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#Morti 2 ottobre
perfettamentechic · 2 years
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2 ottobre … ricordiamo …
2 ottobre … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2017: Evangelina Elizondo, Gloria Evangelina Elizondo López-Llera, attrice e cantante messicana che ha lavorato durante la cosiddetta età d’oro del cinema messicano. Nel 2014, ha ricevuto il Premio Arlequín per i suoi contributi alla cultura messicana. (n. 1929) 2007: George Grizzard, nato George Cooper Grizzard, è stato un attore statunitense, attivo in campo teatrale, televisivo e…
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paoloxl · 7 months
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9 ottobre 1963 Vajont la frana che si stacco la notte del 9 ottobre 1963 era costituita da 263 milioni di metri cubi di roccia. Una massa gigantesca che precipitò nel sottostante lago creato dalla diga in 20-25 secondi alla velocità di 70-100 chilometri all’ ora sollevando un’ ondata di 260-270 metri di altezza, valutata in 50 milioni di metri cubi. L’onda si divise in due: una parte si spazzò via Pineda, San Martino, Le Spesse, frazioni di Erto, l’altra danneggiò Casso prima di scavalcare la diga e in 4 minuti raggiungere Longarone travolgendo tutto con un’energia pari a due volte quella della bomba atomica di Hiroshima. I morti furono 1910: 1450 a Longarone, 158 a Erto e Casso, 111 a Codissago, 54 nei cantieri Sade, 137 in altri luoghi. Pochi i feriti: 95 lievi, 49 gravi, 2 gravissimi. A Fortogna verranno sepolte 1454 vittime, solo 704 delle quali identificate. Molti morti non verranno mai trovati
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ciclistasingolo · 8 months
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SABRAESHATILA.“Celodisserolemosche”
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17 set 2020
Fisk, Israele, libano, Palestina, Sabra, Sharon, shatila
by Redazione
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Vogliamo ricordare Robert Fisk, scomparso il 30 ottobre, riproponendovi l’articolo che il grande giornalista scrisse quando tra i primi ad arrivare nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut dopo il massacro di migliaia di palestinesi nel settembre del 1982
di Robert Fisk – settembre 1982
Roma, 17 settembre 2020 Nena News – “Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.
Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano. Perlopiù giravano intorno alle nostre teste in una nuvola grigia, in attesa che assumessimo la generosa immobilità dei morti. Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c’è vita anche nella morte. Qualcuno ne trae profitto. Le mosche sono imparziali. Per loro non aveva nessuna importanza che quei corpi fossero stati vittime di uno sterminio di massa. Le mosche si sarebbero comportate nello stesso modo con un qualsiasi cadavere non sepolto. Senza dubbio, doveva essere stato così anche nei caldi pomeriggi durante la Peste nera.
All’inizio non usammo la parola massacro. Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostrae bocche. Per questo motivo ci tenevamo sopra un fazzoletto, poi ci coprimmo anche il naso perché le mosche si spostavano su tutta la faccia. Se a Sidone l’odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto.
Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini – i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» – se n’erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c’erano cadaveri – donne, giovani, nonni e neonati – stesi uno accanto all’altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. I pazienti di un ospedale palestinese erano scomparsi dopo che i miliziani avevano ordinato ai medici di andarsene. Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento.
Mentre eravamo lì, davanti alle prove di quella barbarie, vedevamo gli israeliani che ci osservavano. Dalla cima di un grattacielo a ovest – il secondo palazzo del viale Camille Chamoun – li vedevamo che ci scrutavano con i loro binocoli da campo, spostandoli a destra e a sinistra sulle strade coperte di cadaveri, con le lenti che a volte brillavano al sole, mentre il loro sguardo si muoveva attraverso il campo. Loren Jenkins continuava a imprecare. Pensai che fosse il suo modo di controllare la nausea provocata da quel terribile fetore. Avevamo tutti voglia di vomitare. Stavamo respirando morte, inalando la putredine dei cadaveri ormai gonfi che ci circondavano. Jenkins capì subito che il ministro della Difesa israeliano avrebbe dovuto assumersi una parte della responsabilità di quell’orrore. «Sharon!» gridò. «Quello stronzo di Sharon! Questa è un’altra Deir Yassin.»
Quello che trovammo nel campo palestinese di Shatila alle dieci di mattina del 18 settembre 1982 non era indescrivibile, ma sarebbe stato più facile da raccontare nella fredda prosa scientifica di un esame medico. C’erano già stati massacri in Libano, ma raramente di quelle proporzioni e mai sotto gli occhi di un esercito regolare e presumibilmente disciplinato. Nell’odio e nel panico della battaglia, in quel paese erano state uccise decine di migliaia di persone. Ma quei civili, a centinaia, erano tutti disarmati. Era stato uno sterminio di massa, un’atrocità, un episodio – con quanta facilità usavamo la parola «episodio» in Libano – che andava ben oltre quella che in altre circostanze gli israeliani avrebbero definito una strage terroristica. Era stato un crimine di guerra.
Jenkins, Tveit e io eravamo talmente sopraffatti da ciò che avevamo trovato a Shatila che all’inizio non riuscivamo neanche a renderci conto di quanto fossimo sconvolti. Bill Foley dell’Ap era venuto con noi. Mentre giravamo per le strade, l’unica cosa che riusciva a dire era «Cristo santo!». Avremmo potuto accettare di trovare le tracce di qualche omicidio, una dozzina di persone uccise nel fervore della battaglia; ma nelle case c’erano donne stese con le gonne sollevate fino alla vita e le gambe aperte, bambini con la gola squarciata, file di ragazzi ai quali avevano sparato alle spalle dopo averli allineati lungo un muro. C’erano neonati – tutti anneriti perché erano stati uccisi più di ventiquattro ore prima e i loro corpicini erano già in stato di decomposizione – gettati sui cumuli di rifiuti accanto alle scatolette delle razioni dell’esercito americano, alle attrezzature mediche israeliane e alle bottiglie di whisky vuote.
Dov’erano gli assassini? O per usare il linguaggio degli israeliani, dov’erano i «terroristi»? Mentre andavamo a Shatila avevamo visto gli israeliani in cima ai palazzi del viale Camille Chamoun, ma non avevano cercato di fermarci. In effetti, eravamo andati prima al campo di Burj al-Barajne perché qualcuno ci aveva detto che c’era stato un massacro. Tutto quello che avevamo visto era un soldato libanese che inseguiva un ladro d’auto in una strada. Fu solo mentre stavamo tornando indietro e passavamo davanti all’entrata di Shatila che Jenkins decise di fermare la macchina. «Non mi piace questa storia» disse. «Dove sono finiti tutti? Che cavolo è quest’odore?»
Appena superato l’ingresso sud del campo, c’erano alcune case a un piano circondate da muri di cemento. Avevo fatto tante interviste in quelle casupole alla fine degli anni settanta. Quando varcammo la fangosa entrata di Shatila vedemmo che tutte quelle costruzioni erano state fatte saltare in aria con la dinamite. C’erano bossoli sparsi a terra sulla strada principale. Vidi diversi candelotti di traccianti israeliani, ancora attaccati ai loro minuscoli paracadute. Nugoli di mosche aleggiavano tra le macerie, branchi di predoni che avevano annusato la vittoria.
In fondo a un vicolo sulla nostra destra, a non più di cinquanta metri dall’entrata, trovammo un cumulo di cadaveri. Erano più di una dozzina, giovani con le braccia e le gambe aggrovigliate nell’agonia della morte. A tutti avevano sparato a bruciapelo, alla guancia: la pallottola aveva portato via una striscia di carne fino all’orecchio ed era poi entrata nel cervello. Alcuni avevano cicatrici nere o rosso vivo sul lato sinistro del collo. Uno era stato castrato, i pantaloni erano strappati sul davanti e un esercito di mosche banchettava sul suo intestino dilaniato.
Avevano tutti gli occhi aperti. Il più giovane avrà avuto dodici o tredici anni. Portavano jeans e camicie colorate, assurdamente aderenti ai corpi che avevano cominciato a gonfiarsi per il caldo. Non erano stati derubati. Su un polso annerito, un orologio svizzero segnava l’ora esatta e la lancetta dei minuti girava ancora, consumando inutilmente le ultime energie rimaste sul corpo defunto.
Dall’altro lato della strada principale, risalendo un sentiero coperto di macerie, trovammo i corpi di cinque donne e parecchi bambini. Le donne erano tutte di mezza età ed erano state gettate su un cumulo di rifiuti. Una era distesa sulla schiena, con il vestito strappato e la testa di una bambina che spuntava sotto il suo corpo. La bambina aveva i capelli corti, neri e ricci, dal viso corrucciato i suoi occhi ci fissavano. Era morta.
Un’altra bambina era stesa sulla strada come una bambola gettata via, con il vestitino bianco macchiato di fango e polvere. Non avrà avuto più di tre anni. La parte posteriore della testa era stata portata via dalla pallottola che le avevano sparato al cervello. Una delle donne stringeva a sé un minuscolo neonato. La pallottola attraversandone il petto aveva ucciso anche il bambino. Qualcuno le aveva squarciato la pancia in lungo e in largo, forse per uccidere un altro bambino non ancora nato. Aveva gli occhi spalancati, il volto scuro pietrificato dall’orrore.
Tveit cercò di registrare tutto su una cassetta, parlando lentamente in norvegese e in tono impassibile. «Ho trovato altri corpi, quelli di una donna con il suo bambino. Sono morti. Ci sono altre tre donne. Sono morte.»
Di tanto in tanto, premeva il bottone della pausa e si piegava per vomitare nel fango della strada. Mentre esploravamo un vicolo, Foley, Jenkins e io sentimmo il rumore di un cingolato. «Sono ancora qui» disse Jenkins e mi fissò. Erano ancora lì. Gli assassini erano ancora nel campo. La prima preoccupazione di Foley fu che i miliziani cristiani potessero portargli via il rullino, l’unica prova – per quanto ne sapesse – di quello che era successo. Cominciò a correre lungo il vicolo.
Io e Jenkins avevamo paure più sinistre. Se gli assassini erano ancora nel campo, avrebbero voluto eliminare i testimoni piuttosto che le prove fotografiche. Vedemmo una porta di metallo marrone socchiusa; l’aprimmo e ci precipitammo nel cortile, chiudendola subito dietro di noi. Sentimmo il veicolo che si addentrava nella strada accanto, con i cingoli che sferragliavano sul cemento. Jenkins e io ci guardammo spaventati e poi capimmo che non eravamo soli. Sentimmo la presenza di un altro essere umano. Era lì vicino a noi, una bella ragazza distesa sulla schiena.
Era sdraiata lì come se stesse prendendo il sole, il sangue ancora umido le scendeva lungo la schiena. Gli assassini se n’erano appena andati. E lei era lì, con i piedi uniti, le braccia spalancate, come se avesse visto il suo salvatore. Il viso era sereno, gli occhi chiusi, era una bella donna, e intorno alla sua testa c’era una strana aureola: sopra di lei passava un filo per stendere la biancheria e pantaloni da bambino e calzini erano appesi. Altri indumenti giacevano sparsi a terra. Quando gli assassini avevano fatto irruzione, probabilmente stava ancora stendendo il bucato della sua famiglia. E quando era caduta, le mollette che teneva in mano erano finite a terra formando un piccolo cerchio di legno attorno al suo capo.
Solo il minuscolo foro che aveva sul seno e la macchia che si stava man mano allargando indicavano che fosse morta. Perfino le mosche non l’avevano ancora trovata. Pensai che Jenkins stesse pregando, ma imprecava di nuovo e borbottava «Dio santo», tra una bestemmia e l’altra. Provai tanta pena per quella donna. Forse era più facile provare pietà per una persona giovane, così innocente, una persona il cui corpo non aveva ancora cominciato a marcire. Continuavo a guardare il suo volto, il modo ordinato in cui giaceva sotto il filo da bucato, quasi aspettandomi che aprisse gli occhi da un momento all’altro.
Probabilmente quando aveva sentito sparare nel campo era andata a nascondersi in casa. Doveva essere sfuggita all’attenzione dei miliziani fino a quella mattina. Poi era uscita in giardino, non aveva sentito nessuno sparo, aveva pensato che fosse tutto finito e aveva ripreso le sue attività quotidiane. Non poteva sapere quello che era successo. A un tratto qualcuno aveva aperto la porta, improvvisamente come avevamo fatto noi, e gli assassini erano entrati e l’avevano uccisa. Senza pensarci due volte. Poi se n’erano andati ed eravamo arrivati noi, forse soltanto un minuto o due dopo.
Rimanemmo in quel giardino ancora per un po’. Io e Jenkins eravamo spaventati. Come Tveit, che era momentaneamente scomparso, Jenkins era un sopravvissuto. Mi sentivo al sicuro con lui. I miliziani – gli assassini della ragazza – avevano violentato e accoltellato le donne di Shatila e sparato agli uomini, ma sospettavo che avrebbero esitato a uccidere Jenkins e l’americano avrebbe cercato di dissuaderli. «Andiamocene via di qui» disse, e ce ne andammo. Fece capolino in strada per primo, io lo seguii, chiudendo la porta molto piano perché non volevo disturbare la donna morta, addormentata, con la sua aureola di mollette da bucato.
Foley era tornato sulla strada vicino all’entrata del campo. Il cingolato era scomparso, anche se sentivo che si spostava sulla strada principale esterna, in direzione degli israeliani che ci stavano ancora osservando. Jenkins sentì Tveit urlare da dietro una catasta di cadaveri e lo persi di vista. Continuavamo a perderci di vista dietro i cumuli di cadaveri. Un attimo prima stavo parlando con Jenkins, un attimo dopo mi giravo e scoprivo che mi stavo rivolgendo a un ragazzo, riverso sul pilastro di una casa con le braccia penzoloni dietro la testa.
Sentivo le voci di Jenkins e Tveit a un centinaio di metri di distanza, dall’altra parte di una barricata coperta di terra e sabbia che era stata appena eretta da un bulldozer. Sarà stata alta più di tre metri e mi arrampicai con difficoltà su uno dei lati, con i piedi che scivolavano nel fango. Quando ormai ero arrivato quasi in cima persi l’equilibrio e per non cadere mi aggrappai a una pietra rosso scuro che sbucava dal terreno. Ma non era una pietra. Era viscida e calda e mi rimase appiccicata alla mano. Quando abbassai gli occhi vidi che mi ero attaccato a un gomito che sporgeva dalla terra, un triangolo di carne e ossa.
Lo lasciai subito andare, inorridito, pulendomi i resti di carne morta sui pantaloni, e finii di salire in cima alla barricata barcollando. Ma l’odore era terrificante e ai miei piedi c’era un volto al quale mancava metà bocca, che mi fissava. Una pallottola o un coltello gliel’avevano portata via, quello che restava era un nido di mosche. Cercai di non guardarlo. In lontananza, vedevo Jenkins e Tveit in piedi accanto ad altri cadaveri davanti a un muro, ma non potevo chiedere aiuto perché sapevo che se avessi aperto la bocca per gridare avrei vomitato.
Salii in cima alla barricata cercando disperatamente un punto che mi consentisse di saltare dall’altra parte. Ma non appena facevo un passo, la terra mi franava sotto i piedi. L’intero cumulo di fango si muoveva e tremava sotto il mio peso come se fosse elastico e, quando guardai giù di nuovo, vidi che solo uno strato sottile di sabbia copriva altre membra e altri volti. Mi accorsi che una grossa pietra era in realtà uno stomaco. Vidi la testa di un uomo, il seno nudo di una donna, il piede di un bambino. Stavo camminando su decine di cadaveri che si muovevano sotto i miei piedi.
I corpi erano stati sepolti da qualcuno in preda al panico. Erano stati spostati con un bulldozer al lato della strada. Anzi, quando sollevai lo sguardo vidi il bulldozer – con il posto di guida vuoto – parcheggiato con aria colpevole in fondo alla strada.
Mi sforzavo invano di non camminare sulle facce che erano sotto di me. Provavamo tutti un profondo rispetto per i morti, perfino lì e in quel momento. Continuavo a dirmi che quei cadaveri mostruosi non erano miei nemici, quei morti avrebbero approvato il fatto che fossi lì, avrebbero voluto che io, Jenkins e Tveit vedessimo tutto questo, e quindi non dovevo avere paura di loro. Ma non avevo mai visto tanti cadaveri in tutta la mia vita.
Saltai giù e corsi verso Jenkins e Tveit. Suppongo che stessi piagnucolando come uno scemo perché Jenkins si girò. Sorpreso. Ma appena aprii la bocca per parlare, entrarono le mosche. Le sputai fuori. Tveit vomitava. Stava guardando quelli che sembravano sacchi davanti a un basso muro di pietra. Erano tutti allineati, giovani uomini e ragazzi, stesi a faccia in giù. Gli avevano sparato alla schiena mentre erano appoggiati al muro e giacevano lì dov’erano caduti, una scena patetica e terribile.
Quel muro e il mucchio di cadaveri mi ricordavano qualcosa che avevo già visto. Solo più tardi mi sarei reso conto di quanto assomigliassero alle vecchie fotografie scattate nell’Europa occupata durante la Seconda guerra mondiale. Ci sarà stata una ventina di corpi. Alcuni nascosti da altri. Quando mi inchinai per guardarli più da vicino notai la stessa cicatrice scura sul lato sinistro del collo. Gli assassini dovevano aver marchiato i prigionieri da giustiziare in quel modo. Un taglio sulla gola con il coltello significava che l’uomo era un terrorista da giustiziare immediatamente. Mentre eravamo lì sentimmo un uomo gridare in arabo dall’altra parte delle macerie: «Stanno tornando». Così corremmo spaventati verso la strada. A ripensarci, probabilmente era la rabbia che ci impediva di andarcene, perché ci fermammo all’ingresso del campo per guardare in faccia alcuni responsabili di quello che era successo. Dovevano essere arrivati lì con il permesso degli israeliani. Dovevano essere stati armati da loro. Chiaramente quel lavoro era stato controllato – osservato attentamente – dagli israeliani, dagli stessi soldati che guardavano noi con i binocoli da campo.
Sentimmo un altro mezzo corazzato sferragliare dietro un muro a ovest – forse erano falangisti, forse israeliani – ma non apparve nessuno. Così proseguimmo. Era sempre la stessa scena. Nelle casupole di Shatila, quando i miliziani erano entrati dalla porta, le famiglie si erano rifugiate nelle camere da letto ed erano ancora tutti lì, accasciati sui materassi, spinti sotto le sedie, scaraventati sulle pentole. Molte donne erano state violentate, i loro vestiti giacevano sul pavimento, i corpi nudi gettati su quelli dei loro mariti o fratelli, adesso tutti neri di morte.
C’era un altro vicolo in fondo al campo dove un bulldozer aveva lasciato le sue tracce sul fango. Seguimmo quelle orme fino a quando non arrivammo a un centinaio di metri quadrati di terra appena arata. Sul terreno c’era un tappeto di mosche e anche lì si sentiva il solito, leggero, terribile odore dolciastro. Vedendo quel posto, sospettammo tutti di che cosa si trattasse, una fossa comune scavata in fretta. Notammo che le nostre scarpe cominciavano ad affondare nel terreno, che sembrava liquido, quasi acquoso e tornammo indietro verso il sentiero tracciato dal bulldozer, terrorizzati.
Un diplomatico norvegese – un collega di Ane-Karina Arveson – aveva percorso quella strada qualche ora prima e aveva visto un bulldozer con una decina di corpi nella pala, braccia e gambe che penzolavano fuori dalla cassa. Chi aveva ricoperto quella fossa con tanta solerzia? Chi aveva guidato il bulldozer? Avevamo una sola certezza: gli israeliani lo sapevano, lo avevano visto accadere, i loro alleati – i falangisti o i miliziani di Haddad – erano stati mandati a Shatila a commettere quello sterminio di massa. Era il più grave atto di terrorismo – il più grande per dimensioni e durata, commesso da persone che potevano vedere e toccare gli innocenti che stavano uccidendo – della storia recente del Medio Oriente.
Incredibilmente, c’erano alcuni sopravvissuti. Tre bambini piccoli ci chiamarono da un tetto e ci dissero che durante il massacro erano rimasti nascosti. Alcune donne in lacrime ci gridarono che i loro uomini erano stati uccisi. Tutti dissero che erano stati i miliziani di Haddad e i falangisti, descrissero accuratamente i diversi distintivi con l’albero di cedro delle due milizie.
Sulla strada principale c’erano altri corpi. «Quello era il mio vicino, il signor Nuri» mi gridò una donna. «Aveva novant’anni.» E lì sul marciapiede, sopra un cumulo di rifiuti, era disteso un uomo molto anziano con una sottile barba grigia e un piccolo berretto di lana ancora in testa. Un altro vecchio giaceva davanti a una porta in pigiama, assassinato qualche ora prima mentre cercava di scappare. Trovammo anche alcuni cavalli morti, tre grossi stalloni bianchi che erano stati uccisi con una scarica di mitra davanti a una casupola, uno di questi aveva uno zoccolo appoggiato al muro, forse aveva cercato di saltare per mettersi in salvo mentre i miliziani gli sparavano.
C’erano stati scontri nel campo. La strada vicino alla moschea di Sabra era diventata sdrucciolevole per quanto era coperta di bossoli e nastri di munizioni, alcuni dei quali erano di fattura sovietica, come quelli usati dai palestinesi. I pochi uomini che possedevano ancora un’arma avevano cercato di difendere le loro famiglie. Nessuno avrebbe mai conosciuto la loro storia. Quando si erano accorti che stavano massacrando il loro popolo? Come avevano fatto a combattere con così poche armi? In mezzo alla strada, davanti alla moschea, c’era un kalashnikov giocattolo di legno in scala ridotta, con la canna spezzata in due.
Camminammo in lungo e in largo per il campo, trovando ogni volta altri cadaveri, gettati nei fossi, appoggiati ai muri, allineati e uccisi a colpi di mitra. Cominciammo a riconoscere i corpi che avevamo già visto. Laggiù c’era la donna con la bambina in braccio, ecco di nuovo il signor Nuri, disteso sulla spazzatura al lato della strada. A un certo punto, guardai con attenzione la donna con la bambina perché mi sembrava quasi che si fosse mossa, che avesse assunto una posizione diversa. I morti cominciavano a diventare reali ai nostri occhi.
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venetianeli · 1 year
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~Iʟ Tᴇᴍᴘᴜs Tʀᴇᴍᴇɴᴅᴜs: Lᴀ ᴘʀᴏᴄᴇxɪᴏɴ ᴅᴇɪ ᴍᴏʀᴛɪ ᴅᴇʟʟᴀ ᴛʀᴀᴅɪᴢɪᴏɴᴇ Vᴇɴᴇᴛᴀ. ~
A cura di Elena Righetto.
La tradizione veneta e anche italiana racconta che bisogna accendere una decina di lumini perché durante quella notte le anime dei morti sfilano per i cieli bui e proprio quelle fiammelle sarebbero servite per rischiarargli il cammino, per questo era importante accendere alla finestra una lumèra, o una “suca baruca”, una zucca intagliata con all’interno un lume, per aiutare i defunti nella loro processione notturna. Durante la processione dei morti, fra il 31 ottobre e il 2 novembre, i vivi possono assistere stando sul davanzale della finestra o sul terrazzo senza mai sollevare gli occhi, completamente assorti, guardano dentro un catino o una bacinella contenente acqua, illuminata solo dalla luce di una candela, nelle ore del silenzio notturno; ma, se si riconosce un parente, guai a parlare e a chiamare i Morti, si rischia di perdere la parola o di morire. I morti arrivano in processione dal cimitero e attorno al paese, tenendo un ordine preciso e particolare e le anime avevano una sorte differente l’una dall’altra, non tanto in base al comportamento tenuto in vita, ma in base al modo in cui era avvenuto il trapasso...
Se volete saperne di più leggete il libro della nostra Elena Righetto - autrice
"Calendario tradizionale veneto pagano"
Intermedia Edizioni
©️Elena Righetto per Coven Venice Project. Tutti i diritti riservati ai proprietari di testi e immagini. Riproduzione vietata.
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avalonishere · 1 year
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Serve altro per capire?????
“La Fabian Society e la pandemia”: ecco chi prova ad approfittare del Covid per avanzare la sua agenda politica
di Atlantico Quotidiano
23 Ottobre 2021, 3:51
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Esistono società politiche molto più influenti dei partiti che siamo abituati a conoscere. Società che costituiscono una sorta di “stanza di compensazione” fra la politica, gli intellettuali, i giornalisti e il mondo dell’alta finanza internazionale. Sono luoghi nei quali si progetta il futuro al riparo dalle piccole beghe quotidiane di palazzo e dalle competizioni elettorali. Il libro scritto da Davide Rossi (autore di vari articoli su Atlantico Quotidiano) “La Fabian Society e la pandemia”, pubblicato da Arianna Editrice, accende i riflettori su uno di questi circoli elitari, appunto la Fabian Society. Il lavoro di ricerca è iniziato cercando di capire da quali ambienti arrivi e da quali logiche è mosso colui che, nel nostro Paese, ha gestito e sta gestendo politicamente l’emergenza sanitaria, ossia il ministro Roberto Speranza.
La Fabian Society e la pandemia. Come si arriva alla dittatura
L’uomo che, inspiegabilmente, occupa il ministero chiave della sanità. Che ad un partito inesistente nel Paese e minuscolo in Parlamento quale è LEU (Liberi E Uguali), sia stato assegnato nel governo Conte 2 (quello formato da Pd, Cinque Stelle e appunto LEU) un posto di tale importanza è a dir poco strano. Incomprensibile, poi, che sia stato addirittura confermato nel successivo governo Draghi. Mancato aggiornamento del piano pandemico, nessun potenziamento dei posti letto ospedalieri, protocollo sanitario anti-Covid che evita, in modo letale per tanti pazienti, le fondamentali cure domiciliari. Il “nostro” ministro della salute è stato capace solo di chiudere tutto, imperterrito.
Perché proprio lui? Abbiamo già visto che viene da una formazione politica numericamente irrilevante, non ha di suo un carisma o una forte personalità, non si è mai occupato di sanità in vita sua. Insomma, apparentemente non c’è una ragione logica per la quale sia stato nominato in quel ruolo e ne sia stato confermato dopo la rovinosa gestione dell’emergenza. Nel libro si ricorda come la John Hopkins University abbia certificato che l’Italia è il Paese al mondo con il più alto numero di morti per Covid per 100.000 abitanti. Un disastro, al quale sarebbe dovuta conseguire una cacciata con ignominia, ed invece ha avuto il premio e sta ancora lì.
Così, per comprendere, l’autore si è messo sulle tracce della carriera di Speranza e di quella del suo padrino politico, Massimo D’Alema. Sono emersi legami internazionali, rapporti di potere e di denaro ed intrecci imprevisti. Soprattutto, sono emersi collegamenti fra questi personaggi ed un mondo che da oltre cento anni cerca di condizionare la vita delle persone e persegue il controllo delle masse: quello appunto della Fabian Society.
Alcuni membri dell’elite vittoriana di fine ‘800, fra i quali lo scrittore e spiritista Frank Podmore e l’aristocratico Henry Hyde Campione, diedero vita alla Fabian Society. Questo nome, Fabian, è ispirato a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, il console romano noto per aver combattuto Annibale e per la sua tattica militare. Era detto il Temporeggiatore perché logorava le forze nemiche, evitando scontri in campo aperto, cercando invece una guerra tattica, fatta di atti di guerriglia, di nascondimenti, di avanzamenti e arretramenti. Un prendere tempo per arrivare a colpire in maniera decisiva solo al momento opportuno. In questo modo il generale romano riuscì a sconfiggere Annibale nella battaglia di Naraggara (presso Zama) nel 202 a.C. che mise fine alla Seconda Guerra Punica e segnò, in pratica, la irreparabile sconfitta dei Punici.
È esattamente questa, secondo l’autore, la via attraverso la quale i Fabiani intendono imporre una dittatura collettivistica, uno Stato socialista mondiale che stabilisca il nuovo ordine. Vogliono instaurare un socialismo guidato da una ristretta aristocrazia del potere, ma non attraverso un atto rivoluzionario immediato quanto piuttosto attraverso il gradualismo, un prendere il potere un po’ alla volta, con riforme da attuare inserendosi man mano nei gangli delle istituzioni esistenti trasformandole, in modo quasi impercettibile, dall’interno. Solo quando si saranno realizzate le condizioni ottimali, allora occorrerà dare la zampata finale, colpire duro e se necessario usare anche la violenza per completare l’opera.
George Orwell, l’autore del romanzo distopico “1984”, era uno dei Fabiani più illustri. Quante volte, da quando è scoppiata la pandemia, lo avete sentito citare? Forse è perché la spaventosa società del controllo da lui descritta in “1984” è quanto di più simile a quanto ci sta accadendo negli ultimi due anni. Il socialismo tecnocratico, della sorveglianza e della manipolazione delle masse è quello che viene descritto da Orwell nelle sue opere ed è, come viene accuratamente spiegato da Rossi nel libro, l’ossessione dei Fabiani.
Un libro che ha due obiettivi. Il primo è quello di delineare il pensiero politico della Fabian attraverso alcuni cenni storici e verificando quali siano gli attuali uomini e le donne di potere che le afferiscono. Il secondo è di analizzare come e quanto la visione del mondo dei Fabiani coincida con quell’epocale tornante della storia nel quale ci è toccato di vivere: la drastica svolta autoritaria imposta al mondo occidentale attraverso l’utilizzo politico dell’emergenza Covid. Sarebbe stato solo un esercizio culturale, per quanto interessante, quello di un mero approfondimento sulla storia e il potere della Fabian Society. Questo è invece anche un libro politico, che intende entrare e scavare nel pieno dell’attualità per evidenziare la concreta applicazione delle idee fabiane in questa gigantesca sospensione delle nostre libertà fondamentali. L’autore si è determinato a scrivere questo libro proprio perché la realtà che stiamo vivendo è vicinissima, quasi coincidente, a quella progettata dai Fabiani fin dalla loro fondazione.
#DEMOCRAZIA
#DITTATURA
#FABIAN SOCIETY
#FABIANESIMO
#LIBERTÀ FONDAMENTALI
#LOCKDOWN
#PANDEMIA
#ROBERTO SPERANZA
#SOCIALISMO
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bicheco · 2 years
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Mentana ha appena detto che forse si voterà il 2 Ottobre, però secondo me sarebbe più opportuno farlo il 2 Novembre (i morti).
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e-o-t-w · 1 month
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Eyes on the world #186
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Salutiamo marzo con una settimanella a dir poco movimentata. 
Oltre alle ultime riguardo la guerra tra Israele e Hamas, è necessario parlare innanzitutto dell’attentato alla Crocus City Hall di Mosca e del crollo del Francis Scott Key Bridge di Baltimora. Facciamo poi un rapido salto in Regno Unito, chiudendo con un’importante indagine in corso con al centro l’Europol e la definitiva (?) chiusura della controversia tra la Florida e Disney. 
Quanta roba. Partiamo vah 👇 
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: AUMENTANO LE DIFFICOLTÀ PER L’UNRWA, LA RISOLUZIONE DELL’ONU E LE REAZIONI 
(1) Sempre, costantemente, incessantemente a parlare della situazione mai doma tra #Israele e #Hamas. Il primo ha annunciato di interrompere l'approvazione delle spedizioni di cibo dell'#UNRWA nella parte settentrionale della Striscia di #Gaza. Pare possa servire a poco l’intervento della Corte internazionale di giustizia, che ha chiesto a Israele di agevolare (invece di ostacolare) tali operazioni. L'UNRWA, che da poco ha ri-ottenuto l’appoggio e i finanziamenti da parte di numerose nazioni, fornisce assistenza umanitaria ai profughi palestinesi dal 1949, ma la sua attività è fondamentale nella Striscia, soprattutto nel nord, dove le consegne di aiuti sono meno frequenti rispetto al sud. Qualche tempo fa, Israele aveva accusato alcuni dipendenti dell'UNRWA di essere coinvolti negli attacchi di #Hamas contro i civili israeliani nel 2023, sospettando una decina di dipendenti su 13.000 totali a Gaza. Queste accuse hanno portato alla sospensione temporanea dei finanziamenti da parte di alcuni paesi occidentali e hanno complicato il lavoro dell'UNRWA a Gaza. Il direttore dell'UNRWA ha definito la decisione israeliana di interrompere le spedizioni "scandalosa" e ha avvertito che impedire il lavoro dell'agenzia avrebbe portato a gravi conseguenze umanitarie. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel frattempo, ha chiesto un'accelerazione delle consegne di cibo. Intanto, la notizia più importante della settimana arriva dal Consiglio di Sicurezza dell'#ONU, che ha approvato una risoluzione per chiedere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Questa è la prima decisione approvata in tal senso dopo mesi di impasse dovuta ai veti incrociati nel Consiglio. La risoluzione ha ottenuto 14 voti a favore su 15 totali, inclusi quelli (inaspettati) di #Cina e #Russia, ma gli #StatiUniti si sono astenuti, segnalando un cambiamento di posizione nei confronti di Israele. La risoluzione, vincolante in teoria, prevede un cessate il fuoco durante il #Ramadan, la liberazione degli ostaggi tenuti da Hamas e invita Israele a facilitare l'ingresso di aiuti umanitari nella Striscia, devastata dalla guerra. Il premier israeliano #Netanyahu ha criticato l'approvazione, sostenendo che metterà a rischio gli sforzi israeliani contro Hamas. La proposta è stata presentata dai membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dopo che gli Stati Uniti avevano respinto una precedente richiesta di cessate il fuoco immediato e duraturo. Questa mossa segna una rottura rispetto alla precedente posizione degli USA, che avevano posto il veto su risoluzioni simili, citando il diritto di Israele di difendersi. La rappresentante degli Stati Uniti all'ONU ha sottolineato che la risoluzione approvata è in linea con gli sforzi diplomatici USA, ma hanno deciso di astenersi a causa di alcune clausole non accettabili, come la mancata condanna degli attacchi di Hamas del 7 ottobre. In ogni caso, sembra sia improbabile che Israele rispetti la risoluzione, nonostante sia considerata vincolante, e Netanyahu – per tutta risposta – ha annullato una visita di una delegazione israeliana a Washington in seguito all'approvazione della risoluzione. 
🇷🇺 RUSSIA: L’ISIS-K COLPISCE LA CROCUS CITY HALL DI MOSCA PRIMA DI UN CONCERTO. OLTRE 140 I MORTI 
(2) Venerdì scorso, diversi uomini armati hanno attaccato il teatro Crocus City Hall a #Mosca (Russia), sparando sulla folla sia dentro che fuori dal teatro, che ha poi preso fuoco. L'#ISIS ha rivendicato l'attacco tramite la sua agenzia di stampa "non ufficiale" al Amaq, ma arrivano conferme anche da funzionari statunitensi, dal momento che dietro l’attacco sembra esserci l'ISIS-K, gruppo affiliato all’ISIS attivo principalmente in #Afghanistan. Proprio l’ambasciata statunitense aveva emesso un avviso di sicurezza per i cittadini americani (atto che il presidente russo Vladimir Putin aveva derubricato come semplice “provocazione”), mentre quella russa aveva dichiarato di aver neutralizzato un attacco terroristico poco prima. Sono stati riportati oltre 140 morti e centinaia di feriti e le autorità russe sono intervenute con una grande quantità di mezzi di emergenza per portare fuori dal teatro quante più persone possibili. La struttura, situata nella periferia nord-occidentale di Mosca, stava per ospitare un concerto dei Picnic. L’ISIS-K, fondato in Afghanistan nel 2014, non è nuovo ad attacchi di questo tipo, dal momento che ha già colpito Kabul nel 2021 e l’Iran quest’anno. 14 sospettati dell’attentato a Mosca sono stati arrestati nei pressi del confine tra Bielorussia e Ucraina, mentre tentavano di fuggire verso quest’ultimo (anche se solo 4 di loro sembra siano i veri attentatori). La stessa #Ucraina è stata messa in mezzo da autorità e dai media russi, convinti - senza prove tangibili - che abbia avuto un ruolo nell’attacco. Secondo diversi analisti, la strategia russa in questo caso mirerebbe a distogliere l’attenzione sulla scarsa tempestività nel reagire all’attentato. Negli ultimi giorni poi si sono verificati episodi di violenza contro migranti asiatici in varie parti della Russia. I quattro uomini presumibilmente responsabili per l'attacco sono infatti cittadini del #Tagikistan e ciò ha portato al moltiplicarsi di richieste per regole più severe sull'#immigrazione dall'Asia centrale; tuttavia, il presidente russo Vladimir #Putin ha cercato di limitare le campagne di odio per evitare violenze su larga scala, considerando che gli immigrati dall'Asia centrale sono importanti per l'esercito russo. In Russia, ci sono circa un milione di tagiki e circa 10 milioni di migranti dall'Asia centrale, con i tagiki principalmente impiegati come lavoratori manuali e nel settore dei servizi. Dopo l'attacco, la reazione della polizia si è concentrata proprio sulla comunità tagika, con arresti apparentemente immotivati e persino episodi di tortura, e – come se non bastasse – si sono verificati anche atti di violenza fisica e verbale, spesso compiuti da gruppi nazionalisti di destra. Il procuratore generale russo ha citato un aumento del 75% dei crimini commessi da migranti nel 2023, sottolineando la necessità di trovare un equilibrio tra sicurezza e necessità economica. Tornando all’attacco, mercoledì il sito russo Baza ha riportato che 95 persone risultano ancora disperse dopo l'attentato terroristico. Le persone disperse si trovavano al Crocus City Hall, luogo dell'attacco, e i loro familiari non hanno più avuto notizie da quel momento. Circa 80 corpi ritrovati non sono ancora stati identificati, il che lascia aperta la possibilità che alcuni dispersi siano tra le vittime non identificate.  
🌉 USA: UNA NAVE IN AVARIA FA CROLLARE IL FRANCIS SCOTT KEY BRIDGE DI BALTIMORA. 2 MORTI, 4 DISPERSI 
(3) Durante la notte tra lunedì e martedì, a #Baltimora, nel Maryland, un ponte è crollato dopo essere stato colpito da una nave portacontainer. L'incidente ha coinvolto il Francis Scott Key Bridge, situato sulla foce del fiume Patapsco, con due persone soccorse e altre sei disperse. Il ponte è essenziale per l'accesso al porto di Baltimora, e il presidente americano Joe Biden ha dichiarato che la sua ricostruzione è una priorità, con il governo federale che coprirà i costi. La nave coinvolta aveva segnalato un'avaria prima dell'impatto, consentendo l'evacuazione parziale del ponte: pare che i motori abbiano perso potenza, facendo perdere il controllo all’equipaggio; la nave, manovrata da due piloti locali, aveva iniziato a deviare dalla rotta prevista poco prima dell’incidente. Gli sforzi di ricerca e soccorso sono concentrati sul recupero delle persone disperse e sulla rimozione dei detriti. Nonostante l'incidente abbia bloccato temporaneamente le operazioni portuali, la società che gestisce la nave ha confermato che l'equipaggio è stato localizzato e non ci sono feriti segnalati. Il ponte, costruito negli anni '70, ha rappresentato un'importante via di trasporto per la regione di Baltimora, con un flusso quotidiano di migliaia di veicoli. Il crollo ha causato una significativa interruzione delle attività portuali e del trasporto locale, con ripercussioni sul commercio e sulla logistica della regione. Le indagini sull'incidente sono in corso, mentre le autorità cercano di stabilire le cause esatte e di mitigare gli effetti a lungo termine sull'area colpita. Con 35 mila persone che utilizzavano il ponte quotidianamente, le autorità dovranno trovare soluzioni immediate per la viabilità cittadina e il trasporto merci. La chiusura del porto di Baltimora, anche se non tra i più grandi degli Stati Uniti, avrà impatti su diverse merci, come carbone (il porto in questione è responsabile del 27% delle sue esportazioni via mare), automobili, GNL e zucchero. Pete Buttigieg, segretario dei Trasporti, prevede un impatto significativo sulle catene di fornitura. A livello locale, il porto dava lavoro a 15 mila persone direttamente e a oltre 140 mila indirettamente. Il ponte stesso era cruciale per la viabilità e l'economia di Baltimora, con un valore annuo di merci transitanti stimato in 28 miliardi di dollari. Dopo aver temporaneamente sospeso le ricerche dei sei operai dispersi, mercoledì sera sono stati recuperati i corpi di due di loro intrappolati all'interno di un furgone precipitato nel fiume Patapsco. Quattro risultano ancora dispersi, tutti dipendenti della Brawner Builders. Le indagini nel frattempo proseguono, con gli investigatori che hanno interrogato membri dell'equipaggio e stanno esaminando ore di dati registrati dalla scatola nera, anche se le informazioni cruciali sui motori della nave potrebbero non essere disponibili. 
🇬🇧 REGNO UNITO: LA PRINCIPESSA KATE MIDDLETON RIAPPARE IN VIDEO E ANNUNCIA DI AVERE IL CANCRO 
(4) La principessa britannica #Kate Middleton ha annunciato tramite un videomessaggio pubblicato su X di essere affetta da #cancro e di aver iniziato un ciclo di chemioterapia. Non ha specificato di che tipo di cancro si tratti, ma ha chiesto privacy durante il trattamento. La principessa non appariva in pubblico dal 25 dicembre e il 17 gennaio l'ufficio stampa di Kensington Palace aveva annunciato un suo recente intervento chirurgico all'addome. La sua prolungata assenza aveva suscitato speculazioni e discussioni online. Inoltre, il 10 marzo, una foto della sua famiglia pubblicata dai profili ufficiali di Kensington Palace è stata ritoccata, generando controversie sulla trasparenza della comunicazione della famiglia reale. Questo è il secondo caso di cancro annunciato all'interno della famiglia reale britannica, dopo quello di Re #CarloIII a febbraio, senza fornire ulteriori dettagli sulla diagnosi e sulla gravità. 
🗂️ EUROPOL: POLITICO FA LUCE SULLA SCOMPARSA DI ALCUNI FASCICOLI CON INFORMAZIONI SENSIBILI 
(5) Lo scorso mercoledì, il sito di news #Politico ha riportato che - nell'estate del 2023 – sarebbero scomparsi diversi fascicoli contenenti informazioni sensibili sui dirigenti dell'#Europol, l'agenzia di polizia dell'Unione Europea, solitamente conservati in una cassaforte accessibile a poche persone. L'agenzia si è accorta della mancanza dei fascicoli il 6 settembre 2023, ma non è riuscita a determinare chi li abbia prelevati e perché. Europol è un'agenzia cruciale per l'UE, coordinando indagini e operazioni internazionali. I fascicoli mancanti riguarderebbero la direttrice esecutiva Catherine De Bolle e tre vicedirettori, contenenti informazioni personali e professionali. Alcuni fascicoli sono stati successivamente ritrovati casualmente e consegnati alla polizia dell'Aia, in Olanda, dove si trova la sede dell'Europol. La polizia dell'Aia ha confermato un'indagine interna senza specificare i dettagli. Dopo l'incidente, il responsabile delle risorse umane dell'Europol, Massimiliano Bettin, è stato messo in congedo amministrativo. Ci sono sospetti che la sottrazione dei fascicoli possa essere collegata a conflitti interni all'agenzia e potrebbe aver contribuito alla decisione riguardante Bettin. 
🇺🇸 FLORIDA: DISNEY E IL GOVERNATORE RON DESANTIS SI ACCORDANO PER IL DISTRETTO DI DISNEY WORLD 
(6) Mercoledì, #Disney ha raggiunto un accordo con il governo della #Florida che ha posto fine a una lunga disputa legale iniziata più di un anno fa. La controversia ha avuto origine quando il governatore Ron #DeSantis ha revocato a Disney il controllo del distretto in cui si trova Walt Disney World, in seguito alle critiche dell'azienda sulla legge chiamata "Don’t say gay". Tuttavia, l'azione legale intrapresa da Disney ha portato a una serie di procedimenti legali. Il parco Walt Disney World è situato in un distretto con uno status amministrativo speciale, che ha consentito a Disney di avere il controllo del territorio per decenni, facilitando così i suoi piani di espansione. Tuttavia, la revoca di questo status ha posto in discussione i piani dell'azienda, compresi i progetti per la costruzione di nuovi alberghi e un quinto parco a tema. L'accordo raggiunto ora sospende le azioni legali e stabilisce la negoziazione di un nuovo piano di sviluppo per il distretto. Entrambe le parti hanno accolto favorevolmente l'accordo, con Disney che si dice "contenta" di porre fine alle controversie legali e DeSantis che ha affermato che l'accordo "conferma" le decisioni della sua amministrazione. 
Alla prossima 👋 
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Netanyahu: "L'attacco a Rafah ci sarà, è la chiave della vittoria"
Hamas ai cisgiordani: “Marciate su Al Aqsa”. Tel Aviv bombarda un centro per gli aiuti umanitari, 5 morti. Spari su un assembramento di civili, 6 morti e 83 feriti. Armi italiane a Israele per oltre 2 milioni di euro tra ottobre e dicembresource
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bigarella · 3 months
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L'utilizzo della forza non era prerogativa del solo Mario Scelba
In questo senso vanno studiati alcuni dei drammatici eventi che dal 29 ottobre 1949 al 21 marzo 1950 scuotono il paese, ovvero: dalla strage di Melissa (3 morti, 14 feriti), in Calabria ai morti di Lentella (2), passando per tre fatti di sangue contro contadini nel sud (per un totale di 5 morti e più di 20 feriti) e l’eccidio di Modena del 9 gennaio (6 morti e 51 feriti). <577 Occupazioni di…
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adrianomaini · 3 months
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L'utilizzo della forza non era prerogativa del solo Mario Scelba
In questo senso vanno studiati alcuni dei drammatici eventi che dal 29 ottobre 1949 al 21 marzo 1950 scuotono il paese, ovvero: dalla strage di Melissa (3 morti, 14 feriti), in Calabria ai morti di Lentella (2), passando per tre fatti di sangue contro contadini nel sud (per un totale di 5 morti e più di 20 feriti) e l’eccidio di Modena del 9 gennaio (6 morti e 51 feriti). <577 Occupazioni di…
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bagnabraghe · 3 months
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L'utilizzo della forza non era prerogativa del solo Mario Scelba
In questo senso vanno studiati alcuni dei drammatici eventi che dal 29 ottobre 1949 al 21 marzo 1950 scuotono il paese, ovvero: dalla strage di Melissa (3 morti, 14 feriti), in Calabria ai morti di Lentella (2), passando per tre fatti di sangue contro contadini nel sud (per un totale di 5 morti e più di 20 feriti) e l’eccidio di Modena del 9 gennaio (6 morti e 51 feriti). <577 Occupazioni di…
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collasgarba · 3 months
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L'utilizzo della forza non era prerogativa del solo Mario Scelba
In questo senso vanno studiati alcuni dei drammatici eventi che dal 29 ottobre 1949 al 21 marzo 1950 scuotono il paese, ovvero: dalla strage di Melissa (3 morti, 14 feriti), in Calabria ai morti di Lentella (2), passando per tre fatti di sangue contro contadini nel sud (per un totale di 5 morti e più di 20 feriti) e l’eccidio di Modena del 9 gennaio (6 morti e 51 feriti). <577 Occupazioni di…
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confrontodemocratico · 5 months
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Israele prepara la fase 2 della guerra: «I leader di Hamas sono nel sud della Striscia». Netanyahu gela le famiglie: «Nessun accordo sugli ostaggi»
Decine di morti in un raid dell’Idf a Jabalya: per Israele nel campo profughi si nascondono terroristi. Ancora scambi di fuoco al nord con Hezbollah A tre settimane dall’avvio dell’«espansione delle operazioni di terra», prosegue l’offensiva nella Striscia di Gaza di Israele in risposta agli attacchi del 7 ottobre. Il ministero della Sanità di Hamas ha denunciato che un raid condotto all’alba…
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lamilanomagazine · 6 months
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Stop alle stragi del sabato sera: intensificati i controlli sulle strade di Foggia
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Stop alle stragi del sabato sera: intensificati i controlli sulle strade di Foggia. Foggia. La Polizia di Stato ha intensificato i controlli sulle strade del Capoluogo e della provincia dauna. Non solo controlli, ma anche attività di sensibilizzazione e di informazione sulle leggi del codice della strada, con attività mirate soprattutto nelle arterie della movida. In occasione della Giornata in memoria delle vittime della strada, che quest'anno si celebra il 19 novembre, la Polizia di Stato ha effettuato una campagna di prevenzione stradale e di repressione delle condotte di guida in stato di alterazione psicofisica. In tutta Italia, dal 7 ottobre scorso e per i successivi quattro fine settimana, sono stati effettuati, in orari serali e notturni, servizi finalizzati al contrasto della guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti e/o sotto effetto di alcool. Un impegno che nasce dall'analisi dei dati Istat sull'incidentalità stradale. Un dramma, quello degli incidenti stradali, che è la prima causa di decesso nei ragazzi under 24. Nonostante l'Italia abbia aderito al progetto mondiale ed europeo del dimezzamento del numero di morti entro il 2030 ed azzeramento nel 2050, i dati sinora rilevati fanno registrare un andamento costante che necessita di una sempre più incisiva azione preventiva. Alla luce di ciò, le attività operative della Sezione Polizia Stradale di Foggia sono state pregnanti, anche in collaborazione con l'Ufficio Sanitario della Questura di Foggia. Di seguito i risultati conseguiti: - Persone controllate n. 301 di cui n. 25 sottoposte ad esame etilometrico con esito negativo - Veicoli controllati n. 282 - Infrazioni per mancato uso della cintura di sicurezza n. 2 I controlli da parte della Polizia Stradale continueranno ad essere effettuati anche nelle prossime settimane.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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napoli-turistica · 6 months
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Madonna dell'Arco: Museo degli ex voto Sala Tautielli
Il Museo degli Ex-Voto, cuore pulsante del Santuario di Madonna dell’Arco di Sant’Anastasia (NA), ha inaugurato la sala dei Tautielli. E’ visitabile nei consueti orari di apertura del Museo degli Ex-Voto. Per l’apertura al pubblico è stato scelto il 31 ottobre. Vigilia di Ognissanti che si celebra il 1 novembre, seguita dal Giorno dei Morti il 2 novembre. Sala Tautielli Dietro i tautiello si…
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giancarlonicoli · 6 months
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27 ott 2023 15:38
“L’OCCIDENTE USA UN LAMPANTE DOPPIO STANDARD” – RANIA DI GIORDANIA RANDELLA CHI TRATTA IN MODO DIVERSO I MORTI EBREI E PALESTINESI: “IL 7 OTTOBRE IL MONDO SI È IMMEDIATAMENTE SCHIERATO AL FIANCO DI ISRAELE. MA NELLE ULTIME DUE SETTIMANE STIAMO ASSISTENDO AL SUO SILENZIO. CI STATE DICENDO CHE È SBAGLIATO UCCIDERE UN'INTERA FAMIGLIA SOTTO LA MINACCIA DI UNA PISTOLA, MA CHE VA BENE BOMBARDARLA A MORTE?” – EMMANUEL MACRON E CHARLES MICHEL PROVANO A TIRARSI FUORI DALLE ACCUSE E… -
1. RANIA “GELA” L’OCCIDENTE LA POLVERIERA GIORDANIA
Estratto dell’articolo di Greta Cristini per “il Messaggero”
C'è un «lampante doppio standard» nell'attuale catastrofe umanitaria fra palestinesi ed ebrei. È perentoria la regina di Giordania Rania che, in un'intervista alla Cnn, accusa Israele di apartheid e denuncia come «la gente di tutto il Medio Oriente, compresa la Giordania, è scioccata e delusa dalla reazione del mondo occidentale» alla guerra in corso fra Hamas e Israele. «Il 7 ottobre il mondo si è immediatamente e inequivocabilmente schierato al fianco di Israele, del suo diritto di difendersi e ha condannato l'attacco.
Ma nelle ultime due settimane stiamo assistendo al suo silenzio» accusa la regina di Giordania. «Ci state dicendo che è sbagliato uccidere un'intera famiglia sotto la minaccia di una pistola, ma che va bene bombardarla a morte? Perché non c'è la stessa condanna per quanto sta accadendo ora?».
Di discendenza palestinese, Rania insieme al marito, il re Abdullah II, governa un Paese che secondo le Nazioni Unite ospita il 40% del totale dei rifugiati palestinesi registrati in Medio Oriente, per un totale di circa 2 milioni di persone e 10 campi profughi. Ne va da sé che qualsiasi scintilla nel conflitto israelo-palestinese inneschi inevitabilmente un effetto domino nell'opinione pubblica del Paese che la sua leadership deve ascoltare, rappresentare e gestire.
[…]
Del resto, il Paese arabo non può prescindere dagli ingenti aiuti economici che Washington gli invia ogni anno: nel 2022, i due Paesi hanno firmato un accordo di aiuti annuali pari a 1,45 miliardi di dollari per una durata record di sette anni. I malumori giordani complicano però la posizione degli Stati Uniti nel Paese e aumentano il rischio che la conflittualità interna li metta spalle al muro.
Secondo il Pentagono, tra le basi militari Usa attaccate ripetutamente negli ultimi giorni da Hezbollah e Jihad islamica palestinese, movimenti armati sciiti filo-iraniani, c'è anche quella di Al Tan, al confine fra Siria e Giordania. Il tradizionale equilibrismo della Giordania, necessario a dialogare sia con l'Occidente sia col mondo arabo, è messo in crisi dalla sensibilità della pancia del Paese. Rania lo ha capito.
2. LA REGINA RANIA ACCUSA L’OCCIDENTE DI «DOPPIO STANDARD» SU GAZA. MACRON E L’UE SI TIRANO FUORI
Estratto dell’articolo di Alessandra Muglia per www.corriere.it
Si tira fuori Emmanuel Macron, che dal Cairo ha replicato che «la Francia non pratica il doppio standard, il diritto internazionale si applica a tutti e la Francia difende i valori universali dell’umanesimo» ha detto il presidente francese durante una conferenza stampa in Egitto, dove ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi. Per la Francia, ha aggiunto, «tutte le vite si equivalgono, tutte le vittime meritano la nostra compassione, il nostro impegno durevole per una pace giusta e durevole nel Medio Oriente».
Anche il presidente del Consiglio Ue Charles Michel poco prima dell’inizio del vertice europeo ha risposto a distanza a Rania: «L’Unione europea non ha doppi standard»nella guerra fra Hamas e Israele, ha detto.
Tuttavia dalla bozza di conclusioni del Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles è sparito il riferimento al «cessate il fuoco» chiesto dal segretario generale dell’Onu Guterres rimpiazzato dall’espressione «pause umanitarie» per consentire la consegna degli aiuti. «Noi crediamo in un sistema basato sui valori e il rispetto delle regole e sia io che i miei colleghi continuiamo a spiegarlo ai nostri partner del Sud Globale».
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