Tumgik
#'dieci parole massimo'
omarfor-orchestra · 3 months
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se posso chiedere, dove hai trovato le sinossi della nuova stagione?
Eccole qua anon! Ci sono solo i primi 6 episodi però
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abr · 6 months
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Le parole più sagge degli ultimi dieci anni: se per lei fa troppo caldo, "compratele un gelato".
Donald Trump per Greta, mentre lei lo guarda cupa e lui non la caga. Role model.
Trump cinque anni davanti rispetto ai soloni woke che fino a ieri massimo rispetto. I quali ora han scoperto, pensa, che è una bimbaminkia della sua età: il nulla e ormoni in eccesso.
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montag28 · 9 months
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Le Perseidi
Sembra cosa facile, esprimere un desiderio. Invece bisogna essere bravissimi, dei veri fuoriclasse, a saper scegliere un desiderio fra tutti gli altri e poi plasmarlo nella miglior forma possibile, senza ambiguità, senza possibilità di errate interpretazioni. E tutto questo nell'arco di uno o due secondi, magari cinque, dieci al massimo.
Credo che le meteore - o “stelle cadenti”, che dir si voglia - che fanno scintillare i cieli notturni nel penultimo giro dell’estate, un’utilità ce l'abbiano per davvero: e non è quella di avverare le nostre alquanto vane speranze, verosimilmente. Semmai, è quella di metterci nella condizione di dire la verità a noi stessi; di rivelarci che cosa desideriamo realmente. E di vedere se siamo capaci nello scegliere le priorità e bravi nel saperle definire, nell'esprimerle in modo chiaro e semplice, rotondo e cristallino, sgombrando dal campo tutti i vagheggiamenti fatui e le voglie vacue e le speranze sciocche e tutto quanto sia farlocco e superfluo o fuorviante, rispetto alla nostra faticosa ricerca di una qualche forma di felicità, di un sincero benessere.
Sarà pur banale, ma per sperare di ottenere risposte soddisfacenti bisogna saper innanzitutto porre bene le giuste domande. Vale lo stesso per certi nostri intimi desidèri: forse la realtà è che essi si realizzano più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere; se però poi non ci regalano gioia, evidentemente, è perché le nostre aspirazioni nascono spesso già storte e confuse, per non dire già infelici in partenza.
Insomma, esprimere i desideri è una cosa tanto, tanto difficile. E bisognerebbe allenarsi ben più di una volta l'anno, non solo a San Lorenzo, per imparare bene l'antica disciplina del desiderare, ossia del sognare ad occhi aperti, a pupille spalancate, come le tante ora rivolte verso l'alto, indaffarate a scandagliare questa volta celeste immensa e scura che talvolta chiamiamo *notte*.
C'è chi spera senza dormire, chi scrive ad occhi chiusi e intuisce soltanto le parole, mentre qualcosa risplende senza la pretesa del significato eppur traccia segni, ma non destando clamore. Perduto il giorno, spento il sole, la sera, la volta celeste è d’argento e nera.
(10.8.2021)
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gcorvetti · 9 months
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Lunedì di fuoco.
Sembrava che questa estate fosse più finlandese visto che pioveva spesso e di giornate calde tipiche estive non cer ne sarebbero state, invece tra l'umido di ieri e il caldo di oggi sembra che la bella stagione voglia farsi perdonare, speriamo che non sono i classici due giorni belli e poi dieci di pioggia e freddo, l'estate deve essere estate anche se qua non c'è il mare, cosa che mi porta una tristezza infinita. Ma non importa perché ho comunque molte cose da fare e non sto a bighellonare o a cercare scuse le devo fare. Leggendo le notizie, più o meno sempre quelle, leggo che un tale Angelo Duro che di mestiere fa il comico ha imbrattato i suoi stessi cartelloni pubblicitari, quelli del suo spettacolo, a Taormina dove si esibirà questa sera niente poco di meno che al Teatro Antico, quella meraviglia costruita dai greci con scenografia naturale dell'Etna. Ricordo che sto tizio era all'ultimo sanremo come ospite e tanti lo applaudivano online, pensai mai sentito nominare vediamo cosa dice per fare ridere, lo cerco e con mio stupore vedo che oltre a non fare ridere, se lui è un comico io sono Buster Keaton, è un cretino che dice solo brutte parole e ha dei monologhi terrificanti che i miei temi delle medie erano scritti meglio. Li per li, ai tempi del festival, pensai "Va bè tanto il festival è oramai un baraccone di saltimbanchi e nulla a che fare con la musica" ma dimenticai che è comunque una piattaforma mediatica potente, ma sto idiota non pensavo avesse ancora spazio, ripeto se questa è la comicità che vi fa ridere c'è un grosso problema, senza fare nomi ma penso che parecchi comici del passato vorrebbero uscire dalle tombe e prendere sto idiota a calci nel culo. Siamo alla frutta, direbbe qualcuno, no, dico io, stiamo andando verso Idiocrazy su un piano inclinato, nei tempi che viviamo è semplice andare da un qualsiasi social alla tv o sui giornali come fenomeno del momento o nuovo fenomeno perché è una questione di numeri, fai 47836875103847305 visualizzazioni e quindi sei popolare, magari per quei famosi 15 minuti di cui Andy parlava, aveva ragione, perché magari nel video che diventa virale dai il massimo di te, hai il tuo top, il tuo momento magico dove riesci ad esprimerti al meglio, ma se sei un coglione resti un coglione, come quel tizio. Semplicemente direi a Cateno, sindaco di Taormina, di non fare esibire sto stronzo e bloccargli lo spettacolo, una cazzata i politici riescono sempre a tirarla fuori in ogni occasione.
Cambiando discorso, ieri ho visto Il ritorno di Casanova ultimo film di Salvatores, una storia che profuma di tempi che passano, Gabriele è un grande regista e come sempre conferma questa mia frase, mi è piaciuto molto, l'intensità delle immagini e la bravura degli attori principali e dei secondari, Servillo-Bentivoglio ho detto tutto, da al film quell'impatto emotivo che elimina anche i dialoghi intensi che alcune pellicole mettono in risalto per raccontare allo spettatore una storia che si cela dietro tutto il film, dando a chi guarda la possibilità di riflettere sui temi che affronta la pellicola. Bello molto bello, l'ho già detto? Guardatelo, vi metto il trailer.
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anocturnalanimal · 11 months
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Cara Anna, ho forse detto che gli esseri umani possono essere archiviati in categorie? Allora, se l'ho detto, lasciami fare una precisazione: non tutti gli esseri umani. Tu mi sfuggi. Non riesco a classificarti, non riesco ad afferrarti. Posso indovinare, nove volte su dieci, a seconda delle circostanze, posso prevedere le reazioni, quelle nove volte su dieci, dalle parole o dai gesti, posso riconoscere le pulsazioni dei cuori. Ma al decimo tentativo rinuncio. Non ci arrivo. Tu sei il decimo tentativo. Mai sono esistite due anime così simili e così incomprensibilmente assortite!
Possiamo andare d'accordo, certamente, e a volte capita, ma quando non siamo d'accordo, ce ne accorgiamo subito e immediatamente non usiamo più lo stesso linguaggio. Diventiamo estranei. Dio riderà della nostra pantomima. L'unico sprazzo di sensatezza in tutto questo è che siamo tutti e due generosi, abbastanza generosi per capirci. Perché è vero, spesso ci capiamo, ma in modi vaghi e confusi, per mezzo di deboli percezioni, come fantasmi, che, mentre noi diffidiamo, ci perseguitano con le loro verità. E tuttora io, per primo, non oso crederci; perché tu sei sempre quel decimo che io non posso prevedere.
Sono incomprensibile ora? Non lo so, forse sì. Non riesco a trovare un linguaggio comune. Generosità, ecco cos'è. È la sola cosa che ci tiene uniti. Qualche volte siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi. Sorrido dei tuoi entusiasmi? È un sorriso che si può perdonare, è un sorriso di invidia. Ho vissuto venticinque anni di repressione. Ho imparato a non essere più entusiasta. È una lezione dura. Incomincio ora a dimenticare, ma è così difficile.
Al massimo, prima di morire, posso sperare di aver dimenticato qualcosa. Posso esultare, adesso che sto imparando, per piccole cose, per altre cose, ma per le mie cose, e per quelle segrete, doppiamente mie, non posso, non posso. Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti.
JACK LONDON, Lettera ad Anna Strunsky (Oakland, 3 Aprile 1901)
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asllanismo · 1 month
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Eh niente stanotte non ho dormito un cazzo e non mi é passata per nulla😭😠😡😤 Faccio pure fatica a parlarne perché mi ritorna l'incazzatura però parlare con te che mi capisci va gia meglio.
Quello che hai detto tu sulle parole/post dei giocatori lo sto notando anche io però é anche vero che sei hai la possibilità DEVI fare qualcosa in più, poi non ci riesci perché gli altri sono più bravi? Perché era una giornata storta? Va bene amen ma NON provarci mi manda ai matti. Inzaghi ha sbagliato anche lui sicuramente come tutti ma ieri i titolari (squadra che penso avremmo schierato tutti) hanno tradito abbastanza direi quindi anche li ha le sue colpe ma poi chi gioca sono loro, sono stati disattenti, molli non riuscivano a fare un passaggio che fosse uno per non parlare degli attaccanti lasciamo perdere perché mi bannano.
Il nervoso che mi provocano i post che fanno il giorno dopo, no ti giuro non riesco ad empatizzare con loro ripeto non ci hanno messo grinta (la sconfitta la giustifico ma la svogliatezza no) che per me é fondamentale in queste partite. Devono ridimensionarsi TUTTI perché per me alcuni si credono un pó troppo arrivati e quando arrivano le partite dove si devono tirare fuori i coglioni sembrano gattini impauriti. Soprattutto per chi vuole 10mln a stagione ma non é capace né di tirare i rigori e né essere decisivo nelle partite che contano.
Le colpe le hanno tutti non escludo nessuno.
Non ho assolutamente voglia di vedere lo schifo che faranno col napoli che gia posso lontanamente immaginare, essendo gia usciti dalla coppa italia qualcosa in più mi aspettavo, sono sempre realista eh quindi non era un obiettivo dichiarato per carità ma si DOVEVA fare meglio, proprio per la modalità. Scusami se ti devi beccare i miei sfoghi😭
ciao tesoro ❣️ spero meglio in questi giorni anche se immagino che la partita di ieri non sia stata il massimo per riprendersi dall'incazzatura agshdhd io non l'ho potuta vedere e in realtà non ho neanche recuperato highlights e cose varie 😭
da quello che ho letto non è neanche stata una partita così tremenda, cosa ne pensi? per me [che ripeto non ho guardato la partita Ma è un discorso più generale] sono semplicemente scoppiati fisicamente, e lo trovo normale dopo questi due mesi di fuoco. onestamente non me la sento di recriminare qualcosa perché un pareggio dopo averne vinte dieci di fila ci può stare, certo poi se si potessero vincere tutte...
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lamilanomagazine · 2 months
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Verona: Martedì sera al Camploy la poesia di Andrea Zanzotto ispira il Teatro della compagnia Anagoor in 'ECLOGA XI'
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Verona: Martedì sera al Camploy la poesia di Andrea Zanzotto ispira il Teatro della compagnia Anagoor in 'ECLOGA XI'. Martedì 27 febbraio, alle 20.45 al Teatro Camploy, la Compagnia Anagoor torna in scena con un progetto teatrale dal linguaggio raffinato ispirato dalla poesia di Andrea Zanzotto. Il Gruppo nella sua produzione artistica è da sempre impegnato a osservare la storia dalla periferia, il rapporto con la tradizione, con la sofferenza per la devastazione e la tenacia nel rinnovare la fiamma di arti solo apparentemente inascoltate, che emerge con forza in questo nuovo incontro con la parola poetica di Andrea Zanzotto con cui condivido il profondo sentire. Lo spettacolo Ecloga XI, dal linguaggio affascinante e ricco di contaminazioni, caratteristiche artistiche del gruppo, parte dai testi del poeta di Pieve di Soligo per far emergere la relazione tra politica, lingua, ambiente naturale e paesaggio attraverso linguaggi diversi, da quelli visivi alla poesia appunto, per raccontare il reale e le sue fratture. Il titolo di questo lavoro allude alla raccolta di versi "IX Ecloghe" che Andrea Zanzotto pubblicò nel 1962. Il poeta sceglieva per modestia di stare un passo indietro a Virgilio e alle dieci ecloghe delle Bucoliche. Il sottotitolo 'un omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea Zanzotto', richiama quanto Zanzotto stesso fece con Virgilio. Non è un gioco di parole, ma la descrizione perfetta di una relazione complessa e vitale con una tradizione precedente, che stavolta Anagoor intraprende con il poeta di Pieve di Soligo, per realizzare il nuovo spettacolo. Muovendosi tra tecnologia, video e teatro, Anagoor, il pluripremiato collettivo italiano, vincitore del Leone d'Argento per il Teatro alla Biennale Teatro 2018 e di numerosi altri premi in Italia e all'estero, si confronta da anni e con ostinata, ricercata inattualità, con grandi maestri del passato, da Giorgione a Virgilio, fino appunto al poeta Zanzotto. Un lavoro profondo che tra simboli e archetipi conduce a una memoria culturale collettiva. Non solo teatro. In occasione dello spettacolo sarà possibile approfittare di altri due appuntamenti. 'La tragedia della specie'. Installazione video a cura di Anagoor presso Il Meccanico - Grenze Arsenali Fotografici in Via S. Vitale, 2/B, (37129, Verona). Giornate di apertura e orari: 27 febbraio 19 - 20; 2 – 3 marzo ore 10 – 12 e 16 – 19. L'ingresso è gratuito. 'Todos los males' . Esordio cinematografico della compagnia Anagoor (Leone d'argento alla La Biennale di Venezia Teatro 2018) nato da una messinscena dell'opera Gli Inca del Perù di Jean Philippe Rameau per la SAGRA MUSICALE MALATESTIANA di Rimini. Alla proiezione seguirà un incontro con il regista Simone Derai, moderato dal Circolo del Cinema, cui interverranno il docente di lettere Università degli Studi di Verona Massimo Natale e Stefano Soardo, musicista, compositore e Direttore musicale di Fucina. Martedì 5 marzo alle ore 20.45 al Teatro Fucina Machiavelli (ex Mazziano, via Madonna del Terraglio 10 Verona) Biglietti in prevendita: http://www.fucinaculturalemachiavelli.com/.../todos-los.../ Ecloga XI: testi di Andrea Zanzotto con Leda Kreider e Marco Menegoni. Musiche e sound design Mauro Martinuz, drammaturgia Simone Derai, Lisa Gasparotto, regia, scene, luci Simone Dearai con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna. Informazioni. Programma completo sul sito www.spettacoloverona.it sulla pagina facebook L'Altro Teatro Verona, sul profilo Instagram L'Altro Teatro Verona.Camploy. Biglietti disponibili da Box Office Verona - via Pallone 16 - tel. 045 80 11 154. Biglietti online disponibili sui circuiti: www.boxol.it/,  http://www.boxofficelive.it e www.myarteven.it Il botteghino del Teatro Camploy sarà aperto la sera dello spettacolo a partire dalle ore 20 per l'acquisto dei biglietti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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orianagportfolio · 5 months
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Vai a vedere Cyrano e capisci cos’è l’amore. Come vorrei essere la sua Rossana, e poi la colonna sonora dei The National. / Il Bullone - OrianaG
Pubblicato su Il Bullone n° 63, aprile 2022.
Su Cyrano le chicche da raccontare sarebbero milioni. Che la versione teatrale debutta off-Broadway al limite del lockdown globale, nel 2019. Che il film è girato interamente in Sicilia. Che il protagonista, Peter Dinklage, è negli occhi della maggior parte di noi per Game of Thrones e che Erica Schmidt, regista e drammaturga a teatro e sceneggiatrice del film (oltre che sua moglie), in realtà non aveva scritto il ruolo pensando a lui. Che Joe Wright, il regista, non si è mai occupato di musical, ma di sogni e amore sì (Pride and Prejudice e Pan - Viaggio sull’Isola che non c’è da vedere, se ancora non l’avete fatto). Potrei andare avanti, ma non lo farò. Il motivo per cui ho chiesto di raccontare di questo film è l’Amore, un amore che arriva da lontano.
Sono andata a vederlo quasi solo per la musica firmata dai The National, gruppo indie-rock americano, non nuovo alle colonne sonore, ma vergine di musical. Li ho conosciuti nel 2017, sul lungomare di Ostia, durante la Maker Faire a cui partecipammo a Roma con i ragazzi del PiuLab. Era la prima uscita pubblica del progetto Cicatrici, il seguito è storia. Dei The National quella sera mi raccontava Valerio, futuro angelo custode, e l’album appena uscito che mi consigliò era Sleep well beast, ancora oggi uno dei pochi antidoti infallibili ai miei attacchi di panico. Perciò, a prescindere dalla qualità, Cyrano era già Amore prima di entrare in sala.
La trama è nota. Cyrano, ottimo poeta e spadaccino, è follemente e da sempre innamorato della bella Rossana, ma non ha il coraggio di dichiararsi per un proprio difetto fisico. Quando lei gli confessa di essersi innamorata di Cristiano, cadetto da poco arrivato in città (sano e bello, ma molto meno abile con le parole), e gli chiede di aiutarla, Cyrano accetta. In segreto, scriverà lui per Cristiano le lettere a Rossana, affidandogli quelle parole d’amore che non ha mai osato dirle.
Tutto nel film è di una bellezza disarmante: i luoghi, le parole, gli attori, i costumi (di un italiano, Massimo Cantini Parrini, candidato agli Oscar 2022), i movimenti coreografici... è un quadro, un ipnotico, delicatissimo acquerello. Anche per i non amanti del genere. Le acute parole di Cyrano, in musica acquistano potenza. E la scelta di Schmidt di sostituire l’originale nasone con il nanismo di Dinklage regala universalità al racconto, al senso di inadeguatezza e vulnerabilità, al timore di essere rifiutati che tutti, innamorati, abbiamo provato almeno una volta.
Quel Cyrano guerriero, combattente che ha la meglio da solo su dieci uomini, è lo stesso che trema con gli occhi lucidi mentre canta a Rossana: «Ogni volta che ti vedo / sono sopra atto / provo a dirti / dirti quanto ho bisogno di te / ma mi volto e scappo». Dualità che attraversa ogni personaggio, perfino il perfido De Guiche («Mi merito un po’ di gentilezza / Merito che il mio amore venga ricambiato / Come tutti») e i soldati al fronte, che col brano Wherever I fall meritano una nota in più. «Una delle canzoni più forti che abbiamo scritto nella nostra carriera», ha dichiarato la band.
Cyrano, a capo del battaglione, ordina al messaggero di aspettare le ultime lettere di ogni soldato prima di levarsi di mezzo per l’ultimo, forse fatale, attacco del nemico. Quell’ultima lettera è per tutti d’amore. Per papà, i figli, l’amore mai confessato: «Ditegli di non piangere affatto / Il paradiso è ovunque io cadrò». Un inno, a ritmo di marcia, all’Amore che non muore, nemmeno in guerra.
Riciclo le parole di una recensione del Cyrano di qualche anno fa: forte, fragile, libero. Questo è Cyrano, questo è l’Amore.
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danielebelloli · 9 months
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Addio alle lampadine a incandescenza
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NYT: “It’s Official: Stores Can No Longer Sell Most Incandescent Lights”. Che peccato.
Ogni volta che sparisce un pezzetto del mio passato la malinconia mi assale. Ricordo quando da bambino compresi che “candele” e “watt” erano solo due modi diversi per dire la stessa cosa, quanta luce ci sarà nella stanza. Watt era moderno, candela antico. La nonna diceva “Ce ne vuole una da quaranta candele”. Io la riprendevo “Nonna! Si dice watt”, con quell’insolenza tipica dei bimbetti di dieci anni.
Le candele hanno lasciato il posto ai watt, i watt ai lumen. Malinconico, ma bello, no? Chi tornerebbe indietro? Ecco, avrei detto “nessuno”. Invece.
In reazione alla messa al bando della lampadina a incandescenza un consistente numero di consumatori americani hanno alzato la voce per protestare e sostenere il diritto di libera scelta. Ma perché protestare contro una innovazione dai così evidenti benefici?
Perché, uno, dicono i contestatori, libertà è illuminare casa mia come mi pare e, due, perché lo spiega Trump*: “They took away our light bulb. I want an incandescent light. I want to look better, OK? I want to pay less money to look better. Does that make sense? You pay much less money, and you look much better.”
Trump spiega? O piega i fatti per ottenere un beneficio elettorale? Sorprendentemente, risulta piuttosto facile trovare il modo di risultare convincenti nell’asserire che le lampadine LED rappresentino un passo indietro dell’umanità. Anche contro ogni evidenza scientifica. Altrettanto facile sarebbe dimostrare che il sole sorge a ovest, se solo ne derivasse un qualche vantaggio.
Prova tu: cerca su Google “il sole sorge a ovest” (o su Bing, se consideri Google parte di un complotto globale volto a raddoppiare le “O” in tutte le parole del mondo, a parte zOO che va bene così); dalla prima pagina salta fuori un articolo che si intitola “Ok, ti hanno sempre mentito. Il Sole non tramonta a ovest.” 
Dirai tu, “sorgere a ovest” e “non tramontare a ovest” non è la stessa cosa! Sembra così ovvio. Ma il cervello umano ha il difetto di colmare i vuoti della sua comprensione per renderla plausibile. A qualunque costo. Significa che la cognizione umana non presuppone la ricerca della verità; la cognizione umana si accontenta della plausibilità, e questa è una fregatura per l’umanità.
Ecco cosa accade nel cervello: 1) presupposto: il cervello moderno legge solo i titoli perché, oggi, ha una montagna di robe da fare; 2) sente dire che il sole sorge a ovest; uh, che sciocchezza; 3) fact checking: il cervello cerca su Google (o Bing, naturalmente); 4) trova la frase “Ok, ti hanno sempre mentito. Il Sole non tramonta a ovest”; 5) domanda interiore: sorge a ovest = non tramonta a ovest? 6) risposta: beh, è plausibile, quindi: SÌ, che non ho mica tempo da perdere; 7) però, ulteriore fact checking (il cervello non è tonto): lo dice qualcuno di famoso, tipo un bravo influencer? SÌ? 7) apposto, il cervello fonda subito il movimento “Fratelli di Tolomeo” (FdT), che poi Tolomeo era pure un astronomo, matematico e geografo, insomma, uno scienziato. Quindi. Alé.
Quando “il famoso” certificatore di conoscenza è un bravo influencer, il danno rimane circoscritto a un solo cervello; al massimo il danno si potrebbe estendere a qualche condomino ultraottuagenario. Ma se “il famoso” certificatore di conoscenza è un politico che arringa le folle, per esempio, di Fayetteville, North Carolina, 208.501 abitanti (Trump, capito?), allora la strampalata idea del sole che sorge a ovest acchiapperebbe sufficienti menti da avviare la formazione di un bel movimento negazionista. A quel punto è solo questione di tempo e social.
 *[https://www.factcheck.org/2019/09/trump-bends-the-facts-on-lightbulbs/]
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inutilipensieri · 1 year
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SUGLI INGLESISMI E SULLA LINEA DELLA MORTE
Sono le 5:20, io sono sveglia dalle 4:30 perché uno dei due gatti voleva assolutamente dei croccantini e quando sono tornata a letto non sono più riuscita a dormire, nonostante il sonno. Così mi sono messa sul divano per non svegliare Angelo.
Ho iniziato a pensare, non so perché, alle parole. Soprattutto alle parole che diciamo quando siamo al (preposizione articolata) lavoro, ma a dire il vero, non solo.
Ma quante parole inglesi diciamo durante la giornata, e non solo perché sono utili, ma per farci fighi? Un sacco. E quante rendono veramente l'idea dello stato d'animo che vorremmo provare, plasmare? Dipende dalla persona, comunque per me non si va oltre un 50 e 50. Le parole danno forma ai pensieri e i pensieri sono quello che costituisce il nostro umore. Dobbiamo stare attenti alle parole che diciamo e pensiamo, perché a volte ci complichiamo la vita da soli.
Se posso, alcune parole le dico o le penso in italiano, ma non per un qualche motivo nazionalistico. No, proprio perché per me, nella mia lingua, hanno un significato meno ansiogeno. Così, mentalmente le cambio, nel tentativo di provare meno ansia.
Tipo, io detesto quando qualcuno mi parla o mi scrive della "timing" di un progetto, e mi maledico quando a usare quella parola sono anch'io. Timing mi sa di clessidra con la sabbia quasi finita o di orologio con la lancetta dei minuti che gira all'impazzata. Se invece dentro di me penso a "pianificazione del tempo" mi vedo vestita da esploratrice, in mezzo a una giungla ostile, con nient'altro che bussola e mappa per uscirne viva. Non so, a me dà il senso di avere ancora una possibilità, un minimo di controllo sul lavoro e sulla vita, almeno ho una bussola, almeno posso farmi venire in mente un piano. Timing mi fa sentire spacciata.
Un altro termine molto in voga ora, che io profondamente odio, che non ha a che fare col lavoro e che anche amiche insospettabili hanno iniziato a usare, è "triggerare". Mamma, come lo odio. Significa non semplicemente "dare fastidio", ma provare fastidio perché a monte di quel fastidio c'è un trauma. Mi sa di film horror, di pazzo che ti punta un trapano al cervello. Che ansia, ma anche che paura, no? Io preferisco pensare che una cosa "mi urta". Come quando sei in metro, e il tipo alto davanti a te che non si è tolto lo zaino si gira di scatto e rischia di darti una "zainata" in faccia. Oppure come quando sbagli manovra con la macchina, vai contro a un palo e righi la carrozzeria. Ecco, dire che una cosa mi urta non mi dà solo l'idea del fastidio che mi provoca, ma pure delle Madonne mentali che tiro alla cosa o alla persona che mi ha dato fastidio. È liberatorio.
C'è però una parola che vorrei mentalmente tradurre in italiano, ma non riesco. Più ci penso, più vorrei farlo, e meno ci riesco. Quella parola è deadline. In italiano, alla fine, è così "carina", così tranquilla. "Scadenza": sa al massimo di yogurt andato a male nel frigo. Di barattolo di piselli comprato 7 anni fa e rimasto in fondo alla dispensa. Di Moment da buttare nel bidone dei farmaci appunto scaduti (che poi, a casa mia, il Moment non scada MAI, è un altro discorso). È tanto carina, la parola scadenza. Eppure deadline rende molto di più l'idea di come mi fa sentire avere la mia serie di scadenze sovrapposte quotidiane. "Linea della morte": lo sapevate che l'etimologia nasce durante la guerra civile americana? E che indicava quella linea tracciata sul terreno oltre la quale era lecito sparare per esempio ai prigionieri? Ecco, io come mi giro mi giro, vedo linee tracciate sul terreno ovunque e l'urgenza di non superarle perché ne va della mia vita.
Vorrei immaginare tanti yogurt dimenticati in frigo, che magari (anzi, di sicuro!) sono buoni anche dieci giorni dopo, invece non ci riesco.
Però penso che valga la pena continuare a fare lo sforzo. Ne vale la pena. Perché se le parole plasmano i nostri pensieri, dobbiamo continuare ad avere noi il controllo di quello che diciamo e pensiamo. E forse, forse, se la cultura del lavoro è diventata così tossica, se non riusciamo a staccare anche quando dovremmo e poi proviamo così tanta ansia quando non riusciamo a finire un lavoro in tempo è anche perché pensiamo troppo alle linee della morte da cui siamo circondati e troppo poco allo yogurt in frigo.
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pioferarri · 1 year
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Blackjack
Esistono due versioni principali dell'origine di questo gioco. Alcuni credono che tutto sia iniziato nel XV secolo in Italia. In una delle fonti è stata trovata una menzione del gioco Trentuno - tradotto in russo - Thirty One, le cui regole sono identiche al blackjack moderno, con la differenza solo nel numero di punti di una combinazione ideale in Trentuno - questo è 31, non 21, come nel blackjack di oggi.
La seconda versione ci porta in Francia, dove nel XVII secolo apparve nelle case da gioco il gioco "Vingt et Un", che letteralmente si traduce come 20 e 1. Ma qui le regole sono diverse dal gioco moderno. Traiamo una semplice conclusione che il blackjack ha radici europee e non discutiamo della sua patria.
Introduzione al blackjack
Ancora una volta, vorrei aggiungere che il Blackjack è un gioco abbastanza semplice. Si gioca con un grande mazzo di 52 carte in quattro semi. Le carte vengono contate alla pari del fante e dieci punti dal fante al re. Un asso vale due varianti: 11 o un punto.
Oggi esistono diverse varianti di giochi basati sul classico: blackjack americano - blackjack americano; Open Blackjack - Divulgazione del mazziere o Face Up 21; Scambio di Blackjack - Scambio di Blackjack; Doppia esposizione - Doppia esposizione, Spagnolo 21 - BlackJack spagnolo; Un mazzo SD - Blackjack SD; Super Divertimento 21 - Super Divertimento 21; Il blackjack a sei mazzi è un gioco giocato con un grande mazzo di 312 carte in una scarpa. E due opzioni principali:
Il blackjack di base è un gioco in cui una delle carte del banco (del banco) è scoperta e una è nascosta: la carta coperta.
European Blackjack - In questa variante, il tuo banco prenderà la seconda carta solo quando il set è stato fatto da tutti i giocatori al tavolo. Un'altra differenza è che nella versione europea, con una combinazione vincente del Black Jack nelle mani del croupier, il resto dei partecipanti al gioco recupera tutte le loro scommesse aggiuntive, ad eccezione dell'assicurazione - assicurazione.
Il più popolare tra i giochi di blackjack è il gioco con le scarpe - "scarpa" è tradotto dall'inglese - scarpa. Questo è un dispositivo speciale in cui sono posizionati diversi, di solito sei o otto mazzi, dai quali il croupier distribuisce le carte.
L'obiettivo del gioco - in parole semplici
Il blackjack, come in linea di principio, e molti altri divertimenti nelle case da gioco, è un gioco contro il casinò, che è rappresentato dal croupier al tuo tavolo. L'obiettivo di ogni giocatore è collezionare una combinazione di carte più grande in totale di quella del mazziere, ma non superiore a 21 punti. Giochi solo contro il banco.
Giocano con un mazzo di 52 carte o più mazzi contemporaneamente, come abbiamo già detto, le carte fino a un jack sono valutate al loro valore nominale, jack, regine e re "costano" dieci punti e gli assi - uno o undici.
Primo gioco del blackjack
Considera la situazione: sei in un casinò per la prima volta e vuoi giocare a Blackjack. Iniziamo scegliendo un tavolo. Va tenuto presente che abbiamo bisogno non solo di un ambiente favorevole al tavolo, ma anche di un croupier educato.
Assicurati di prestare attenzione al piatto con il minimo e il massimo indicati: questa è la dimensione della scommessa minima e massima consentita. Su tavoli diversi possono essere diversi.
Non toccare il rivenditore in alcun modo. Quando piazziamo scommesse, scambiamo gettoni o esprimiamo gratitudine sotto forma di mancia, facciamo tutto senza contatto. I croupier ei giocatori sono sempre monitorati dalle videocamere e dal personale di sicurezza interno del casinò.
Dopo aver scelto un tavolo adatto, con uno o più posti liberi, ci sediamo e iniziamo il gioco. Decidiamo quanto scommettere e mettiamo le fiches sulla scatola. Tieni presente che quando viene distribuita la prima carta, non è consentito toccare o modificare la tua puntata.
Il croupier ti darà due carte coperte, lui stesso: una scoperta e una coperta. L'obiettivo del gioco, come abbiamo detto prima, è fare più punti del croupier, ma non più di ventuno! Nel blackjack, ogni mano viene giocata separatamente, cioè il "duello" si svolge tra il croupier e un giocatore. Durante la distribuzione, possono svilupparsi le seguenti situazioni: mano morbida e dura, riuscita e infruttuosa:
Mano morbida mano morbida: il giocatore ha un asso nel mazzo di carte, che può valere sia uno che 11 punti.
Mano dura mano dura - un set senza assi o con un asso duro, che è uguale a uno solo.
mano fortunata oPat Mano - una situazione in cui le carte totali sono uguali da 17 a 21 punti.
cattiva mano oMano rigida - questo è il nome di un set di carte con una somma da 12 a 16 punti.
Se tu o il tuo croupier avete più di 21 punti - questa è una perdita automatica - viene chiamato bustTorace.Se la combinazioneBlackjack- vincita automatica. Se sia tu che il banco ottenete blackjack, il gioco è pari. Per ottenere la giusta pratica, vale la pena casinò di blackjack in Italia sul sito.
Combinazione del Blackjack
La combinazione Black Jack è vincente al 100%. Se le tue prime due carte sono un asso (1 o 11 punti) e un dieci (10 punti al valore nominale), hai Blackjack. La vincita arriva subito e con un bonus: nel rapporto di tre a due, cioè riceverai una volta e mezza in più di quanto scommetti.
In una situazione in cui la combinazione di Blackjack è andata al giocatore e al banco, verrà annunciato un pareggio - Push (push) - e il giocatore restituirà la sua scommessa iniziale.
Se la combinazione del Black Jack cade sul mazziere, il giocatore, avendo in mano qualsiasi altro set di carte, perde e il croupier vince automaticamente.
Significato dei termini di base nel Blackjack
Vediamo quali termini e parole di base possiamo incontrare durante il gioco e scopriamo cosa significano esattamente.
Il croupier o croupier è un impiegato del casinò, la persona con cui tu e tutti i giocatori al tavolo giocate. Il croupier distribuisce le carte, distribuisce e ritira le fiches.
Il giocatore sei tu e qualsiasi persona che gioca al tavolo del blackjack (qualsiasi altro gioco da casinò).
Scarpa o scarpa in inglesescarpa - un dispositivo speciale sotto forma di una scatola per giochi di carte d'azzardo, in cui sono collocati uno o più mazzi. Le carte vengono distribuite dal sabot durante il gioco.
Raddoppia o raddoppia - in ingleseRaddoppia - si traduce come raddoppiare la puntata iniziale, ma al giocatore verrà data solo una carta.
Mano - Le prime due carte nella mano del banco o del giocatore. Mano debole - indica un cattivo set di carte con una bassa probabilità di vincita, una mano forte - buone carte, con possibilità di vincere il giocatore.
Spalato - in ingleseDiviso - conta anche - scomposizione, divisione e scissione. Questa è la divisione di una coppia di carte dello stesso valore in due mani: due giocatori.
Tracciamento in inglese Il tracciamento è il processo di osservazione delle carte durante una partita al fine di utilizzare i dati ottenuti nel ciclo di gioco.
Kat in ingleseTaglio - il processo di separazione subito dopo aver mescolato il mazzo per complicare il conteggio delle carte da gioco. Fatto prima della prima distribuzione.
Premi colpi oDisegno - entrambi questi termini significano - "di più", cioè si tratta di un appello al croupier affinché emetta una carta aggiuntiva al giocatore.
Mescola in ingleseMescola - Mescolare le carte in modo casuale prima dell'inizio del gioco.
Bust è un bust - una situazione in cui il giocatore o il banco ha più di 21 punti significa che è una perdita immediata.
Uno dei termini più comuni nei casinò e nel Black Jack è direttamentepatata fritta in inglesepatata fritta- la valuta interna del casinò. Forma piatta rotonda, ottagonale o quadrata in plastica. Ogni chip ha il suo valore nominale. Fanno scommesse, ottengono una vittoria se vincono. Le fiches vengono cambiate in contanti alla cassa.
Il significato dei gesti usati nel blackjack
La vera lingua internazionale del gioco del Blackjack è una specifica lingua dei segni. A qualsiasi tavolo, ti aspetteranno non solo parole, ma anche azioni nel vero senso della parola. I giocatori e il banco osserveranno i movimenti della tua mano.
Di seguito, entreremo un po' più nel dettaglio su come mostrare quello che vuoi o capire le intenzioni degli altri giocatori attraverso determinati gesti durante il gioco. In questo modo puoi raddoppiare la puntata, chiedere un'altra carta o dividere.
Un gestoAbbastanza OIn piedi -indica il rifiuto da parte del giocatore di una carta aggiuntiva. Se ciò che hai in mano è sufficiente, posiziona le tue carte in modo che il loro angolo sia sotto le fiches. Fino alla fine della distribuzione, non toccare le tue carte.
Un gestoDi più - alias HeathColpo ODisegno -usalo se hai bisogno di un'altra carta. Fai sapere al croupier cosa ti stai perdendo, per così dire: muovi la punta delle dita sul panno accanto a te o dietro la puntata, come se stessi grattando il tavolo verso di te. Tieni le tue carte nella tua mano libera.
Un gestoDoppio ORaddoppia o raddoppiando -Raddoppia.Indica la volontà del giocatore di raddoppiare la puntata originaria. Mettiamo un "importo" inferiore o equivalente vicino alla scommessa originale. Metti le carte a faccia in su. La mano è chiusa a pugno, l'indice è teso verso l'esterno (mostra loro che è necessaria una carta). Puoi guardare la carta che ti è stata data dal croupier, oppure puoi aspettare la mano finale. Le regole del galateo stabiliscono che la carta aggiuntiva che ricevi e visualizzi deve rimanere a faccia in giù.
Un gestoDiviso ODiviso -separazione. Mettiamo accanto alla puntata originale un "importo" uguale ad essa e apriamo le nostre carte - scoperte. Mostriamo al croupier due dita alzate: indice e medio, come simbolo di vittoria - vittoria, dividerà le carte.
Nel caso tu abbia una combinazione Blackjack OTorace -enumerazione sui punti, dovresti girare - aprire le tue carte: il croupier dovrebbe vederle. Se21 puntiper l'importo, ma non per il blackjack, non apriamo le carte, le mettiamo in un angolo sotto la scommessa e aspettiamo l'epilogo.
Dare la mancia al banco nel Blackjack
Il croupier, in quanto persona onesta e dipendente del casinò, è motivato dallo stipendio e dalle mance. Pertanto, lasciando il croupier con cui hai giocato, la gratitudine sotto forma di "tè" è una regola non detta di qualsiasi casinò e l'etichetta di un giocatore con un croupier.
Dare la mancia dopo una partita piacevole, che tu abbia vinto o meno, sarebbe educato ed elegante da parte tua. Puoi semplicemente spostare una o più fiches al croupier (a proposito, non è consuetudine dare grandi somme) con un commento educato: "Per il tè". Ma ti ricordiamo che è impossibile toccare il croupier con le mani, in modo che gli addetti alla sicurezza interna del casinò che stanno guardando tutto ciò che accade non sospetteranno né lui né te di nulla.
C'è un altro modo, ma sta diventando obsoleto a causa della sua ambiguità e goffaggine. Si tratta di una “scommessa sul croupier”: il giocatore mette sul tavolo davanti al proprio le fiches assegnate al dealer per il tè e fa una puntata contrassegnata “per il croupier”. La linea di fondo è che se la scommessa fatta vince, vinceranno il giocatore e il croupier, e se il giocatore perde, il banco rimarrà senza il suo "grazie".
Molto spesso, nelle moderne case da gioco all'estero e in Russia, le mance di tutti i croupier vengono aggiunte alla cosiddetta banca comune durante la giornata e successivamente suddivise, tenendo conto delle ore lavorate, tra i concessionari del turno.
Consigli utili per i principianti nel blackjack
Ricordiamo ancora una volta che la cosa principale nell'elenco delle regole del galateo del casinò e al tavolo del Black Jack, come nella vita ordinaria, è la cortesia e la cautela. Non tocchiamo il croupier con le mani, non interferiamo con i giocatori vicini, accompagniamo le decisioni espresse con gesti, quindi non avrai domande inutili da parte delle guardie e disaccordi al tavolo.
Quando facciamo gesti o segni con le mani, seguiamo semplici regole: tutti i segnali vengono "dati" dietro oa lato della scommessa. Non è necessario farli sopra una scommessa, sopra o davanti alle tue carte. Dovresti anche tenere conto del fatto che diverse case da gioco possono avere le proprie regole o restrizioni aggiuntive, è meglio scoprirlo in anticipo, prima dell'inizio del gioco.
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levysoft · 3 years
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I cento metri sono la gara perfetta. La competizione umana indiscutibilmente migliore di qualsiasi altra. Sono abbastanza veloci da poter tenere il fiato lungo il suo svolgimento ma non durano così poco da non rendersi conto di cosa stia accadendo. Non finiscono in modo improvviso con un colpo da KO e non bisogna neanche aspettare che succeda qualcosa che rompa l’equilibrio. Non sono un esercizio a cui si possa aggiungere né togliere niente, bisogna uscire dai blocchi, spingere, alzare il busto, spingere ancora un po’, e poi sono finiti. Non si possono fare i calcoli, non ci si può inventare niente per essere migliori di quello che si è. Ci saranno senz’altro state innovazioni nei metodi di allenamento, e magari nella tecnica di corsa, ma i cento metri piani nel 2020, anzi nel 2021, si corrono grossomodo come si correvano alla fine dell’ottocento. Se allunghi la distanza la questione si complica, persino nei duecento dove comunque si vola entra in gioco un minimo di resistenza. Si direbbero una gara monotona, i cento metri piani, ma qualcosa succede sempre in quella decina di secondi (qualche centesimo o decimo in meno per pochissimi esseri umani sul pianeta), in quella decina di battiti del cuore di chi guarda (qualcuno in più se emozionato), anche se è difficile capire cosa. Possono esserci rimonte e colpi di scena, ma vai a capire cosa è successo davvero. Si può partire, ad esempio, e non essere il più veloce in assoluto, e avere due o tre persone davanti dopo trenta metri, ma poi recuperare e vincere in modo netto con quattro centesimi di distacco sul secondo, una testa e una spalla cioè, senza che apparentemente sia cambiato niente. Anche per questo sono incommentabili, ti lasciano senza parole, i cento metri mantengono intatto il loro mistero.
[…] Se un italiano aveva un tempo che al massimo avrebbe potuto fargli superare la prima qualificazione per lui poteva strappare un posto per la finale. Eppure non l’ho mai sentito dire che si poteva ambire a una finale nei cento metri. Mai l’ho sentito parlare di medaglie nei cento metri. Se gli avessi chiesto se, secondo lui, sarebbe mai stato possibile, mi avrebbe riso in faccia. Anzi, non mi avrebbe risposto. Che era quello che faceva mio padre quando gli facevo una domanda stupida.
[…] Purtroppo mio padre si è perso un sacco di cose. Non ha fatto in tempo a vedere, il 22 giugno 2018, Filippo Tortu scendere sotto i dieci secondi nei cento metri, primo italiano della storia. Sarebbe stato un grande momento per lui, me ne avrebbe parlato, mi avrebbe costretto ad approfondire. E si è perso anche la fulminante ascesa di Lamont Marcel Jacobs, il 1 agosto 2021, primo italiano ad arrivare a una finale olimpica nei cento metri, primo vincitore delle Olimpiadi nei cento metri. «Non possiamo chiedergli niente di più», ha detto Francesco Panetta, al commento su Eurosport, prima che cominciasse la corsa. Ci dovevamo accontentare del tempo che aveva già fatto, del record europeo battuto in semifinale con cui si era qualificato per la finale pur arrivando terzo, al limite si poteva sperare in un buon piazzamento. Mio padre, fosse stato a fianco a me, probabilmente avrebbe detto che con un po’ di fortuna ci sarebbe potuta scappare una medaglia, un bronzetto, ma sarebbe servito un mezzo miracolo. Invece abbiamo assisto a un miracolo intero, fatto e finito. Qualcosa di impensabile, di incomprensibile razionalmente, anche dopo che è accaduto. Come può un atleta italiano di quasi ventisette anni che fino allo scorso maggio non aveva mai corso sotto i dieci secondi, migliorare ancora, per tre volte, il proprio tempo (9”94, 9”84, 9”80) nel giro di pochi giorni, e proprio durante i Giochi? Come si spiega il fatto che sia un italiano il successore di Usain Bolt, addirittura con un tempo migliore di quello che Bolt aveva fatto a Rio? Soprattutto: che parole avrebbe trovato mio padre per descriverlo?
[…] Forse è stato Bolt ad abituarci male, a farci pensare che l’eccezionalità umana sia una cosa così visibile anche a occhio nudo, evidente al primissimo sguardo anzi, una superiorità così manifesta che si può anche ridere mentre si vince. Non posso sapere le qualità umanamente uniche che avrebbe intravisto mio padre in Marcell Jacobs, ma qualcosa mi dice che gli sarebbe piaciuto per quell’aria imperturbabile che ha mantenuto anche dopo aver camminato sulle acque. Per quel fisico che non sembra da velocista, quasi da uomo grosso, anzi, la versione michelangiolesca di uomo grosso ovviamente, e lo sguardo sereno così in contrasto con quello da duro di Fred Kerley, l’americano arrivato secondo, lui sì con un corpo che si sarebbe detto fatto per tagliare l’aria. Per quella corsa precisa e ordinata, in contrasto con il fascio di muscoli avvolto attorno alla struttura ossea di As Su, l’atleta cinese trentunenne che arrivava alla finale con il tempo migliore e una forza esplosiva spaventosa nei primi metri, ma che è arrivato ultimo dei sei che hanno corso la finale e pareva correre come se lo inseguissero delle persone armate di bastone.
[…] Il corpo di Jacobs non è quello alieno di Bolt, il suo tronco da pugile non poggia su zampe lunghe da ragno, le sue gambe sono vere gambe, anche se lunghe, c’è comunque una tensione verso l’alto che lo fa sembrare leggero, sempre sulle punte, come se i suoi muscoli fossero fatti di panna montata. Forse è quel mento sempre alto, l’orgoglio che lo spinge da dietro come un vento a favore, a dargli un’aria nobile. E qualcosa mi dice che nel momento esatto in cui Jacobs sembra staccarsi dal tartan della pista e appoggiare le punte su un cuscinetto d’aria, più o meno dopo i primi trenta metri, fino a poco dopo i settanta, mio padre si sarebbe alzato in piedi e avrebbe detto, in leggero anticipo sui commentatori a cui parlava volentieri sopra: «Ha vinto». Poi sarebbe rimasto in piedi e, forse, avrebbe battuto le mani una volta sola, rappresentando con un suono secco tutto il suo stupore. Questo era il massimo che avrebbe potuto fare, ma sarebbe stato già qualcosa.
Sarebbe stato uno degli eventi più stupefacenti della sua vita. E mio padre ha visto Neil Armstrong mettere piede sulla luna e il Muro di Berlino cadere pezzo a pezzo. Il che dovrebbe rendere l’idea della portata dell’evento di cui stiamo parlando. Per giunta nella stessa mattinata in cui Gianmarco Tamberi ha vinto l’oro nel salto in alto e in cui Yulimar Rojas ha battuto il record del mondo nel salto triplo femminile. Mio padre ha visto l’Italia vincere due Coppe del Mondo di calcio, ha visto Maradona e persino la Lazio e la Roma vincere lo scudetto l’una dopo l’altra, ma sono sicuro che avrebbe barattato tutto per vedere un italiano vincere i cento metri piani. Ha visto la Dolce Vita al cinema, e 2001: Odissea nello Spazio. Ha ascoltato i Beatles quando sono esplosi, The Wall più o meno quando è uscito. Eppure se ci fosse arrivato (oggi avrebbe avuto quasi ottant’anni) e qualcuno glielo avesse chiesto, tra le cose più incredibili a cui aveva assistito sono certo che si sarebbe ricordato di menzionare Lamont Marcell Jacobs. […]
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corneliaharris · 3 years
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« Se mi fai cadere » e si interrompe rimanendo qualche secondo a pensare «Poi ti tocca una penitenza » ecco ha deciso e forse il sorrisetto che gli si stampa in viso non promette troppo bene. 
Poi pare ricordarsi di qualcosa detto in precedenza a cui non aveva prestato la giusta attenzione « Ma quindi dicevi… » forse dieci minuti fa ma dettagli « …una penitenza? Che penitenza? » curiosa « Devo sapere cosa rischio » anche se ormai sono alti in cielo e non può più tirarsi indietro.
Ah pensavo volessi ignorarla » ridacchia arricciando il naso. Ma non può di certo ignorarla, quindi è un bene che l`altra l`abbia ritirata fuori. « Ma non te lo dico » ecco qua fine. « Vedi di non farmi cadere se non vuoi pagare » la avverte ma non si tratta mica di soldi. 
« Ma no » non la voleva ignorare « Ero presa da tutto il resto » tipo coordinarsi. « Ma come non me lo dici?!? » sconvolta nel chiedere conferma « Non è giusto » e l’altro non la può vedere ma dal tono che usa può essere certo che ha messo su un mezzo broncetto indignato « Sono ancora più curiosaaaa se dici così » a quel suo “dover pagare” « E comunque dovrei farti pagare io » cos? « Ti sto facendo fare un bellissimo giro » e il fatto che l’ha proposto lei pare averlo scordato.
Poi lei ritira fuori la penitenza e lui è più che contento di tenerla sulle spine. « Sì che è giusto » e se questa è la reazione di lei, tutto è ancora più divertente. Infatti ridacchia prima di alzare un sopracciglio per le parole che seguono. « E come dovrei pagare, mh? » chiede a sua volta spostando l`attenzione. Tanto comunque la penitenza non gliela dice. (…) Non fa in tempo a finire la frase che Cornelia parte in quello scatto che a lui fa sgranare gli occhi. E con un riflesso istintivo si stringe ancora di più al manico, come se fosse possibile poi, trattenendo il fiato. « Te sei matta » sbuffa quando tornano a volare ad una velocità normale. « Mi sono andati pure i tuoi capelli in bocca » si lamenta arricciando il naso. « Ti sei guadagnata una penitenza » ha cambiato le regole, ciao.
«  No che non lo è » ribatte perché lei vuole saperla la penitenza e non demorde così facilmente « E visto che non vuoi dirmelo, ti lascerò qui » ma qui dove? (..) « E non lo so » come dovrebbe ripagarla « Ci penso e te lo dico quando scendiamo » e il suo cervellino è già in moto. (…) Ma ben presto dichiara finito il tempo del giretto panoramico da pensionati e accelera, appiattendosi sulla scopa. Dura tutto relativamente poco ma abbastanza per far lamentare Wesley e ridacchiare lei « Daaai, non ho fatto niente » mettendo su pure un’espressione angelica, che l’altro al massimo potrà intravedere «Scusaaa, li avevo legati per questo» per non infastidirlo, intende. « No. Così non vale » l’ha già detto per caso? « Tu cambi le regole e io non so ancora quale sarà la penitenza » ecco, torniamo a quello. (…) E se riuscisse a frenare la scopa fino a fermarla, volterebbe la testa indietro per osservare Wesley « Allora? » ed è ovvio cosa voglia sapere.
« Niente? » continua a lamentarsi ironico arricciando il naso. Qualche capello gli sarà anche andato in faccia ma lui sta solo borbottando perché gli piace lamentarsi. « Sì che vale » ribatte subito già di nuovo col sorrisetto in viso. Il suo broncio dura veramente poco. « Io posso » cambiare le regole ovvio. Ha già un sopracciglio alzato in un`espressione confusa mentre la vede girare il viso per osservalo. A quella domanda alza gli occhi al cielo sbuffando una risata. « Te lo dico giù » anche lui rimanda tutto a quando saranno di nuovo con i piedi per terra.
« No che non vale » piccata mentre una smorfietta le compare sul volto. « Fai tutto da solo » riferito al suo cambiare le regole ma è ovvio che si riferisca anche alla famosa penitenza ancora segreta. Però poi lui rimanda tutto a quando scenderanno dimenticandosi che è lei ad avere in mano quel potere e infatti un ghignetto le compare sul viso « Allora scendiamo » hanno volato abbastanza per oggi. (…) Una volta con i piedi per terra uno sguardo viene lanciato verso l’altro ma, per ora, non chiede niente.
Cambiare le carte in tavolo gli piace soprattutto perché lei mette il broncio e lui se la può ridere. Non le svela ancora nulla della penitenza ma solleva le sopracciglia quando lei fa quell`ultima affermazione. « Scendiamo » (…) Lei lo guarda e non parla ma lui è veloce a cogliere l`occasione. « Allora come ti devo ripagare? » e no, ancora non le parla della penitenza.
Lei non parla e lui non si lascia sfuggire l’occasione ed è il primo a chiedere qualcosa. Ci riflette su un attimo «Ti ricordi quel posto che mi dicevi?» aspettando un cenno di conferma « Mi dici che posto è? » Ora è il suo turno di chiedere cose e non se lo fa ripetere due volte « Allora? Questa penitenza? » e ora Wes non ha più scuse per non parlare e lei lo guarda, palesemente in attesa e con un sorrisetto stampato sulle labbra.
Alla fine comunque è un`espressione divertita quella che gli spunta in viso. « Te lo ricordi? » che lui l`ha accennata a casissimo. « Comunque è una grinzaficata assurda » non fa insomma il misterioso « E` una quinta sala comune » rivela sollevando le sopracciglia per enfatizzare ancora di più quanto sia grinzafica la cosa. « Magari ti ci porto » alza le spalle osservando una sua eventuale reazione. Comunque alla fine non può più scampare dalla questione penitenza, anche perché Cornelia torna giustamente alla carica con quella domanda. Lui resta in silenzio per qualche secondo solo ad osservarla per poi mordicchiarsi leggermente il labbro inferiore. « Dammi un bacio » così, dritto e conciso.
  « Una quinta sala comune? » chiede a mo’ di conferma ma è alla possibilità di essere portata lì che si entusiasma ancora di più e gli occhi le brillano appena. « Davvero? » e non riesce a nascondere l’entusiasmo « Mi piacerebbe » nel caso non fosse chiaro e vabbè, neanche a dirlo, sfodera un sorrisone dei suoi. Alla fine, però, Wesley è costretto a capitolare ma un attimo dopo quelle tre parole così schiette è lei che si sente messa con le spalle al muro, palesemente in difficoltà. Le iridi chiare che risalgono la figura del Tassorosso alla ricerca dei suoi occhi mentre un’espressione un po’ confusa le si è formata sul viso. Non dice niente, esita un po’ dopo quella frase come se dovesse riordinare le idee prima di fare qualsiasi cosa e poi, alla fine, decide. Tra lei e Wes non dovrebbe esserci un’eccessiva distanza anzi ma lei è intenzionata a colmarla completamente, provando a finire davvero vicina all’altro, pur non toccandolo ancora. Gli occhi che cercano quelli del ragazzo e il viso che viene alzato appena perché tra i due non è lei quella più alta. Ed è ormai davvero vicina alle labbra altrui ma esita ancora un attimo. « Questa è la mia penitenza o un premio per te? » glielo sussurra sulle labbra ma non gli concede la possibilità di replicare – o almeno prova a non farglielo fare - perché un attimo dopo le sue labbra finiscono per appoggiarsi su quelle altrui. Labbra morbide che si piegano sulle sue in un bacio a stampo che le fa chiudere le palpebre, in uno sfarfallio di ciglia. Molto meno leggero e fugace del precedente bacetto ma comunque superficiale, nonostante lei non sembri aver intenzione di porre fine al contatto.
(…) Poi è il suo turno di reclamare la penitenza, non senza incertezze, ma alla fine riesce a mettere da parte un velo d`imbarazzo per pronunciare quelle tre semplici parole con l`espressione abbastanza seria. Ma un pizzico di divertimento c`è sempre. Solo che la osserva andare un po` in confusione dopo quella richiesta e quasi è lì lì per rimangiarsi tutto, però poi la vede avvicinarsi e allora resta zitto. Si fa anche più serio, abbandonando l`ultima nota di sfrontatezza nell`espressione per lasciar spazio ad una certa ansia d`attesa. E mentre lei alza un po` il viso per colmare quei centimetri di differenza d`altezza, lui fa esattamente il contrario andando a piegare un po` il mento in giù solo per poterla osservare negli occhi. Le parole di lei gli fanno spuntare automaticamente un sorrisetto ed è anche pronto a rispondere se non fosse che le sue parole vengono zittite proprio dalle labbra della ragazza. Chiude gli occhi anche lui mentre la mano destra risale a posarli dietro la nuca altrui. E no, neanche lui ha troppa intenzione di replicare quel brevissimo bacetto che si sono scambiati sul treno. Infatti, più che allontanarsi da lei, cerca anche di approfondire un po` quel contatto muovendo le labbra sulle sue. Poi, però, forse anche un po` controvoglia si allontana, ma solo per sussurrarle « Tutte e due» riferito alla domanda di prima per poi tornare a posare le labbra sulle sue a concedersi ancora qualche secondo di quel bacio.
Pare ovvio che nessuno dei due voglia replicare il bacetto del treno e istintivamente la testa si inclina leggermente di lato. Lascia che l’altro le poggi la mano dietro la nuca e prendendo esempio da quel gesto, andrebbe ad infilare la sua mano sinistra tra i ricci scuri dell’altro, accarezzandoli piano e quasi distrattamente mentre quel bacio viene portato avanti. Segue il volere e il movimento delle labbra del ragazzo, plasmando le sue su quelle altrui in una specie di danza tutta loro. Ed è quando il contatto viene interrotto per un istante che le palpebre tornano a sollevarsi e gli occhi cercano quelli di Wes mentre un sorriso spontaneo le nasce sul viso « Potevi scegliere anche peggio » replica ma è solo un istante perché poi tornano esattamente dov’erano rimasti, a quel bacio.
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lamilanomagazine · 6 months
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Believe Film Festival: dal 26 ottobre Verona Capitale del cinema under 24
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Believe Film Festival: dal 26 ottobre Verona Capitale del cinema under 24 Verona. Divertimento, opportunità e formazione. Queste sono solo alcune delle parole chiave che da sempre contraddistinguono il Believe Film Festival, il concorso di cortometraggi che, dal 26 al 29 ottobre, da sei anni anima Verona in una grande festa del cinema under 24. Nel corso dei quattro giorni 18 film delegation selezionate su tutto il territorio nazionale avranno l’opportunità di portare il loro cortometraggio sul palcoscenico del Teatro Ristori, non più per una, ma per ben due serate di spettacolo aperte alla città. “Un evento cresciuto negli anni – dichiara l’assessore alle Politiche giovanili Jacopo Buffolo –, che quest’anno ha raggiunto numeri davvero straordinari in termini di partecipazione di giovani, sia per quanto riguarda l’organizzazione, completamente strutturata su ragazzi e ragazze volontari, che per i protagonisti, creativi fra i 14 e i 24 anni che avranno l’opportunità di presentare al pubblico le proprie produzioni cinematografiche. Tanti i temi toccati e gli spunti di riflessione offerti attraverso i cortometraggi scelti per questa edizione del Festival, che invito a conoscere e seguire”. Il Festival è stato presentato questa mattina dall’assessore alle Politiche giovanili Jacopo Buffolo insieme al direttore del Believe Film Festival Francesco Da Re. Presenti anche i rappresentati della direzione artistica del Festival, Davide Mogna e Livia Ferraguzzi. Programma. La prima serata di proiezioni, che si terrà venerdì 27 ottobre, coinvolgerà otto cortometraggi scelti per partecipare alla sezione “Believe Extra”: la prima novità di quest’anno, che prevede la possibilità di proiezione per quei cortometraggi che, pur non rientrando nei requisiti per partecipare al concorso ordinario, si sono distinti per la particolare qualità tecnica o per l’originalità della riflessione sviluppata. Nelcorso della serata sarà proiettato anche il corto “Dive” di Aldo Iuliano, prodotto da Newgen Entertainment e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia80. Nella serata di sabato 28 ottobre, invece, si terrà a partire dalle 17 l’ormai tradizionale serata di gala, durante la quale saranno proiettati i dieci film selezionati per il concorso ordinario: cinque appartenenti alla “SezioneEsordienti” e cinque appartenenti alla “Selezione Ufficiale”. A giudicare la bontà dei cortometraggi sarà la giuria composta da quattro giudici: Lorenzo Ciofani, giornalista per la rivista del Cinematografo; Francesca Amitrano, direttrice della fotografia per la serie tv “Mare Fuori”; Aaron Ariotti, insegnante di sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino e Valerio Ferrara, regista de “Il Barbiere complottista”, vincitore del premio La Cinef 2022 al Festival di Cannes. “Circa 75 ragazzi concorrenti vivranno l’esperienza Believe grazie al lavoro di più di 70 giovani volontari – evidenzia il direttore del festival, Francesco DaRe –, che da mesi stanno progettando e lavorando per offrire il massimo a loro coetanei che condividono la passione per il cinema all’interno di questa grande festa”. Il Believe, dopo il successo riscosso l’anno scorso, torna anche a coinvolgere le scuole della città: più di 600 studenti degli istituti secondari di secondo grado parteciperanno alla “mattinata delle scuole”, durante la quale saranno proiettati alcuni dei corti selezionati per il Believe Film Festival 2023 in contemporanea al teatro Ristori e al cinema Rivoli nella mattina di venerdì 27 ottobre. A conferma della volontà di creare rete e valorizzare giovani talenti nel mondo del cinema, tra le novità di quest’anno rientra anche la “Believe Cinema Expo”. Una vera e propria esposizione alla Gran Guardia che, nella mattinata di sabato 28 ottobre, coinvolgerà accademie, riviste, aziende e professionisti del cinema veronese e non solo. Tra gli invitati anche Cinelà - festival del Cinema Africano e il Bridge Film Festival. Il festival gode del patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Veneto, del Comune di Verona, della Fondazione Ente dello Spettacolo e della Veneto Film Commission.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Dove o in cosa ti rifugi quando non ne puoi più del mondo?
Al mare.
Quando le paranoie, le ansie, le parole, mi soffocano, e mi fanno sentire ingabbiata, prigioniera, schiacciata, vado al mare.
Lascio incompleto ciò che stavo facendo, metto il cellulare in modalità off Line, così che nessuno possa contattarmi, prendo su le cuffie e vado a camminare in spiaggia.
Di solito le mie passeggiate durano due ore, e faccio quasi 10km. E in quei dieci chilometri mi tranquillizzo. All’inizio sono troppo distratta, troppo alterata, e la musica non la sento, seppure il volume è al massimo.
All’inizio guardo quell’infinità distesa d’acqua, che si increspa sotto agli sbuffi del vento. Guardo i “puffini” (come diceva Pascoli) becchettare i paguri nelle conchiglie. Guardo i gabbiani che volano alti nel cielo, con le loro ali spiegate, e me li immagino provenire da luoghi lontani, anche se probabilmente sono sempre rimasti nella nostra riviera. Guardo la sabbi, così compatta, screziata di mille colori per quelle conchiglie che ti solleticano le mani e ti costringono sempre a raccoglierle, solo per poterle ammirare da più vicino, e chiederti quanta strada abbiano fatto loro, per giungere fino a te. Respiro quell’aria salmastra. Lascio che i miei occhi si immergano in quei profumi, in quelle forme, in quei colori.
E mi ricordo che nonostante le cose brutte, il mondo è anche un bel posto. Un posto degno di essere vissuto.
E torno a sentire la musica, e lascio che la melodia mi avvolga, superando il brontolio delle onde. Mi cullo nelle parole di quei testi che riescono perfettamente a descrivermi. E inizio a mia volta a scrivere anche io nelle note del cellulare. Fino a qundo il sole inizia a calare, e le ombre si allungano, e la brezza diventa fredda, e non volano più i gabbiani, coi loro strilli e schiamazzi che riempivano l’aria.
E così, come finisce quel giorno, con un tramonto che squarcia il cielo, allo stesso tempo io finisco il mio, di giorno, con una tranquillità che fa sbiadire la tristezza precedente.
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bludichartres · 3 years
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...quel decimo che io non posso prevedere.
Cara Anna, ho forse detto che gli esseri umani possono essere archiviati in categorie? Allora, se l'ho detto, lasciami fare una precisazione: non tutti gli esseri umani. Tu mi sfuggi. Non riesco a classificarti, non riesco ad afferrarti. Posso indovinare, nove volte su dieci, a seconda delle circostanze, posso prevedere le reazioni, quelle nove volte su dieci, dalle parole o dai gesti, posso riconoscere le pulsazioni dei cuori. Ma al decimo tentativo rinuncio. Non ci arrivo. Tu sei il decimo tentativo. Mai sono esistite due anime così simili e così incomprensibilmente assortite!
Possiamo andare d'accordo, certamente, e a volte capita, ma quando non siamo d'accordo, ce ne accorgiamo subito e immediatamente non usiamo più lo stesso linguaggio. Diventiamo estranei. Dio riderà della nostra pantomima. L'unico sprazzo di sensatezza in tutto questo è che siamo tutti e due generosi, abbastanza generosi per capirci. Perché è vero, spesso ci capiamo, ma in modi vaghi e confusi, per mezzo di deboli percezioni, come fantasmi, che, mentre noi diffidiamo, ci perseguitano con le loro verità. E tuttora io, per primo, non oso crederci; perché tu sei sempre quel decimo che io non posso prevedere.
Sono incomprensibile ora? Non lo so, forse sì. Non riesco a trovare un linguaggio comune. Generosità, ecco cos'è. È la sola cosa che ci tiene uniti. Qualche volte siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi. Sorrido dei tuoi entusiasmi? È un sorriso che si può perdonare, è un sorriso di invidia. Ho vissuto venticinque anni di repressione. Ho imparato a non essere più entusiasta. È una lezione dura. Incomincio ora a dimenticare, ma è così difficile.
Al massimo, prima di morire, posso sperare di aver dimenticato qualcosa. Posso esultare, adesso che sto imparando, per piccole cose, per altre cose, ma per le mie cose, e per quelle segrete, doppiamente mie, non posso, non posso. Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti. Jack
JACK LONDON, Lettera ad Anna Strunsky
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