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tuttopernulla · 9 years
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Premessa: Michele Serra è una delle espressioni meno deteriori di un giornalismo, quello italiano, che nel complesso andrebbe solo smantellato. Ciò non gli ha impedito, però, di scrivere un articolo che attinge all'arsenale di populismo ignorante dispensato a piene mani da Feltri e Sallusti. Il buon Serra brandisce due armi retoriche, in particolare: l'appello alla tradizione e alla vox populi, e il moderatismo salottiero. Fumogeni più che armi letali, utili per oscurare il campo di battaglia e disarmare lo scontro, così che tutto rimanga uguale a prima. Bisogna pur difendere la società, avrebbe detto Foucault.
La tautologia va così: la gente alleva animali, dunque non c'è niente di male a farlo. Chi ritiene che sia sbagliato può suggerirlo, non gridarlo. Argomenti facili, buoni a occupare il centro, attorno a cui gravitano i signori pensosi ma educati. Argomenti perfettamente leciti, se si discutesse di maggioritario e proporzionale. Quello che sembra sfuggire a Serra è la dimensione radicalmente etica del problema. Ed è la misura di quanto sia frainteso il discorso animalista da parte dei media, e dell'opinione pubblica in generale - in larga parte, per colpa degli animalisti stessi, ma tant'è.
Serra pensa che il discorso animalista sia negoziabile. Non è così: la coscienza della questione animale si fonda sulla sproporzione fra l'abisso etico degli allevamenti e i benefici economici che ne derivano. Derogare a una posizione del genere non si può: sarebbe come dire che far andare le fabbriche di gomma è tutto sommato una buona ragione per i lager, a patto che si trattino decentemente i prigionieri. Se le basi del discorso animalista sono sensate, ne consegue che gli allevamenti sono un male radicale. A differenza del male relativo, il male radicale non è riformabile, non è accettabile, e deve essere cancellato dalla mappa cognitiva della realtà. Considerare quelle basi più o meno solide, poi, dipende essenzialmente da come leggiamo i risultati dell'etologia alla luce dell'etica, ma Serra non sembra intenzionato a sviluppare una riflessione del genere nella sua annoiatissima Amaca.
Come molti, Serra riconduce il movimento animalista a un almanacco di attivismi tra il meritorio e il radical chic, non troppo diverso dalla difesa dei dialetti locali o dalla campagna per le piste ciclabili. Solo in quest'ottica è possibile sollevare un problema di educazione, rispetto, finanche di legalità. Ma nel momento in cui si sconfina dal territorio del Rotary Club a quello di Antigone, ci si rende conto di come la questione animale non riguardi solo, e nemmeno primariamente, gli animali: rinnova piuttosto l'antico duello fra la fanciulla e Creonte.
Per questa ragione l'articolo di Serra è inquietante: c'è qui un tentativo, tanto più pericoloso quanto involontario, di sovrapporre il buon senso all'etica. La vecchia abitudine che ha la mediocrazia italiana di addomesticare i conflitti, tanto discutibile quanto quella di addomesticare gli animali.
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tuttopernulla · 9 years
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Nel 1766 Jean-François Lefebvre d'Ormesson, cavaliere de La Barre, non si toglie il cappello al passaggio di una processione. Di conseguenza viene arrestato, torturato e decapitato. Le sue ceneri vengono sparse nella Somme, insieme a quelle del Dizionario Filosofico di Voltaire. Un martire, si direbbe, antesignano del martire Charlie. Come il martire Charlie, un magnifico debosciato, che conservava insieme ai libelli dei Philosophes romanzacci pornografici. Un martire, lo sappiamo, non deve essere per forza teologo. Non deve aver meditato finemente tutti gli articoli di fede: basta che, la fede, la senta e la viva fino all'estremo sacrificio. Perciò è sterile il discorso intorno al pessimo gusto, sovente stupido, delle vignette di Charlie Hebdo: non l'opera di quei vignettisti ne ha fatto degli alfieri della libertà. Solo la loro morte. Come è sterile il discorso intorno a quale pace proclami davvero la Religione della Pace. Perché i fratelli Kouachi non saranno stati certo i migliori interpreti dell'ortodossia coranica, ma certo l'hanno vissuta al meglio delle loro capacità di comprenderla. Ed è proprio questo discorso, invece, a non essere affatto sterile.
Corre, senza dubbio, un abisso di complessità fra le teorizzazioni di un Evola, di un Pound, di un Gentile e la vulgata di Iannone, Fiore e Salvini, e un abisso quasi altrettanto ampio fra le loro facce mediatiche e i grugni dei picchiatori, effettivi o aspiranti, che fanno loro da base. Nondimeno, quella base esiste, come un oceano in tempesta sul quale oscilla la palafitta della democrazia. E la democrazia, se vuole sopravvivere in quanto tale, non può ignorare il timore platonico dell'óchlos, la patologia manzoniana delle masse affamate, la Psicologia delle folle su cui si sono formati i grandi dittatori del '900. Di certo, le democrazie occidentali hanno ben chiara l'entità del rischio, e l'hanno affrontato abdicando, occasionalmente, alla pretesa di una libertà d'espressione non negoziabile. Non mi riferisco soltanto ai Patriot Acts ispirati dalla rabbia di nazioni ferite, ma a quelle restrizioni che sono portanti nell'edificio delle nostre società: alle fattispecie di apologia di fascismo, istigazione all'odio, revisionismo. Se uno storico finisce in carcere per aver negato l'Olocausto, la società non lo sta punendo per i suoi demeriti accademici, o solo perché mente: piuttosto perché ignora colpevolmente l'effetto delle sue opinioni sul pubblico, o meglio su quella parte del pubblico disposta a tradurle, anche indirettamente, in prassi. Ma ora, che all'oceano delle masse occidentali portano acqua i fiumi tributari dell'immigrazione, sarebbe forse una buona idea rivedere ed estere i limiti della nostra legittima difesa.
La libertà agnostica, quella di Diogene che viveva come i cani, è solo un orizzonte filosofico: non si sa quanto desiderabile, certo irraggiungibile. Ogni formulazione della libertà è figlia della società che l'ha prodotta, e la nostra è figlia anche e soprattutto di eventi come il martirio di de La Barre. Quello che ci è mancato, finora, è stato il coraggio di riconoscere, accettare e proclamare la partigianeria della nostra idea di libertà. Di abbracciare per intero la matrice illuminista, razionalista e laica della nostra idea di libertà. Questa reticenza, questa pavida pretesa di essere patria di tutti e patria di nessuno, non ci permette di dichiarare l'incompatibilità fra certi sistemi ideologici e la sopravvivenza della società occidentale. Non perché siano intrinsecamente sbagliate, ma perché la storia ci dimostra quanto a fondo possano sprofondarci nella notte dell'errore. Ci sono nuclei ideologici facili da diffondere e radicalizzare: la dottrina che il Corano sia autorità superiore alle leggi dello Stato è uno fra questi. Ma non è il solo: di questi giorni è la boutade di Papa Francesco, simpatica se si vuole, riguardo al pugno che è giusto dare a qualcuno che si comporta male. Di questi giorni è anche l'ignobile episodio del ragazzo gay portato via di forza dal convengo milanese in difesa della famiglia. Un episodio tra i tanti di reazionaria intolleranza, che la "base" cattolica esprime continuamente, con buona pace della prudenza dei vescovi. Sollevare accuse nei confronti del Papa, come del buon imam dedito al digiuno e alla preghiera, non ha senso: è chiaro che, umanamente, non sono responsabili, perché umanamente ognuno è responsabile delle proprie azioni, e solo delle proprie. Ma possiamo ancora permetterci di assolverli anche giuridicamente? Abbiamo le forze per difendere una libertà ancora priva di contenuti, senza semantica, di fronte a nemici che impregnano di significato ogni frammento del mondo? La mia opinione è che la società occidentale sarà costretta a scegliere una direzione per la propria libertà: una libertà corazzata, che si articoli intorno a un nucleo inderogabile, indiscutibile, pietra di paragone di tutta la vita pubblica. Il nucleo nel quale riposano i nostri martiri debosciati, tutto sommato preferibili ai loro santi.
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tuttopernulla · 9 years
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Io c'ho troppo odio
In un periodo di odio del tutto giustificato contro l'Islam, il mio magistero di giovane intellettuale mi impone di ricordare alla società che anche l'odio contro il Cristianesimo è pienamente giustificato. E lo faccio linkando il mio sito preferito.
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tuttopernulla · 9 years
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Identità
La rabbia, l'indignazione, la paura sono sentimenti facili, i sentimenti elementari che animano il manicheismo delle nuove, vecchie destre di questo continente. E per le nuove, vecchie destre di questo continente il giorno dell'attentato in Francia è stato una giornata campale. E non solo, anche per quell'ancestrale destra teocratica che il mondo islamico non ha mai avuto il coraggio, o la fortuna - diciamo la circostanza - di combattere, se non estirpare con le ghigliottine. La giornata campale in cui trionfa la narrazione lineare della realtà. I giorni degli attentati sono sempre giorni di noi-contro-loro. E a trionfare, infatti, sono i nostri fondamentalisti come i loro, ché in fondo sono tutti fondamentalisti di una sola cosa, cioè della semplicità. Delle scritte sui muri, degli aneddoti di piazza, dei problemi di prima. Uccidere l'avversario non è funzionale alla sua morte, ma piuttosto un modo sbrigativo per cooptarlo nella nostra narrativa: se muore era un nemico perché l'abbiamo ucciso, se resiste lo è ipso facto. Ma l'uccisione è un mezzo, non il fine. Il fine, comune ai nostri e ai loro, è la scrittura di un riassunto del mondo, e la sua riduzione successiva a libro sacro, slogan, scritta sul muro. Sulla nostra Santanché che da del pedofilo a Maometto e su quelli che sparano perché qualcuno ha dato del pedofilo a Maometto pesa lo stesso ammonimento: timeo hominem unius libri.
E se rabbia, indignazione e paura sono sentimenti facili, dolorosamente complesso è questo sentirsi orfani, culturalmente e politicamente. Perché non c'è una sola forza politica, oggi, in grado di rappresentare l'Europa e difenderla al tempo stesso. Chi pretende di difenderla, il Fronte Nazionale e Farage e i grillini compagni di banco dei neonazisti, non l'ha mai capita. Ha sentito, e ripete, solo un'imbarazzante cacofonia di sangue e suolo, ordine e polenta, corporativismo da battaglia del grano. Chi pretende di difendere l'Europa dai barconi e dallo spirito di Bruxelles non lo sa nemmeno, che esiste un'Europa, come patria sovranazionale dei valori condivisi, canone multilinguistico di letteratura, storiografia, filosofia. Se sono greci si riconosceranno in Pericle, se sono francesi in Voltaire, se sono italiani forse in Maldini padre. Ma se vinceranno non ci sarà nessuna Europa da difendere, solo una linea tracciata col gesso fra la nostra ignoranza e quella del resto del mondo.
E poi ci sono quelli che, invece, pretendono di rappresentare l'Europa e non sono in grado di difenderla. Perché questa libertà scavata dal dentro e ridotta al liberismo non potrà mai diventare un'identità. Nessuno proverà mai orgoglio per le frontiere spalancate al dumping salariale, nessuno si alzerà mai in piedi per difendere il pareggio di bilancio e l'opportunità di delocalizzare dove costa meno. L'UE, che dovrebbe rappresentare l'Europa, non ha nessuna storia da raccontare agli europei: solo un marasma di trattati e magheggi finanziari.
Essere orfani quindi, in Europa, significa soprattutto essere orfani di una storia. Prima ancora che di un partito, di una storia. Senza qualcuno che sappia rivendicarla in tutta la sua complessità l'Europa non sarà mai altro che una serie di corpi esposti alla violenza delle armi.
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tuttopernulla · 9 years
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Carbonifero
Nella scatola di Skinner insegnano ai piccoli animali - siano essi topi, o moscerini o noi classificati male, refusi burocratici - insegnano la differenza fra il freddo e il caldo, col dolore finché i soggetti rimangono tutti solo da una parte, con le zampe in bocca. Così non farmi vivere alla mia altezza, non farmi estendere la voce dal negoziato fra timbro e suono di uno che chiama il cameriere all'all-you-can-eat, e lo schiocco involontario della laringe. Tu sai che variamente sopravviviamo nell'abbraccio dei termosifoni, nel bacio offerto a pareti invisibili, architettura di lapidi sfogliate intorno alle antere. Tu sai che è più facile impacchettare i genitali e le poesie di Maria Cvetaeva, dichiararsi come un elenco di elenchi, malattie regressive prossime alla guarigione, solo bisognose di un disperato riposo.
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tuttopernulla · 9 years
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Machiavelli e la sopravvivenza
"...perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la preservazione sua: perché uno uomo, che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni." 
Oggi muore la ragazza tedesca che aveva difeso altre due ragazzine dalle molestie di una banda di bulletti in un McDonald. La faccenda, per chi non lo sapesse, è che uno di questi bulletti, un serbo, l'ha aspettata fuori, l'ha presa a pugni e l'ha mandata in coma. La faccenda è anche che queste molestie andavano avanti da mezz'ora, e nessuno nel locale ha mosso un dito. Nemmeno gli schiavi alle casse. Nemmeno quella sottospecie di guardie farlocche che stanno nei fast food. La faccenda è anche che le due ragazzine, quelle salvate, si sono date alla macchia e si rifiutano di testimoniare. Nessuno ha visto niente. 
In Germania, non a Corleone. Ora, è quantomeno buona creanza riconoscere la nobiltà del gesto di questo ragazza. E io spero che le diano un pacco di medaglie al valore. Quelle che si danno ai morti. Ma fermarsi alla glorificazione è una trappola che dobbiamo evitare, se davvero vogliamo leggere il senso di questo sacrificio. Perché sapete, ci sono gesti nobili compiuti per cause sbagliate. Ci sono i ragazzi di Salò, i martiri dell'ISIS. Ci sono anche gesti nobili che sono ugualmente inutili. C'è la carica di Balaclava, ci sono i missionari che vanno a farsi ammazzare in Nigeria.  
La dinamica dei fatti grida che il gesto della ragazza tedesca, dell'angelo del McDonald, è sia inutile che sbagliato. Sbagliato e inutile di fronte a un orrore viscido, uno schifo che trasuda dagli eventi ed è così fosco da non permettere distinzioni, analisi, teoresi. Il branco di bulli, gli schiavetti indifferenti, le ragazzine codarde: sono tutte figure dello stesso inferno, dell'inferno che è la specie umana e che, a scorno di Don Puglisi, non conosce rive, confini, altro da sé. Pregare per le anime dei dannati, ci dicono i teologi, non è solo vano, ma anche un peccato. La volontà di Dio è immutabile. Lo sapevano Agostino di Ippona, Calvino il riformatore, che la giustizia cosmica è il contrario di quella logica: chiunque non sia fatto innocente, allora è colpevole.  
Questa forma di altruismo, questo orizzonte morale che ci mostrano fin da bambini, aiutare gli altri rinunciando a sé, non è altro che la tassa segreta imposta ai buoni da un sistema intrinsecamente depravato, che produce depravazione e impone la depravazione come strategia di sopravvivenza. è il modo per depoliticizzare e desemantizzare la bontà: volontariato e non rivolta, sacrificio e non affermazione di sé. La catena di montaggio che fabbrica martiri dagli eroi, perché il mondo sia lasciato uguale dal loro passaggio.  
Ma c'è una domanda, elementare, infantile, e sempre aggirata. Una domanda che questi eventi, in Germania, impongono. Si tratta di una domanda necessaria, se non vogliamo cedere al culto della morte, alla mistica che annebbia il mondo di fronte all'eterno. Se lo meritavano? Le vittime, meritavano di essere salvate? I colpevoli, che fosse limitata la loro colpa? Quelli che non si voltano meritano che qualcun altro si volti? Questi umani, le figurine carbonizzate di quel microcosmo infernale, meritano che qualcuno muoia per loro, contro di loro, al posto loro? Io credo di no.
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tuttopernulla · 10 years
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Come ti pare. Se sei convinta che lo studio accademico dei videogiochi in questi pochi anni abbia conseguito la strumentazione teorica e l'indipendenza accademica necessarie per la definizione di "mondo", pace. Io conto i paper pubblicati e non mi sembra, però.
(prima nazista, poi grillino. Le stai azzeccando tutte).
Ok, lo so che alla maggior parte delle persone su Tumblr l’hashtag #GamerGate non dice nulla. Quelli che però bazzicano nel mondo dei videogiochi…
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tuttopernulla · 10 years
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Espen Aarseth, appunto, è per formazione un comparatista. Un comparatista che si occupa di videogiochi in uno dei rari corsi dedicati ai videogiochi nel mondo. Riesco a spiegarmi?
Ok, lo so che alla maggior parte delle persone su Tumblr l’hashtag #GamerGate non dice nulla. Quelli che però bazzicano nel mondo dei videogiochi…
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tuttopernulla · 10 years
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Non ci intendiamo sulla definizione di mondo accademico, immagino. C'è un interesse accademico (come c'è per qualsiasi espressione della cultura umana), ma un mondo accademico implica una rete di cattedre, un canone, una tradizione, una diffusa produzione di testi. Ti invito a leggere gli autori dei paper che mi hai linkato: appartengono in larga parte ai dipartimenti di studi cinematografici, mediali, sociologici o addirittura teatrali, non hanno ruoli accademici in ambito videogiochi.
Apprezzo parecchio anche l'attribuzione di negazionismo, che onora la mia ascendenza ebraica:)
Ok, lo so che alla maggior parte delle persone su Tumblr l’hashtag #GamerGate non dice nulla. Quelli che però bazzicano nel mondo dei videogiochi…
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tuttopernulla · 10 years
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Mi pare stessimo parlando di mondo accademico dei videogiochi, non di teoria dei giochi. Perché così è più o meno come dire che la teoria della letteratura costituisce prova di un mondo accademico mocciano. Ci saranno tre o quattro paper su Moccia, eh, ma questo non un mondo accademico fa.
(curiosamente, è ammesso anche in uno dei link che hai appena citato: "there is a general dearth of critical inquiry on digital games")
Ok, lo so che alla maggior parte delle persone su Tumblr l’hashtag #GamerGate non dice nulla. Quelli che però bazzicano nel mondo dei videogiochi…
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tuttopernulla · 10 years
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Esiste un mondo accademico dei videogiochi? Devono averlo tirato su questa notte, perché non se ne è accorto nessuno. 
Ok, lo so che alla maggior parte delle persone su Tumblr l’hashtag #GamerGate non dice nulla. Quelli che però bazzicano nel mondo dei videogiochi…
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tuttopernulla · 10 years
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Ragione e sentimento
Oggi mi sono preparato due spaghetti alle cozze. Mi piacciono molto, però prima di comprare le cozze ho riguardato un po' lo stato della ricerca sui bivalvi. Sostanzialmente, i bivalvi sono animali con un sistema nervoso gangliare, ed è estremamente improbabile che provino sensazioni riconoscibili come dolore. O meglio, il materialismo riduzionista potrebbe essere sbagliato o incompleto, e magari anche i ravanelli provano qualcosa in termini panpsichistici, però allo stato attuale questo abbiamo, e questo sappiamo.
Mentre mi mettevo a posto la coscienza per i miei spaghetti, dunque, ho trovato alcune discussioni riguardo all'argomento. Alle discussioni rispondevano principalmente donne, e principalmente con argomenti del tipo "si muovono, hanno la linguetta, sono carine". Ecco, stando alle statistiche la scelta vegan e vegeratiana è principalmente una scelta femminile - il che rende la cosa ancora più difficile per me, visto che sono calabrese e non ci tengo a passare per ricchione. 
Ora, aggiustiamo le statistiche tenendo conto di un fatto fondamentale, cioè che a parecchie donne non piace mangiare, o non se lo fanno piacere perché reputano più importante pesare dodici kg che vivere nella gioia. Togliamo dall'equazione veganismo-sive-anoressia, quindi. Resta un altro dato importante, cioè quello del vegetarianesimo come scelta emotiva. 
Evitiamo tutta la filosofia della differenza sessuale e puttanate di questo genere, e limitiamoci a dire che, per cultura, educazione, rotelle nel cervello o aspettative, alle donne è permesso piagnucolare per i vitellini, mentre un uomo si ingolla l'hamburger e rutta. Dietro questa vignetta c'è un'idea del vegetarianesimo basata su una negoziazione con la propria sensibilità, da farsi caso per caso, l'anarchia della cuteness per cui chi non mangia animali desidera fortemente che il mondo reale si trasformi in Equestria. Questa visione, oltre ad essere stupida, è perdente sul piano della propaganda: perché l'industria del livestock riesce benissimo a nascondere la macelleria e perché la gente preferisce rimuovere le verità scomode. Le lobby animaliste non hanno abbastanza numeri per vincere a questo gioco.
In secondo luogo, pensarla così apre la strada al puro delirio di chi si oppone agli esperimenti sugli animali. Quello che molti animalisti faticano a capire è che rinunciare all'analisi in nome di un'isteria non-violenta è controproducente. Sì, perché nel momento in cui metti nel calderone le medicine e la bistecca e proponi come alternativa il medioevo in mezzo alla merda di cavallo, è piuttosto facile che l'altro interpreti la sofferenza animale come globalmente necessaria e inevitabile. 
L'unico modo per rivendicare un modicum di dignità intellettuale, per quanto mi riguarda, è sottrarre l'idea al monopolio delle gattare pazze e ricondurla nel recinto che le compete, ovvero quello del pensiero utilitarianistico fondato su valutazioni di maggior beneficio e minor danno. Ovvero, una riflessione sulla sofferenza che veda nella sua eliminazione un orizzonte escatologico, non una pratica isterica di purificazione. Una riflessione che sappia distinguere fra l'investimento di sofferenza per la riduzione della sofferenza - la ricerca - le sofferenze inevitabili - l'agricoltura meccanizzata - e quelle evitabili - l'industria dell'allevamento. La faccenda è che il pensiero animalista riguarda solo indirettamente gli animali. Gli animali sono il pretesto, in quanto categoria di esseri senzienti istituzionalmente e legalmente sottoposta ad afflizioni atroci. Pure i palestinesi se la passano male, per dire, ma non passa il messaggio che tirargli i missili sia l'unica alternativa umanamente possibile. 
Opporsi allo sfruttamento degli animali significa, appunto, abbracciare l'idea che la sofferenza non sia, di per sé, accettabile. Che, nel momento in cui la infliggiamo, la infliggiamo solo perché difettiamo di metodi alternativi, e perché la rinuncia a infliggerla è impossibile. Ma, nei suoi termini teleologici, questo pensiero riguarda tutta la sofferenza, non solo quella animale, e tende a un futuro in cui il dolore sarà completamente bandito dalla sfera dell'esperibile. 
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tuttopernulla · 10 years
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Asocialità inc.
Nonostante sia, tecnicamente, un "giornalista specializzato in nuove tecnologie" (che vergogna), ho tipo 32 amici su FB. Tre li ho cancellati ieri in ragione di un generico disprezzo, un paio, in fede mia, non so chi siano e sospetto testimoni di Geova, quindi probabilmente cancellerò anche quelli. Ho cinque richieste d'amicizia. Uno è il funambolico compagno del liceo di una mia ex, mai visto né conosciuto, che inspiegabilmente ritiene debba essere amico suo dopo che ho cancellato la mia ex stessa. Un altro è una sorta di cingalese che in foto ha davanti un'enorme teglia di riso ripieno, e questo probabilmente lo accetterei, se non fosse per la barriera linguistica. 
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tuttopernulla · 10 years
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Di che reggimento siete
Di che reggimento siete fratelli, i wargame sulla prima guerra mondiale, cento anni con intervalli di coma, svegliarsi ancora disperatamente vuoti ed esplodere contro le pareti come le tartarughe precipitate in orizzontale dai cormorani e poi strisciare nudi in direzione contraria alla bava. Il cappotto della propria ignoranza e le biblioteche inaccessibili, l'assenza del cuore al dottorato in italianistica oppure una varia selezione del mondo che comprenda pezzi degli scacchi e informazioni basilari sul moto degli elettroni, per non parlare di volti dimenticati e versi ritagliati al centro di un più lungo poema, per non parlare di questo vuoto picchettato da nuovi rivoltosi, contadini ucraini e mosche. La morte è come perdere i denti quando l'intero umano è una bocca di squalo.
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tuttopernulla · 10 years
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La leggenda del santo bevitore
La mia ragazza dice che sono una persona buona. Chissà cosa significa, poi. Ho molta pietà, questo sì. E non ho mai preteso di essere un eroe. Più Schindler che Gesù Cristo, ecco. Mai preteso, nemmeno, di essere una brava persona. Forse nemmeno Schindler. Solo di non fare più male del necessario. Risparmio le zanzare, perché non si sa mai che la loro minuscola coscienza sfugga ai nostri strumenti. E io non lo so, ma immagino, quanto terribile debba essere finire schiacciati dalla montagna su cui si pascola. E forse lo so persino. Se non vado al confine siriano a distribuire medikit, sarà perché non ho ancora risolto il dilemma secondo cui se ami la tua vita sei disposto a darla per gli altri, e se non la ami puoi solo insegnare agli altri come si fa a non amarla. 
A quelli che dicono che l'altruismo fa bene, io non ci credo. Faccio l'elemosina alle vecchiette e poi non mi sento meglio, semmai peggio. Sento l'errore sfrigolare sotto le unghie come chi ha preso una manciata di sale. I poveri, mi spiace Gesù, ma non vorrei averli sempre con me. Vorrei che avessero più soldi. Questo, immagino, fa di me un comunista. Ma vorrei anche addormentare con le iniezioni gli animali feriti e i matti e i malati, e questo fa di me un nazista, immagino. Ma non mi avrebbero convinto a spianare il mitra sui professori di biologia ebrei. Nel dubbio, avrei provato a salvare anche i manovali. Solo perché non bisogna mai obbedire, solo perché disobbedire è più importante di vivere. E non li avrei invitati a cena. Forse per un panino. 
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tuttopernulla · 10 years
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Il destino di Efialte
Ora, come avrò detto da qualche parte, io sono un "proponent" della parapsicologia, nel senso che credo nei suoi risultati. Richard Dawkins è, notoriamente, uno scettico e un materialista. Quindi siamo in disaccordo sulla natura fondamentale della realtà. Un'area intorno alla quale c'è un mucchio di scienza promissoria e tantissime zone d'ombra. Quello su cui non possiamo essere in disaccordo sono gli ambiti in cui tutte le informazioni sono disponibili. Perché, insomma, spesso c'è un solo modo in cui le persone intelligenti possono pensarla. Perché lo dico adesso?
Perché il povero Dawkins s'è beccato una shitstorm per aver detto quello che è ovvio e indiscutibile, ovvero che i feti affetti da sindrome di Down devono essere abortiti.  Ora, non discuterò il fatto che sia o meno una buona idea portare a termine una gravidanza Down, perché chiunque pensa di sì nove su dieci è un imbecille oltre ogni possibilità di educazione, e non ho la forza morale di mettermi a convincere il decimo. Ma c'è da notare come la faccenda abbia i tratti dell'isteria collettiva. Perché Dawkins non ha fatto altro che rispondere a una domanda. E lo ho fatto manifestando la peculiare forma di coraggio che discende dall'intelletto, ovvero il coraggio di dire l'ovvio. Dirlo sempre e comunque contro le contorsioni argomentative di un pubblico perennemente intento alla fuga, disperatamente in cerca delle prove per il migliore dei morti possibili. Un pubblico di vigliacchi malati di libido adsentandi nei confronti della realtà, il cui unico esercizio di pensiero è l'elevazione di ciò che è a ciò che deve essere. Dawkins parla una lingua desacralizzante, ed è questo che il pubblico non può tollerare: perché è molto più facile sospettare un ordine segreto, una cospirazione della salvezza, un oracolo nascosto sulla vetta delle montagne, che salvarsi da soli. 
Ed è grottesco, poi, che Dawkins si sia dovuto scusare specificando che quella era solo la sua opinione. Fa davvero il paio con la tag [satire] davanti agli articoli di satira postati su Facebook. Questo è il mondo, questa è la gente: mettetevi una mano sul cuore, abbiamo realmente bisogno di altri mongoloidi?
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tuttopernulla · 10 years
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Lorenzo il Magnifico
Le materie umanistiche non servono a niente, dicono. Vero, non servono a niente. Come strumenti epistemologici le scienze dure le rendono obsolete, come forma di intrattenimento sono oscurate dai video virali di giapponesi che si prendono a bottigliate sui coglioni. Fin qui, dico l'ovvio. C'è una terza funzione, però, che è venuta meno e così ha inchiodato del tutto la bara: la funzione dell'umanista come cambiavalute, potere e soldi in cambio di status. Che è il principio alla base del mecenatismo. Se Augusto mantiene Virgilio, è perché Virgilio è in grado di convertire il vile metallo del principato nella preziosa discendenza da Enea. I sacerdoti, che sono essenzialmente mitopoieti, cambiano le decime con una narrativa in grado di elevare i committenti - cioè l'intera comunità dei fedeli - oltre la condizione di bruti.
Non importava che fosse coerente, importava che fosse condivisa. Allo stesso modo, importava che l'Orlando Furioso abitasse il canone della letteratura come spazio parallelo, traslazione narrativa, concordata, della genealogia. Il sistema ha cominciato a crollare con la nascita del giornalismo, e quindi della propaganda, con gli storici sovietici che riscrivevano gli eventi. Perché la manipolazione della realtà, di questo spazio narrativo automatico, è diventata merce più ambita della celebrazione letteraria. La terza fase del processo è quella che ci troviamo ad abitare: potere e soldi sono status in sé, non più strumenti da nascondere una volta completata l'opera - l'opera della rappresentanza. L'inutilità dell'umanista, e il motivo per cui se siete laureati in lettere dovete andare al call center sta in questo: l'umanista si occupa si riformulare l'essere nella sua declinazione narrativa, ma essere è passato di moda. Avere è sufficiente, e avere è numerico, atemporale, non narrativo.
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