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#Le Opere e i Giorni
altrovemanonqui · 8 months
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Che poi, il problema non è solo la violenza. Non è solo l’orrore, non è solo la prevaricazione, la mancanza di rispetto, la mancanza di amore, la mancanza di dignità, la mancanza di tenerezza, la mancanza di vergogna, la mancanza di un’educazione sentimentale di base, minimale, da definire banale se non fosse che, evidentemente, banale non è, anzi, è tutto l’opposto. Il problema è anche la cultura del “ti faccio vedere cosa so fare”. Ti faccio vedere fino a che punto arrivo, ti mostro, mi mostro, condivido, condividi, spartisco, mi aggrego, fammi contare qualcosa, guardami, guardami, guardami, guarda cosa so fare, dimmi che ti piaccio, dimmi quanto ti piaccio, e se faccio di più, ti piaccio di più? Come li supero, gli altri? Posso essere meglio, degli altri, lo giuro, ma tu guardami, giudicami se vuoi ma guardami, guardami a tutti i costi. Nella perversione dell’abuso, la perversione dello sguardo degli altri, e questa è un’altra delle tragedie a cui partecipiamo, quotidianamente, in questo turbinio visivo di automasturbazione antierotica. Non c’è sesso, non c’è desiderio, non c’è piacere, non c’è erotismo, non c’è nulla, o meglio c’è l’assenza di ogni cosa.
Mark Rothko, parlando dei futuri acquirenti dei suoi quadri, dei critici che ne avrebbero tessute le lodi, chiama in causa la volgarità del loro sguardo, è ossessionato e intristito da “quegli sguardi volgari” che si affacceranno alle sue opere, estensioni della sua anima, che pagheranno per averle e poterle ammirare, nelle proprie case, nelle proprie gallerie, ogni singolo giorno, che le faranno loro ma senza capire, senza comprenderle, senza comprenderlo, rozzamente, convinti di averle, di possederlo.
Non faccio che pensare alle sue parole in questi giorni.
Gli sguardi volgari.
Le mani volgari, le parole volgari, i messaggi volgari, la battute volgari, i cuori volgari, le anime, così dolorosamente volgari.
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klimt7 · 2 months
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24 febbraio 2024
Un sabato pomeriggio
speso bene
A volte ci sono storie che meritano di essere raccontate. Lo capiamo solo dopo.
Quando comprendiamo che la scintilla iniziale, quella luce da cui ci siamo fatti guidare, seguendo la nostra intuizione, era fondata.
Nel mio caso, tutto è iniziato da un articolo della stampa locale. Un articolo apparso su CesenaToday, un sito web, che si occupa di dare informazioni e portare all'attenzione di tutti, le iniziative, gli eventi e molte delle manifestazioni del territorio, tutto ciò che accade - insomma - nel Cesenate e nei Comuni della vallata del Savio.
Riporto di seguito il testo dell'articolo, che avevo letto alcuni giorni fa :
Di notizie di questo tipo, sulla stampa e in Rete, ne appaiono decine, ogni giorno, eppure, in questo caso, qualcosa deve avermi colpito ad un livello più profondo della semplice curiosità.
Sarà che anche io, durante gli anni del Liceo Classico, mi sono appassionato alla pittura da autentico autodidatta, dopo che ho conosciuto le opere di Van Gogh e di Gustav Klimt! Sarà che il disegno, fin dalle scuole Elementari, era una delle attività preferite...
E così dai disegni a matita e coi pastelli, ero passato ai primi lavori a tempera (colori acrilici) e poi ai primi quadri su legno e alle prime tele ad olio.
Sarà che il mondo dell'Arte, mi ha sempre attratto e incuriosito...
Sarà che dopo l'aggressione russa all'Ucraina del 24 febbraio 2022, ho sempre fatto il tifo per il popolo ucraino e ho partecipato a diverse iniziative di volontariato, per inviare aiuti e soldi, agli ospedali di Leopoli e Kyiv, sia per dare supporto ai bambini e ragazzi universitari e alle madri ucraine fuggite dal proprio paese e arrivate in italia, nei primi mesi di questa assurda guerra, scatenata dal sanguinario dittatore di Vladimir Putin...
Sarà anche che io sono sempre stato affascinato della storia di chi è costretto ad abbandonare la propria Patria a causa di una guerra e a reinventarsi una vita.
Saranno stati tutti questi motivi assieme, ma qualcosa mi ha spinto a voler visitare la Mostra di questa artista ucraina, che grazie all'aiuto concreto del Comune di Mercato Saraceno è riuscita a coronare uno dei suoi sogni e presentare al pubblico parte dei suoi lavori.
Oggi alle 16, quindi, sono andato a Mercato Saraceno, a questo piccolo-grande evento : l'inaugurazione della Mostra di pittura di Kira Kharchenko.
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E così, in un pomeriggio piovoso di metà febbraio, mi son trovato ad essere investito dall'energia dei quadri di questa ragazza che giunta in Italia, per colpa della guerra, ha intrapreso un percorso scolastico nel nostro paese, iscrivendosi al Liceo Artistico di Forlì.
Conversando con Kira, è diventato chiaro come il suo soggiorno in Italia sia stata anche una svolta della sua vita. Nel giro di appena due anni, ha infatti imparato ad esprimersi nella nostra lingua e ha cominciato un percorso artistico importante, adottando la tecnica dei colori ad olio.
Ma la cosa, ancora più importante è che Kira in questi anni è riuscita a portare avanti un progetto personale di grande valore:imparare ad esprimere grazie alla Pittura e al disegno il proprio mondo interiore fatto di idee e sentimenti.
Cosi come ha scoperto l'importanza della Filosofia come strumento per leggere il mondo e comunicare le idee che ci guidano nella vita.
Ciò che infatti colpisce di questa ragazza è il fatto che una sua opera, qualsiasi sua opera, parte sempre da uno stato d'animo, una riflessione, una emozione profonda. Tutti i suoi quadri, sono un mezzo per fare arrivare un messaggio legato alle emozioni e al mondo dei propri sentimenti.
È sufficiente allora, leggere le didascalie che accompagnano le sue tele per immergersi nel mondo interiore di Kira, continuamente in bilico fra pensieri cupi e paure legate alle minacce che ha portato la guerra nel suo paese, e la sua forza di volontà che la sorregge e la porta a credere alla speranza e a un futuro migliore, più umano e orientato al valore della Libertà.
Un futuro dove ogni sentimento trova la forza di emergere per esprimere la propria umanità.
Ed ecco che visitare la sua esposizione significa leggere molte delle pagine del suo personalissimo "romanzo di formazione".
È un pò come leggere il libro che Kira crescendo e prendendosi responsabilità del tutto nuove, sta scrivendo in questi anni.
Ci sono pagine chiare, luminose, abbaglianti che tuttavia non cancellano i momenti bui e i colori più cupi che esprimono le paure e le preoccupazioni.
Ma Kira ha dalla sua parte, due energie incredibili: è guidata da due stelle polari.
La sua fede religiosa ( kira è ortodossa) e la forza del dialogo ininterotto che lei stessa, ha con la propria anima.
Un confronto fertile con se stessa, con la persona che è e con il mondo dei propri pensieri, oltre che con i pensieri eterni, quelli validi in tutte le epoche, quelli che per comodità, noi indichiamo col termine "FILOSOFIA".
Perchè Kira non è soltanto una pittrice.
È prima di tutto una filosofa, una persona riflessiva che esprime le sue convinzioni profonde, le sue visioni, il modo di percepire la realtà, attraverso il linguaggio potente che è la Pittura.
Prossimamente dedicherò uno o più Post ai suoi quadri.
Per oggi, sono felice di aver partecipato a questa Mostra, di aver conosciuto questa promettente artista ucraina e aver iniziato a comprendere il suo linguaggio pittorico.
Piu di tutto, credo che il suo mondo interiore, la potenza del linguaggio che ha scelto, la profondità del suo modo di esprimere i sentimenti con immagini potenti e insieme, piene di armonia e grazia, ne fa un talento precocissimo, dal grande potenziale .
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crazy-so-na-sega · 2 months
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“Io non desidero e non voglio alcuna onorificenza da questa repubblica. Mi parrebbe uno scherzo di cattiva specie. Fermi la macchina, La prego e non se n’abbia a male. Detesto questa repubblica. Grazie”.
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Ezra Pound
Il 30 gennaio del 1933, Pound viene ricevuto da Benito Mussolini. Pound consegna al duce una copia della sua opera della vita, ovvero la sua opera principale, I Cantos, che allora nel 1933 erano stati scritti dall’1 al 30. Mussolini sfoglia e legge la copia per qualche istante ed esclama ‘’ è divertente!’’.
L’incontro si conclude subito con il discorso di Pound che dice a Mussolini ‘’Duce io ho la possibilità di non far pagare le tasse ai cittadini’’, ma poi il poeta non avendo avuto il tempo di spiegare al duce le sue teorie economiche, non dette più seguito a questa sua intenzione.
Pound ricorderà l’episodio, definendo Mussolini ‘’the boss’’.
Afferrando il punto di vista degli esteti, questi versi dimostrano il consueto disprezzo di Pound verso gli accademici e i critici letterali. Mussolini aveva capito che c’era una nota di ironia prevalente, che era divertente, e Pound fu felice di attribuire a Mussolini questo merito, quello che critici e letterari non avevano capito.
Pound aveva genialmente intuito che il vero conflitto è tra economia e finanza ed era giunto a raffigurare il conflitto come una battaglia tra Guelfi e ghibellini.
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sofysta · 6 months
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Guernica
" Un dipinto è la somma delle sue distruzioni" P.Picasso
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Questo dipinto in olio su tela (larga 783 centimetri e alta 351 è una delle opere più famose al mondo, dipinte dal pittore spagnolo) non è solo arte fine a sé stessa.
Guernica è una denuncia contro la violenza cieca del bombardamento e di tutte le guerre, che colpiscono allo stesso modo donne, uomini, bambini e animali, distruggendo ogni forma di vita.
Il fiore è simbolo di speranza in mezzo alla tragedia che si consuma. Pablo Picasso, Guernica, 1937. Particolare con il fiore e la spada spezzata. La lampada elettrica, la cui presenza è del tutto incongrua in uno spazio aperto, ha la forma di un occhio: l'occhio di Dio che dall'alto giudica la miseria dell'umanità.
Lo scenario trasmette, dolore, ansia e disperazione, è rappresentato fantasticamente dal pianeta dell'Urlo in cui vive il drago, trasposizione del cavallo, che rappresenta l'incombenza della paura. Nella storia il protagonista deve superare tale emozione tramutandola in forza, mediante il coraggio.
GUEERNICA (pronunciato "ghernìca") è la capitale religiosa e storica dei paesi baschi spagnoli ed era il luogo di incontro dell'Assemblea di Biscaglia, che si riuniva sotto una quercia, la Gernikako Arbola, che fu un simbolo delle tradizionali libertà del popolo basco.
La colomba è normalmente simbolo di pace ma in questo caso, essendo priva di un'ala, vuole indicare che la pace è infranta. Il fiore è simbolo di speranza in mezzo alla tragedia che si consuma.
Quest'opera va letta da destra verso sinistra poiché il lato destro era vicino all'entrata del luogo per cui era stata progettata.
Inizialmente Picasso per il Guernica voleva usare i colori ma lo farà in bianco e nero perché l'assenza di colore simboleggia l'assenza di vita.
Il cavallo sulla sinistra richiama la pace svanita poiché straziata e sembra cadere a terra: il toro invece indica la brutalità della violenza portata dalle guerre (e dalla corrida), mentre il cavallo è il simbolo della Spagna, che nell'opera appare trafitto da una lancia (come la Spagna).
Partendo da sinistra compaiono: una donna col figlio morto tra le braccia, l'imponente testa di un toro, un guerriero caduto a terra mentre brandisce una spada spezzata, un cavallo che nitrisce di sofferenza, una lampada accesa, tre donne sulla destra; una di esse alza le braccia al cielo in segno di disperazione.
Ideato e creato in soli 33 giorni dopo il bombardamento del paese basco di Guernica nell'aprile del 1937 ed esposto all'Expo di Parigi nello stesso anno, il celebre dipinto a olio di Picasso oggi è esposto stabilmente al Museo Reina Sofia di Madrid.
Il 26 aprile 1937 gli aerei tedeschi, in appoggio alle truppe del generale Franco contro il governo repubblicano di Spagna, radono al suolo con un bombardamento la cittadina basca di Guernica. Il bombardamento a tappeto dura tre interminabili ore ed i morti furono 1.654, i feriti quasi novecento.
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soldan56 · 3 months
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Rimini ottava, nella triste classifica del numero di homeless deceduti nel 2023.
“La solita, invisibile, strage: 415 morti nel 2023 riporta il report curato dalla fio.PSD sui senza dimora che lo scorso anno hanno perso la vita a causa della condizione di grave emarginazione.
Aumenta il numero e si muore durante tutto l’anno, non soltanto d’inverno. Muoiono soprattutto uomini di nazionalità straniera.”
Servono risposte abitative nuove e strutturali adeguate a rispondere alla precarietà abitativa che colpisce sempre più persone.
Di precarietà abitativa si muore d’inverno come d’estate, e Rimini ancora una volta entra in una triste classifica.
Invece questa amministrazione, per volontà di un Sindaco indispettito che gestisce la cosa pubblica come un fatto personale, (non sopporta le critiche), deve fare fuori Casa Madiba Network... e quale miglior modo se non impiantare lì un progetto, quello del centro servizi a bassa soglia, che grazie all’aiuto della Lega, non sarà uno spazio di nuovi diritti per le persone senza casa, ma l’ennesimo palazzo del grigiore istituzionale, dove chi è senza casa deve sentirsi COLPEVOLE, non di certo incoraggiato a lottare per un diritto che dovrebbe essere universale come quello alla casa?
Intanto la gente muore nelle strade, mentre loro, sindaco e assessore ( e proni funzionari tecnici ) sono ancora lì a finire di scrivere il comunicato per il Piano freddo che non c’è, o peggio a strumentalizzare vicende umane e personali, come quella del signor Franco, alias Charlotte.
Intanto ci sono operator* della Marginalità adulta che lavorano con la partita iva, altr* che vengono minacciat* o screditat* se non si allineano, oppure volontar* su cui si scarica il peso opprimente di un lavoro sociale non riconosciuto e di un welfare sempre più frammentato.
Mentre la gente muore nelle strade, negli hotel abbandonati. E loro si occupano solo di scrivere comunicati stampa.
Non ci stupisce la loro ipocrisia e la loro strumentalizzazione, hanno persone pagate per scrivere e gestire la comunicazione del signor Sindaco, ci stupisce invece chi sostiene questo carrozzone, chi entra nei Cda di enti come ACER senza avere la capacità di muovere un millimetro, chi legittima un’azione istituzionale come quella del centro servizi, senza mai avere ascoltato le persone che da dieci anni a questa parte negli spazi di Casa madiba, tutti i giorni creano progetti, risposte, alleanze, relazioni contro la precarietà abitativa e per il benessere e la sicurezza di tutta la collettività con le persone in condizione homelessness.
E per favore non parlateci dei percorsi partecipati svuotati di ogni significato che la parola partecipazione porta con se. Come ridurre un oceano... agli interessi degli Enti amici, ops.... ad una vasca da bagno.
Per questo oggi più che mai, dobbiamo gridare e lottare ancora più forte:
UNA CASA PER TUTT*
Casa Madiba Network
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bicheco · 2 months
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Lammor
In questi giorni stanno andando due ennesimi biopic di personalità (definiamole così) italiane: Margherita Hack e Rocco Siffredi. Ora, a parte la prima considerazione che viene spontanea e cioè che abbiamo finito le personalità (a questo punto pretendo una miniserie su Bombolo), sarebbe divertente immaginare e costruire una scena che unisca le due opere. Mi spiego.
Rimini. Inverno. Albergo sul lungomare. Margherita Hack, già sessantenne, rientra dopo una conferenza sugli Anelli di Saturno. È esausta.
Nello stesso albergo alloggia Rocco Siffredi. Scommetto che avete già capito dove voglio andare a parare.
La sostanza sarebbe questa e cioè che Rocco entra per sbaglio nella camera di Margherita, equivoci, convenevoli, chiacchiere: i due finiscono per scopare. L'idea bella e poetica sarebbe che Rocco, di nascosto, aveva registrato tutto l'atto, ovviamente con lo scopo (nessun doppio senso) di venderlo e farci i soldi, ma poi stupito dall'intensità e dalla bellezza del rapporto, decide di cancellare tutto.
Toccante il momento post coito in cui Margherita, poggiata sul petto ancora ansimante di Rocco, con aria sognante gli sussurra: "Lo sai, stanotte ho visto davvero come sono fatte le stelle. Grazie". Bacio.
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3nding · 1 year
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Io non so contro chi rivolgeranno la loro rabbia i romagnoli (o i marchigiani e tutte le altre persone a cui questo disastro sta devastando le vite). Sono almeno 15 anni che vengono pubblicati rapporti sul clima dove si dice che i fenomeni atmosferici si sarebbero ridotti ed estremizzati.
Se la prenderanno contro chi anche adesso mentre l'acqua continua a salire ridicolizza l'emergenza climatica ignorando volutamente in malafede che ormai piove l'acqua di mesi in giorni?
Se la prenderanno con chi ha governato ad ogni livello e avrebbe dovuto/potuto fare opere tali da poter prevedere e gestire tutto questo?
Se la prenderanno con i vari consorzi di bonifica che chiedono ogni anno il pagamento di una tassa per poi scaricare il barile ogni qual volta che dinanzi a una criticità gli vengono fatti notare cunette, fossi, rii ed alvei ostruiti e non manutenuti?
Se la prenderanno con quanti sono attualmente al governo e parlano di fondi e opere (o semifinali di champions) pur sapendo lorsignori cosa stesse per abbattersi sulle zone oramai in ginocchio?
Più prosaicamente se la prenderanno in saccoccia (nel c..o direbbero loro) e gli toccherà pure sentire le lodi quando andata via l'acqua si metteranno a spalare via il fango.
Resto in attesa della passerella di politici che si faranno vedere DOPO e delle anime belle che si scandalizzeranno se qualcuno li manderà a cagare a voce alta in dialetto.
Date retta, se se la cavano solo con un va a caghér rispetto a chi ci ha rimesso tutto, gli va anche di lusso.
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donaruz · 10 months
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13 LUGLIO 1954 moriva FRIDA KAHLO
Un corpo fragile e uno spirito indomito.
Una vita difficile, quella di Frida Kahlo, segnata dalla lunga malattia e da grandi passioni, vissute senza remore, incondizionatamente con tutta sé stessa, abbandonano al cuore la razionalità.
La passione per l’arte, quella per il suo Messico e l’amore tormentato per Diego Rivera, il compagno di una vita.
Quella di Frida è stata una vita breve ma ricchissima perché vivere col cuore non significa limitarsi a contare i giorni, i mesi o gli anni, ma significa contare le emozioni, perché la vita non è mera sopravvivenza. E non è vero che chi vive più a lungo vive di più.
Frida Kahlo è stata un’artista coraggiosa, capace di trasformare la sofferenza in ispirazione, le sconfitte in capolavori, plasmando opere che sono un urlo orgoglioso e potente alla sfida del vivere.
LA VITA E LE OPERE DI FRIDA KAHLO:
RIASSUNTO IN DUE MINUTI (DI ARTE)
1. Frida Kahlo (Coyoacán 1907 – 1954) è considerata una delle più importanti pittrici messicane. Molti la annoverano tra gli artisti legati al movimento surrealista, ma lei non confermerà mai l’adesione a tale corrente.
Fin da bambina dimostra di avere un carattere forte, passionale, unito ad un talento e a delle capacità fuori dalla norma. Purtroppo la sua forza di carattere compensa un fisico debole: è infatti affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiano per poliomielite, non riuscendola così a curare nel modo adeguato.
2. La prova più dura per Frida arriva però nel 1925. Un giorno, mentre torna da scuola in autobus viene coinvolta in un terribile incidente che le causa la frattura multipla della spina dorsale, di parecchie vertebre e del bacino. Rischia di morire e si salva solo sottoponendosi a 32 interventi chirurgici che la costringono a letto per mesi.
Ha solo 18 anni e le ferite al fisico la faranno soffrire per tutta la vita, compromettendo irrimediabilmente la sua mobilità.
3. Durante i mesi a letto immobilizzata da busti di metallo e gessi, i genitori le regalano colori e pennelli per aiutarla a passare le lunghe giornate. Questo regalo darà avvio ad una sfolgorante carriera artistica.
La prima opera di Frida è un autoritratto (a cui ne seguiranno molti altri) che dona ad un ragazzo di cui è innamorata.
4. I genitori incoraggiano sin da subito questa passione per l’arte, tanto da istallare uno specchio sul soffitto della camera di Frida, così che possa ritrarsi nei lunghi pomeriggi solitari. È questo il motivo dei numerosi autoritratti dell’artista. Lei stessa dirà: “Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio”.
5. Frida Kahlo nel 1928, a 21 anni, si iscrive al partito comunista messicano, diventando una convinta attivista. È in quell’anno che conosce Diego Rivera, il pittore più famoso del Messico rivoluzionario. Lo aveva incontrato per la prima volta quando aveva solo quindici anni (e lui trentasei), sotto i ponteggi della scuola nazionale preparatoria, mentre Diego stava dipingendo un murale per l’auditorium della scuola.
6. Nel 1929 sposa Diego, nonostante lui abbia 21 anni più di lei e sia già al terzo matrimonio. Inoltre Diego ha fama di “donnaiolo” e marito infedele. Il loro sarà un rapporto fatto di arte, tradimenti, passione e pistole. Lei stessa dirà: “Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera.”
7. Frida Kahlo ha avuto molti amanti (uomini e donne), tra cui il rivoluzionario russo Lev Trotsky e il poeta André Breton, ma non riuscì mai ad avere figli, a causa del suo fisico compromesso dall’incidente. Quando rimase incinta del primo figlio, Frida fece di tutto per portare avanti la gravidanza. Si dovette arrendere solo quando i medici la costrinsero ad abortire per evitare che perdessero la vita sia lei che il bambino.
8. Frida Kahlo e Diego potevano considerarsi una “coppia aperta”, più per le infedeltà di Diego che per scelta di Frida, che soffrì molto per i tradimenti del marito che ebbe persino una relazione con la sorella minore di Frida, Cristina.
Vista l’impossibilità di fare affidamento sulla fedeltà di Diego, i due decisero di vivere in case separate, unite tra loro da un piccolo ponte, in modo che ognuno di loro potesse avere il proprio spazio “artistico”.
9. Le opere di Frida kahlo sono spesso state accostate al movimento Surrealista, ma Frida ha sempre rifiutato tale vicinanza sostenendo: “Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”.
10. L’album dei Coldplay Viva la vida or Death and All His Friends (2008) si ispira ad una celebre frase che la Kahlo scrisse sul suo ultimo quadro, otto giorni prima della sua morte a soli 47 anni per cause ancora non del tutto certe.
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fiorescente · 5 months
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Cose che farei se non dovessi studiare per i miei esami (anche se studiare mi piace tanto)
Finire finalmente la camicia per L. e fare un maglioncino per me
Vedere tanti film impegnati
Vedere tanti documentari
Studiare benissimo i femminismi
Trovare un modo per fare un interrail
Studiare Carla Lonzi
Imparare qualcosa di botanica; capire come coltivare e curare le piante
Leggere di più
Leggere i tristi tropici e le altre opere di Lèvi-Strauss
Forse andrei in palestra
Prenderei in prestito i libri in biblioteca per leggerli
Mi fermerei a parlare con qualcuno per strada
Farei le visite che ho prescritte da un anno: la risonanza magnetica, la visita neorologica
Passerei più tempo con la mia mamma
Non mi perderei le recite della mia nipotina
Imparerei a fare i gioielli con la tecnica wire
Passerei più tempo all'aperto: farei camminate, mi stenderei nei parchi
Vorrei imparare di più sulla storia dell'arte, saperla commentare e capire
Più semplicemente, mi godrei di più l'arte
Imparerei ad andare in bici
Saprei passare dei giorni senza fare nulla senza sentire il panico
Farei dei dolci da portare alle persone a cui voglio bene e con cui vorrei fare amicizia
Parteciperei molto attivamente alla vita politica
Questa lista continuerà; lo so che dopo lo studio ci sarà il lavoro, ma spero che non mi prenderà lo stesso spazio mentale
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Questa è la prima pietra del Ponte sullo Stretto. Non sono sicuro che sia l’originale, perché ne esistono a decine, di tutte le epoche. E comunque, non ne esiste una sola che sia quella autentica.
Non esiste una vera prima pietra del Ponte sullo Stretto. Tutte valgono quanto questa: sono solo una promessa, una fantasia, una millanteria politica. Perché non è mai stata posata una seconda pietra. Di prime pietre, invece, si è ormai perso il conto.
La prima promessa di costruire il Ponte sullo Stretto risale agli anni Settanta. Che cosa avete capito: gli anni Settanta dell’Ottocento, un secolo e mezzo fa. Il governo Zanardelli promise di unire Sicilia e Calabria, sopra o sotto il mare, ovvero con un ponte o con un tunnel. Erano gli anni della rivoluzione industriale, c’era una fede illimitata nel progresso. Tutto pareva possibile, anche l’impossibile.
Vent’anni dopo il terremoto e maremoto di Messina, ottantamila morti, sconsigliò di costruire ponti da quelle parti.
Anche il cavalier Benito Mussolini disse che il Ponte si sarebbe fatto, per maggior gloria della nazione. Ma la cosa non ebbe seguito, nell’agenda politica del fascismo c’erano altre priorità, invadere l’Albania, spezzare le reni alla Grecia, si sa che la guerra è un’opera pubblica molto costosa.
Passano gli anni, i bimbi crescono, le mamme imbiancano, e nel 1981 il governo Forlani istituisce la società Stretto di Messina spa con il compito di realizzare l’opera. Per vent’anni la società è in essere e lavora al progetto, ma non ne rimane traccia percepibile.
Bettino Craxi nel 1988 annuncia che il Ponte sarà realizzato entro il 1998, ma anche lì, dopo un po’ non se ne sa più niente. Nessuna traccia del Ponte, a meno che il modellino che Berlusconi portò nel 2004 a Porta a Porta fosse il frutto paziente del lavoro ventennale della Società Stretto di Messina. Sapete, come quelli che costruiscono i modellini delle navi con i fiammiferi. Ci vogliono tempo e pazienza.
Nel 2008 il governo Prodi blocca il progetto, perché non ci sono soldi. Due anni dopo Berlusconi torna al governo e annuncia che il Ponte sarà fatto, anzi rifatto perché lo aveva già fatto, direi personalmente, a Porta a Porta sei anni prima.
Nel 2012 il governo Monti dice di nuovo che non ci sono i soldi e mette in liquidazione la nuova società che Berlusconi aveva nel frattempo istituito, che si chiamava Eurolink.
Nei giorni scorsi il governo in carica ha rilanciato l’idea. Anzi, ha proprio detto: il Ponte si farà. C’è dunque una nuova prima pietra, identica a questa, già pronta a Roma e in partenza per Villa San Giovanni. Il costo stimato (di tutto il Ponte, eh, non della prima pietra) è intorno ai 4 miliardi di euro, secondo calcoli meno ottimisti potrebbe raddoppiare, si sa come funzionano in Italia i preventivi, per ristrutturarti un bagno ti dicono dieci e tu già sai che saranno venti.
In attesa degli eventi, le vere notizie sono due:a prima è che gli unici a costruire effettivamente un ponte sullo Stretto furono i romani durante le guerre puniche. Secondo Plinio il Vecchio i romani costruirono un ponte di barche per far passare gli elefanti sequestrati ai cartaginesi. Per fortuna Berlusconi non ha letto Plinio il Vecchio, altrimenti avrebbe portato a Porta a Porta un elefante. La seconda notizia è che per andare da Palermo a Ragusa con i mezzi pubblici ci vogliono 12 ore. Esattamente come il tempo dei cartaginesi.
Concludendo. I ponti sono opere meravigliose. Spesso molto belle anche da vedere, comunque bellissime per la loro funzione, che è unire, avvicinare. Ma l’esatto contrario dei ponti sono le promesse a vuoto. Le promesse a vuoto rappresentano, appunto, il vuoto: allargano la distanza tra le due rive, la riva delle parole e la riva della realtà. Il famoso “Tra dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
Mi piacerebbe essere il primo che passa lo stretto in tre minuti, percorrendo il nuovo ponte e dedicando il trionfo della tecnologia agli elefanti di Annibale. Ma prima di mettermi in coda voglio aspettare almeno la seconda pietra. Non per sfiducia. Per esperienza.
Michele Serra
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klimt7 · 9 months
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La Bugiarda
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Le bugie della Meloni sui ristori agli alluvionati.
Quí non è arrivato un solo euro di quelli annunciati dal Governo nei primi giorni dell'alluvione, (soldi annunciati a favore di telecamere). I soli ristori sono arrivati dalla Protezione Civile e dai Comuni che ora si trovano impossibilitati a far fronte a qualsiasi altra spesa.
Il Governo dopo aver tergiversato più di due mesi prima di nominare il Commissario straordinario (il generale Figliuolo), non lo ha dotato nemmeno dei fondi necessari.
Come ammesso dallo stesso Generale che scherzosamente si è definito "un Commissario senza alcun portafoglio" e ha invitato i Comuni ad attendere il mese di settembre nella speranza che il Governo gli faccia arrivare gli indispensabili fondi.
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È ora di sbugiardare le messinscene di questa poveraccia, spergiura e inadeguata a svolgere funzioni di Governo, allo stesso modo del manipolo di sbandati e inetti, che ha posto a capo dei Ministeri italiani.
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Una Presidente del Consiglio indegna di considerazione e capace soltanto di incolpare i predecessori (Draghi) e rovesciare le sue inadempienze sugli Enti locali.
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Il sindaco di Ravenna: «Meloni ha una visione totalmente distorta, torni in Romagna»
Sulla lettera inviata da Meloni al governatore dell’Emilia Romagna, è intervenuto anche il sindaco di Ravenna. Per Michele de Pascale, la Presidente del Consiglio «non ha un quadro esatto della situazione in Romagna e in tutta la Regione», si legge sul post Facebook. «Forse – continua de Pascale – le dichiarazioni surreali di qualche suo collaboratore le hanno fornito una visione totalmente distorta sull’efficacia delle misure previste dal suo governo».
Poi la richiesta a Meloni di «incontrarla direttamente nei prossimi giorni, a Roma, o dove ritiene», ma, forse, continua il primo cittadino di Ravenna, «sarebbe meglio che tornasse lei in Romagna, nei luoghi più colpiti, e che, se non si fida dei sindaci (anche di quelli di centrodestra a quanto pare), dei sindacati e di tutte le associazioni di impresa, ascolti direttamente le persone colpite, visiti le case distrutte dall’alluvione e provi ripetere lì le 5 pagine sui 4,5 miliardi già spesi per l’alluvione».
La lettera della premier, per De Pascale, «purtroppo è totalmente negativa, prosegue nella narrazione surreale dei 4,5 miliardi già spesi dal governo per cittadini, imprese e opere pubbliche; rinvia ad ottobre le nostre due proposte per avere subito risorse reali per gli indennizzi a famiglie e imprese ed elude completamente la nostra richiesta di incontrarla subito personalmente per decidere insieme come procedere».
Il quadro è sufficientemente chiaro. Un Governo totalmente sordo e cieco davanti alle esigenze dei territori. Un Governo capace di andare avanti solo con annunci, interventi propagandistici e pillole di marketing televisivo.
La totale separazione dalla realtà concreta che vivono i cittadini delle zone alluvionate.
"Fascisti su marte" mi pare un ottima sintesi dell'attuale situazione!
😛🙈
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crazy-so-na-sega · 5 months
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Norman Mailer accoltella la moglie che lo accusava di non saper scrivere come Dostoevskij al grido di “Lasciatela morire, quella puttana!”, ed altre imprese del grande scrittore
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Il 19 novembre 1960 Norman Mailer (nato Nachem Malech Mailer), all’epoca lanciatissima “giovane promessa” dell’intellighenzia americana, in particolare per il suo saggio di pochi anni prima The White Negro, con il quale trasformava il teppismo bohémien dei giovani bianchi annoiati in una sottocultura rivoluzionaria, decise di dare un ricevimento per lanciare la sua candidatura a sindaco di New York, nell’appartamento dell’Upper West Side che condivideva con la moglie Adele Morales (artista e critica letteraria di origine peruviana) e le due figlie.
Fresco di arresto per oltraggio a pubblico ufficiale (aveva cercato di fermare un’auto della polizia come se fosse un taxi) Mailer aveva fatto di tutto per assicurare il sostegno dell’establishment progressista della città a una “struttura di potere” che avrebbe portato avanti le battaglie delle minoranze (tra le quali, per l’appunto, i “negri bianchi” che tanto gli stavano a cuore): una commistione, quella tra élite e rivoluzionari, che rappresenta alla perfezione l’anima della sinistra occidentale sin dagli esordi.
Nonostante la defezione di qualche “filantropo” come David Rockefeller, al party di Mailer convogliarono circa 200 ospiti, tra i quali Allen Ginsberg, Norman Podhoretz (in seguitò uno dei principali rappresentanti del neoconservatorismo bushiano) e una masnada di “derelitti, tagliagole e bohémien” che lo scrittore aveva raccattato letteralmente dalla strada.
Dopo aver bevuto tutto il bevibile, l’enfant prodige della controcultura americana cominciò a litigare con gli ospiti, obbligandoli a mettersi ai lati opposti della stanza a seconda se fossero a favore o contro la sua candidatura, per poi scendere direttamente in strada a prendere a pugni i passanti.
Alle quattro di notte passate, una volta tornato nel suo appartamento con la camicia strappata e un occhio nero, e constatato che tutti gli invitati se ne fossero andati (ad eccezione di 5-6 persone), Mailer se la prese con la moglie, probabilmente anche lei alticcia, la quale lo aveva apostrofato con un Aja toro, aja! per poi chiamarlo “frocetto” [little faggot] e insinuare che la “lurida puttana della sua amante” gli avesse tagliato i cojones (sic).
Secondo altri testimoni, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’affermazione da parte della Morales che il marito non fosse bravo a scrivere come Dostoesvkij. Fatto sta che a un certo punto Mailer estrasse un temperino arrugginito dalla tasca e colpì la consorte alla schiena e al seno, perforandole il pericardio e mancando di pochissimo il cuore.
Ai presenti, scioccati per l’accaduto, Mailer intimò di “lasciar morire quella cagna” (o “quella puttana”, Let the bitch die). La donna venne prima condotta nell’appartamento al piano inferiore e poi all’ospedale universitario per un intervento d’urgenza.
Seppur in gravi condizioni, la Morales inizialmente disse ai medici di essere caduta su dei pezzi di vetro, ma due giorni dopo confessò alla polizia che era stato Mailer ad aggredirla; nel frattempo lo scrittore aveva fatto in tempo a rilasciare un’intervista televisiva al giornalista Mike Wallace, già programmata per promuovere la sua candidatura a sindaco, nella quale aveva sostenuto un’idea a lui particolarmente cara, cioè che il coltello rappresentasse per un criminale “la sua parola d’onore, la sua mascolinità”.
Quando la Morales ammise di esser stata colpita da Mailer, lo scrittore che in quel momento si trovava in ospedale venne subito arrestato. In seguito venne ricoverato per un paio di settimane in un istituto psichiatrico per una valutazione della sua sanità mentale, nonostante lo scrittore avesse implorato di non essere mandato con i pazzi poiché altrimenti “per il resto della mia vita le mie opere saranno considerate come frutto di una mente malata”.
A salvare la sua carriera, oltre che la clemenza dei giudici e la connivenza del milieu culturale newyorchese, fu probabilmente decisiva la scelta di Adele Morales di non sporgere denuncia in cambio del divorzio (ottenuto nel 1962). Mailer ne uscì praticamente indenne, e non solo dalla prospettiva penale, dal momento che i suoi amici “serrarono i ranghi” in sua difesa: il collega scrittore James Baldwin descrisse la sua “impresa” come un tentativo di liberarsi dalla “prigione spirituale che aveva creato con le sue fantasie politiche”, mentre il critico Lionel Trilling derubricò l’accaduto a “stratagemma dostoevskiano” messo in scena dallo stimato scrittore per “testare i limiti del male in se stesso”.
Qualche voce critica si sollevò dal fronte femminista: per esempio la scrittrice Kate Millett, proprio alla luce della violenza sulla moglie, tacciò l’intera opera di Mailer di legittimare il “sistema patriarcale”; tuttavia, quando Mailer si ricandidò a sindaco di New York nel 1969, le ideologhe Bella Abzug e Gloria Steinem lo sostennero con convinzione.
Le prime accuse di un certo rilievo sono giunte in tempi recenti, sia sulla scia delle memorie di Adele Morales (The Last Party, pubblicato nel 1997), sia con l’ascesa della cancel culture. Persino il “manifesto” di Mailer, The White Negro, è stato ridotto a espressione di esistenzialismo macho, ispirato a una concezione del maschile (anche in termini di aggressività e violenza) intrinsecamente positiva in quanto legato alla realtà e all’azione, e di conseguenza superiore al femminile, di contro schierato con l’artificiosità e il vaniloquio.
D’altro canto, per corroborare la sua candidatura a sindaco, Mailer abbozzò una lettera aperta a Fidel Castro nel quale biasimava che, a differenza di Cuba, negli Stati Uniti “troppi pochi colpi vengono sferrati alla carne. Qui siamo esperti nell’uccidere lo spirito, usiamo proiettili psichici e ci uccidiamo vicendevolmente cellula per cellula”. Se è probabile che annoverasse se stesso, in quanto intellettuale, tra i “carnefici dell’anima”, di certo ne includeva la compagna, le cui frecciate aveva definito come “una sequela di pugnalate psichiche” [psychic stabbings].
La mania per un certo tipo di mascolinità, declinata sempre in chiave progressista, emerge anche da uno dei punti più importanti del suo programma, con cui lo scrittore annunciava l’organizzazione di tornei cavallereschi in stile medievale a Central Park e corse di cavalli a Little Italy per contrastare la delinquenza giovanile.
Ad ogni modo, un parallelo più interessante è con il romanzo scritto dopo l’accoltellamento, Un sogno americano (1965) che racconta di uno stimato intellettuale e politico, Stephen Rojack, il quale in preda ai fumi dell’alcol uccide la moglie e poi si rifugia nei bassifondi di Manhattan dove, tra jazz club e puttane, scopre il valore liberatorio della violenza. Va osservato che al processo per l’accoltellamento della Morales l’avvocato di Mailer sostenne che il suo assistito avrebbe potuto “dare un contributo alla società” con il suo nuovo libro, che era appunto l’elogio letterario del suo gesto An American Dream…
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storia di fama, compagne, paraocchi e opportunismo...:-)
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beevean · 7 months
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Still can't believe how much "rewriting in my native language then translating the rewriting" works, I hate it lmao.
Anyway. Have some Hectaly:
ENG, first draft:
It’s like the ebbs of the tides, in time with the waxing and waning of the moon.
Most of the days now, he lives a tranquil life, he watches Rosaly sew lace, he keeps company to the children, he even visits the village more often: word has spread among the townsfolk that he is quite apt at taking care of and training animals, and what once was reason for scorn, is now a sought quality, something that doesn’t fail to amuse Hector. He has always preferred the company of his non-human companions, but if they once used to be his safe haven out of need, now they are simply a soothing presence. [He quite enjoys being useful to others.]
ITA:
È come le onde della marea, in sincronia con la luna che cresce e cala.
La vita di Hector continua placida, e il sentiero è sempre più in discesa, a poco a poco meno scosceso. Ha imparato come aiutare Rosaly nelle sue infinite faccende: se lei insiste a prodigarsi per il prossimo, lui non la lascerà da sola. Quando i bambini del villaggio le portano miele e fragole per ringraziarla per il suo duro lavoro da parte dei genitori, Hector li cucina: i suoi lavori non saranno mai deliziosi come quelli di sua moglie, ma il suo sorriso da solo li rende più dolci. La presenza dei bambini, che un tempo adocchiava con diffidenza e imbarazzo e non senza una punta di rancore, è ora più che benvenuta, ora che “zio” Hector sa come intrattenerli. Non rivelerà mai a nessuno dove abbia imparato a disegnare mostri nel minimo dettaglio, e non importa più, non quando le sue bozze ora servono soltanto a incuriosire anime innocenti.
Il giardino è la sua parte preferita della casa, dove può dedicarsi a prendersi cura del giardino e degli animali, in pacifica solitudine. Hector ha sempre preferito la compagnia dei suoi amici non umani, ma se un tempo erano il suo rifugio sicuro dalla crudeltà dell’uomo, oggi altro non sono che una piacevole presenza.
Si sparge la voce nel villaggio che il marito di Rosaly è stranamente abile nel domare gli animali, anche i più temuti. Ha accettato da tempo di essere chiamato “pastore” dalla donna a mo’ di vezzeggiativo, ma mai si sarebbe aspettato che altri umani lo avrebbero accettato così come fosse. Alcuni paesani si azzardano ad avvicinarsi a lui, a chiedergli aiuto; Hector esita all’inizio, perché alcune delle sue cicatrici sono più vecchie della sua permanenza del castello, ma Rosaly lo incoraggia a fare del bene, e lui si fida di lei. C’è chi gli annuncia che è un segno che Dio lo favorisce, perché solo un’anima buona può avere tale affinità con il Suo creato. Hector deve mordersi la lingua per non scoppiare a ridere.
Riesce persino a scambiare due parole con il prete della chiesetta vicina. Si premura di ignorare il crocefisso che gli pende dal collo, perché non è degno di guardare Cristo in faccia, ma il vecchio è mite e cordiale e si offre di essere a disposizione, nel caso Hector decidesse di confessarsi. Lui rifiuta con un sorriso tirato, perché non ne ha bisogno – Dio sa già benissimo di quali crimini si è macchiato. Accetta, come compromesso, di aiutarli con il loro orto, e di insegnare ai bambini a leggere e a scrivere.
E, nei rari giorni pigri, Hector non si affanna a cercare un compito da svolgere, perché ora sa che non è quello lo scopo della sua vita e nessuno più gli darà ordini da eseguire a ogni costo. Invece, passa il tempo ad osservare Rosaly che ricama sulla sua sedia a dondolo, con calma e destrezza, intrecciando il pizzo senza un attimo di sosta. Non è molto differente, riflette, dal creare demoni: Rosaly ha un disegno ben preciso in mente, ognuno diverso dal precedente, e lo ricrea con le sue mani, gli dà forma e significato, infonde parte della sua vita nelle sue piccole opere d’arte.
È uno spettacolo semplice, ma Hector non se ne stanca mai e potrebbe ammirarlo per ore e ore, perché sua moglie risplende come il sole quando si dedica a portare gioia al prossimo.
E nei suoi giorni migliori, Hector è sicuro di aver imparato a fare lo stesso, e il conforto lo aiuta a camminare a testa alta.
ENG, translation:
It’s like the ebbs of the tides, in time with the waxing and waning of the moon.
Hector’s life continues placidly, and the path is less and less steep. He has learned how to help Rosaly in her endless chores: if she insists on doing her best for others, he won’t leave her alone. When the children from the village bring her honey and strawberries on their parents’ behalf, to thank her for her hard work, Hector has taken to baking them: his works will never be as delicious as his wife’s, but her smile alone makes them sweeter. The presence of the children, which he once eyed askance with distrust and awkwardness and not without a hint of resentment, is now more than welcome, now that “Uncle” Hector knows how to entertain them. He will never reveal to anyone where he had learned to draw monsters in great detail, and it doesn’t matter anymore, not when his sketches now only serve to intrigue innocent souls.
The garden is his favorite part of the house, where he can dedicate himself to taking care of the plants and the animals in peaceful solitude. Hector has always preferred the company of his non-human friends, but where once they used to be his safe haven from the cruelty of man, today they are nothing more than a soothing presence.
Word spreads through the village that Rosaly’s husband is strangely apt at taming animals, even the most feared ones. He has long accepted being called “shepherd” by the woman as a term of endearment, but he never would have imagined that other humans would accept him as he is. Some villagers dare to approach him, to ask him for help to drive beasts away or train their pets; Hector hesitates at first, because some of his scars are older than his time in the castle, but Rosaly encourages him to do some good, and if he can trust anyone, it’s her. There are those who, clutching their hands, declare that it is a sign that God favors him, because only a good soul can have such an affinity with His creation. Hector has to bite his tongue to keep from bursting out laughing.
He even manages to exchange a few words with the priest of the nearby church. He takes care to ignore the crucifix hanging from his neck, because he is not worthy of looking at Christ’s agonized expression, but the old man is gentle and friendly and offers to be available, in case Hector decides to confess. He refuses with a tight smile, because he doesn’t need it – God already knows all too well the sins that stain his soul. He agrees, as a compromise, to help them with their grounds, and to teach the children to read and write.
And, on the rare lazy days, Hector doesn’t bother looking for a task to carry out, because he now knows that that is not the purpose of his life and no one will give him orders to obey at any cost. Instead, he spends his time watching Rosaly as she sews in her rocking chair, calmly and deftly, weaving the lace without a moment’s rest. It’s not very different, he muses, from creating devils: Rosaly has a very specific design in mind, each and every one different from the previous one, and she recreates it with her own hands, gives it shape and meaning, infuses part of her life into her small works of art.
It is a simple sight, but Hector never tires of it and could admire it for hours and hours, because his wife shines like the sun when she dedicates herself to bringing joy to others.
And on his best days, Hector is sure he has learned to do the same, and the comfort helps him walk with his head held high.
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curiositasmundi · 3 months
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Il presidente argentino Milei si propone come modello di governo della crisi economica, sociale, politica ed ecologica attraverso la rottura di ogni consenso sociale e politico e di ogni regola del potere (democraticamente) costituito
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Già dalle prime misure varate subito dopo la sua assunzione ufficiale dell’incarico, in una cerimonia celebrata per la prima volta nella storia in piazza e voltando intenzionalmente le spalle al congresso, Milei ha mostrato la sua avversione per ogni procedimento formale costituzionale, presentando un pacchetto di quasi 900 leggi per mutare radicalmente l’assetto giuridico-istituzionale dello Stato argentino mediante un Decreto Nazionale di Urgenza (Dnu) e una Legge Omnibus. Si tratta di due maxi-provvedimenti emessi con procedura di urgenza in modo da bypassare i meccanismi democratici formali tipici di ogni democrazia parlamentare. Il processo Milei incarna un progetto autoritario e messianico (non si sottovaluti la conversione all’ebraismo ortodosso del presidente) di rifondazione istituzionale, un reale «processo di riorganizzazione nazionale», l’espressione usata da primo comunicato della giunta militare nel 1976 e ripresa dallo stesso Milei durante il suo discorso di insediamento. Il Dnu è già entrato in vigore da quasi un mese e mezzo, e potrà essere revocato soltanto dai tribunali. Proprio in questi giorni la legge omnibus è stata respinta dal parlamento, nonostante l’opposizione friendly del Pro di Macri, della vecchia Ucr e del peronismo di destra, e dovrà tornare nelle commissioni. Questi due provvedimenti sono stati accompagnati da un terzo – il cosiddetto Protocollo Repressivo della ministra della sicurezza, Patricia Bullrich – che autorizza la violenza statale e cioè la sorveglianza, la prevenzione arbitraria e soprattutto la repressione poliziesca indiscriminata di ogni manifestazione pubblica di dissenso, di ogni blocco di strade a causa di proteste, così come l’aumento delle pene di reclusione per reati politici. Già nelle prime manifestazioni di opposizione al governo abbiamo visto scene – arresti indiscriminati, attacchi feroci e intimidatori delle forze dell’ordine ai manifestanti e anche alla stampa – che non si vedevano dagli anni più bui della storia del paese. Da notare che il protocollo è divenuto operativo prima della sua approvazione in parlamento. Un’eccezione che opera in uno stato di eccezione più ampio. 
L’agenda di governo del processo Milei eccede anche qualsiasi tentativo di comprensione attraverso categorie economicistiche, anche tipicamente neoliberali, come austerity, aggiustamento strutturale, azzeramento del deficit fiscale, riduzione del debito pubblico, ecc. Nella sua essenza è un tentativo di cambiare, secondo una modalità autoritaria e intransigente, la costituzione materiale dello Stato-nazione, ovvero di eliminare qualsiasi tipo di regolazione istituzionale della vita sociale e ambientale per favorire in modo dispotico non il «libero mercato», bensì la produzione di valore, la speculazione e la rendita finanziaria, l’appropriazione di terre da parte di grandi proprietari e corporazioni e l’estrattivismo in tutte le sue dimensioni, senza alcun tipo di mediazione (giuridica, sindacale, ecc.). Si tratta di un modello di società di tipo pre-contrattualista, un modello di accumulazione brutale fondato sull’assurda concezione secondo cui la società è fatta soltanto dal libero scambio tra individui. Da qui la sua infatuazione per Margaret Thatcher. Così, con i suoi due decreti fondativi, sommati a una svalutazione della moneta del 120%, alla liberalizzazione dei prezzi dei generi alimentari, dei farmaci e dei contratti per gli affitti, alla cancellazione di ogni sussidio statale al trasporto e ai servizi pubblici (acqua, luce, gas, ecc.) e al blocco delle opere pubbliche, il processo Milei si è tradotto in uno dei più brutali trasferimenti di ricchezza di tutta la storia argentina dalle classi popolari all’oligarchia agro-finanziaria. Le statistiche in questi mesi registrano un calo del consumo dei generi alimentari di prima necessità del 40%, insieme a un crollo del 40% degli acquisti di farmaci essenziali. Un’estrazione feroce su una popolazione socialmente già allo stremo, dopo tre anni di inflazione galoppante. 
È questo il primo risultato di un’applicazione sadica, fanatica e alla lettera della terapia dello «shock economico» di Milton Friedman, il quale sosteneva che la rifondazione in senso neoliberale di una società doveva avvenire nei primi sei mesi di governo e, se possibile, nel pieno di una grave crisi economica. E tuttavia il «messianismo neoliberale» di Milei non è del tutto comprensibile al di fuori della storia coloniale dell’Argentina. Sta qui la sua principale differenza con i sovranismi del Nord globale. Il processo Milei affonda il suo immaginario politico nel progetto del «colonialismo d’insediamento» razziale delle élites bianche creole argentine di fine Ottocento, ovvero in un paese oligarchico governato da un blocco sociale agro-esportatore liberale e assai vincolato al capitalismo finanziario internazionale dell’epoca, e quindi fondato sulla negazione ed esclusione strutturale delle masse autoctone. Il processo Milei trae buona parte della sua linfa culturale da questa Argentina coloniale e pre-peronista, ovvero da un modello di paese costruito su un genocidio di stato e cioè sull’esclusione e repressione dei «gauchos» e delle masse proletarie meticce, e sullo sterminio pianificato dei popoli indigeni e degli afro-discendenti. Il «ritorno all’Argentina potenza» invocato da Milei, la sua santificazione di una personalità storica come Juan Bautista Alberdi (1810-1884), sta a significare un ritorno messianico a questa sorta di «paradiso adamico» rappresentato da un paese fondato sul terrorismo di stato, ovvero su un progetto volutamente omicida di «bianchizzazione» della popolazione. Sta qui il senso della prima frase enunciata da Milei durante la cerimonia di assunzione: «È finita la lunga notte populista, viva la libertad carajo!». Milei vede la storia post-peronista come una storia di progressiva decadenza economico-culturale; e questa decadenza, nella sua enunciazione, è dovuta ai diversi tentativi populisti di inclusione del cosiddetto «subsuelo de la nacion» (il proletariato autoctono e meticcio) nella grammatica istituzionale della cittadinanza moderna, e attraverso la redistribuzione della ricchezza. È su questo sfondo della storia nazionale che va interpretata una delle sue enunciazioni più note: «Qualsiasi tentativo di giustizia sociale è un’aberrazione». Non può sorprendere dunque se nel processo Milei si cercherà di azzerare, prima o poi, come peraltro già annunciato, le importanti ed esemplari conquiste di trent’anni di lotta per i diritti umani, per la Memoria, la Verdad y la Justicia, riguardo ai delitti di lesa umanità commessi dal terrorismo di Stato durante l’ultima dittatura civico-militare tra il 1976 e il 1983 finita con 30mila desaparecidos. Da quanto detto, inoltre, non è difficile intuire che lo schieramento internazionale con Stati uniti e Israele, e l’uscita dai Brics, già annunciati da Milei, non obbediscono soltanto a ragionamenti puramente geopolitici, o semplicemente ideologici, e meno che mai economici, poiché Cina e Brasile sono i principali partner economici dell’Argentina, ma ha radici piuttosto profonde. 
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kyda · 1 year
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due sere fa sono rimasta sveglia a studiare fino alle 3 e ieri alle 8 ero già in macchina verso l'università. per fortuna non ero fra i primi dell'appello perché la prof procedeva per verbali e ho aspettato 5 ore prima che toccasse a me. ripassare prima dell'esame è una cosa che ho smesso di fare qualche anno fa e di solito se i prof danno la possibilità di scegliere sono la prima a propormi ma ieri non dovevo ripassare, dovevo studiare. ho studiato fino all'ultimo secondo, con l'acqua alla gola, quando la prof mi ha chiamata alle 14:52 e io ero lì fuori che cercavo di finire le 50 pagine centrali di wide sargasso sea dopo aver provato in tutti i modi a memorizzare opere e date di autori degli ultimi due secoli, mentre leggevo su wikipedia le teorie di godwin e rousseau che hanno influenzato shelley e la storia coloniale dell'impero della regina vittoria e cosa questo avesse a che fare con dracula, associando i punti principali della poetica di lawrence forster e ford a immagini improbabili nella mia mente con giochi di parole che difficilmente dimenticherò. quando mi sono seduta lei si è ricordata di me perché l'altro giorno per letteratura1 aveva notato il mio dilatatore. stava mangiando dei biscotti e mi ha detto dopo gliene offro uno, ora facciamo l'esame. mi ha chiesto di nuovo un solo autore del manuale, blake, l'ultimo preromantico, uno di quelli che ricordavo meglio. poi in italiano mi ha fatto una domanda sugli studi postcoloniali. quando ho preparato letteratura1 sono andata così a fondo in quest'argomento per cercare di capire cose che non capivo (tipo il discorso di foucault e il pensiero della spivak), che a questa domanda ho risposto così bene che mi ha interrotta dicendomi che non c'era bisogno di continuare. poi mi ha chiesto di prendere la mia copia di jane eyre e quando l'ho posata sulla scrivania ha riso e ha detto oh finalmente un libro vissuto, le è piaciuto? mi sono rilassata immediatamente e ho detto di sì, soprattutto perché era la prima volta che lo leggevo, e mentre lo sfogliava per decidere quale parte farmi analizzare pensavo glielo dico o non glielo dico e alla fine ho detto che in realtà però mi ha turbata perché mi dispiace non aver odiato mr rochester e berta è così silenziata in jane eyre che quasi mi dimenticavo di lei e sapevo che era sbagliato e quindi sono stata combattuta e lei ha riso e mi ha chiesto di analizzare un paragrafo e fare un confronto con quello che succede su wide sargasso sea e mi ha chiesto di approfondire quel pensiero e se leggere la riscrittura della rhys mi aveva fatto cambiare idea. poi mi ha fatto un'ultima domanda sulla warner che non ho capito bene ma alla quale ho risposto con tutto quello che mi veniva in mente e poi mi ha fermata e mi ha detto va bene così, le metto 30. ho rifiutato il biscotto che mi aveva offerto perché tanto comunque stavo andando a casa, ho salutato e sono scappata via. non ho preso neanche l'ascensore, ho fatto sette piani piangendo al telefono con mia mamma e quando sono uscita mi sono accorta a contatto con l'aria gelida di non aver messo neanche il cappotto e di avere in mano ancora il raccoglitore le fotocopie jane eyre e sono andata di corsa verso la macchina di mio padre e da lontano gli ho gridato indovina chi ha preso 30 all'ultimo esame? e per tutto il viaggio verso casa ho solo sorriso, sorriso e pensato che non solo ce l'avevo fatta, ma che è stato anche un successo quando io pensavo a come in caso avrei dovuto chiedere un'altra domanda per arrivare al 18. negli ultimi 10 giorni sono stata veramente soffocata dall'ansia di non farcela e dover rimandare la laurea, di sentirmi chiedere cose di cui non avevo la minima idea o, peggio, di cui avrei saputo parlare se avessi studiato meglio. ora devo iniziare la prova finale ma mi sembra incredibile essere arrivata a questo traguardo e in questo modo. ho pensato che in fin dei conti mi piace studiare (assurdo, lo so) e che sono stata veramente brava e sono contenta perché non sono stata davvero sola. quest'ultima in particolare è la mia gioia più grande in questo momento
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Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Posso osare? » e, « Posso osare? »
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte:
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?
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