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#sottomissione
crazy-so-na-sega · 4 months
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se non fosse che anche la memoria -si- educa...
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mentalmente-erotica · 11 months
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your..❤️‍🔥⛓️🐱
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scogito · 1 year
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- Ogni anima viene a questo mondo rafforzata dalle vittorie o indebolita dalle sconfitte delle sue vite precedenti...
- Quindi dovrei mettermi a pregare? Sottomettermi, chiedere perdono a chissà chi, per tutti quei difetti che ho e che mi sono così cari? Inseguire modelli di perfezione, quando io mi sento libero di fare ciò che mi detta il cuore o il desiderio.
E poi, non trovate che il mondo sia felice, nella sua bruttezza?
- Mi permetto di spiegarti due cose: la prima, è che quella che tu chiami sottomissione, è una disciplina, è una straordinaria arte della strategia per difendersi dalle prigioni degli attaccamenti...e solo così raggiungere libertà di vastità smisurate. La seconda, è che quella che tu chiami libertà è semplicemente una totale, inconsapevole schiavitù.
Da "Niente è come sembra" di F. Battiato
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🎯 Questa è la libertà che ti danno i diavoli. O in gergo moderno la falsa verità in un mondo al contrario, le bugie sul libero arbitrio dei falsi guru, le stronzate colossali sulla convinzione che hai che fare tutto il cavolo che vuoi significa ascoltare te stesso.
Ciò che ascolti in quello strato di incoscienza sono gli istinti del corpo biologico e della mente, indottrinati e impacchettati dal Sistema.
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crazy-so-na-sega · 6 months
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Biblioteca_non_conforme_
Si sa che esistono due tipi di razzismo: quello dei bianchi, ingiustificabile e odioso, a prescindere da qualsiasi motivo, e quello dei negri, assolutamente giustificabile, a prescindere da qualsiasi eccesso, perché esso esprime un giusto sentimento di rivalsa e sono i bianchi, dopo tutto, che devono comprendere.
-Jean Raspail - Il campo dei Santi
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iamyourdaddyx · 1 month
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mentalmente-erotica · 11 months
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Esplora ogni centimetro della mia pelle..e fanne terreno dei tuoi desideri ❤️‍🔥🐱
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gregor-samsung · 2 years
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“ Il 25 settembre 1926, ‘Ankabuta detta Canna di bambù stava facendo legna nel deserto quando, senza preavviso, le iniziarono le doglie. In quel preciso momento, mentre lei dava alla luce la sua bambina e con un coltello arrugginito tagliava il cordone ombelicale che le univa, alcuni uomini riuniti a Ginevra firmavano la convenzione che aboliva la schiavitù e dichiarava reato la tratta di esseri umani. Quel giorno, ‘Ankabuta compiva quindici anni e di certo non sapeva niente di quel trattato, così come ignorava bellamente che esisteva una città chiamata Ginevra. ‘Ankabuta strappò in due il velo impolverato che le copriva la testa, avvolse la bambina in una delle metà, si risistemò l’altra sulle spalle e tornò ad ‘Awafi scalza e a capo scoperto. Quando arrivò a casa di Shaykh Sa‘id – che con quella nascita guadagnava una schiava in più – le altre donne l’aiutarono a entrare e a sdraiarsi su una stuoia. Una di loro strofinò un dattero sulle labbra della neonata. Poi gliela posarono accanto e ‘Ankabuta, vedendo quel corpicino grinzoso avvolto nel suo velo, scoppiò in lacrime. Era l’unico che non si era ancora strappato impigliandosi in qualche ramo. Non l’aveva tinto con l’indaco scuro per farlo diventare blu come l’altro che aveva e che ormai era tutto sbrindellato, però la trama teneva ancora bene e, a parte la polvere che scuriva il bianco, poteva passare per nuovo. Ed ecco, adesso era rovinato. Una settimana dopo, lo shaykh annunciò che la bambina appena nata si sarebbe chiamata Zarifa. Disse, però, che non avrebbe sacrificato nemmeno un animale per lei perché quell’anno, purtroppo, la raccolta dei datteri era andata male. Sedici anni dopo l’avrebbe venduta al mercante Sulayman, che avrebbe fatto di lei la sua schiava, poi la sua concubina e, infine, l’unica donna che fosse mai stata vicina al suo cuore. Lui, il mercante Sulayman, sarebbe stato l’unico uomo che Zarifa avrebbe amato e rispettato fino alla fine dei suoi giorni. In lui avrebbe visto per sempre la persona che l’aveva liberata dalle angherie dei figli di Shaykh Sa‘id, l’amante che le aveva insegnato i piaceri del corpo, l’uomo che le aveva insegnato il sottile gioco della crudeltà e della gelosia. Nonché il vecchio che era tornato da lei per morire tra le sue braccia. “
Jokha Alharthi, Corpi celesti, traduzione dall'arabo di Giacomo Longhi, Bompiani (collana Narratori Stranieri), 2022¹; pp. 147-148.
[Edizione originale: سيدات القمر (Sayyidat el-Qamar; Le signore della luna), editore Dār al-Ādāb, Beirut, Libano, 2010]
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emmanerilove · 2 years
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Non importava quanto distante fosse Lui...le bastava pensarlo, ricordare la Sua voce, i Suoi occhi, l'odore della Sua pelle che si insinuava prepotentemente nella sua mente incendiandola come l'odore del sangue accende gli istinti di un animale.
Era questo che Lui riusciva a scatenare in lei...istinti primordiali! Ad ogni brivido, ad ogni gemito era il Suo nome che usciva dalle sue labbra con sospiri sempre più frequenti fino ad esplodere in un grido infinito dove il Suo nome riusuonava fino alle viscere della terra.
Stanca, ancora ansimante con le cosce che colavano ancora copiosamente dell'insaziabile voglia di Lui...in ginocchio, aggrappata alla Sua poltrona come se fossero le Sue gambe ancora lo chiamava col quel filo di voce che le era rimasta.
𝓔𝓶𝓶𝓪 𝓝𝓮𝓻𝓲 ©️
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crazy-so-na-sega · 10 months
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illuposolitario · 2 months
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"Lucia aveva ragione, io non lo sapevo cos'era l'amore. Avrei imparato a Pigalle che si ama solo ginocchio, si trionfa solo in ginocchio, quando la carne si sottomette alla carne e gode."
- Supersex
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ilcovodelbikersgrunf · 4 months
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😡
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fatafarfallaslounge · 3 months
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“Lo slave pretese”. “Lo slave volle”. Lo slave pessimo!
Una vera gomma da masticare incastrata nello scontrino del McDonald’s e finita nell’umido.
Lo slave che grazieró del Mio Assoluto Dominio, smebra in parti la sua ANIMA per donarmele tutte, umilia il suo CORPO esattamente come preteso da Me, o, in caso, lo sfrutterà al massimo se i servigi richiesti fossero di altro tipo.
Ti schiavizzo perché adoro che la tua indole sia così remissiva, ubbidiente e sottomessa, ma esigo anche massima intraprendenza nell’interessarsi ai MIEI benesseri, tempismo nel comprendere la MIA quiete e illimitate idee per ridicolizzarvi.
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crazy-so-na-sega · 8 months
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gli sbarchi continuano
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scienza-magia · 1 year
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Joseph Ratzinger, la ragione e la scienza
La scienza sottomessa alla fede. La irricevibile visione di Ratzinger. L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti segnala con una nota che con la morte di Ratzinger pure sui giornali molti commentatori (anche di testate “laiche”) non hanno mancato di fare elogi sperticati del papa emerito, proclamandolo conciliatore – nientemeno – tra ragione e fede. Quanto questa ricostruzione sia falsata lo mette bene in chiaro il divulgatore scientifico Silvano Fuso su MicroMega proprio ripercorrendo gli scritti e le dichiarazioni pubbliche di Benedetto XVI. Infatti Ratzinger, da intellettuale religioso schiettamente conservatore che temeva la scienza moderna, vede questa “compatibilità” solo quando la ragione si sottomette totalmente alla fede. La scomparsa di Joseph Ratzinger ha suscitato molti commenti in cui si evidenzia come in lui fede e ragione abbiano convissuto armoniosamente. In realtà fede e ragione in Ratzinger diventano compatibili solamente se quest’ultima si sottomette in maniera totale e incondizionata alla fede. La scomparsa di Joseph Ratzinger ha suscitato molti commenti in cui, sottolineando la finezza intellettuale del pontefice emerito scomparso, si evidenzia come in lui fede e ragione abbiano convissuto armoniosamente. Spesso, inoltre, Ratzinger viene ritratto come il papa del dialogo, animato da una ricerca teologica il cui filo conduttore è appunto l’equilibrio tra ragione e fede. In realtà andando a rileggere molti dei suoi scritti e delle sue dichiarazioni pubbliche emerge un quadro piuttosto diverso. Fede e ragione in Ratzinger diventano compatibili solamente se quest’ultima abdica completamente dalle sue prerogative per sottomettersi in maniera totale e incondizionata alla fede.
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Vale quindi la pena andare a rileggere alcune sue affermazioni. Nella celebre conferenza tenuta a Ratisbona il 12 settembre 2006, Ratzinger scrive: “Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l’intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l’ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere”. In definitiva, secondo Ratzinger, se si spiega la realtà senza accettare “la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura”, si è irrazionali. Vale la pena ricordare che la scienza fa proprio questo: spiega la realtà senza ipotizzare alcuna struttura razionale operante nella natura. Pensiamo, ad esempio, alla teoria dell’evoluzione biologica, la quale si sviluppa in modo casuale, senza alcuna finalità o disegno. Tali concetti sono stati ribaditi da Ratzinger nella sua enciclica Spe Salvi, pubblicata il 30 novembre 2007 . In essa, coerentemente con tutto il suo pensiero, viene ribadita la limitatezza della sola ragione senza fede e una ferma condanna dell’illuminismo: “La ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione”. Ed è piuttosto curioso che Ratzinger non esiti a citare un autore della scuola di Francoforte per avvalorare la sua critica al progresso, ritenuto ambiguo e non necessariamente positivo: “Già nel XIX secolo esisteva una critica alla fede nel progresso. Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba. Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l’ambiguità del progresso. Senza dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo”. Tornando alla conferenza di Ratisbona, Ratzinger si focalizza poi sulle scienze in particolare e scrive: “Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o prescientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione”. Questo approccio riduttivo non è però accettabile per Ratzinger: “Ma dobbiamo dire di più: è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo constatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente”. Per Ratzinger è cioè intollerabile (e addirittura patologico) che gli interrogativi “propriamente umani” diventino un problema soggettivo, ai quali ciascuno fornisce la risposta che meglio crede. In pratica ancora una volta, dopo circa quattro secoli dalla condanna di Galileo e dal rogo di Giordano Bruno, la Chiesa Cattolica mostra di non sopportare il libero pensiero e vuole avere il monopolio della verità. L’alternativa che Ratzinger propone è infatti una sottomissione della “ragione ristretta”, tipica del pensiero scientifico, a una “ragione estesa” che coincide con la fede: “L’ethos della scientificità, del resto, è volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica, e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze”. Ratzinger ha ulteriormente ribadito la sua posizione nei confronti dei possibili pericoli derivanti dalla scienza il 16 ottobre 2008, durante l’udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense nel X anniversario dell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II. Ribadendo, al solito, la sostanziale superiorità della fede nei confronti della ragione, questa volta Ratzinger non ha trovato di meglio che accusare gli scienziati di arroganza e di desiderio di facili guadagni: “Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità”. Ora, di tutto si possono accusare gli scienziati, ma non certo di avere forti interessi economici. Molto spesso lavorano in condizioni disagiate, con assunzioni precarie e con finanziamenti esigui: sono ben altre le categorie che si muovono allettate da “facili guadagni”. Riguardo alla presunta arroganza, ben rispose a suo tempo il fisico Tullio Regge (1931-2014) in una dura critica al discorso del papa: “La «arroganza degli scienziati» è accusa ingiusta e indiscriminata e pone sotto accusa tutto il mondo scientifico. Il vero scienziato tiene conto degli errori commessi e delle critiche, molto di più di quanto facciano molti uomini di Chiesa. Lo scienziato è uomo e come tale può commettere errori ma non possiede il monopolio dell’errore. Rendiamoci conto infine che lo scienziato prova pietà umana verso chi soffre di una grave malattia esattamente come accade all’uomo della strada. Il Papa pare aver dimenticato i tempi dell’Inquisizione spagnola e dei roghi su cui Torquemada, uomo di Chiesa, sterminava dei poveracci soltanto perché ebrei, tempi in cui la filosofia e la teologia si rivelarono in quel contesto strumenti devastanti e micidiali”. Anche nel testamento spirituale pubblicato dopo la sua morte, Ratzinger non ha risparmiato critiche alle scienze, mostrando di non averne compreso a fondo l’evoluzione storica: “Spesso sembra che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità”. Abbiamo accennato alla teoria dell’evoluzione, vero pilastro delle moderne scienze biologiche, che è stata spesso oggetto di aspre critiche da parte del defunto papa emerito. Joseph Ratzinger ha espresso chiaramente il suo pensiero riguardo all’evoluzione in un libro dapprima pubblicato in Germania e successivamente anche in Italia dal titolo Creazione ed evoluzione (3). Il volume raccoglie gli Atti del consesso a porte chiuse tenutosi nella residenza estiva papale di Castel Gandolfo dall’1 al 3 settembre 2006. Si trattava dell’incontro annuale del Ratzinger ­Schülerkreis, il gruppo di ex dottorandi del professor Ratzinger alle università di Bonn, Münster, Tubinga e Regensburg, che dal 1978 si è riunito regolarmente con il proprio maestro. Anziché limitarsi a considerazioni metafisiche, imprudentemente, Ratzinger questa volta si avventura in affermazioni che riguardano il contenuto della teoria dell’evoluzione: “A me pare importante, in particolare, come prima cosa, che la teoria dell’evoluzione in gran parte non sia dimostrabile sperimentalmente in modo tanto facile perché non possiamo introdurre in laboratorio 10mila generazioni. Ciò significa che ci sono dei vuoti o lacune rilevanti di verificabilità-falsificabilità sperimentale a causa dell’enorme spazio temporale cui la teoria si riferisce. La teoria dell’evoluzione non è ancora una teoria completa, scientificamente verificabile”. Tale affermazione è palesemente falsa: esistono infatti numerosissime prove a favore della teoria dell’evoluzione biologica, prove che includono anche l’osservazione diretta di mutazioni in tempi brevi (basti pensare ai grossi problemi causati dalle rapide mutazioni del virus SARS-CoV-2). Nello stesso testo Ratzinger non perde l’occasione per rivolgere, ancora una volta, una critica alla scienza in generale: “La scienza ha aperto tante nuove strade alla ragione, portandoci verso nuovi approfondimenti. Ma nell’entusiasmo per la portata delle sue scoperte, la scienza tende ad allontanarci da quelle dimensioni della stessa ragione di cui abbiamo ancora bisogno. I suoi risultati portano a domande che vanno oltre il canone metodologico e che non possono avere risposta al suo interno”. Se con questo si intende che la scienza non può rispondere a tutte le domande che l’uomo si pone, si può essere senz’altro d’accordo: chi conosce la scienza per quello che è e non ha di essa un’immagine ideologizzata è perfettamente consapevole di questo limite. Tuttavia Ratzinger sembra voler dire qualcos’altro, come ampiamente chiarito negli altri suoi scritti già citati. Il giorno 17 gennaio 2008 Ratzinger, invitato dall’allora Rettore Prof. Renato Guarini, avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione del 705esimo anno accademico della Sapienza di Roma. La sua partecipazione venne poi annullata in seguito alla reazione di numerosi docenti dell’ateneo. Nella allocuzione che avrebbe dovuto tenere in quell’occasione, Ratzinger ribadisce sostanzialmente la sua posizione riguardo ai rapporti tra scienza, ragione e fede. In un passo del discorso, citando S. Agostino, sostiene addirittura che la semplice conoscenza renderebbe tristi: “È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra “scientia” e “tristitia”: il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa”. In un altro passo, Ratzinger sottolinea ancora una volta la necessità che la ragione sia sottomessa alla fede: “Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma”. Un altro ambito il cui il pensiero di Ratzinger mostra la sua totale lontananza da qualsiasi impostazione razionale riguarda la concezione del dolore e della sofferenza. Tale concezione traspare in modo piuttosto chiaro anche all’interno dell’enciclica Spe salvi. Pur sottolineando la necessità di diminuire la sofferenza, Ratzinger ne esalta comunque il valore e ne ribadisce ancora una volta l’origine legata alle colpe dell’umanità: “Come l’agire, anche la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall’altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile. Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze psichiche. Sono tutti doveri sia della giustizia che dell’amore che rientrano nelle esigenze fondamentali dell’esistenza cristiana e di ogni vita veramente umana. Nella lotta contro il dolore fisico si è riusciti a fare grandi progressi; la sofferenza degli innocenti e anche le sofferenze psichiche sono piuttosto aumentate nel corso degli ultimi decenni. Read the full article
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