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#museo cinema al pennello
montecorriere · 3 years
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Peppetto, facci un gol!
Peppetto, facci un gol!
Tra i tanti giovani che in tutti questi anni sono scesi in campo per dare un calcio all’amato pallone, almeno uno poteva forse diventare campione. Lo dicono tutti i ragazzi che hanno avuto la fortuna di giocarci assieme e di vederlo in azione. Trattava la palla come solo un genio della pelota sa fare: il suo nome è Giuseppe Canuti, per tutti semplicemente Peppetto. Nemmeno un sudamericano sapeva,…
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Se passate per Napoli o ci vivete, andate assolutamente al @museoarcheologiconapoli a vedere la mostra dedicata a Hugo Pratt e al suo Corto Maltese. Non ho mai provato così tanta suggestione guardato degli originali. Vedere Pratt passare con così tanta nonchalance dalla matita al pennello, dall'espressionismo all'impressionismo, dal cinema al fumetto, scoprire che si fosse ispirato ai fumetti di Milton Caniff, è un'esperienza più unica che rara. In foto non rende per niente... #cortomaltese #hugopratt #fumetti #museo #miltoncaniff #comics #comicart #comicartist #mostra #fumettoitaliano #art #picoftheday #popart #painting #museoarcheologicodinapoli #picoftheday #coopculture https://www.instagram.com/p/ByyFQhzCfd1/?igshid=gi4ldrtp6lrs
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JULIAN SCHNABEL: A PRIVATE PORTRAIT 
IL TUFFATORE, SURFISTA DELL’EMOZIONANTE IGNOTO
“E’ nato il 26 ottobre del 1951, è stato un parto difficile, tutti avevano grande riguardo nei suoi confronti, era il primo a ricevere il biberon; credo sia stato lì che ha cominciato a sentirsi speciale”.
Julian Schnabel ci viene presentato così dalla sorella maggiore ma, per noi spettatori la storia d’artista inizia con il suo tuffo nel mare siciliano di Li Galli.
Subito balena in mente “La tomba del tuffatore” del Museo di Paestum, quella sagoma lanciata nel vuoto, sospesa ma destinata ad incontrare il mare, Visivamente il richiamo non è diretto: l’affresco bidimensionale non può che immortalare la sospensione d’un’intenzione, mentre qui il corpo possente lanciato verso il mare raggiunge l’acqua e la macchina da presa segue la fine del tuffo tra schiuma e schizzi.
Il fatto è che, nel ritratto che Corsicato dedica a Schnabel, fuori i riflettori del successo e della vita pubbilica, c’è qualcosa che richiama un’atmosfera senza tempo, con sfumature d’ancestrale ancor prima che archetipico. Corsicato cerca di fornire ad ogni fase della vita narrata del personaggio, “un’ancora” narrativa, personale ed al contempo universale (talvolta con episodi biografici precisi, talvolta con testimonianze familiari) finendo poi sempre per farsi testimone di una costante urgenza creativa: di un’ arte inscindibile dalla quotidianità dell’artista.
Schnabel ha sempre vissuto per essere un’artista: centinaia di disegni dei suoi primi anni sono andati perduti: e in un attimo lo spettatore si trasforma in un cercatore o restauratore d’una storia inconoscibile al pari di uno studioso del cinema muto, del periodo in cui le pellicole erano riciclate. E’ come se dai primi minuti del film ci si rendesse conto di essere di fronte ad una storia impossibile da raccontare, come le storie dei tesori, non perché Julian Schnabel sia criptico ma fin troppo umano, non volubile ma percettibilmente irraggiungibile.
Cresciuto, fino alla maggiore età, “incontaminato” dall’Arte la sua Vita esplode quando la sua famiglia si trasferisce in Messico ed egli diventa straniero d’un mondo ignoto. Infila i guanti e spalma i colori su tele enormi, fuori all’aperto, lontano dalla piccola casa americana dove aveva vissuto.
La sua carriera esplode negli anni Ottanta a New York: la sua pittura fisica, viscerale ed insieme figurativa, inonda il mondo dell’arte concettuale, che spopolava all’epoca, con la potenza d’un onda oceanica che solo un abile surfista riesce a governare.
Molti anni dopo gli inizi, chi lo conosce da vicino, a più riprese, lo definirà il pittore con la gestualità eloquente d’una idea, mentre lui stesso spiegherà di dipingere per rappresentare ciò che non conosce, per conoscerne la sensazione.
La pittura per Schnabel è salvifica, una soluzione per le questioni che la Realtà gli pone: siano esse la perdita di una persona cara o semplicemente l’urgenza di decifrare uno stato  interiore. Dipinge all’aperto perché è nell’imprevedibilità della Natura che l’opera, in un secondo momento, diverrà comunicativa appesa o parte di uno spazio interno.
E’ nella Natura che la Vita libera le radici ed inizia l’umana esperienza: non è un caso se ogni figlio di Schnabel abbia con lui una memoria di condivisione lontano dalla città; ciascuno di questi episodi, contemporaneamente, ha in sé la portata di un momento iniziatico in senso profondo.
In questo ritratto di Schnabel, artista per vocazione, il cinema resta sullo sfondo, non certamente per minore rilevanza, ma perché l’incontro-scontro con la settima arte è, l’evoluzione dell’urgenza di raccontare storie: intreccio di memorie emozionali e vicende a lui ignote.
Allo spettatore, estimatore dello Schnabel cineasta, non resta che cercar dettagli evocativi dei suoi film, durante gli allestimenti espositivi: uno su tutti il Masp di San Paolo, dove un palazzo si intravede dietro una leggera tenda avorio mossa dalla brezza proprio come il giorno in cui Bauby scrisse la prima pagina de “Lo scafandro e la farfalla”.
Schnabel congeda il suo spettatore così come l’aveva invitato ad entrare nel suo mondo, con quel suo ottimismo, che non è autostima ma “cieca fede”, nel suo essere abitante di un Mondo in cui il bianco (della purezza) non è mai abbastanza, e il pennello è sempre pronto.
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themusym · 7 years
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Epistola
La prima opera incompiuta che va ad adornare le sale del Museo è un racconto breve sotto forma di lettera.
Caro Amico mio,
Finalmente mi sono decisa a scriverti.
Non sai quante volte ho preso in mano la penna e un foglio bianco, convinta finalmente di aver trovato la forza per riempirlo di tutte quelle storie che avrei voluto raccontarti e invece mi sono ritrovata a fissarlo. Silenziosa io e silenzioso il foglio. Lo fissavo per ore, come aspettandomi che per magia si riempisse da solo, dando forma a tutti quei pensieri che non ero in grado di tradurre in parole. Che non avevo il coraggio di rivelarti. Perché una volta che li scrivi, i tuoi pensieri restano lì, nero su bianco, reali e minacciosi più che mai.
Non ero pronta ad affrontarli io, figurati se ero pronta a rivelarli a te.
Cosa mi ha spinto oggi a scriverti finalmente questa lettera?
La domanda è lecita.
La risposta è tanto banale quanto scontata.
La verità è che mi manchi. E mi manchi a tal punto che mi costringo ad affrontare quel maledetto foglio bianco. Quindi, eccole qui, nero su bianco, tutte le parole che hanno affollato il mio cervello per così tanto tempo.
Potrei cominciare col dirti che mi sono trasferita a Londra.
Avevo bisogno di andarmene da Catania… di andarmene dalla mia vita. Lasciarmi tutto alle spalle. È così che la gente fa no? Chi sente la necessità di cambiare vita comincia con queste cose, no? Casa, città, lavoro…
Stronzate. Tutte stronzate. Ah quante stronzate! L'unica cosa che cambi è la città, o la casa, o il lavoro. Ma la tua vita resta lì con te. Non ti lasci nulla alle spalle, te ne allontani soltanto. Tutti i tuoi problemi, le paure, le angosce restano dentro, a volte se ne stanno silenziosi, acquattati in un angolo, ma prima o poi ti balzano davanti urlando.
A me, certe volte, mi passano davanti facendo addirittura il trenino.
Per carità, non escludo che certa gente possa riuscire veramente a voltare pagina trasferendosi in un'altra città, buon per loro. Ma per quanto mi riguarda non esistono pagine: la mia vita è un enorme affresco su un muro diroccato.
Quindi sì, è cambiata la città, l'università, la casa, gli amici. Ma io non sono cambiata.
Resto sempre al margine del mondo. Fluttuo.
Certo, non si può dire che non mi diverta, Londra offre tanto: cose buonissime da assaggiare, tante birre da bere, discoteche, concerti, eventi.
Tutto tanto bello e tutto tanto lontano, resta tutto fuori da me. Il mondo mi scivola addosso. I miei amici sono ombre. I sorrisi sono vento. Le emozioni sono di carta.
Sembro una borghesuccia viziata che si lagna di tutto senza motivo, me ne rendo conto.
Ma non posso fare a meno di sentirmi così. Te l'ho detto: anche cambiare città non ha aiutato.
La mia vita è sempre la stessa. Lo so che tu mi capisci, caro Amico mio, mi hai sempre capita.
Tra tutti sei sempre stato il solo con cui potevo parlare a cuore aperto, il solo che non mi giudicasse. Dio, quanto mi mancano le nostre chiacchierate. Se potessi vederti ora sono certa che avresti un'espressione a metà tra il sarcastico e il malinconico. Come sempre. Vorrei tanto sentire i tuoi consigli… mi basterebbe anche una tua battuta, uno sbuffo, un sorriso abbozzato. Mi basterebbe qualsiasi cosa…
Ho già detto che mi manchi? Sono patetica, lo so.
Ma per oggi, posso permettermi di essere patetica, d'altronde, cerco di scrivere questa lettera da due anni. Più patetici di così…
Sai cosa? Anche tu sei patetico. Lo sei sempre stato. Così determinato nella ricerca del vero amore immortale. Così convinto di ideali in cui oggi non crede più nessuno, o meglio: fanno finta di crederci. Tu invece non fingi. Ma come fai? Sei ingenuo o sei un genio?
Effettivamente potrei cominciare a darti ragione: le storie da favola esistono. Se ne stanno svolgendo parecchie sotto i miei occhi. La mia coinquilina ha trovato l'anima gemella, sono più felici che mai, due metà di una mela. Amore a prima vista, eterno.*
Mia cugina, stessa cosa.
Le mie colleghe? Ognuna si è trovata il suo principe su misura.
Sono quel tipo di storie che ti fa ritrovare fiducia nella ricerca del vero amore.
Perché, allora, sono così scettica?
Bhé, è ovvio: perché queste cose capitano solo agli altri. Magie di questo tipo non sono fatte per gente come me. Felicità così intense non mi si addicono. Si addicono di più alla protagonista di una storia. E io non potrei mai essere una protagonista.
A tal proposito, oggi ripensavo a una frase del buon vecchio Shakespeare: "tutto il mondo è teatro e uomini e donne non sono che attori". Ma quanto è vera questa frase? Ognuno di noi ha una parte che gli calza a pennello, e la mia non sarà mai quella della protagonista. Io sono la perenne migliore amica. Ecco la mia parte! Quella ragazza simpatica ma un po' impacciata, utile ma non indispensabile, brava in tutto ma che non eccelle in niente. Nessuno potrebbe mai fare un film su di me. Ma tutti potrebbero mettermi in qualsiasi film per fare la migliore amica della protagonista.
Sono l'amica perfetta: faccio ridere, so ascoltare, sono saggia e do ottimi consigli, sono quella con cui puoi andarti a strafogare di cibo, tanto non sono mai a dieta (perché dovrei? Perché dovrei curarmi di me?), Sono quella con la casa grande in cui fare i festini, quella che ti presta i soldi e quella che, puoi stare tranquilla, non ti ruberà mai la scena.
Ecco chi sono: La migliore amica del mondo.
(Ironico, considerando quanto il mondo per ora mi stia sul culo).
Te lo devo dire, caro Amico mio, io ti ho odiato profondamente. Ti ho odiato come non ho mai odiato nessuno.
Perché tu per un po' mi hai fatto credere che avrei potuto essere la protagonista.
Io ti ho amato. Ma non è questa la cosa assurda. La cosa assurda è che tu, tra tutte, hai amato me.
Sei stato un povero pazzo! tutti i tuoi discorsi sull'anima gemella, su quell'amore che ti sconvolge e ferma gli astri… e poi t'innamori di me? Della migliore amica? Rido ancora se ci penso. Rido di te, di me e di noi.
Noi, una barzelletta per il mondo. Forse era il nostro modo per prenderlo per il culo, questo povero mondo ipocrita. Abbiamo sconvolto le sue leggi: il bellissimo ragazzo, protagonista per eccellenza, che nella sua ricerca del vero amore perde la testa per la scettica migliore amica perenne. E per un attimo, questa co-star da quattro soldi assapora il mondo dei protagonisti. Mi hai fatto toccare il cielo, non con un dito, ma a piene mani. L'ho abbracciato di cuore, quel cielo, ed è stata una sensazione stupenda.
Me l'hai fatto credere, me l'hai fatto desiderare: quell'amore che tanto decantavi.
E per un istante l'ho visto nei tuoi occhi: avevi trovato ciò che cercavi, la tua pace e il tuo posto e… (che tu sia dannato!) l'avevo trovato anch'io. Perché ti sei fatto amare così tanto? Perché mi hai regalato questo sogno magnifico? Perché mi hai fatto credere che il mio vero ruolo era quello: non la migliore amica, ma l'essere tua?
Perché mi hai dato tutto questo per poi strapparmelo via?
La gente dice che non dovrei avercela con te, che non è colpa tua… ma allora con chi me la dovrei prendere io?
Io incolpo te, eccome se t'incolpo!
Sei stato tu ad andartene e a lasciarmi sola. Io sono ancora qui. Rotta, ma ci sono. Tu dove sei?
Checché mi dica la gente, io non ti perdonerò mai per essere morto.
Non ti perdonerò mai per avermi regalato il cielo e per poi essertelo portato via.
Per avermi fatto desiderare una vita che ora non potrò mai avere. Non ti perdonerò mai per esserti reso indispensabile al punto tale che ora che non ci sei più io vivo a metà. Anzi, per un quarto!
Dal momento in cui tuo padre mi ha detto dell'incidente, la mia vita si è spaccata. Ci sono stati momenti in cui ho tentato di rimetterla insieme, di unire i pezzi. Ma è solo una presa in giro. alcuni pezzi sono riuscita a rimetterli insieme, altri li ho incollati male, altri sono andati persi per sempre. Era inevitabile dopo una tragedia del genere.
Anzi, com'è che non sono morta di dolore non lo so nemmeno io, perché il dolore me lo ricordo, ed era forte. Lancinante. Ed è ancora là, non è che se n'è andato, lo seppellisco, ma lui torna a galla quando vuole. È là dal momento in cui tuo padre, tra i singhiozzi proferì quelle parole… "non ce l'ha fatta!". Mi ricordo tutto: prima la negazione "può essere mai che non ce l'ha fatta? Ma no.. Avranno sbagliato…" e poi quel desiderio bruciante: "ora mi sveglio… è un incubo, sto sognando… ora mi sveglio sicuro".
La tua mente tenta di trovare tutte le soluzioni possibili per evitare il dolore inevitabile. Ricordo che volevo soltanto che il tempo tornasse indietro di pochi attimi… al telefono ti avrei detto di non prendere per il cavalcavia, che con la pioggia diventa pericoloso, ti avrei detto di fare la statale, avresti allungato, ma saresti tornato a casa vivo. Saresti tornato da tua madre e tuo padre, ti saresti laureato, avremmo avuto un futuro e l'amore che avevi sempre sognato e che avevi fatto desiderare anche a me.
Purtroppo il tempo non può tornare indietro, tu non puoi tornare a casa vivo e io e te non possiamo avere nessun futuro.
Hai lasciato una voragine con la tua stupida morte. Non ci siamo nemmeno salutati, non ricordo neanche l'ultima cosa che mi hai detto. E io che pensavo che fossimo i protagonisti di un film! Nessun film sarebbe finito così, a meno che il regista non fosse un vero sadico.
Bene, caro Amico mio, ho fatto proprio quello che volevo evitare di fare: scriverti una carrellata di lagne sulla tua morte. Suppongo che tu ne abbia abbastanza di morte. Io personalmente ne ho abbastanza. Tutto è stato cosparso di morte da quando te ne sei andato. A Palermo, ovunque andassi, la tua morte m'inseguiva.
Prima stavo a casa a piangerti, quando le amiche sono riuscite a tirarmi fuori, giravo per un mausoleo di ricordi della nostra storia. Il nostro cinema, il nostro Kebbabaro preferito, il parco in cui mi hai organizzato la caccia al tesoro… tutto mi parlava di te, e con te, anche della tua morte.
Come ti dicevo: dovevo andarmene da Palermo. Quindi, via a Milano (un cliché per una palermitana andare a studiare a Milano, nessuno ci avrebbe visto niente di strano). Ma…pensi che a Milano le cose siano migliorate? Bhè, te l'ho già spiegato: la mia vita e i miei dolori mi hanno seguito anche qui. Certo, qua le persone non ti conoscono. Non sanno, quindi mi risparmio carrellate di pietismo. Non è mica una cosa da poco. È per questo che se ora mi devo riferire a te, ti definisco un "mio caro Amico". Di certo suona meglio che "il defunto amore della mia vita". In questo modo posso sperare che la tua morte non s'intrufoli tra i discorsi che faccio con i miei nuovi amici.
piano piano sto cominciando ad abituarti a chiamarti "Amico mio". Magari lo fossi stato. Un semplice amico con cui confidarsi, ridere e scherzare. A volte penso che preferirei non averti conosciuto. Alcune persone mi dicono "sii grata per i momenti che avete avuto!" e io rispondo "tu saresti stata grata di vincere la lotteria e poi aver portato via tutto?". Per favore! Smettiamola con le frasi fatte! La realtà è questa: tu per me sei stato come vincere la lotteria… e poi perdere tutto.
Questo è quello che succede quando sfidi gli equilibri naturali del mondo. A una come me non è concesso di vincere la lotteria, trovare il principe azzurro, vivere amori da favola, essere amata da ragazzi come te.
Ho pagato a caro prezzo la mia impudenza.
Continuerò a vivere, perché questa è la mia punizione, sola, senza di te, e guardare gli altri che vivono i loro amori da film.
Ti penserò, perché non posso fare a meno di pensarti. E t'incolperò, perché non posso fare a meno d'incolparti e perché se non lo faccio non mi resta niente.
Forse un giorno smetterò di essere così arrabbiata con te.
Spero di riuscirci.
Forse un giorno tornerò a credere alle magie…
Sono una stupida: già m'illudo… sono debole e m'illudo: tu sei stato il mio miracolo. Non avevo chiesto niente e ho avuto il mio miracolo. Ora mi ritrovo qui, da sola, nella mia casetta a Milano, piegata su questo foglio a piangere e a chiederti un miracolo: sii vivo.
Vorrei solo questa piccola magia… che la mia porta si aprisse e tu entrassi per abbracciarmi e non lasciarmi più.
Ti prego porta apriti…
Niente.
La porta rimane chiusa.
Il pulcino nel poster che vi è incollato sopra continua a fissarmi… non capisco se mi prende in giro o è spaventato.
Credo di aver esaurito la mia dose di miracoli per questa vita.
Caro Amico mio… non so più cosa scriverti, eppure non riesco a staccarmi dal foglio.
Staccarmi dal foglio mi riesce difficile come staccarmi da te. Ma devo farlo. Non posso passare la vita chiusa in questa camera a piangere su un foglio scrivendo al mio fidanzato morto.
Ho amiche là fuori a cui servo. Devo interpretare la mia parte.
Sebbene so che ti penserò sempre, non ti scriverò mai più.
Questo è l'addio che ci è stato negato.
Queste sono le ultime parole che ti rivolgerò nella triste consapevolezza di non poter mai sentire le ultime parole che tu mi rivolgerai.
So che la tua mancanza continuerà a fare un male cane… ma imparerò a conviverci. Sono stanca di piangere. Magari, chissà, un giorno il dolore non sarà più così terribile e io potrò tornare a guardare il cielo senza più avvertire quella fitta atroce nel ventre, perché quel cielo, noi l'abbiamo abbracciato… e poi quello stesso cielo ti ha strappato via da me.
Addio, caro Amico mio.
Se un giorno ci dovessimo rincontra, sono certa che mi rinfaccerai ogni singola parola in questa lettera.
Nell'attesa di vivere quel giorno vivrò la mia vita.
La tua cara amica, che ti ha tanto amato.
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La Curatrice
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montecorriere · 3 years
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Libri su Montecosaro a disposizione gratuitamente al Museo Cinema a Pennello
Libri su Montecosaro a disposizione gratuitamente al Museo Cinema a Pennello
Collezionista, scrittore di libri e di commedie, organizzatore di grandi eventi, studioso dei personaggi, delle tradizioni e della storia di Montecosaro. Paolo Marinozzi è questo, ma soprattutto è quello che ha ideato e creato il “Cinema a pennello”, museo unico in Italia e forse al mondo, di bozzetti cinematografici originali. Ebbene Paolo, anche se in numero limitato, ha ancora delle copie di…
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