Tumgik
#farsi forza
lostboy-94 · 1 year
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Non continuare a stressarti per una persona che non ha neanche notato quanto male ti ha fatto.
Ricomincia da capo, torna come nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
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ragazzoarcano · 7 months
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my-liminalspace · 7 months
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Non sono una che si accontenta ma proprio mai 👋❤️
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Consolarsi da soli durante un crollo emotivo accarezzandosi il capo mentre scendono le lacrime e parlandosi come due persone dandosi forza da soli, dicendosi ciò che vorresti ti dicessero, è un altro tipo di dolore.
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lamargi · 3 months
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La sera che avevo deciso di sedurre mio nipote ho scelto una mise provocante, con appena un velo di chiffon a coprirmi il seno.
Come dite? Una nonna non seduce suo nipote, non così deliberatamente almeno?
Una brava nonnina per il nipote prepara buone cose da mangiare e gli dà di nascosto qualche soldo per i suoi capricci….
Ma io non sono una brava nonnina. Sono una donna libera, sono titolare di una azienda di consulenza importante, viaggio, e quando mi sento sola la sera trovo spesso un maschio da portarmi a letto. E nonostante l’eta non ho mai dovuto pagare nessun giovanotto…..
Mio nipote non lo vedevo da tempo.
“Gli farebbe tanto piacere lavorare con te, ha sempre ammirato il tuo lavoro, ha studiato tanto, lui si vergognava a chiederti di fargli fare uno stage da te, sono stata io a insistere….” Così mia figlia mi ha convinta. Loro vivono in un’altra città e io, tra lavoro e distanza, da tanto non lo vedevo. Quando si è presentato ho visto subito che non era più un adolescente brufoloso, ma si era fatto un bel ragazzo, anche se così diverso sia da me che da sua madre: incerto, insicuro, timido.
Ha cominciato a spiegarmi i suoi studi, le sue motivazioni, ma l’ho fermato e gli ho detto che lo avrei portato a cena fuori. Ho capito che non aveva previsto di fermarsi a dormire e che non aveva bagaglio con sé. Gli ho sorriso dicendogli che naturalmente sarebbe venuto a dormire …da me.
Eccoci qui, al ristorante, lui parla tanto, io lo ascolto poco. Credo che parli anche per nascondere un certo turbamento. Il suo sguardo cerca di vagare, ma torna sempre a fissarsi sul mio seno. È così teso, che sobbalza sempre quando sotto il tavolo lo tocco con le ginocchia o con il piede.
La cameriera che ci serve, che mi conosce e mi ha visto in questo locale con altre prede, alza il sopracciglio quando lo sente chiamarmi “nonna”. Ma ci scambiamo lo stesso uno sguardo d’intesa. Forse pensa a un gioco erotico, forse non crede davvero che il ragazzo a cui prendo la mano sopra il tavolo e a cui sensualmente dico che è ora di andare a letto, sia veramente mio nipote.
È a casa che l’imbarazzo di mio nipote raggiunge il culmine. Lo faccio sedere sul divano, lo faccio bere, cosa a cui si vede non è abituato. Mi seggo vicino a lui, lo accarezzo, non come farebbe una nonna amorevole, ma come fa una donna che vuole sedurre. Gli sussurro di non preoccuparsi, quando si scusa di non avere un pigiama con se.
E mentre guido la sua mano sulle mie gambe, per fargli sentire quanto ancora siano toniche le cosce di sua nonna, gli spiego che gli stagisti della mia azienda tra le loro prestazioni hanno quella di dormire con la padrona. E farsi scopare.
Il suo “nonna che dici” è interrotto dalla mia lingua che entra a forza nella sua bocca.
“Ho deciso, ti prendo”, gli sussurro all’orecchio, mentre lo prendo per mano e lo tiro su in piedi. “Ma …ma…” balbetta mentre me lo tiro dietro verso la camera da letto.
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sciamaria · 4 months
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E' bellissima la sensazione di libertà che si prova quando smetti di correre dietro a chi non ti cerca.
E non lo fai con amarezza, non lo fai con rabbia.
Lo fai perchè hai compreso che affannarsi troppo per farsi riconoscere da qualcuno, non è mai una scelta felice.
Comprendi che i rapporti e le cose vere e giuste non scappano,
ma hanno la forza di esistere da soli...
Ti vengono incontro.
Patrizia Perotti
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Perché quando stai annegando non sai mai se conviene farsi forza o lasciarsi andare giù.”
-Cinque Giorni, Michele Zarrillo.
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catsloverword · 2 months
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- Come sta?
- Insomma.
- Così male?
- Ho detto insomma.
- Lei quando dice che sta bene significa che sta male e quando dice che sta molto bene poi scopriamo che è il minimo accettabile per un essere umano. Con insomma mi fa un po’ preoccupare.
- Sempre insomma rimane.
- Vuole parlarne un po’?
- Non c’è niente da parlare, son sempre le solite cose.
- Se sono sempre le solite cose perché si sente così?
- Perché sono stanco. Sono esausto. E lo so che tutti sono stanchi e tutti sono esausti, e lo so che nel Sierra Leone ci sono i bambini soldato che immagino siano parecchio esausti pure loro, ma io questa settimana di più. Scusi.
- Non si scusi per essere stanco.
- Scusi.
- Sa cos’è lei?
- No, ma inizio a sospettarlo.
- Lei è un Atlante.
- Geografico?
- Mitologico. Conosce la leggenda di Atlante?
- Ho fatto il liceo artistico, conosco pochissime cose.
- Atlante era un titano che durante la guerra si era alleato con Crono, il padre di Zeus. Dopo la vittoria Zeus lo punì piazzandogli sulle spalle il peso del mondo.
- Ah sì, adesso mi ricordo, avevo una cosa DeAgostini con il disegno.
- Lei tiene sulle spalle il peso del mondo, del suo mondo, che poi è lo stesso. Non so quando o come, ma a un certo punto, qualcuno o qualcosa le ha fatto credere che quel peso fosse suo. Solo suo.
- Dice?
- Ci sono tante tribù in giro per il mondo, tribù affettive, tribù emotive, tribù nascoste, società segrete legate fra loro da vizi, paure, paranoie, traumi. E poi ci sono i figli di Atlante, come lei, piegati sotto il peso di tutto quello che si portano sulle spalle.
La vita un giorno vi ha detto “reggi qui un attimo” e voi, un po' perché siete stati colti alla sprovvista, un po' perché non volevate disturbare nessuno, avete risposto “va bene” e vi siete caricati qualcosa sulle spalle. E poi l'avete rifatto e poi l'avete rifatto ancora. Sa cos’è successo dopo ad Atlante?
- Si è reso conto che pagava uno psicologo per farsi raccontare puntate di Pollon?
- Un bel giorno arriva Ercole, che è impegnato nelle dodici fatiche e ha bisogno di una mano per recuperare le mele sacre nel giardino delle Esperidi. Così chiede aiuto ad Atlante, e in cambio si offre di reggere il peso del mondo per un po’. Atlante accetta di aiutarlo, si scarica il mondo dalle spalle e per la prima volta da chissà quanto tempo raddrizza la schiena e scopre com’è la vita senza quel peso costante a piegarlo.
- E poi?
- E poi niente, torna con le mele, Ercole lo frega con un trucco idiota alla “c’hai la scarpa slacciata” e gli piazza di nuovo il globo sulle spalle per il resto dell’eternità.
- Bella. Grazie. Adesso sto molto meglio. È sicuro che debba venire in studio e non possiamo semplicemente mandarci delle mail?
- Ogni tanto nella vita succede qualcosa, spesso son cose abbastanza banali, una buona giornata, un motivo d’orgoglio, un momento felice che riusciamo a non sprecare, cose che per un attimo il peso ce lo tolgono di dosso. E noi in quell’attimo percepiamo com’è vivere con la schiena dritta. Poi però arriva Ercole.
- E chi sarebbe Ercole?
- Questa è la parte deprimente. Il più delle volte siamo noi. Ci inganniamo in tutti i modi per convincerci a rimettere quel peso sulle spalle e finiamo col cascarci sempre.
- Perché non se ne andava?
- Atlante?
- Sì. Perché non mollava tutto, non mollava il mondo?
- Perché non è facile, perché era la sua punizione, e forse come succede spesso pensava di meritarsela. Ma io ho un’altra teoria.
- Sentiamo.
- Perché, a forza di reggerlo, si era convinto che quel peso fosse una sua responsabilità, che fosse lui quel peso. Lei pensa che quel peso che la schiaccia sia una sua responsabilità?
- Certo, è il mio mondo.
- Ecco, lei è un Atlante perché non ha ancora capito una cosa fondamentale.
- Cioè?
- Se è pesante non è il suo mondo.
Ordine Psicologhe e Psicologi del Veneto
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Illustrazione di Amandine Delclos
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der-papero · 24 days
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Chissà se ce la faccio a scrivere di 4 anni di ricordi, ma questo è un posto di ricordi belli, e tu sei uno di quelli, di quelli più belli. Li ho raccolti in due giorni di viaggio, perché la capa mia non è più quella di una volta, ho bisogno di tempo, e non servirà raccontarli tutti.
Ti ricordi il primo giorno? C'era un tipo che somigliava a Branduardi, vestito come un anziano in chiesa la Domenica, che per forza voleva farmi vedere come cambiavi colore, senza sapere come fare. Del resto, nessuno, persino lui che era del mestiere, aveva visto prima qualcosa di simile, il che ti rendeva ai miei occhi ancora più unica delle mie intenzioni.
Da quel giorno il mondo si è diviso in due, tra chi ti ammirava e chi ti snobbava, però penso lo sai già, il primo gruppo mi divertiva tanto e un po' ci marciavo su, ti ricordi quando uscivo dall'Autogrill di turno e vedevo sempre qualcuno ronzarti intorno, e non tornavo subito all'auto, lo lasciavo fare, guardando la scena da lontano. Per non parlare di quello svizzero che, dalle parti di Reggio Emilia, andò fuori di testa, sembrava un ragazzino di 5 anni a Disneyland, o quel tizio con quella Civic viola al casello di Venezia-non-so-dove, che mi parlava col clacson e col pollice su.
Ne abbiamo fatti di scherzoni alla Mami, la prima volta che andai a prenderla a Francoforte, allo scalo di marcia sparasti due fucilate ed esclamò "MAROOOO CHI C'A TUZZAT?" e noi a ridere, e ogni volta che provava a scendere, per via del rialzo, sbottava "ma quant t'a cagne 'sta machin, che ce vo' 'a man 'e Crist a scenner?".
Di persone che mi hanno fermato per farti i complimenti ce ne sono state, ma il top resterà quel parcheggiatore al Corso Umberto che, al ritiro, si divertì a farsi una accelerata e poi esclamò "UAAA DOTTO', 'STA MACHIN VOL!", e che gli volevi dire? Aveva ragione, una sensazione che provato ogni santa volta, ma io ho avuto tanto di più: mi hai portato da chiunque volessi bene, non è mai esistito un "è troppo lontano, lasciamo perdere", sei forse ciò che su questo pianeta ha avuto la possibilità di conoscere il vero me, senza filtri, mi hai visto piangere e ridere più di chiunque altro. Mi serviva la tua energia e la tua rabbia per scappare via da qui, eravamo entrambi in un posto dove non volevamo stare, per questo sei nata per correre, e hai lasciato che fossi io a lasciartelo fare.
Sei entrata in un momento della mia vita dove avevo bisogno di non sentirmi più trasparente, in una società che non mi ha mai accettato, al più tollerato, e credo che tu abbia capito in pieno quel nostro modo terrone di protestare, ovvero facendo bordello, perché più le cose vanno male, e più abbiamo bisogno di far rumore. Il vicino di casa non l'ha mai capita questa cosa, pensava che tu avessi qualcosa che non andava, cosa tragicomica, visto che quelli pieni di problemi sono loro, con la loro ipocrita precisione, il loro falso benessere.
Agli occhi di tanti sei solo un'auto, ma quello che sei stato per me non sono mai riuscito a farlo capire, e non penso di riuscirci manco questa volta, quindi queste parole sono solo per te, per ringraziarti di tutto quello che sei stata, per aver reso questi 4 anni più leggeri, e per dirti che non ti dimenticherò mai.
Grazie, Amica Mia ❤️.
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ragazzoarcano · 11 months
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“Qualunque sia la tua storia, riuscirai ad andare oltre.
Qualunque sia il tuo dolore guarirai.
Sii paziente ed abbi fiducia nella tua forza.”
— Najwa Zebian
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my-liminalspace · 7 months
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Il tempo nulla cancella mq ci spiega tante cose...
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gelatinatremolante · 3 months
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Questa cosa dei cantanti che non devono cantare invece di farsi i cazzi propri devono per forza esserci per presentare gli altri proprio da maestri di scuola che vogliono che tutti facciano amicizia e stiano bene insieme.
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tuttoquellochenonsai · 9 months
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perché quando stai annegando non sai mai se conviene farsi forza o lasciarsi andare giù
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donaruz · 4 months
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Giorgio Gaber - La libertà
youtube
Voglio essere libero, libero come un uomo
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura
Che cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un'avventura
Sempre libero e vitale
Fa l'amore come fosse un animale
Incosciente come un uomo
Compiaciuto della propria libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un'opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come l'uomo più evoluto
Che si innalza con la propria intelligenza
E che sfida la natura
Con la forza incontrastata della scienza
Con addosso l'entusiasmo
Di spaziare senza limiti nel cosmo
E convinto che la forza del pensiero
Sia la sola libertà
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche un gesto o un'invenzione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
Il Signor G.
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limoniacolazione · 7 months
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Ieri (casualmente era pure la giornata mondiale delle malattie mentali) è stato un anno tondo dalla mia prima crisi, quella che ha fatto capitolare me e il resto intorno. Me ne sono accorta solo oggi, perché nel mare magnum della depressione ogni giorno è uno di troppo e tutto si assomiglia. Poi ottobre è il mese che è e di date nella memoria ce ne sono già due: il 20, che è morto S., il 25, che è morto L. "Ogni giorno è un anniversario", diceva zia Rosa, che di gente ne aveva persa parecchia e passava i mesi a ricordare nascite e morti, fino a quando poi non se n'è andata pure lei.
Il mese prossimo una commissione medica si riunirà per decidere se sono depressa abbastanza. Non so da che cosa determineranno la mia volontà di stare al mondo o meno. Non è come un osso rotto in una radiografia o un neo dai contorni non definiti. Ci riuniremo quindi su un ponte e mi chiederanno di saltare? Mi aspetteranno in seduta plenaria col cappio pronto?
Per me non è questione di abbastanza. Non è questione di bianco o nero: la mia depressione è un eterno grigiore in cui nulla accade. L'atmosfera è talmente pesante che gli arti non si sollevano più. Un cielo plumbeo che però non piove mai (dentro di me).
Non è questione di combattere, né di mollare e neppure di resistere. Ho lasciato cadere il coltello, che comunque non ho mai tenuto dalla parte del manico. Ho alzato le mani in segno di resa, ma non è neppure questione di arrendersi. Non è questione neanche di ricordare, di segnare di rosso un numero nel calendario o di stracciare le pagine dell'agenda una dopo l'altra. Non è questione di riempire, sostituire, distrarsi. Pure se faccio tutte queste cose (fuori da me): guardo film, disfo cartoni, cucino, mangio, leggo, rido.
Lo sapranno, quelli della commissione medica, che sono un'artista del camouflage? E certo rido, leggo, mangio, cucino, disfo cartoni, guardo film, ma non esco di casa, non ascolto la radio, non getto l'occhio sulle pagine del giornale. Che sarebbe troppo, mi dico, aggiungere al mio il dolore degli altri.
Faccio lo slalom tra gli annunci dei social che mi chiedono aiuto per costruire un ospedale per i koala investiti sulla tangenziale - per i bambini che muoiono di fame - per chi fa la guerra e chi la subisce - per il long COVID - per distruggere le cimici dei letti che invadono Parigi - per salvarle, le cimici dei letti. No, non è neppure questione di agire o di chiudersi a riccio e lasciare il mondo andare a farsi fottere. Non è questione di girarsi dall'altra parte, né di guardare il pericolo negli occhi. Non è questione di dire qualcosa o dare la propria opinione (quanto di farsene una). Non è questione di problem solving.
Non è per forza questione di morire. Non è certamente questione di vivere. È questione di liberare spazio, di imbiancare la tela, di restare sgombri, di alleggerirsi per poter almeno galleggiare, oppure, al contrario, di immergersi completamente.
E quando penso ad immergermi mi viene in mente, chi lo sa perché, Ragnar Kjartansson e la performance audio-visiva "The Visitors". Forse è la vasca da bagno, oppure cantare all'infinito "Once again I fall into my feminine ways", come fosse un sortilegio per cadere, sì, e poi riuscirne intatti, liberi, leggeri.
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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