Il mio orizzonte è spesso troppo pieno di lavoro, e di inutili energie spese dietro dinamiche e pensieri che non portano da nessuna parte…Forse infatti non era nemmeno il caso di parlare di “orizzonte” 😅
Oggi non lavoro.
Sono sveglia dalle 6.30. Mi rigiro nel letto inutilmente e rifletto su cose che poi mi dico non interessano a nessuno…
Nessuno nasce “imparato”, e va bene, che spesso nelle cose della vita bisogna andare per tentativi e approssimazioni, va pure bene. E poi…che bisogna immaginarselo il mondo ideale delle cose che si vogliono se si vuole che non si compiano a caso…ci mancherebbe; ma cio' che no, non va proprio bene, e' pensare di imbrodare di parole la gente, di nascondere dietro un termine ingenuo la furbizia piu' plateale, la congiura che diventa nemica dell'ordine corretto e della fatica delle cose da inquadrare.
Magari capita solo a me…che tutte le giornate siano paracule, giornate cioè in cui non sai mai se ciò che hai fatto, conquistato,meritato, agli altri importa e quanto importa, avendoti assegnato una carceriera infallibile: la cattiveria.
Nulla è mai finito, niente è mai iniziato…si va pur sempre per tentativi e ideazioni di cose nella vita, ma una cosa e' sicura, anzi due: che se non ti trovi neanche un uovo e' meglio che non ipotizzi di tentare la carbonara, vivendo solo un altro ennesimo desiderio.
E la seconda…beh… arriverà quella giornata, una giornata molto bella, il giorno della rivelazione e del sollievo, il giorno in cui il mondo potrà anche finire, in un grammo di quella mia felicita' conquistata.
Per ora…testa alta e avanti così.
E intanto…buona liberazione a tutti. Quella vera…che dentro ogni ricorrenza ormai ci mettiamo dentro tutto…e mica lo so se va davvero bene.
Problemi, pensieri, grattacapi. Mancanze e abbandoni disseminati ovunque. Abbiamo lacrime mai scese, sorrisi tenuti nascosti. Conserviamo memorie dolorose e soffriamo per gioie mai più pervenute. Siamo umani. Sensibili. Vulnerabili.
Dovremmo imparare a guardare gli altri specchiandoci.
Non sono una che porta molto di sè a lavoro. Non porto mai molto di me ovunque io vada, ovunque io sia. Ma non critico chi lo fa. Non esiste un modo giusto ed uno sbagliato di stare al mondo.
Quello che davvero però non sopporto e gestisco davvero male…molto male…è l’insoddisfazione altrui…l’infelicità che nasce dal non saper bene cosa desiderare…questo modo di essere rende le persone frustrate…ed il loro atteggiamento è spesso vittimistico, grigio, privo di entusiasmo e in un ambiente di lavoro contagia negativamente.
La vita è vero sa essere ingenerosa, ma incattivirsi ancora di più, diventare apatici ed aridi…è una cosa che faccio molta fatica a comprendere. E parla una che spesso fa del cinismo il proprio scudo.
Ho imparato con il tempo, a tenere a distanza le persone negative, ultimamente mi capita di lavorarci assieme…e sono un disastro nella gestione delle dinamiche. Vorrei strattonare, scuotere…rimettere in circolo quella consapevolezza, quella positività, quella ragione che spesso si deposita sul fondo…e ci priva della cosa migliore che abbiamo: vivere.
Chi sarò mai poi io per dar lezioni agli altri. Ma qualcuno che scuota anche me…ogni tanto lo vorrei.
Quanta tristezza ho provato nel rivedere Alessandro Baricco in tv.
Mi piace ricordarlo come indimenticabile protagonista del Circolo Pickwick (trasmissione irripetibile al giorno d’oggi).
Quanta letteratura mi hai fatto scoprire ed amare mio caro Baricco!
Nonostante la sensazione provata ho pensato che quel che è grande non può essere assottigliato da niente e la forza di alcune parole nessuna malattia potrà mai spegnerla…
"C'è questa cosa che non avevo mai capito nella vita, che ho scoperto tardi...che tu ti giochi una buona quantità delle tue possibilità di stare sul pianeta terra con felicità...te le giochi sulla capacità che tu hai di lasciar andare le cose…”
Appassionata da sempre dal mondo dell’editoria. Complice forse l’esser cresciuta con mio nonno che era un giornalista. Oltrepassavi la soglia di quello studio ed entravi in una dimensione fatta solo di “carta”. Libri ovunque. Aperti, chiusi. Di tutte le dimensioni.
La sua scrivania…la sua macchina da scrivere Olivetti, che conservo ancora con amore, su cui batteva i suoi articoli. I suoi fogli, su cui scriveva appunti, le sue penne, le sue agende.
Quel telefono che squillava due volte al giorno, ad orari precisi. E lui pronto, presente. A dettare i suoi articoli al telefono alla redazione del giornale.
Quanta meraviglia in quella bolla!
Credo di essermi affezionata alle parole sin da allora. Alle parole scritte, soprattutto.
Scrittura, lettura. Le sento parte di me. Da sempre. Mai con velleità alcuna, nè creativa, nè professionale. Forse perché troppo della mia vita c era in mezzo. O chissà…
Guardavo quel mondo di carta da lontano. Lo facevo mio in maniera del tutto intima.
Oggi, per la prima volta mi sono spinta più in là. Ho iniziato uno di quei mini corsi di editing.
Per curiosità, per egoismo, per fare una cosa solo per me. Per sentirmi a mio agio tra le parole. Per capirci di più e meglio. Per divertimento.
La parte razionale è pronta a rispondere: nulla! Non c è nulla che non vada in me. Ma la parte emotiva non è soddisfatta.
Non riesco a capire le persone, non riesco ad entrarci in contatto, spesso le trovo noiose, e in me non scatta alcun stimolo o interesse. Quindi deve esserci per forza qualcosa che non va…
Potrei vivere in una caverna, potrei evitare qualunque contatto esterno senza sfiorare la pazzia. Sono una disadattata nella migliore delle ipotesi. Probabilmente disfunzionale.
Una parte di me immagina una condivisione di interessi e dinamiche di complicità che rimangono a volteggiare in aria come distopiche fantasie.
Si può guarire da questa cosa assurda? E soprattutto…dormire? Posso dormire? Per favore posso desiderare un sonno ininterrotto e ristoratore di almeno 5ore?
Questo libro è di terza, forse quarta mano. L’ho cercato per molto tempo. L’ho atteso. Come si fa con le cose che ci sono sconosciute.
Melampus. È la storia di un intellettuale italiano a New York per lavoro. Ma è anche il racconto di una grande città, di una cultura o più culture che si mescolano, sicuramente di più vite. E di una storia d’amore. L’amore inteso come dedizione assoluta. Melampus è la fotografia di una deriva. Una disgregazione, raccontata con eleganza, delle convenzioni sociali e sessuali in un rapporto di coppia. Flaiano racconta con una favola un po’ surreale (facile riconoscere il segno dello sceneggiatore che affiancò Fellini!) l’irrazionalità assoluta dello stato amoroso, incluse le dinamiche di dominio e possesso che ne rappresentano il lato oscuro e allo stesso tempo quello che più incuriosisce e attrae. Forse una rinuncia alla razionalità, in favore di un certo istinto, quasi animalesco. Una metamorfosi che è umana e “disumana” allo stesso tempo, un “gioco” su una giostra spietata e bellissima, a cui tutti apparteniamo. Come qualcuno disse: “il primo atto umano e forse l’ultimo vero atto politico”. Amare.