Ho sempre pensato spessissimo alla vecchiaia.
L'orologio ha una personalità poco decifrabile.
Minuti che non passano mai.
Per contro, decenni che volano.
Non riesco a non pensare a quanto velocemente
potrebbero volare quelli in avanti.
E non ne capisco il perché.
Forse è solo intolleranza all'ingiustizia di un
ipotetico, (sappiamo tutti quanto teorico) conto
alla rovescia.
Le rughe e i capelli bianchi non sono l'elemento
centrale. E' sentire l' ”urgenza” di dare al tempo
una connotazione equilibrata, serena.
Forse dentro ad ognuno di noi abita un vecchio
che domanda silenziosamente di dare il senso
migliore alle cose.
E tu sei lì, con questo dolce ma imperante bisogno
di imparare la vita.
Elias Canetti - "Il cuore segreto dell'orologio"
Quaderni di appunti (1973-85)
Mi ricapita amore, perciò penso al primo, mentre ripiglio il treno.
A vent'anni tento qualche amore scarso. Per una ragazza mi piglia desiderio di andare insieme a un cinema, per un'altra di passeggiare in un'altra città. Le cerco, mi evitano, scrivo loro qualche lettera.
Mi mancano ma non smuovono amore.
Mi scordo di loro imparando a scalare montagne.
Poi incontro Dvora d'estate.
Ci sono creature assegnate che non riescono a incontrarsi mai e s'aggiustano ad amare un'altra persona per rammendare l'assenza. Sono sagge.
Io a vent'anni non conosco gli abbracci e decido di aspettare. Aspetto la creatura assegnata. Sto vigile, imparo a scorrere le facce di una folla in pochi istanti. Ci sono sistemi che insegnano la lettura veloce dei libri, io imparo a leggere una folla al volo.
La setaccio, la scarto tutta, neanche un grano di quelle facce resta nella retina. So sempre che lei non c'è, lei, la assegnata.
Non ho un ritratto in testa da far combaciare sopra una faccia, no, l'assegnazione non dipende dagli occhi, anche se non so da cosa. Aspetto d'incontrarla per saperne la figura.
Aspettare. Questo è il mio verbo a venti anni, un infinito asciutto che non sbrodola di ansia, non sbava speranza. Aspetto a vuoto.
Amore per amore, ora per ora,
parola per parola, sguardo per sguardo,
bacio per bacio, da fedelissime labbra,
fiato per fiato e gioia per gioia.
Così la sera, così il mattino.
Johann Wolfgang von Goethe -
in "Il divano occidentale-orientale"
Suo figlio se n’è andato di casa molto presto, a diciott'anni. Qualche mese dopo la morte del padre.
Lei continuava a vivere nel bilocale, era in ottimi rapporti con i vicini. Faceva la donna di servizio, rammendava, stirava.
Un giorno il figlio bussò alla porta. Non era solo. Era con una ragazza, piuttosto graziosa.
Lei li aveva accolti a braccia aperte.
Erano quattro anni che non rivedeva suo figlio.
Dopo cena il figlio ha detto:
- Mamma, se per te va bene, resteremo qui tutti e due.
A lei è scoppiato il cuore. Ha preparato la camera più grande, la più bella. Ma verso le dieci loro sono usciti.
“Saranno andati al cinema”, si disse lei, e si addormentò felice nella stanzetta dietro la cucina.
Non era più sola. Suo figlio era tornato a vivere con lei.
La mattina usciva presto per le sue ore di servizio e i lavoretti che preferiva non abbandonare, visti i nuovi sviluppi della sua situazione.
A mezzogiorno cucinava buoni pranzetti. Il figlio portava sempre qualche cosa. Dei fiori, un dolce, il vino, e a volte dello champagne.
Il va e vieni di sconosciuti che le capitava di incrociare in corridoio non le dava alcun fastidio.
- Entrate, entrate, - diceva, - i ragazzi sono in camera.
Ogni tanto, quando il figlio non c’era e mangiavano tra donne, i suoi occhi incontravano quelli tristi e cerchiati della ragazza che abitava da lei. Allora la madre abbassava lo sguardo e cincischiando una mollica mormorava:
- È un bravo ragazzo. Un ragazzo a modo.
La ragazza piegava il tovagliolo – l’avevano educata bene – e usciva dalla cucina.
William Saroyan
sposò due volte
la stessa
donna
significa che
della prima
volta
doveva essersi
dimenticato
qualche cosa.
ad ogni modo, sosteneva
che era stata quella la rovina della sua
vita.
anche se,
a dire il vero,
molte cose
possono
rovinare
la vita
di un uomo
dipende
solo
da quale
lo becca
prima.
Charles Bukowski - "Sguardo biforcuto"
in: 'La canzone dei folli'
È perché succedono tante cose. Troppe cose. È per questo. L'uomo fa, combina, tanto più di quanto riesca a sopportare o debba sopportare. È così che scopre di poter sopportarequalsiasi cosa. È per questo. È questo che è terribile. Che può sopportare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa.
La conoscenza dei processi del profondo ha ben presto plasmato la mia relazione col mondo. Fondamentalmente, fu già nella mia infanzia quella che è oggi. Da bambino sentivo di essere solo, e lo sono ancora oggi, perché conosco cose e debbo riferirmi a cose delle quali gli altri apparentemente non conoscono nulla, e per lo più nemmeno vogliono conoscere nulla. La solitudine non deriva dal fatto di non avere nessuno intorno, ma dalla incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti, o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili. La solitudine cominciò con le esperienze dei miei primi sogni, e raggiunse il suo culmine al tempo in cui mi occupavo dell'inconscio. Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario. Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell'amicizia, perché nessuno è più sensibile alle relazioni che il solitario, e l'amicizia fiorisce soltanto quando ogni individuo è memore della propria individualità e non si identifica con gli altri.
Una persona amata che delude. Gli ho scritto. Impossibile che non mi risponda quel che ho detto a me stessa in nome suo. Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimetter loro questo debito. Accettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione, vuol dire imitare la rinuncia di Dio. Anch'io sono altra da quella che m'immagino essere. Saperlo è il perdono.
Forse è impossibile comprendere il proprio viso. O forse è perché sono solo? Le persone che vivono in società hanno imparato a vedersi, negli specchi, esattamente come appaiono ai loro amici. Io non ho amici: che sia per questo che la mia carne è così nuda? Si direbbe… sì, si direbbe la natura senza gli uomini.
E' colpa di quei fisici e di quella teoria della sincronicità per cui tutte le particelle sono collegate tra loro; non si può scoreggiare senza cambiare l'equilibrio dell'universo. E così la vita diventa una barzelletta senza più nessuno che ne possa ridere.
Mi sdraio. Non riesco a prendere sonno. Sono troppo nervoso. Il gran simpatico freme. Mi sintonizzo su Radio Match Lo speaker sta propagandando una vertiginosa svendita promozionale sugli articoli estivi in un supermercato e poi annuncia “a new cd of Orlando Contreras, famous cuban singer of bolero”. Sfiora l’assurdo. Un bolero di un cubano di Miami in una piccola emittente alla periferia di Stoccolma. Mi precipito sullo stereo e lo registro.
"Ovunque io sia
il mio desiderio sarà sempre tornare.
Un giorno tornerò
nel posto dove sono nato,
da dove mi hanno fatto andare via.
E tornerò nella terra dei miei amori dove ho lasciato fiori appassiti senza il mio calore.
Oh, santo Dio, perché mi fai soffrire?
Guarda che voglio tornare, qui non ci voglio morire."
Subito dopo mettono So long, Marianne. Oggi a Radio Match dev'esserci qualcuno in preda alla nostalgia. Ho registrato il bolero. Lo riascolto più volte. Si tenta spesso di cambiare vita, riuscire a controllarsi, prevedere gli eventi. Sapere in anticipo le conseguenze di ogni decisione presa. E invece no. Siamo simili alle formiche che corrono come pazze in giardino e si scontrano tra loro e perdono continuamente la direzione.
(traduzione di Pino Cacucci)
Pedro Juan Gutiérrez - “Animal tropical”
(traduzione di Pino Cacucci)