In macchina con la musica a tutto volume, senza una meta precisa, ciò che farei adesso. Sento di dover sfogare la rabbia, la malinconia guidando senza pensare al resto. Ci penso all’amore, all’intimità tra una canzone e l’altra, quando sono in macchina l’unico momento in cui non sento nessun altro, ripenso a tutto quello che è il passato.. Da quando hai scelto di chiudere, non sono più tornata indietro, ma con la mente vado ovunque e questa è l’unica cosa che non riesco a controllare. Non c’è cosa peggiore di un qualcosa che non si può controllare nonostante io ci provi con tutte le mie forze.
(...) se la prende a fare certi pensieri. Gli manca baciare il seno di una determinata ragazza diafana, e altre mancanze ancora, profonde e novembrine.
Da quando non ci sei è andato tutto storto, non sono più riuscita a sentirmi al sicuro e prendermi cura di me non è stato semplice non è mai stato semplice, a volte ci penso a quanto ero felice, ridevo sempre mi sentivo serena purtroppo sono sensazioni che non sono più riuscita a provare.Ed io che pensavo sarebbe stato facile prendersi cura di se stessi, ma forse eri tu a farlo sembrare semplice.Anche ora che sono grande avrei voluto che qualcuno mi rimboccasse le coperte era la cosa più tenera del mondo ancora rido se penso come lo facevi tu,mi sentivo immobilizzata diventavo una sottiletta bloccata da tutti i lati...che cosa strana non sentire più la tua voce noi che inventavamo le canzoni insieme le sere d'estate sul balconcino e cantarele a squarciagola! È così che si diventa tristi sapere che dovrai prenderti cura di te da sola,solo perchè ho accettato il fatto che non sei piu qui con me e per questo ripetevo sempre nella mia testa" tira fuori gli artigli e vai avanti", qualche volta ho guardato indietro ma solo per ricordarmi di tutte le cose che facevamo insieme e sono state le tue parole a darmi la forza di proseguire e affrontare tutto questo ... è solo grazie a te Papà manchi♡
Se qualcuno mi chiedesse "'come stai?" risponderei "tutto bene", perché non sono una persona a cui piace parlare e dire le cose, ma se mi ci dovessi soffermare su questa domanda e dare una vera risposta, io non saprei che risposta dare, perché non lo so come sto, non lo so. Ho tanti pensieri nella mia mente e non li riesco a mettere a posto o far tacere la mia mente, sento tante mancanze, a partire da me stessa, ho perso quella gioia, felicità, la voglia di fare e da un sacco di tempo, mi manca qualcuno da avere veramente al mio fianco con cui lasciarmi andare seriamente, con cui non avere paura di nascondere una parte di me stessa, mi manca la voglia di vivere ogni tanto ed è brutto dirlo.
Non soffriamo per amore, soffriamo perché non ci amiamo. Soffriamo perché cerchiamo nell’altro quelle attenzioni che aspettavamo dal padre, quella cura che richiedevamo alla madre.
Siamo diventati adulti senza essere bambini. E ora nella relazione portiamo quei bambini negati, quei bambini che non hanno potuto piangere ed essere consolati. Portiamo quei bambini che volevano arrabbiarsi ma venivano sgridati. Quei bambini che volevano correre liberi e venivano puniti. Quei bambini che volevano essere accolti ma non c’era il tempo.
E all’altro chiediamo di essere quella madre e quel padre. Chiediamo a lui di asciugare le nostre lacrime o ancora meglio di fare in modo di non arrecarci mai quel dolore che ci provochi le lacrime. Chiediamo a lui di consolarci e accogliere tutte le nostre sofferenze.
Ci arrabbiamo con l’altro perché finalmente possiamo dare sfogo a quella rabbia che abbiamo trattenuto per paura e su di lui riversiamo tutto ciò che avremmo voluto dire alla madre e al padre. Senza accorgerci che non stiamo guardando lui, la sua essenza, ma lo stiamo caricando di un’immagine che non gli appartiene. Non possiamo chiedere a lui di essere quel genitore a cui avremmo voluto urlare tutte le sue mancanze. A cui avremmo voluto rimproverare l’abbandono, chiedere una carezza, sentirne la presenza.
All’altro chiediamo di lasciarci liberi e allo stesso tempo di tenerci legati a sé. Vogliamo quella libertà che abbiamo sempre sentito essere necessaria e ci è stata negata in nome dei “non si può”, “ non sta bene”.
Vogliamo che l’altro ci permetta di essere noi stessi quando non sappiamo nemmeno noi chi siamo e anzi a volte l’altro vede quegli aspetti di noi che a noi sono ancora sconosciuti.
Chiediamo libertà, la pretendiamo a gran voce e poi ne abbiamo paura. Perché la libertà ci rende insicuri. E chiediamo inconsciamente all’altro di trattenerci, di non farci scappare. Perché in quella corda che ci tiene uniti a noi sembra di vedere amore. Che amore non è.
E’ paura …e l’amore non sta dove c’è paura.
Io ti lascio libera/o di essere ciò che sei, di esprimere la tua essenza qualunque essa sia, di volare nei cieli della vita e di compiere il tuo percorso. Io faccio altrettanto e ti osservo con amore. Questo sarà il filo dorato che ci tiene uniti.
Vi state impegnando, tanto anche, ma non tutte le cose vanno per il verso giusto. Eppure siete consci che state facendo tutto quello che potete.
Quando sperate di essere nella testa di qualcuno, ma se questo qualcuno non ve lo dice, così vi chiedete a che serve essere "pensati"?
Il cercare sempre delle basi solide, per i vari aspetti della vita, che spesso anziché essere granitiche si rivelano di sabbia. Le basi, dico.
La voglia di essere circondati da persone che comprendano, di braccia che sorreggano o di parole che rincuorano. Ma spesso si è avvolti dal silenzio e dalle mancanze. E allora s'impara a convivere con la solitudine.
Sentire la notifica di un messaggio dal telefonino, aspettarsi quel messaggio. Anche un semplice "Ciao, come stai? Hai mangiato?", invece della solita e inutile proposta commerciale. Offerte non richieste che fanno il paio con le richieste non offerte. Desiderate.
Essere stanchi di cercare, provare, attendere, pazientare, fare e resistere. Senza un ritorno, sincero.
Io vi capisco. Davvero.
Siete stanchi, rassegnati, il vostro cuore sembra battere altrove, eppure tutto questo passerà. Verrà il giorno in cui tutto quanto descritto non peserà più. Tutto sarà leggero, dimenticato o percepito con leggerezza.
Perché nulla dura in eterno, soprattutto i sentimenti e le percezioni. Come la durata di una settimana, dal lunedì alla domenica. E questa sera, mentre scrivo, è venerdì.
Quando passo queste mezze giornate con nonna sono un po' triste, un po' serena, un po' tante cose. Sento il bisogno fisiologico di passare questo tempo con lei, con foga, come fossi una sanguisuga, come se dovessi riempire fino all'orlo una giara enorme, già bella piena ma non abbastanza, sento come se ogni giorno insieme fosse un piccolo bicchiere da svuotarci dentro e ho, inevitabilmente, meno tempo di quanto vorrei per farla traboccare.
Sento a tratti che la soglia del pianto, durante la giornata insieme o come ora che scrivo, si alza fisicamente. Dallo sterno si alza verticalmente, arriva al palato che premo con la lingua e a volte mi solletica le narici. Se arriva a solleticare le narici e a premere sotto gli occhi sono fregata. Quindi mi distraggo e vado a prendere la crema per le mani e gliela metto, la accarezzo e le faccio tante battute divertenti, mi faccio dare i bacini e ci prendiamo in giro, vado a prenderle dei fiorellini in giardino e glieli porto tra le mani.
Mi devasta l'aver imparato a parlare con tranquillità delle varie problematiche familiari che circondano questa situazione, dei suoi bisogni, della sua serenità e delle mancanze delle altre persone. Ecco vedi ora come preme sul palato, col cazzo che ho imparato. Non ho imparato niente ma forse fingo meglio di aver imparato? Ma che ne so.