Tumgik
#*IN GRECO peraltro
deathshallbenomore · 1 year
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la società se una mia cara amica capisse che non ci interessano le storie video-informative sui social che pubblica assiduamente per narrare ogni sua avventura letteralmente passo per passo
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vintagebiker43 · 3 months
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Stanno in fondo, nell'ultimo banco, vicini vicini. Iniziano già alla prima ora e vanno avanti con costanza per tutta la mattina. Intanto sono alti. E larghi. In prima la partenza era già buona, me li sono persi di vista un attimo con i vari lockdown, poi in terza di colpo il loro organismo ha deciso di ingranare tutte le altre dodici marce. Adesso sono due pezzi di armadio che opportunamente schierati tra i pali della porta non lascerebbero passare nemmeno una pallina da golf. O forse no, perché son distratti. Non li ho mai visti prendere un appunto della mia materia. Nonostante provenienza, lingua d'origine e pure caratteri totalmente diversi, questi due sono amici che più amici non si può. Sarà il fatto stesso di respirare l'aria pura che si respira sopra il metro e novanta, o l'essere accomunati nella vita dallo sguardo reverenziale dei primini che si fanno carta da parati al loro incedere, chissà.
Da quest'anno, poi, hanno anche inziato a condividere la passione per lo studio. Non delle mie materie, questo mai. Lo studio di un piano alimentare calibrato sulle loro esigenze sportive. Che Macho Man e Mister Muscolo non siano soltanto ragazzoni creciutelli, ma che sotto a quelle magliette a maniche corte fieramente esibite con -3 gradi ci sia del lavoro di palestra, è evidente. Palese. Anche il fatto di aver abbandonato gli outfit da maranza e di venire a scuola con la tuta come Danny Zuko quando prova tutti gli sport per cercare di far colpo su Sandy. So che sono attenti a rispettare il loro severo ma costante regime dietetico, perché lo rispettano nelle mie ore. Arrivo al mattino e trovo Macho Man alle prese con i fiocchi d'avena, la frutta secca e gli spicchi di mandarino. Ho lezione alla terza ora e vedo Mister Muscolo estrarre uno yogurt greco e una banana. Faccio assistenza tra la quarta e la quinta ora e vedo comparire un tupperware con l'insalata di riso venere, avocado e gamberetti che impestano l'aria per un sacco di tempo.
Io sono abituata a gente che cerca di mangiarmi di soppiatto davanti e di lato. Conosco il crepitio dei pacchetti di patatine, riconosco al volo l'odore del panino al tonno e percepisco il sentore di cotoletta sprigionarsi da certi involucri d'argento abbandonati sul termosifone. Ma qui siamo alla follia. Complice due ore di potenziamento, sono rimasta immersa tra gli stessi tardoadolescenti per quattro ore consecutive e ho visto, cadenzati, apparire un uovo sodo, una mela, un tramezzino con le fette di tacchino magro, un quadretto di cioccolato fondente, sei gherigli di noci, otto quadretti di tofu. Non fanno dieta loro. Mettono su massa. E ogni tanto a me parte lo sclero della professoressa, spesso causato dalla fame atavica che mi prende alle 13 dopo aver consumato tutte le mie energie a spiegare la Restaurazione, senza peraltro aver bruciato una sola caloria, perché ho scoperto che l'unica parte del corpo che la scuola mette sotto sforzo, oltre al cervello ma neanche sempre, è il fegato, che nel mio caso è grosso come un'anguria.
"Voi due, là in fondo, la finite?!" urlo facendo levare in volo uno stormo di operai che stavano lavorando in cortile. "Ma prof..." inizia Macho Man facendo finta di non masticare. Inutile, ha la bocca sporca di briciole. "Io faccio finta di non vedere fino a un certo punto, capisco gli orari, i pullman, capisco che mangiate quando potete, quando saltate l'intervallo! Ma quello lì che cos'è?" chiedo mentre vedo scomparire una vaschetta nello zaino.
"Bresaola, prof. Devo mettere su massa!" risponde Mister Muscolo che sta spazzolando le briciole di gallette di riso.
"Ragazzi, ma voi la massa la dovete mettere nel cervello! Ma come pensate di arrivare all'esame?" e inizio a giocarmi la perfida carta del terrorismo psicologico.
"Prof, ma ci sono tutti gli orari da seguire, il dietologo ha detto di essere rigorosi!" prova a difendersi l'indifendibile bicipite ambulante.
"Io è una vita che vi dico di essere rigorosi! Di farvi un piano di studio, di non arrivare sempre all'ultimo, di fare i compiti un po' per volta! Com'è che a lui date retta e a me no? Cos'ha lui più di me?" piagnucolo come nelle peggiori soap.
"Ma prof, lui ci ha spiegato che bisogna avere rigore e disciplina perché il nostro corpo è un tempio!" mi spiega ispirato Macho Man, e nel parlare scuote i riccioloni neri che immagino si leghi quando si allena.
"Ah, ma certo, il cervello lasciamolo stare, tanto il vostro corpo è un tempio! E quando arriva il giorno dell'esame nel tempio cosa ci fate?!"
"Eh, prof. Preghiamo".
Io me le vado a cercare.
@Portami il diario.
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gcorvetti · 11 months
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Eh beh.
Oggi non scrivo io ma copio l'editoriale di Travaglio che è molto interessante.
Quando, esattamente 15 mesi fa, la Russia attaccò l’Ucraina, qualche certezza l’avevamo tutti.
Pensavamo che Kiev non c’entrasse nulla con la Nato, fuorché nella propaganda di Putin; poi la Nato intervenne cobelligerando e armando Kiev fino ai denti.
Pensavamo che il governo ucraino non c’entrasse nulla coi nazisti, fuorché nella propaganda di Putin. Poi Zelensky si portò un nazi del battaglione Azov (inquadrato nelle forze armate di Kiev) nel collegamento col Parlamento greco. E altre centinaia ne vedemmo uscire dall’acciaieria di Mariupol con i loro simpatici simboli nazisti e le loro svastiche tatuate.
Pensavamo che le nostre armi servissero per la resistenza dell’Ucraina contro gli attacchi della Russia; ora scopriamo che l’Ucraina le usa per attaccare la Russia con milizie di estrema destra che i giornaloni chiamano “partigiani russi”, ma senza spiegare perché partono dall’Ucraina e quando mai i nostri governi han dichiarato guerra alla Russia.
Pensavamo che, fra Ucraina e Russia, lo Stato terrorista fosse la Russia, come da black list della Nato e dunque dell’Ue. Poi gli ucraini hanno assassinato a Mosca Darya Dugina, figlia del filosofo Aleksandr. Poi il capo dei Servizi militari ucraini Budanov s’è vantato di “uccidere” i propagandisti russi “ovunque sulla faccia della terra fino alla vittoria”. Confermando che l’Ucraina è uno Stato terrorista che fa attentati con le nostre armi. Cosa peraltro già nota dal 2014, quando le sue forze armate assassinarono il giornalista italiano Andrea Rocchelli e il collega russo Andrej Mironov in Donbass, coperte dai depistaggi dei regimi Poroshenko-Zelensky.
Pensavamo che l’obiettivo fosse un cessate il fuoco e un negoziato per risparmiare altri morti e distruzioni; oggi basta dire “cessate il fuoco” per essere putiniani.
Pensavamo che Bakhmut fosse la Maginot degli ucraini, tant’è che in sei mesi ci han bruciato decine di migliaia di uomini e un’infinità di proiettili e armi; ora che l’esercito più potente d’Europa, armato dai 40 Stati della temibile “Nato allargata”, l’ha persa, nessuno ne parla più, come se fosse un paesucolo qualunque.
Avevamo capito che la controffensiva ucraina di primavera per riconquistare gli oblast di Lugansk, Donetsk, Kherson, Zhaporizhzhia e ovviamente la Crimea e poi trattare la resa di Putin sarebbe scattata in primavera; e ci auguriamo che arrivi in fretta, perché fra 26 giorni ci toccherà attendere la controffensiva d’estate.
Avevamo capito che la Russia sarebbe andata in default nella primavera 2022; ora leggiamo che il default lo rischiano gli Stati Uniti nella primavera 2023.
Avevamo capito che la prima vittima delle guerre è la verità. Ma forse stavolta si esagera.
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popolodipekino · 2 years
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palestra e ginnasio
in portoghese palestra vuol dire conferenza. per esempio: "fazer uma palestra" si può tradurre "tenere una conferenza".
etimologicamente il termine - in greco palaistra, luogo in cui ci si allena al combattimento, dal verbo palaio = io lotto - condivide la radice con il sostantivo polemos, guerra, lotta. a quanto pare già cicerone lo usa anche in senso traslato di accademia, scuola di eloquenza.
peraltro, in portoghese la nostra (e dei greci) palestra diventa academia, ma anche ginàsio. e il ginnasio, qui da noi, è (era) la scuola propedeutica al liceo (classico, l'unico originariamente previsto dall'ordinamento), mentre per i greci il sostantivo gymnasion - grosso modo sinonimo di palaistra - deriva dal verbo gymnazo = mi esercito, faccio esercizio fisico. questo, a sua volta, è legato agli aggettivi gymnàs = agile, allenato e gymnòs = nudo, disarmato, inerme. perciò si ritiene che la ginnastica (gymnastiké) fosse così detta e perché si praticava nudi e perché si lottava a mani nude, disarmati.
sta di fatto che una traduzione in portoghese del discorso che il fisico niels bohr tenne quando gli dettero il nobel, siccome esordiva con "palestra nobel", mi provocava gran sollazzo e ridarella: e invece non c'era niente da ridere, guarda un po'
e come dice un filologo brasiliano, "ginásio e palestra eram sinônimos: hoje talvez sejam antônimos porque durante as aulas no ginásio não se pode palestrar." (trad: ginásio e palestra erano sinonimi: oggi forse sono contrari, perché durante le lezioni in palestra non si può tenere una conferenza)
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errantepagina69 · 8 days
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Leonardo Bloch (Breve storia del casoncello)
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Le ascendenze greco-bizantine del tortello paiono ulteriormente avvalorate dal suo parallelo allignamento nel circondario di Rimini e nelle Marche settentrionali, che dal VI all'VIII secolo furono parte del ducato della Pentapoli sotto l'autorità dell'Esarcato di Ravenna. Più che dalla comparsa dei calisoni, assieme a cialdoni e confetti, tra le imbandigioni del quarto servizio di credenza del banchetto tenuto a Rimini il 24 giugno 1475 per celebrare le nozze di Roberto Malatesta con Elisabetta di Montefeltro, è a tale riguardo emblematico il già citato riferimento cinquecentesco di Costanzio Felici al radicamento del cascioncello/calcioncello nella cucina popolare dell'Urbinate, che assai verosimilmente presupponeva il tramandarsi di consuetudini quantomeno plurisecolari. In area romagnolo-marchigiana la denominazione della vivanda aveva peraltro già virato verso le forme calcione cascione, che in queste ultime varianti si sono tramandate sino ai nostri giorni, ancorché traslate verso fagottini di pasta che si sono ormai ampiamente distanziati dal modello originario.
Almeno sino al Libro de arte coquinaria (1456/67) di Martino da Como e alla sua elevazione umanistica nel De honesta voluptate e valetudine (1474) del Platina, v'è dunque ragione di ritenere che la diffusione della cibaria, oltre che al riminese e all'urbinate, rimanesse principalmente accentrata all'interno del perimetro di irradiazione dell'influenza culturale di Venezia (Veneto, Lombardia centro-orientale, Friuli e Trieste).
L'attenzione riservata al calisone da parte del maestro Martino - di origini ticinesi e milanese per formazione - non poteva del resto essere disgiunta dai natali veneziani del suo più eminente datore di lavoro ( il cardinale camerlengo Ludovico Scarampi Mezzarota, Patriarca di Aquileia).
Prima uscita: 25 ottobre 2121 Editore: Lubrina Bramani Pagine: 192
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siciliatv · 1 month
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Catania, da domani Piazza San Francesco sarà isola pedonale
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Da domani, sabato 30 marzo, piazza San Francesco a Catania conosciuta anche come piazza Cardinale Dusmet, sarà isola pedonale. L’Amministrazione Comunale del sindaco Trantino ha deciso di rendere operativo il piano previsto da qualche tempo che prevedeva appunto l'integrale l’interdizione al traffico veicolare e la pedonalizzazione anche di quella zona. Piazza San Francesco è lo spazio attiguo a Via Crociferi, dove c'è la casa-museo Vincenzo Bellini e il museo multimediale del Cigno. La chiusura al traffico veicolare di questa piazza rappresenta di fatto la continuità pedonale con piazza Mazzini interdetta alle auto nei mesi scorsi. La decisione di Trantino, attuata d’intesa con il vicesindaco con delega alla mobilità Paolo La Greca ed esecutiva da domani, è finalizzata a rendere più agevole e sicura per i pedoni la visione delle bellezze dello slargo prospiciente la chiesa di San Francesco D'Assisi con il monumento al beato cardinale Dusmet e gli spazi dedicati a Bellini nel palazzo Gravina Cruyllas che affaccia sulla piazza. Ma parliamo di mobilità veicolare. Adesso, per raggiungere via San Giuseppe al Duomo le auto provenienti da via Teatro Greco dovranno imboccare via San Francesco, arteria in cui due mesi addietro è stato invertito il senso di marcia, proprio per favorire il flusso viario in direzione della zona della Questura. “Piazza San Francesco il cui accesso ai mezzi motorizzati verrà impedito da fioriere -ha detto il sindaco Trantino-, è una delle tappe più gettonate dai turisti che visitano Catania, che non dovranno più divincolarsi tra automobili e motociclette per visitare questo storico scorcio di Catania. In questo spazio attiguo a via Crociferi, che di fatto rappresenta la continuità pedonale con piazza Mazzini interdetta alle auto nei mesi scorsi, abbiamo la casa-museo che diede i natali a Vincenzo Bellini  e lo splendido museo multimediale del Cigno, due soste pressoché obbligate per quanti visitano la nostra città, peraltro senza particolari stravolgimenti per i percorsi di automobilisti e motociclisti”. Read the full article
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rosaleona · 11 months
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Di Marco Travaglio.
Quando, esattamente 15 mesi fa, la Russia attaccò l’Ucraina, qualche certezza l’avevamo tutti.
Pensavamo che Kiev non c’entrasse nulla con la Nato, fuorché nella propaganda di Putin; poi la Nato intervenne cobelligerando e armando Kiev fino ai denti.
Pensavamo che il governo ucraino non c’entrasse nulla coi nazisti, fuorché nella propaganda di Putin. Poi Zelensky si portò un nazi del battaglione Azov (inquadrato nelle forze armate di Kiev) nel collegamento col Parlamento greco. E altre centinaia ne vedemmo uscire dall’acciaieria di Mariupol con i loro simpatici simboli nazisti e le loro svastiche tatuate.
Pensavamo che le nostre armi servissero per la resistenza dell’Ucraina contro gli attacchi della Russia; ora scopriamo che l’Ucraina le usa per attaccare la Russia con milizie di estrema destra che i giornaloni chiamano “partigiani russi”, ma senza spiegare perché partono dall’Ucraina e quando mai i nostri governi han dichiarato guerra alla Russia.
Pensavamo che, fra Ucraina e Russia, lo Stato terrorista fosse la Russia, come da black list della Nato e dunque dell’Ue. Poi gli ucraini hanno assassinato a Mosca Darya Dugina, figlia del filosofo Aleksandr. Poi il capo dei Servizi militari ucraini Budanov s’è vantato di “uccidere” i propagandisti russi “ovunque sulla faccia della terra fino alla vittoria”. Confermando che l’Ucraina è uno Stato terrorista che fa attentati con le nostre armi. Cosa peraltro già nota dal 2014, quando le sue forze armate assassinarono il giornalista italiano Andrea Rocchelli e il collega russo Andrej Mironov in Donbass, coperte dai depistaggi dei regimi Poroshenko-Zelensky.
Pensavamo che l’obiettivo fosse un cessate il fuoco e un negoziato per risparmiare altri morti e distruzioni; oggi basta dire “cessate il fuoco” per essere putiniani.
Pensavamo che Bakhmut fosse la Maginot degli ucraini, tant’è che in sei mesi ci han bruciato decine di migliaia di uomini e un’infinità di proiettili e armi; ora che l’esercito più potente d’Europa, armato dai 40 Stati della temibile “Nato allargata”, l’ha persa, nessuno ne parla più, come se fosse un paesucolo qualunque.
Avevamo capito che la controffensiva ucraina di primavera per riconquistare gli oblast di Lugansk, Donetsk, Kherson, Zhaporizhzhia e ovviamente la Crimea e poi trattare la resa di Putin sarebbe scattata in primavera; e ci auguriamo che arrivi in fretta, perché fra 26 giorni ci toccherà attendere la controffensiva d’estate.
Avevamo capito che la Russia sarebbe andata in default nella primavera 2022; ora leggiamo che il default lo rischiano gli Stati Uniti nella primavera 2023.
Avevamo capito che la prima vittima delle guerre è la verità. Ma forse stavolta si esagera.
Sorgente: Avevamo frainteso – Il Fatto Quotidiano
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pizzettauniversale · 2 years
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Il festival è finito, eppure io sono qui a rompere i coglioni ancora con il festival, perché? Per parlare də stylist che durante questo festival ci hanno fatto volare oppure incazzare (vedi gli innumerevoli vestiti bianchi, con i brillantini, il colore smunto su Noemi la prima sera, il vestito fittato malissimo di Sabrina Ferilli ieri sera ecc.).
Lə stylist, che non mi dovete confondere con lə stilista, per farla in breve, proprio in spiccioli, è chi sceglie gli abiti e li mette insieme per presentarli a un pubblico o a dei venditori (vedi lə stylist che lavorano durante le sfilate che devono saper attrarre i buyers). Negli Stati Uniti sono figure ben consolidate, in Italia sembra quasi un nuovo lavoro e solo negli ultimi anni moltissimə stylist Italianə cominciano a essere conosciuti dal pubblico, anche da chi non mastica la moda e anche grazie a Sanremo. Alla fine vi metto un po' di nomi da conoscere, italiani.
1. se vediamo sempre gli stessi nomi a Sanremo è perché appunto in Italia è una professione semi-nuova e chiamano chi si è fatto un nome - riconoscimento ottenuto con grande fatica peraltro.
2. se abbiamo visto un sacco di persone vestite o tutte di bianco o luccicosi è perché i brand sono stati più o meno sempre gli stessi per tuttə e più o meno sempre gli stessi ogni sera per l'artista (un'eccezione è Mahmood vestito la prima sera in Prada, poi Ann Demeulemeester, poi Fendi e ieri sera Burberry, Elisa era sempre in Valentino, Francesca Michielin sempre in Miu Miu, Emma in Gucci, Matteo Romano in Armani). Essendo che i nomi son più o meno quelli il tema, l'idea dietro agli abiti si ripete.
3. vi chiederete a sto punto perché non c'è varietà di brand: "colpa" degli uffici di comunicazione dei marchi. Non è perché lə stylist va a Sanremo allora può avere tutto quello che vuole, gli uffici di comunicazione valutano chi è lə stylist, cosa ha fatto, chi è l'artista e se gli può portare un valore, non solo profitti, ma valore al brand. Concetti come valori, heritage, mission, vision sono fondamentali per i brand e se per loro quella persona non rispecchia il loro brand non prestano i loro abiti, non importa quanto Sangiovanni potrebbe stare bene in Dries van Noten, se a loro non interessa gli abiti non li danno. La "fiducia" la si deve conquistare e da lì posso nascere collaborazioni molto interessanti tipo i Maneskin con Gucci. Inoltre, cosa da non sottovalutare, non sempre i vestiti sono disponibili, sono già in prestito altrove e quindi niente.
4. perché Amadeus per ogni sera ha avuto sti completi luccicosi? Perché Ana Mena sembrava uscita da Il castello delle cerimonie? Perché come i brand, anche gli artisti hanno un'identità e gli abiti aiutano a costruire la loro identità e il loro percorso come artisti -es. Ramona Tabita collabora con Elodie e con lei lavora sul concetto di sensualità. Vestire una persona è un percorso e quindi molte volte è più semplice utilizzare un solo brand e per quello che ho detto sopra l'uguaglianza degli abiti sta anche nella disponibilità degli stessi, quale identità si vuole dare all'artista, da che collezione pescano gli abiti (es. Elisa in Valentino sempre in bianco). Quando un artista è consolidato si può variare di più, ma la linea è più o meno sempre la stessa (es. Mahmood, quattro brand diversi, ma stessa identità).
Un po' di nomi da spulciare: Ramona Tabita, Susanna Ausoni, Nick Cerioni, Lorenzo Posocco (che veste Due Lipa), Rebecca Baglini, Andrea Amara, Mr Lollo, Giulio Casagrande, Simone Furlan, Matteo Greco, Tiny Idols, Anna Pastore, Simone Rutigliano. Bonus: Ib Kamara, che collabora con Vogue Italia, parla di razzismo tramite il suo lavoro, è nella mia tesi di laurea.
Buona serata, spero vi piaccia questo post 💕
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toscanoirriverente · 4 years
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Palamara ammette: giudici guidati da sinistra - Si alza il velo dell'ipocrisia e si scopre ciò che tutti sanno
Quando una «notizia» era nota ma fa notizia lo stesso, è segno che fa parte delle grandi ipocrisie nazionali, della verità sottaciute, dei «si sa ma non si dice», spesso la si relega a berlusconata tipo «le toghe rosse» eccetera. Quindi, se un magistrato d'un tratto dice pubblicamente che «la sinistra orienta la magistratura», occorre subito vedere chi è, perché l'ha detto, se è da ritenersi credibile. Nel caso, il magistrato è Luca Palamara (intervistato durante un festival del sito Tpi, a Sabaudia) il quale è un ex componente del consiglio superiore della magistratura (Csm) che è stato il più giovane presidente dell'Associazione nazionale magistrati.
Quindi è credibilissimo: e allora perché ha parlato? Risposta: perché è sputtanato, o come si dice: non ha più niente da perdere. Sappiamo che Luca Palamara l'anno scorso è stato indagato per corruzione, compravendite di sentenze e fuga di informazioni, e che dalle intercettazioni fatte col sistema trojan è venuto fuori un trojaio. Eppure, anche ai più navigati, sentir dire pubblicamente che «la sinistra orienta la magistratura» fa ancora avere un modesto soprassalto, e perché?
Forse perché continua a sembrare grave, anomalo, distorcente l'equilibrio che dovrebbe caratterizzare il magistrato ma nondimeno il politico che lo orienta. Oppure, retrospettivamente, perché sappiamo che a una magistratura di sinistra non esiste una corrispondente magistratura di destra, o meglio: ciascuno ha le sue idee, ma chi cerca di trasfonderle nella professione togata è quasi sempre di sinistra.
Minoranza Rumorosa
In altre parole, esistono migliaia di magistrati (circa novemila, nel penale) che si fanno gli affari propri e cercano solo di fare il proprio lavoro, ma tra essi c'è una minoranza che si muove in una logica di potere, e queste logiche sono e rimangono di sinistra perché presuppongono un ruolo sociale della magistratura che possa contribuire al cambiamento della società. Il «campionato» del potere si gioca solo a sinistra: è così che magistrati di mentalità anche di destra (pensate a Piercamillo Davigo) li ritroviamo a giocare nella logica delle correnti togate, quelle che si spartiscono posti e potere.
Ma non esistono correnti veramente di destra: sono tutte e comunque in un campo di gioco che è dall'altra parte, l'unico disponibile: la differenza è che un tempo era una logica di sinistra incernierata ideologicamente coi partiti, oggi i partiti sono soltanto dei fragili appoggi appigli perché la magistratura militante consolidi un potere che non restituisce, ed è solo suo. La magistratura milita in se stessa, ed è soggetto politico a se stante.
Certo, le correnti «Area» e Magistratura democratica» sono considerate più di sinistra, «Unità per la costituzione» più di sinistra-centro, «Magistratura indipendente» più di centro-sinistra: ma ripetiamo, a destra non c'è nulla, solo lavoratori privilegiati (e ben lieti di essere globalmente difesi dal sindacato unico, l'Associazione magistrati) oppure ci sono cani sciolti che però difficilmente finiscono sui giornali per inchieste e arresti clamorosi (di politici, in genere) e difficilmente si spartiranno poltrone e incarichi.
E i partiti? Che c'entrano? Ormai niente: i partiti fanno capolino solo nella facoltà di candidare tizio o caio tra i consiglieri laici del Csm o altre cariche elevate. Non ci sono più le toghe rosse: nella notte della giustizia, tutti i gatti sono grigi. Il magistratura fa politica da sola, non essendo peraltro eletta dal popolo.
Arresti a destra, cuore a...
Poi vabbeh, ci sono tanti magistrati di sinistra che sono stati eletti a sinistra (in Parlamento o altrove) dopo aver arrestato a destra. Gli esempi sarebbero tanti: pensate solo a Felice Casson, Gerardo D'Ambrosio, Luciano Violante. L'elenco - che comprende anche tanti magistrati minori - lo facciamo un''altra volta. E non c'è solo la sinistra delle poltrone e degli scranni: c'è un passato che reclama. Francesco Greco a 33 anni fu schedato dai servizi segreti perché collaborava alla rivista clandestina Mob, ricolma di esponenti della sinistra eversiva anche collegati con la colonna brigatista Walter Alasia.
Un altro magistrato come Antonio Bevere, che in Cassazione fu relatore della sentenza che confermò la teorica galera per Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, era stato un «pretore d'assalto» dedito a sanare le ingiustizie di classe. Ci sono attempati e serafici magistrati che inneggiavano alla rivoluzione proletaria e a un uso alternativo del diritto. Non è un segreto.
Cecilia Gandus, giudice del primo processo Berlusconi-Mills, da giovane non era certo di destra. E Ilda Boccassini, ancora nel 1987, fu sospesa da «magistrato di turno esterno» perché firmò un appello a favore di Potere Operaio. La corrente di Magistratura democratica lamentava che il Pci non fosse abbastanza di sinistra: ma è preistoria, ne è passato di piombo sotto i ponti. Il campionato però è rimasto a sinistra.
In quale partito si candidò il destrorso Antonio Di Pietro, alla fine? E il presidente della Puglia, il piddino Michele Emiliano, che peraltro non si è ancora dimesso da magistrato? Quale partito difese Luigi De Magistris in tutti i suoi pasticci da magistrato? E Alberto Maritati, che fece arrestare il socialista Rino Formica prima di divenire senatore e sottosegretario per i Ds? L'elenco è lungo, la memoria è corta. Ieri il magistrato Palamara ha detto «la sinistra orienta la magistratura», domani - anzi, oggi - è un altro giorno.
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kon-igi · 4 years
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GETTIAMOCI TUTTI ASSIEME
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Quello che vorrei, quello che ci vorrebbe e quello che succede, io di solito lo considero il parto trigemino di tre padri differenti che fanno a pugni nella nursery e distruggono l’ospedale, come peraltro paragono un qualsiasi processo di rivoluzione sociale come il tizio che impiega tre ore a indossare la tuta da bungee jumping, a controllare gli elastici, il casco, i moschettoni, respira, fa stretching e si affaccia calcolando l’arco di discesa ma poi ha bisogno del calcione nella schiena dell’istruttore per andare giù.
Ecco... non è a questo che si riferisce il titolo.
Il ‘gettarsi assieme’ è la maldestra traduzione dal greco antico di bolòv (da βάλλω, gettare) e sun (σύν, con) nell’accezione di ‘mescolare, far combaciare, coincidere’.
Simbolo...  ‘Qualsiasi cosa (segno, gesto, oggetto, animale, persona), la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile’. 
Fino a un certo punto della storia dell’uomo due pezzi di legno incrociati erano l’anima del fondo di un cestino di vimini che doveva essere ancora intrecciato, poi per qualche migliaio d’anni è stato il simbolo della terra (dell’universo intero, in realtà), poi quei buontemponi dei romani l’hanno trasformato nella rappresentazione stessa dell’ignominosa morte per tortura e infine, dopo duemila anni, il simbolo supremo di pace e amore.
SIA LODE AL FIGLIO DEL DIO DEL CESTINO CHE È MORTO INTRECCIATO PER FARCI CONSERVARE IL NOSTRO CIBO!
E veniamo ora alla parte divertente, quella che farà incazzare qualcuno e lo farà partire con la diarrea verbale digitale.
I fatti degli ultimi giorni ci hanno insegnato un termine nuovo, che io trovo eccezionale da assegnare a uno Stand di JoJo ma tanto so che non apprezzereste...
FURIA ICONOCLASTA
(’Ooohhh, Jotaro! Sei appena entrato nel raggio di Furia Iconoclasta... MUDA! MUDA! MUDA! MUDA! MUDA! MU-DAAAAAA!!!!’ WRYYYYYYYYYY!!!!!)
Trovo interessante l’etimologia antica di questo termine che combina il sostantivo εἰκών (icona, immagine) con il verbo κλάω (distruggere) cioè distruttore di immagini, in riferimento a una vecchia bagarre cristiana - ancora oggi presente nell’Islam - per cui il divino non è rappresentabile e il farlo costituisce peccato. Quindi borda giù a spaccare quadri, arazzi e statue di dii, gesùi e compagnie danzanti.
Arriviamo dunque alle statue scaravoltate/affogate della cronaca attuale e al parto trigemino iniziale.
L’asticella della ragione - che molti sembrano manovrare col culo - è parecchio mobile, col range che si sposta in base al contesto e alla sensibilità sociale, ragion per cui fino a qualche giorno fa si andava in giro a buttare giù solo le eventuali statue di Hitler sorte nella notte, un’icona che nella sua assolutezza negativa mette più o meno tutti d’accordo.
I recenti fatti di cronaca hanno però esacerbato gli animi e la citata furia iconoclasta si è abbattuta non solo sulle chiare icone di un certo tipo di pensiero (il Sud degli Stati Uniti è pieno di statue di generali confederati il cui unico merito è aver fatto più centri nel tiro al negro, peraltro in parte già iconoclastizzate) ma anche sui simboli, cioè su statue che rappresentano personaggi dalle varie sfaccettature storiche e caratteriali.
Come ho detto all’inizio, quello che vorrei, quello che ci vorrebbe e quello che succede diventa un Valzer della Morte (quello che avrebbe bisogno di otto mani per essere suonato sul piano) dove vengono confusi iconografia e simbolismo e per cui ogni statua si trasforma in un’offesa personale precisa verso una specifica categoria.
Vi chiedo, voi siete capaci di porre una discriminante di arresto prima della quale è lecito gettare una statua nel fiume (o rimuoverla ‘legalmente’) e dopo la quale, invece, il simbolo di positività offusca quello negativo, meritandone il prosieguo dell’esposizione?
No, perché basta studiare la storia delle medie per capire che l’unico personaggio immacolato e meritevole di imperitura statua in marmo bianco di Carrara è Gandalf il Bianco e per tutti gli altri è solo questione di soppesare sulla bilancia dei tempi le azioni degne e le azioni indegne (con un occhio all’innegabile fatto che, comunque, i libri di storia li scrivono gli amici dei vincitori della puntuale guerra).
Dico così per dire - eh! - perché se quello che ci vorrebbe sarebbe più intelligenza critica storica, quello che invece abbiamo è amnesia retrograda associata a un compartecipativo bruciaculo a prescindere.
Ah... e quello che vorrei è del cioccolato bianco, da usare come la cera di Ulisse. 
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deathshallbenomore · 11 months
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astio e rancore per un mio amico che con validissime (derogatory) credenziali (liceo classico concluso quasi dieci anni fa e seguito da un percorso accademico in Scienze del Tutt’altro) si mette a dare ripetizioni di latino e greco chiedendo peraltro un sacco di soldi “perché sono laureato” [sì, ma non in una disciplina tale da legittimare prezzi alti in virtù di una incontestabile formazione classica]
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nelcuoreunaspina · 4 years
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Giappone,
Nuova Zelanda,
Bulgaria,
Grecia,
I paesi dove i parlamenti si tagliano lo stipendio per il Coronavirus.
Nei giorni scorsi anche grandi aziende italiane come Rana e Luxottica avevano deciso una auto-riduzione fino al 50% degli stipendi dei manager
Certo, è solo una goccia, davanti agli enormi problemi che attraverserà l’economia globale. Ma il gesto simbolico a volte colpisce. Accanto a grandi aziende in cui i manager si stanno tagliando lo stipendio, in segno di solidarietà con i dipendenti nella crisi del Coronavirus, anche diversi politici nel mondo cominciano a farlo.
Nei giorni scorsi aveva colpito positivamente l’opinione pubblica il taglio che si erano autoimposti i manager di grandi aziende italiane.  Dopo Giovanni Rana, anche Leonardo Del Vecchio. Il patron del gruppo Luxottica ha deciso che integrerà la cassa integrazione per coronavirus dei suoi 12 mila dipendenti in modo da garantire loro il 100 per cento dello stipendio. L’accordo arriva a un taglio fino al 50 per cento nelle buste paghe dei manager e un bonus di 500 euro che sarà versato a chi è impegnato in servizi essenziali. Ma nel mondo stanno facendo qualcosa di analogo anche alcuni parlamenti.
In Giappone,
per esempio, stipendi tagliati del 20% per la durata di un anno per i parlamentari a fronte degli sforzi sostenuti dall'intera collettività contro la pandemia del coronavirus. L'accordo è stato raggiunto tra l'esecutivo guidato dal partito liberal democratico e la principale forza politica all'opposizione, il partito Democratico-costituzionale del Giappone. Un decreto legge sarà varato con l'approvazione di entrambi gli schieramenti, e le decurtazioni in busta paga avranno effetto già dal prossimo mese. In base alla legge attuale un rappresentante eletto in una delle due camere della Dieta nipponica, percepisce un compenso di 1.294.000 yen al mese, pari a poco più di 11.000 euro. «Comprendiamo le difficoltà dei cittadini e i problemi in cui versano le aziende, ed è importante che la nostra categoria e la comunità si uniscano per combattere assieme la battaglia contro il coronavirus», ha detto Hiroshi Moriyama, il capo della Comunicazione della Dieta per il partito alla guida del governo.
In Nuova Zelanda
la premier, Jacinda Ardern, e il resto del suo esecutivo doneranno il 20% del loro stipendio per i prossimi sei mesi per contribuire alla lotta contro il Covid-19. «È la decisione giusta», ha scritto in una nota la carismatica, giovane premier, «il riconoscimento che ogni persona e organizzazione ha il suo ruolo nella lotta comune contro il Covid-19 e per salvare vite umane».
La premier neozelandese guadagna l'equivalente di circa 21 mila euro al mese, mentre i suoi ministri 11.500 euro circa. L'ammontare totale della donazione sarà di circa 1,6 milioni di dollari neozelandesi (pari a 884.000 euro) e contribuirà allo sforzo finanziario del governo per far fronte alla crisi (tra le misure approvate uno stanziamento di 9 miliardi di dollari neozelandesi, quasi 5 miliardi di euro, da versare ai lavoratori locali, un milione e mezzo circa). Con oltre 1.000 casi confermati e 9 decessi, la Nuova Zelanda è riuscita a contenere la diffusione del coronavirus adottando misure rigorose come il confinamento totale deciso il 26 marzo scorso.
Nell'attuale pandemia, altri governi hanno già deciso di rinunciare a parte dei loro stipendi. A Singapore, il premier (peraltro il più pagato al mondo, circa 120 mila euro al mese) ha donato un mese di emolumenti insieme a tutto l'esecutivo; a marzo anche il primo ministro thailandese, Prayut Chan-ocha, ha annunciato la donazione di un mese di stipendio; e ad aprile lo ha fatto il presidente filippino, Rodrigo Duterte, che guadagna l'equivalente di circa 7 mila euro al mese.
In Bulgaria,
i politici bulgari hanno deciso di rinunciare ai propri salari e devolverli al sistema sanitario nazionale. In tutto, il taglio ammonta a un valore 1,44 milioni di leva, ossia 740mila euro. La proposta proveniva dal partito conservatore al potere, il GERB, ed è stata votata all’unanimità dal parlamento il 6 aprile.
In Grecia,
il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha invitato i parlamentari del suo partito, Nuova democrazia (Nd), a cedere metà del loro stipendio dei prossimi due mesi per le esigenze legate all'emergenza coronavirus. Lo stesso discorso vale per tutti i ministri ed i viceministri del suo governo. «Sono sicuro che anche gli altri partiti faranno lo stesso», ha dichiarato Mitsotakis sottolineando gli sforzi del governo di Atene per fare fronte all'emergenza: «Il nostro mondo politico deve stare in prima linea nella solidarietà»
I politici Italiani invece pensano ai vitalizi, ovvio....😈👎💩
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paoloxl · 4 years
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La mattina del 14 dicembre, a Sondrio, una giovane madre di 22 anni si accorge che la sua piccola, una bimba di appena 5 mesi, non respira più mentre si trova nel suo lettino. La donna afferra sua figlia e corre in strada in cerca di aiuto. Grazie al soccorso di un automobilista riesce rapidamente a raggiungere l’ospedale. Purtroppo, giunta in Pronto soccorso, a nulla servono le cure del personale ospedaliero per farla tornare in vita: la piccola muore a seguito di un arresto circolatorio. Tra le ipotesi più probabili quella della morte in culla. Su decisione della Procura della Repubblica, sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso.
Una tragedia immensa. Un dolore senza fine. Uno strazio indicibile.
Ma voi lo sapete cosa vuol dire perdere un figlio? Ve lo immaginate il dolore di una madre?
Eppure, le persone che erano in attesa al Pronto Soccorso quel giorno forse non se lo sono chiesto. Ha prevalso la loro cattiveria. E cosi le “urla” strazianti di una madre addolorata per la perdita della sua piccola, sono diventate elemento di “disturbo” per chi era lì in attesa. Ma come mai? Perché la giovane madre in questione è una cittadina nigeriana ed è nera. E il cinismo di queste persone, pur coscientemente sedute in un luogo di dolore e sofferenza per antonomasia, si è spinto sino a commenti indicibili. La morte di questa piccola creatura è diventata “un rito tribale”, “un rito satanico”, “una tradizione africana”. Come se le altre mamme, quelle “bianche” e “occidentali”, non piangessero e non manifestassero dolore per tragedie come queste. Addirittura si è arrivati a dire che per “questi africani” perdere un figlio non conta, “tanto ne sfornano uno all’anno” (qui una testimonianza). Fino alla frase terribile: “Mettetela a tacere quella scimmia”.
Nelle ultime ore, la notizia, inizialmente resa nota solo dalla stampa locale (SondrioToday e La Provincia di Sondrio), è stata ripresa da quotidiani e siti di portata nazionale, fra i quali anche Fanpage, Next e Open.
E l’indignazione e la rabbia nell’opinione pubblica stanno salendo.
Eppure, la stampa mainstream è tutta concentrata su di un’altra faccenda. Poco importa che sempre di razzismo si parli. Ma si sa. In Italia, il calcio è davvero più appetibile e attira molti più lettori. E soprattutto “vende” di più. E allora, messa da parte la tragedia della mamma nigeriana, capita che ci s’indigni di più davanti a questa nuova campagna messa in atto dalla Lega di Serie A che, per combattere il razzismo, ha scelto di mostrare l’opera Trittico di tre scimmie (ironia della sorte!) realizzato da Simone Fugazzotto (un’opera, oltretutto, realizzata nel maggio scorso in occasione della finale della Coppa Italia). In molti, sono rimasti basiti di fronte a questa operazione “comunicativa” e in tanti stanno cercando di capirne il senso. Ma poi perché la scelta delle scimmie? Persino l’International Advertising Association (IAA) si è espresso a riguardo contestando il modo poco chiaro e poco diretto (assolutamente “contro-intuitivo”) con cui è stato veicolato un messaggio che dovrebbe impattare su un pubblico molto vasto. L’organizzazione ha concluso il discorso cosi: “È come pensare di parlare in greco antico al popolo degli stadi”.
Oltre ad alcuni club e alle proteste sui social, anche alcuni media internazionali bocciano la scelta della Lega Serie A. Le parole di Fare (Football Against Racism in Europe) network nato per combattere la discriminazione nel calcio europeo supportato da FIFA, Uefa e commissione europea, pubblicate ieri su Twitter, vengono condivise dal The New York Times, dalla BBC, dalla CNN, solo per citare alcune testate, fino ad Al Jazeera. In Inghilterra il Sun si è chiesto se si trattasse di uno scherzo e il Guardian ha parlato di una “burla malsana“.
“Queste creazioni sono un oltraggio – afferma il Fare -, saranno controproducenti e continueranno la disumanizzazione delle persone di origine africana. È difficile capire cosa pensasse la Serie A, con chi si sono consultati? È tempo che i club progressisti della Lega facciano sentire la loro voce”.
Ecco. “Disumanizzazione”. E’ questa la parola giusta.
Scegliere dei ritratti di scimmie (peraltro con dei tratti “tipizzati” per rappresentare Europa, Asia e Africa) mostra scarsa sensibilità, se pur in buona fede. La scimmia è il simbolo che hanno scelto i razzisti per “disumanizzare” i neri, per dirgli che loro e tutti quelli come loro, sono solo degli “animali”, o peggio delle “bestie”. E a poco funziona questo sottilissimo e maldestro tentativo di voler rovesciare lo stigma. Il codice usato è quello razzista da stadio (basti pensare ai famosi ululati): è che per loro esistono uomini che sono più scimmie di altri. Ed è questo che andrebbe combattuto.
Però, fanno più rumore le tre scimmie di Fugazzotto degli insulti razzisti pronunciati nell’ospedale di Sondrio. E anche questa scelta andrebbe contestata.
Ci piacerebbe guardarli negli occhi, ad uno ad uno, questi “signori” che erano in Pronto soccorso a Sondrio. E ci piacerebbe dire di avere loro la decenza di tacere. Perché un tale dolore non ha colore né nazionalità. Non vi è una formula codificata per esprimere le emozioni, tantomeno il dolore. Non vi è contegno che tenga. E’ una cosa troppo grande da poter “contenere”.
E’ il dolore di una mamma che ha perso sua figlia. E noi stiamo perdendo anche quel briciolo di humana pietas che ci restava. E questa è l’Italia che si appresta a festeggiare il Santo Natale, che difende strenuamente il presepe e le tradizioni.
Abbiate almeno la decenza di vergognarvi. Noi intanto chiediamo scusa a nome vostro.
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Gòrgone (o gorgóne): nella mitologia greca a tre divinità, Medusa, Steno e Eurìale, la cui testa orribile, anguicrinita, era capace di impietrire chi la guardasse; la tradizione è peraltro molto varia, così come l’interpretazione del mito: secondo Omero, e anche in tempi posteriori, la Gorgone era una sola, identificata con Medusa, rivale di Atena o un aspetto della stessa Atena; una leggenda la fa uccidere da Perseo, un’altra da Atena, che ne avrebbe poi fissata al proprio petto la testa come trofeo di vittoria. La rappresentazione della testa della Gorgone (detta, con nome greco, gorgòneion) fu per lungo tempo motivo decorativo in frontoni e antefisse dei templi greci, oltre che nell’egida di Atena e nella ceramica, in figura di maschera con volto circolare, grandi occhi, bocca aperta con lingua pendente, naso schiacciato, capelli ricciuti o misti a serpenti, ma dopo il sec. 5° a. C. il tipo si abbellisce, acquista fattezze di volto femminile circondato dalla chioma e da serpenti decorativamente intrecciati.
Gorgoneion (dal greco : Γοργόνειον): nella Grecia antica era in origine un amuleto apotropaico che induce all’orrore, mostrando la testa della Gorgone. Era imparentato con le divinità di Zeus e Atena; si dice che entrambi avrebbero indossato un orecchino con questo motivo. Era anche una popolare egida reale, come dimostrato, ad esempio, nel mosaico di Alessandro e nel cammeo Gonzaga.
1. Medusa Rondanini (copia tardo-ellenisitica o augustea di un originale greco di epoca classica o ellenistica andato perduto; Gliptoteca di Monaco di Baviera
2. Perseo con la testa di Medusa, Antonio Canova
3. Perseo con la testa di Medusa, Antonio Canova, part.
4. Perseo con la testa di Medusa, Benvenuto Cellini
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Ritrovamenti messapici e greci a Sava
SAVA, 1889: I RITROVAMENTI MESSAPICI E GRECI, LA VISITA
DEL PROF. VIOLA E L’INDAGINE ARCHEOLOGICA OMESSA
  di Gianfranco Mele
In un articolo apparso su “La Voce di Maruggio” ho parlato esaustivamente del manoscritto di Achille D’Elia “Sava e il suo feudo”, della storia antica di Sava raccontata dal D’Elia (ma anche dall’ Arditi e dal Coco), e della figura del D’Elia stesso fornendo una biografia dell’autore che mostrava la serietà e il peso culturale del personaggio.[1]
Con questo scritto intendo dimostrare come alcune annotazioni dello studioso circa l’archeologia e la storia savese siano assolutamente da rivalutare, sulla base di una serie di interconnessioni con le vicende che coinvolgono la ricerca storico-archeologica nel territorio in quegli anni ed i protagonisti di quella ricerca.
Dobbiamo prendere in considerazione due diversi aspetti dell’analisi fornita dal D’Elia in merito alla Sava antica: le certezze documentarie, e le congetture, senza accavallare e confondere tra loro questi suoi due distinti e distinguibili contributi.
Ora, il D’Elia fornisce, per ciò che concerne le certezze, una serie di dati fondamentali: 1) l’esistenza, in Sava, di quelli che egli chiama “Castelli Castrum Munitum Messapici”; 2) i rinvenimenti di “ monete della vecchia Orra, quelle di Metaponto ed altre molte primitive”; 3) l’esistenza, ancora all’epoca in cui scrive, delle “fondamenta d’epoca evidentemente ciclopica”; 4) il rinvenimento di una serie di reperti visionati anche nell’agosto del 1889 dal “chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto”; 5) l’esistenza di un sepolcreto messapico a 500 metri dal rione Castelli.
Vedremo più avanti, nei dettagli, per quale motivo le notizie suddette sono da considerarsi certezze. Per quanto riguarda le congetture, invece, il D’Elia finisce con l’identificare il territorio di Sava con la mitica “Sallentia urbs messapiorum”, e qui entriamo sicuramente nel campo dell’ indimostrabile, sebbene lo storico savese Gaetano Pichierri riprenda con slancio e passione nelle sue ricerche, arricchendole di ulteriori speculazioni, queste ipotesi affascinanti ma un po’ visionarie del D’Elia.[2]
A causa di queste conclusioni (che peraltro lo stesso D’Elia presenta come dato ipotetico, quasi fantasioso, e non come convinzione), sia il Coco che storici successivi non prendono troppo sul serio l’opera del D’Elia. Ma c’è di più: ciò che viene considerato veramente inspiegabile e perciò contribuisce a non dar troppo credito a tutto l’impianto del manoscritto è la notizia che il D’Elia fornisce circa le parole attribuite al professor Viola durante la sua visita a Sava: ciò che il Viola vede, lo dichiara, stando a quanto riportato dal D’Elia, “di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messene“. Come mai, ci si è chiesto spesso, se Viola resta così stupefatto dei reperti rinvenuti in Sava, non ne raccoglie e diffonde documentazione, non li prende con sé esponendoli al Regio Museo, non pubblica un report, non cita e non pubblicizza la scoperta?
La risposta sta proprio nella figura del professore e nella sua biografia, costellate di imbarazzanti contenuti ed episodi. Nel corso di questa esposizione ci soffermeremo a lungo sulla storia del personaggio e su alcuni momenti-chiave del suo operato.
Andiamo ora per ordine, riportando 1) quanto esposto nel manoscritto del D’Elia, 2) i dati e le evidenze a supporto dei contenuti del manoscritto, 3) la questione della visita del Prof. Viola a Sava e della omissione della rendicontazione di quanto osservato.
Contrada Agliano, Sava: un ritrovamento dagli scavi condotti nel 2008 dalla Cooperativa Museion
  La copertina del libro di Evans nel quale son citati i ritrovamenti numismatici avvenuti a Sava
  Il manoscritto del D’Elia
La più esaustiva fonte descrittiva dell’ agglomerato antecendente l’attuale Sava e denominato Castieddi, sullle rovine del quale quale viene fondata Sava, consiste in un manoscritto del 1889 di Achille D’ Elia andato perduto ma del quale Primaldo Coco fornisce vari stralci nella sua opera “Cenni storici di Sava”. Il Manoscritto aveva per titolo “Sava e il suo feudo, storia paesana”.
Prima del D’Elìa sarà l’Arditi a parlare, seppur fugacemente, dei “Castelli”, e successivamente, oltre al Coco, ne parleranno il Del Prete e il Pichierri che forniranno ulteriori descrizioni.
Riporto a seguire i più importanti passaggi dell’opera del D’Elia:
“La storia di Sava non è gran che negli annali civili di questa provincia; essa è circoscritta alla più esigua cronaca militare di una rocca. Non potrebbe però convenevolmente parlarne chi trascurasse rifarsi e discutere dei Castelli Castrum Munitum Messapici, o Salentini ora distrutti e ridotti in un bel giardino ad Oriente della novella Sava […] Ch’essi Castelli fossero costruzione vetustissima – non ben accertato se messapica o salentina per mancanza d’ iscrizioni – lo attestano le monete della vecchia Orra quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero; la irregolarità delle forme nei massi tufacei delle fondamenta ancora visibili – d’epoca evidentemente ciclopica e certi cocci di una tal terraglia pesante come ferro del color della ghisa è bastante che il chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto in una breve visita fattavi nell’ultimo agosto (1889) dichiarasse di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messena.”[3]
Come si è visto, qui il D’Elia cita la visita in Sava del Prof. Viola, argomento sul quale torneremo nel seguito di questo scritto per chiarire cosa accadde dopo quella visita. Da notare che il manoscritto è redatto nello stesso anno della visita di Viola, presumibilmente pochi mesi dopo. Il D’Elia prosegue:
“Questi Castelli erano in comunicazione sotterranea con un piccolo fortino sito in contrada Specchiodda e forse anco con quello di Uggiano Montefusco, e di Manduria: ciò che prova che essi rappresentar dovessero un intero sistema di fortificazioni di confini dei due regni Messapico e Tarantino. […]Tale sarebbe la versione più modesta che potrebbe darsi alle dicerie corse sui nostri Castelli. Ci sarebbe dell’altro però. Dalla lunghezza della via sotterranea di forma poligonale, visibile anche oggi in casa Testa e nel giardino Melle, ci sarebbe da arguire che essa servisse alle comunicazioni segrete fra i vari forti.
Dai sepolcri messapici – con la facciata del cadavere sempre rivolto ad Oriente – trovati in gran numero a mezzo chilometro dai vecchi Castelli e ad un metro di profondità in quel tratto di terreno che va dal convento di S. Francesco sino alla via provinciale, ci sarebbe da inferirne che qui fosse un sepolcreto da quelli dipendente.”[4]
Sin qui, il resoconto obiettivo del D’Elia. Con poche righe successive e conclusive entra poi nel campo della congettura:
“Ora ditemi: non potrebbe per un momento venire in mente all’erudito di vecchie cronache che qui davvero – sul confine dei tre regni Messapico, Salentino e Calabro – fosse stata edificata la città di Sallenzia Urbs Messapiorum ?” [5]
  I dati a supporto delle tesi del D’Elia
Dell’antico casale Castelli fornisce per primo alcune notizie Giacomo Arditi:
“Il territorio si appoggia sul sabbione e sul calcare di varia specie; nel predio Castelli, appo l’abitato, sogliono scavando rinvenirsi delle monete di tipo greco […] Qui d’appresso esisteva una volta il casale appellato Castelli, e ne fan fede il nome che ancora dura nella contrada, le due vecchie vie che esistono e che chiamano Vetere o Portoreale, e i ruderi e le monete accennate di sopra. Distrutto Castelli nel sec. XV, o per vecchiezza, o per incidenza delle guerre e dei conflitti allor combattuti tra Spagnuoli e Francesi, i suoi abitanti eressero vicin vicino quest’altro appellato Sava […] “ [6]
Copertina dell’opera di Arditi
  Il Coco a sua volta riprende la maggior parte delle descrizioni dell’antica “Castelli” dal manoscritto del D’Elia, accettandone la ricostruzione dei fatti, ma rigettando l’ipotesi della identificazione di “Sava-Castelli” con la antica e leggendaria Sallenzia, però conclude :
“Quanto poi riferisce l’autore circa la forma dei Castelli, la via sotterranea, i sepolcreti e le monete trovate, merita fede avendo io – le stesse cose – sentite narrare da altri testimoni oculari” [7]
Del resto, sempre il Coco cita alcuni ritrovamenti avvenuti alla sua epoca:
“ Salvatore Schifone trovò in un suo podere non lungi da Sava una grande quantità di monete greche in bronzo.
Sotto l’abitazione del sig. Pietro Schifone furono rinvenuti alcuni antichi vasetti in un sepolcro scoperto a caso. Alcune tombe sono state scoperte nella contrada del paese detta “Castelli” mentre si cavavano le fondamenta di alcune case e vi si trovarono non poche monete di vaolre e oggetti preziosi. Quivi e nei dintorni della masseria di Pasano si osservano tuttora dei cunicoli e dei grandi recipienti scavati nel masso, che i proprietari adibiscono a depositi d’acqua”.
Ad Aliano poi, nel luogo ove sorgeva l’antico paese, oggi di proprietà del sig. Giovacchino Spagnolo, si osservano tuttora molti rottami di argilla, di vasi, di tegole, piccoli idoletti, amuleti, giocattoli per fanciulli, lucerne di creta di varie forme, monete, e altre cosette. Fino a poco tempo fa si osservavano anche avanzi di un antico edificio a ferro di cavallo dai grossi macigni, che divisi e suddivisi in 18 parti sono stati adibiti per nuove fabbriche.
Pare, da ciò che ne riferisce l’attuale proprietario, che dovesse essere un antico tempio pagano.
Altri avanzi di antichi edifici vi erano ai principi del secolo XVIII e furono abbattuti dal feudatario signor Giuseppe De Sinno, che, nella speranza di trovar tesori, intraprese degli scavi, che certo gli fruttarono qualche cosa.
Tutto quanto però si è trovato nei detti casali e dintorni e quanto era rimasto dell’antico è andato soggetto a vandalica distruzione per ignoranza, oper ingordigia”. [8]
Il libro di Primaldo Coco
  Riguardo alle vie sotterranee esiste poi un resoconto di Pasquale Del Prete[9] e altre testimonianze raccolte da Gaetano Pichierri, mentre rispetto a tombe, ritrovamenti e sepolcreto c’è un’ampia ricostruzione del Pichierri stesso corredata da testimonianze, e anche da foto di reperti trovati in una tomba.[10]
Della Sava messapica parla anche lo studioso francavillese Cesare Teofilato, laddove nel suo scritto su Allianum la descrive come caratterizzata da una cinta megalitica distrutta:
“Quell’ antico braccio della Via Traiana che partendo da Taranto costeggiava il Sinus Tarantinus prende tuttora, nel tratto che attraversa gli agri di Sava e Manduria, il nome tradizionale di Via Consolare. Quivi, lungo il suo percorso, toccava tre stazioni di vita messapica: Allianum, la cinta megalitica di Sava, barbaramente distrutta o seppellita, e la più celebre muraglia di Mandurium.”[11]
Sava, via S.Filomena: Skyphos a vernice nera del IV sec. a. C. rinvenuto in una tomba (foto G. Pichierri)
  Fondamentali, rispetto alla documentazione sulle monete ritrovate, una serie di testimonianze di Attilio Stazio e altri ricercatori che riassumo a seguire. Abbiamo già citato l’opera del 1879 dell’Arditi, nella quale, a proposito di Sava, riferisce di ritrovamenti di antiche monete “di tipo greco” nel rione Castelli; dieci anni dopo, come abbiamo visto, il D’Elia sempre parlando dei Castelli riferisce i ritrovamenti di “monete della vecchia Orra, quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute, miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero”. E’ molto probabile che entrambi gli autori siano a conoscenza e si riferiscano – tra l’altro – ad una scoperta sensazionale avvenuta alcuni decenni prima dell’uscita dei loro scritti, che fece scalpore nel mondo della ricerca archeologica e numismatica dei tempi (sino ad essere citata ancora oggi nel Notiziario del Portale Numismatico dello Stato[12] ).
Difatti, in un testo editato nel 1863 Sambon riferisce con dettagliata descrizione in merito a ritrovamenti avvenuti in Sava pochi anni prima, nel 1856: monete incuse di Sibari, Crotone, Metaponto, Siris, Taranto.[13] Il ritrovamento, di grande importanza, viene citato successivamente da Evans nel suo “The Horsemen of Tarentum” edito nel 1889[14] . Riprende la citazione della scoperta Attilio Stazio, specificando:
“Quando, sul finire del sec. VI a.C., Taranto dette inizio alle sue emissioni monetali, nella tecnica “incusa” caratteristica della Magna Grecia e secondo il sistema ponderale in uso nell’area achea di Sibari, Crotone, Metaponto e Caulonia, nessun altro centro della regione Puglia coniava moneta. Tuttavia sin dall’inizio del secolo successivo in alcune zone della Puglia è documentata la presenza di monete della Magna Grecia, giuntevi evidentemente per il tramite di Taranto, la cui costante rivalità con le popolazioni indigene confinanti non impedì certamente rapporti di scambio, come non impedì – e in un certo senso, anzi, favorì – influssi culturali spesso profondi e determinanti sul piano linguistico, religioso, artistico, ecc. “[15]
A tutt’oggi le monete rinvenute a Sava sono tra le più antiche tra quelle ritrovate. Difatti lo Stazio così prosegue:
“E a questo proposito può essere significativo ricordare che i più antichi tesoretti monetali della regione sono stati rinvenuti a Sava e a Valesio, cioè lungo quella naturale via istmica di collegamento tra il mar Ionio e il mar Adriatico, che poi, in età romana, sarà la via Appia”.[16]
La pagina del testo di Sambon che fa riferimento alle monete ritrovate in Sava nel 1856
  Non mi dilungo, in questo scritto, con le citazioni dei ritrovamenti ben più documentati e frequenti nella contrada savese di Agliano, distante pochi km dal centro abitato di Sava,[17] nonché nella vicina altra contrada di Pasano[18] (ne ho parlato in altri scritti e a quelli, qui inseriti nelle note, rimando), e sul monte Magalastro situato tra feudo di Sava e Torricella.[19] Rispetto ad Agliano, è interessante notare come il Teofilato la inserisca all’interno di una triade insediativa comprendente Manduria, Sava e la stessa “Allianum”; in occasione di una sua indagine sul campo, lo studioso vi scorge inoltre una iscrizione messapica segnalata al Prof. Ribezzo e “al dottor Ciro Drago del R. Museo di Taranto e all’ispettore onorario di Manduria dottor Michele Greco”. Il Ribezzo parlerà difatti di questa iscrizione nel Nuovo Corpus Inscriptionum Messapicorum, citando il Teofilato, ma senza aggiungere note di rilievo e interpretazioni in quanto non aveva visionato di persona l’opera.[20]
Teofilato scorge in Agliano anche i resti di un antico tempio citato anche dal Coco, e resti di costruzioni consistenti in “ enormi massi squadrati, come quelli delle mura di Manduria”.[21]
La cosa curiosa è che gli storici locali, ad eccezione del Teofilato, hanno tenuto separati gli studi e la storia di queste località dell’agro di Sava da quelli riguardanti Sava-Castelli, attribuendo a quest’ultima presenza messapica, e a quegli altri siti magno-greca. Si tratta in realtà di siti che distano pochissimi km dal centro abitato di Sava, e che sembrano parte di una storia antica comune e coerente non solo per questioni di datazioni dei ritrovamenti e per prossimità geografica, ma anche perchè, quand’anche il territorio di Sava fosse stato spaccato in due, in un dato momento storico, da una espansione della Chora tarantina sino a queste terre, prima della presunta espugnazione di parte del territorio ad opera dei tarantini, si sarebbe trattato comunque di una unica comunità messapica insediata, appunto, tra l’attuale centro storico di Sava, la sua periferia, e le vicinissime contrade di Agliano, Pasano, Magalastro, Tima,[22] ed altre. Devono aggiungersi a questi siti anche quelli di contrada Petrose[23] e contrada S. Giovanni, ancor più prossimi al centro del paese, e si deve tener presente che la distanza tra il cosiddetto sepolcreto messapico e la zona indicata come di insediamento magnogreco non supera i 2 km.
Corredo tombale in contrada Agliano, Sava (foto G. Pichierri)
  Monte Magalastro, frammento di vaso a figure nere e terracotta figurata (foto P. Tarentini)
  Luigi Viola e la ricerca non divulgata
Sebbene vi siano precedenti importanti e significativi, la ricerca archeologica sistematica e continuativa in area ionico-tarantina inizia nel 1880 con l’invio in Taranto, da parte ministeriale, del professor Luigi Viola, professore di greco ed esponente della Scuola Italiana di Archeologia.[24] Già nel 1881 Viola pubblica resoconti delle sue attività in quest’area nella prestigiosa rivista “Notizie degli scavi di Antichità” della Regia Accademia dei Lincei, e dal quel momento e per una serie di anni successivi continuerà a pubblicare dettagliate relazioni. Nel 1882 viene istituito un Ufficio speciale per le Antichità e nel 1884 il comune di Taranto stipula grazie a Viola una convenzione per l’istituzione di una collezione museale tarantina. In precedenza tutti i reperti ritrovati erano stati inviati, depositati ed esposti presso il Museo Nazionale di Napoli. Tuttavia l’invio di materiali a Napoli non cessò neanche negli anni successivi, poiché tra il 1891 e il 1898 la Direzione del Museo di Napoli annesse a sé la Direzione scientifica ed amministrativa del Museo di Taranto.[25]
Luigi Viola (1851-1921)
  Il Viola è ricordato come personaggio competentissimo ma anche assai discusso, e vedremo perchè.
Intanto è bene ricordare che a quei tempi l’acquisizione museale dei reperti era condizionata da leggi non ancora adeguate alla situazione attuale. Tutto ciò che si ritrovava nei terreni di proprietà privata, era considerato di appartenenza del proprietario del suolo, che poteva liberamente vendere qualsiasi anticaglia rinvenutavi, previo un nulla osta dello Stato, la qual clausola però era, tra l’altro, facilmente e sistematicamente elusa.[26]
Si creò il fenomeno della caccia ai reperti e del loro traffico e vendita incontrollati.
Nel 1885 Luigi Viola sposa Caterina Cacace, figlia del latifondista Carlo Cacace, il quale si ritrovava nella stessa posizione di molti altri uomini del suo status: i ricchi latifondisti dell’epoca e della zona erano tacciati di speculare sui reperti ritrovati nei numerosi suoli che possedevano. Di più, il Viola inizia a collaborare con il suocero in questo genere di attività.[27]
Difatti, Luigi Viola iniziò a subire diverse critiche all’epoca, per i suddetti motivi e perchè improvvisamente dedito più alla politica che alla professione (nel 1889 divenne anche Sindaco), ma soprattutto, per quel che ci riguarda, perchè era accusato di disattenzioni nel suo operato di archeologo: testualmente, Fedele, Alessio e Del Monaco riportano che
“gli veniva infatti rimproverato non solo di non dare più notizie al mondo scientifico delle notevoli scoperte di cui era fortunato spettatore, ma anche di non documentare in maniera sufficiente gli scavi fatti, dei quali non registrava l’ubicazione, non traeva disegni dei monumenti, non teneva separati i materiali”.[28]
Questo periodo particolare e discusso del Viola coincide con la sua visita a Sava, che, come riportato dal D’Elia, risale al 1889. E’ esattamente il periodo delle “distrazioni” del professionista e della sua elusione dalla rendicontazione di osservazioni e scoperte.
A seguito di questi motivi e delle critiche e accuse subite, pare, nel 1891 il Viola viene trasferito a Napoli, ma nel frattempo il rapporto con il Ministero si inasprisce sempre di più e nel 1895 rassegna le sue dimissioni. Da questo momento diviene un dichiarato e accanito antagonista del Museo, e addirittura si dedica apertamente e ancor più intensamente, a quanto riportato, al commercio di reperti archeologici per conto del suocero e di altri privati:
“Da quel momento Viola divenne un accanito antagonista del Museo, collaborando con il suocero in attività poco chiare di reperimento e di commercio di oggetti archeologici e svolgendo inoltre il ruolo di consulente di privati in contrattazioni di vendita con il Museo, nell’interesse dei quali, e per proprio tornaconto, giocava sempre al rialzo delle valutazioni”.[29]
A questo punto è chiaro il motivo per il quale pur avendo dichiarato Il Viola nella sua visita a Sava insieme al D’Elia di aver visto cose interessanti “ di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messene”, non vi fu un seguito a livello di trasparenza, documentazione e ricerca archeologica ufficiale in merito a quanto osservato. E forse, a seguito di ciò si spiega anche il motivo per il quale il manoscritto del D’Elia non fu mai dato alle stampe. Il D’Elia era un autore particolarmente prolifico e proprio in quel 1889 edita difatti ben due opere per i tipi della Parodi di Taranto e Lazzaretti di Lecce, e a distanza di soli 2 anni ne edita altre tre sempre per Parodi.[30] Qualcosa o qualcuno dunque dovette indurre l’erudito a desistere dal completare e pubblicare “Sava e il suo feudo”: l’impossibilità di provare gran parte dei contenuti dello scritto, o una qualche pressione a non divulgare più di tanto?
Sta di fatto che di sicuro il Viola non compie disinteressatamente la sua visita a Sava, proprio negli anni del suo maggiore invischiamento in operazioni di ricerca non istituzionale, e sta di fatto che della visita e delle scoperte fatte in Sava da parte del Viola non viene fatta menzione alcuna in articoli, riviste, documenti. Questo riserbo certamente non è da imputare al caso, quanto alla coerenza con quell’atteggiamento di commerciante di oggetti archeologici e di consulente di privati.
Nel 1895 il Museo di Taranto è diretto dal prestigioso archeologo Paolo Orsi, il quale in una relazione dell’anno successivo pubblicata in “Notizie degli Scavi di Antichità” lancia un feroce j’accuse al Viola scrivendo:
“…E’ stata una vera jattura per l’archeologia in genere, e specialmente per la topografia tarentina, che delle frequentissime scoperte dell’ultimo ventennio non siasi tenuto un diario minuzioso ed esatto…”[31]
  Note
[1] Gianfranco Mele, “Sava e il suo feudo”: il contributo di Achille D’Elia alla storia antica locale, La Voce di Maruggio, sito web, febbraio 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-e-il-suo-feudo-il-contributo-di-achille-delia-alla-storia-antica-locale.html
[2]    Gaetano Pichierri, I confini orientali della taranto greco-romana, in: Omaggio a Sava, raccolta postuma di saggi a cura di Vincenza Musardo talò, Edizioni Del Grifo, 1994, pp. 251-256; si veda anche: Gianfranco Mele, Sulle tracce dell’antica Sallenzia: le ipotesi di Achille D’Elia e Gaetano pichierri concernenti l’agro di Sava, La Voce di Maruggio, sito web, marzo 2019, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-e-il-suo-feudo-il-contributo-di-achille-delia-alla-storia-antica-locale.html
[3]    Achille D’Elia, Sava e il suo feudo, Storia paesana, Mss. di f.3, 1889, citato e trascritto da Primaldo Coco in Cenni Storici di Sava, Stab. Tip. Giurdignano, LE, 1915 ( ristampa a cura di G.C.S., Marzo Editore, 1984), nota (1) pp. 58-60
[4]    Ibidem
[5]    Ibidem
[6]    Giacomo Arditi, La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’ Otranto, 1879, pp. 548-549
[7]    Primaldo Coco, Cenni storici di Sava, Stab. Tipografico Giurdignano, Le, 1915 – ried. Marzo Editore, Manduria, 1984, nota a pag. 60
[8] Primaldo Coco, op. cit., nota 1 a pag. 16. Laddove riferisce di “Aliano”, trattasi di contrada savese altrimenti detta Agliano, a pochi chilometi dal centro di Sava. Agliano fu anche fattoria romana e casale medievale. [9] Pasquale Del Prete, Il Castello federiciano di Uggiano Montefusco, Archivio Storico Pugliese,Bari, Società di Storia Patria per la Puglia a. XXVI, 1973, I-II, pp. 41-42; vedi anche Gianfranco Mele, Sava: “Li Castieddi” e i camminamenti sotterranei, La Voce di Maruggio, sito web, novembre 2018, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-li-castieddi-e-i-camminamenti-sotterranei.html
[10] Per un riepilogo dei vari e numerosi scritti di Gaetano Pichierri in merito ai camminamenti sotterranei savesi e ai ritrovamenti effettuati nell’area, si veda: Gianfranco Mele, Sava-Castelli, la città sotterranea e la necropoli. Documenti, tracce e testimonianze di un antico centro abitato precedente la Sava del XV secolo, Terre del Mesochorum, Storia, Archeologia e Tradizioni nell’ area ionico tarantina, sito web, luglio 2015, https://terredelmesochorum.wordpress.com/2015/07/19/sava-castelli-la-citta-sotterranea-e-la-necropoli-documenti-tracce-e-testimonianze-di-un-antico-centro-abitato-precedente-la-sava-del-xv-secolo/
[11]  Cesare Teofilato, Segnalazioni archeologiche pugliesi. Allianum, in Il Gazzettino – Eco di Foggia e della Provincia – Anno (24) 7- n. 38 , sabato, 21 settembre 1935 Anno XIII, pag. 2
[12] Notiziario del portale Numismatico dello Stato – Ministero per i Beni e le Attività Culturali: “Contributi/Vetrine e Itinerari/Dossier n. 1, 2013, pag. 36: “… Sambon aveva potuto dare notizie di un ritrovamento di monete della Magna Grecia avvenuto a Sava nel 1856, fornendo l’elenco delle monete scoperte e disperse solo sulla base di una notizia ricevuta “par un tèmoin oculaire�� ed entrando peraltro solo in possesso di pezzi scelti”. [13] Arthur Sambon, Recherches sur les anciennes monnaies de l’ Italie meridionale, Neaples, Cataneo, 1863, pag. 11
[14] Arthur Evans , The Horsemen of Tarentum – a contribution towards the numismatic history of Great Greece, London, 1889, pag. 2, nota 4
[15] Attilio Stazio, Per una storia della monetazione dell’antica Puglia, in Archivio Storico Pugliese, 28, 1972, pag. 42
[16] Ibidem
[17] Per brevità qui riporto due miei articoli, nei quali sono citati tutti gli altri studi compiuti sul sito di Agliano: Gianfranco Mele, Agliano al confine tra Magna Grecia e Messapia. Un sito ancora da indagare, in: Cultura Salentina, Rivista di pensiero e cultura meridionale, sito web, ottobre 2014, https://culturasalentina.wordpress.com/2014/10/15/agliano-al-confine-tra-magna-grecia-e-messapia-un-sito-ancora-da-indagare/ ; Gianfranco Mele, Allianum cittadella messapica, avamposto di Sava e Manduria, Fondazione Terra D’Otranto, sito web, settembre 2016, https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/30/allianum-cittadella-messapica-avamposto-sava-manduria/
[18]  Gianfranco Mele, Pasano e dintorni: aspetti storico-archeologici, La Voce di Maruggio, sito web, marzo 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/pasano-e-dintorni-aspetti-storico-archeologici.html ;
Gianfranco Mele, Sava: tombe e rinvenimenti in Pasano e contrade limitrofe, La Voce di maruggio, sito web, maggio 2020, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-tombe-e-rinvenimenti-in-pasano-e-contrade-limitrofe-camarda-grava-ecc.html
[19]  Paride Tarentini, Torricella. Itinerari storico-archeologici a sud-est di taranto, Museo Civico di Lizzano,Quattrocolori studio grafico, luglio 2018, pp. 14-28
[20]  Francesco Ribezzo, Nuove Ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum, Roma, 1944, pag. 105
[21]  Cesare Teofilato, op. cit.
[22]  Gianfranco Mele, Per una ricostruzione della storia della masseria Tima in agro di Sava e luoghi circostanti, La Voce di Maruggio, sito web, maggio 2020, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/per-una-ricostruzione-della-storia-della-masseria-tima-in-agro-di-sava-e-luoghi-circostanti.html
[23]  Gianfranco Mele, Antichi insediamenti in contrada Petrose, in agro di Sava, La Voce di Maruggio, sito web, febbraio 2019, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/antichi-insediamenti-in-contrada-petrose-in-agro-di-sava-di-gianfranco-mele.html
[24]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, Archeologia, civiltà e culture nell’area ionico-tarantina, Banca Popolare Jonica, Grottaglie, 1992, pag. 307 e nota (2) a pag. 326
[25]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, op. cit., pp. 307-308
[26]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, op. cit.,pp.309-310
[27]  Ibidem (pag. 310)
[28]  Ibidem
[29]  Ibidem
[30]  Gianfranco Mele, “Sava e il suo feudo”: il contributo di Achille D’Elia alla storia antica locale, op. cit.
[31]  Paolo Orsi, Relazione sopra alcune recenti scoperte nel Borgo Nuovo, Notizie degli Scavi di Antichità, 1896, pag. 107.
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Blue Nude, Pablo Picasso
Blue Nude, Pablo Picasso
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