Sant’Elena, l’Arsenale, il Teatro La Fenice e tutti quei musei non compresi nel nostro caro MuseumPass. Insomma, forse non abbiamo visto proprio tutto...)
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Strong Winds Ahead
Arrivi a trent’anni e coinciliare desideri altrui e tuoi non è più una priorità, anzi, a dire il vero non ne hai proprio più voglia: non sei più quell’ingenua ventenne che pensa che il tempo ti aspetti e che rimandare sia normale, il tempo stringe a 35 e allora un’estate ti svegli e ti ritrovi a fare un road trip con 15 sconosciuti, che presenterò tra poco, nel Far West americano per 12 giorni Manuela: anni 58, architetto di Roma che un giorno si rompe le palle e se ne va a Tahiti a vivere campando di rendita/affitto 2/3 appartamenti. Giovanile e innamorata di un indiano del posto, sposato. Patrick: ex militare francese originario del nord-est della Francia, ora a Tahiti perché in pensione, si occupa di qualcosa dell’ambasciata francese lí. Ha la faccia da uno che volendo potrebbe schiacciarti il cranio con poco. Elaine: bella ragazza metà britannica e metà fiorentina, disegnatrice di accessori di moda, 39 anni e ne dimostra 24. Mortacci sua. Very sympa. Laura P: professoressa di latino rompicoglioni, molto attiva e avventurosa, crea scompiglio nel gruppo, vuole decidere senza averne il titolo e fotografa ogni cosa si muova. Laura L: calabrese che vive al Pigneto di Roma, in gamba e alla mano, innamorata di una chimera, è venuta PER LA FOTTA. Massimo, Fabio: li presento insieme perché unonè un allenatore di calcio di Treviso e l’altro un 30enne mainstream della provincia di Milano ma entrambi son qui per ruttare davanti a tutti e vedere se ci scappa un acchiappo; probabilmente entrambi hanno votato Salvini, ma nel caso si vergognano e questo va già bene. Carlotta ed Elisabetta sono due medici di Legnano, ragazze acqua e sapone, quasi quarantenni che non creeranno mai alcun problema. Livio è un ingegnere di Bassano del Grappa, non altissimo e pelato, quasi albino, apparentemente grezzo ma cool: però sicuro non la vede da un po’. Paolo è un 45enne di Biella a cui non sfuggirebbe un colletto non stirato, un’asciugamani fuori posto, però si adatta e sta zitto, quindi applausi per lui. Federico, 30enne revisore dei conti di Poggibonsi, ragazzino carino e precisino, il classico che mai si scomporrà o farà il passo più lungo della propria gamba. Le ILARIE: entrambe venete, entrambe maschilissime, entrambe le compagne di viaggio che vorresti avere. Una forse è lella. Clara, 30enne (anche lei ne dimostra 23, sigh) impiegata di Casale Monferrato, provincia nordica pura ma attentissima al look e a rimorchiare. Con questo bel mix il viaggio non inizia nel migliore dei modi perché chi arriva da Milano grazie ai ritardissimi della United arriva il giorno dopo, fermandosi una notte a New York: noi partiti da Roma perché non approfittare di questo tempo e scappare dalla bettola aeroportuale gestita da cinesi in cui si alloggia a Los Angeles per andare a fare un giro a Hollywood? Troviamo un Uber e il nostro Reidondo diventa il nostro Ambrogio: arriva perfino a presentarci ai suoi amici dell’Aroma Breakfast, per dei pancake da paura. La vita da ricchi però dura poco e presto iniziamo l’on the road: Millemila km per arrivare a Needles, una ridente cittadina di QUATTRO anime al confine tra California e Arizona, passando per la ridente Victorville, in cui spiccano ben tre ristoranti/fast food; ma la cosa che mai più vorrò rivivere sono le TRE ORE in tangenziale a L.A. , roba che quando torno a Roma bacio il raccordo e me lo coccolo. A Needles il motel è discreto, però ci sono ben 42 gradi alle 11 di sera, il fuoco che esce dalle viscere della terra e una coppia di harleysti, marito e moglie, che alle sei sono svegli a far colazione belli sudati e puzzolenti. È la giornata degli 800 km, in Arizona arriviamo all’Eagle Point del Grand Canyon, dove per SOLI SETTANTA DOLLARI puoi usufruire dello Skywalk, una sorta di mezza luna di vetro sospesa sul Canyon sulla quale cammini tra svenimenti ed esibizionismo. Nel frattempo i petomani Fabio e Massimo ci provano tra Clara e Laura L, entrambe sembrano non disdegnare, mentre Laura P è sempre l’ultima del gruppo e pe sta gente qua ci vuole il guinzaglio. O lasciarla lí. Decidiamo di cenare a Winslow, questo caratteristico luogo dell’Arizona dove anni fa cadde una meteora e ora puoi visitare un enorme cratere; a Winslow anche un unico ristorante, a ridosso della HISTORIC ROUTE 66: il Falcon, gestito da un signore che porta calzini più lunghi dei suoi pantaloncini che ha assunto un indios con una maglietta bianca che raffigura un bambino che impugna un mitra: tutto molto rassicurante. Non quanto il poliziotto che un’ora dopo, nel buio pesto delle nove di sera ci fermerà e ci ammonirà di non esserci fermati a uno stop: io capisco che a Winslow ti rompi i coglioni, però sei figo gioia mia, trasferisciti! Come non bastasse, abbiamo 2,40h per Chinle -dove il giorno dopo visiteremo il bellissimo Canyon de Chelly all’interno della Riserva Navajo- che diventano 3,40h grazie al navigatore che si perde, che pare volette di’ “Aho ma ndo cazzo m’hai portato? Io nte ce porto”. Sembra uno di quel film dell’orrore nel quale non esci dal loop, però all’1,20 di notte miracolosamente usciamo da quella dimensione parallela e stanchi morti, crolliamo: non prima di una scena dell’asilo di Laura P che non vuole dormire con una raffreddata (Manuela). Il Canyon de Chelly, soprattutto lo Spider Rock, si conferma clamoroso, e finalmente si fanno pure le scalate e i km a piedi: poi dritti per Tuba City, una cittadina con due pompe di benzina e un Mc Donald; intorno, per centinaia di km, il NULLA. Adesso nel nulla si dorme però, che domani c’è la Monument Valley.
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unaguerrierafragile · 6 years
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Stare come quando parti, imposti il navigatore verso una destinazione, verso una meta e nel tragitto entri dentro una galleria dove il gps si perde e non lo riesci più a trovare neppure quando esci fuori. Stare come quando vai a fare una passeggiata con il sorriso sul volto, e all'improvviso ti ritrovi tra mille vie che non ti sembra di conoscere. Stare come quando sei dentro ad un bosco convinto di saperti orientare ma finisci per non sapere più nemmeno il punto di partenza. Stare così, come se avessi perso il senso dell'orientamento. Stare come se fossi perso. Semplicemente stare. Stare fermo con il corpo ma con la testa che sta da un'altra parte, che viaggia immensamente tra l'oscurità della mente. Stare paralizzato come se tutto intorno a te non valesse nulla e si sgretolasse davanti ai tuoi occhi. E poi di colpo pure la vista sparisce e non capisci davvero dove ti trovi. Stare paralizzato e chiedersi dove stanno le emozioni. Stare, che non vuol dire vivere, ma solo esistere.
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sangha-scaramuccia · 6 years
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18-19 novembre Arco-Castel Presina
Inizio settimana, mal tempo e freddo. Nevica sulle colline alle spalle di Reggio Emilia. Chissà se si andrà comunque nel fine settimana a far vie lunghe tra Arco e la Val d'Adige.
Contatto Beo per sapere se viene e chiedergli un passaggio. Non può, nulla da fare. Sento Francesco a Desenzano, già più scomodo da raggiungere, ma non sa. Non ha mai percorso vie lunghe, sentirà prima Taino per sapere che ne dice. Mi richiama il giorno dopo: “niente da fare, non è ancora il momento”.
Intanto è giovedì, telefono al maestro: “certo che si va, siamo in otto, c'è anche Francesco”, “come? Mi ha appena riferito che gli hai detto di no” faccio io. Ribatte Taino: “cambiano le cose rapidamente, una rinuncia e si era dispari, quindi l'ho richiamato dicendogli di venire. Ti si passa a prendere al casello dell'autostrada a Carpi, sabato alle 10”.
Sabato mattina sto per uscire di casa, suona il telefono: “Sei ancora a casa?” mi domanda Taino, alla mia risposta positiva il maestro mi chiede di portare una corda. Presto fatto, zaino in spalla e sacca della corda a tracolla. Prendo la bicicletta e via alla stazione. Alle 8:20 sono a Carpi, devo percorrere poco più di 5 km per arrivare al casello dell'autostrada. C'è tempo, attraverso il centro storico di Carpi, col mercato del sabato, in un'aria frizzante sotto i primi raggi del sole. Una buona focaccia in un forno cittadino e già il centro è alle spalle. Google map mi indica la strada, ma adesso mi porta verso la tangenziale. Non è l'ideale andando a piedi, meglio cercare alternative secondarie. Così alle 9:30 sono nel bar di un benzinaio a 400 metri dal casello, secondo google. Mi scaldo, un caffè e arriva la telefonata di Alvise: “siamo al casello”. “Cinque minuti e arrivo” faccio io. E via di buon passo, quando il navigatore mi dice volta a sinistra eseguo e proseguo. Dopo poco riguardo lo smartphone, la distanza è diventata di quasi 2 km. Capitolo, richiamo Alvise dandogli le coordinate e poco dopo arrivano a prendermi in due auto. Salgo coi romani, Filippo, Luca e Giorgio. Nell'altra auto ci sono Taino, Alvise, Lea e un loro amico cui stanno dando un passaggio sino a Verona.
Si riparte diretti ad Affi dove ci attende Francesco. Ancora una tappa all'albergo ristorante Al Platano, a Caprino Veronese, per avvertire della nostra venuta e poi via, alle pareti.
Il programma in origine prevedeva per sabato di andare ad Arco, ed era stato pensato per un allievo che in agosto a Ferentillo aveva espresso il desiderio di arrampicare in quel luogo. Ma ora, dato che il richiedente non era venuto, e viste le poche ore di luce, le guide decidono di stare i due giorni nella stessa zona. Per cui si è andati a Castel Presina. Sulla via Quel che passa il convento (150 m – 6 tiri) Alvise con Paolo e Luca con Filippo. Poco più a destra sulla via Sognando una bionda (140 m – 5 tiri) Taino con Francesco e Giorgio con Lea. Alle 15:30, dopo due ore e mezza, si è fuori e, tanto per non farsi mancare niente si va alla falesia Giardino delle peonie a fare qualche monotiro. Un paio di corde messe e altre lasciate da un gruppo di simpatici locali coi quali si parla volentieri. Gli allievi, piuttosto cotti, se la cavano con un tiro, i Mario due o più. Piacevole il locale che assicura Lea dandole indicazioni su un 6C, dopo poco si tacita dicendo: “si muove bene la ragazza!”.
Si torna alle auto che ormai è buio, strisce arancioni all'orizzonte oltre il lago di Garda.
Ci si ferma al bar di Pazzon. Il luogo di aggregazione del paese. Anziani ciacolanti, gente di mezza età con tatuaggi e orecchini che attaccano bottone, un neonato che attrae tutti. La vita dei piccoli centri, brr. Francesco offre in onore della sua prima via lunga.
Si torna Al Platano, il bar è pieno, sullo schermo la partita Napoli Milan, videogiochi. Si cena bene, in una grande veranda sul giardino con il platano centenario che da il nome alla via e all'albergo. Si termina con le grappe alla menta di montagna e quella al basilico fatte dal ristoratore che si intrattiene con noi e ci avvisa che la nostra meta per il giorno successivo di primo mattino è in un posto freddo e ci consiglia di andare in alto.
Le guide invece sono determinate e domenica mattina si punta decisi per la Chiusa di Ceraino. Complice un semaforo rosso una macchina si perde, così dopo un poco di attesa ci si ricompatta e si va alla base della parete con l'auto. In effetti si è in ombra e con il vento. Le giacche, imbottite o meno, ci stanno bene.  Si va su Una faccia una razza (110 m – 5 tiri ) Alvise con Francesco e Luca con Filippo, poco più a lato su al magico bettio (90 m dalla cengia – 6 tiri) Taino con Paolo e Giorgio con Lea.
Alle 12:30 si è in cima, con attenzione si scende alla base su una traccia di sentiero. I giovani sarebbero per qualche monotiro, gli altri sono per l'andare a casa. Così dopo tante placche delicate e passi di equilibrio ci si leva. C’è chi è stato sfiorato da una pietra e si accorge del segno quando toglie l’imbrago, chi ha ripestato su recenti ferite alle dita e pure io col braccio sinistro che non collabora più.
Ultima sosta in un bar a Rivoli, oltre a noi ciclisti avvolti in lucide calzamaglie. Ognuno, noi e loro, con la propria divisa.
Si rientra. In breve siamo a Carpi, ancora due passi per andare in stazione in mezzo al passeggio della domenica. L'attesa del treno, altri idiomi e colori, il senso di un mondo dilatato ma oggi non triste.
Paolo Shōju
Foto di Lea
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