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#Processo di Riorganizzazione Nazionale
curiositasmundi · 3 months
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Il presidente argentino Milei si propone come modello di governo della crisi economica, sociale, politica ed ecologica attraverso la rottura di ogni consenso sociale e politico e di ogni regola del potere (democraticamente) costituito
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Già dalle prime misure varate subito dopo la sua assunzione ufficiale dell’incarico, in una cerimonia celebrata per la prima volta nella storia in piazza e voltando intenzionalmente le spalle al congresso, Milei ha mostrato la sua avversione per ogni procedimento formale costituzionale, presentando un pacchetto di quasi 900 leggi per mutare radicalmente l’assetto giuridico-istituzionale dello Stato argentino mediante un Decreto Nazionale di Urgenza (Dnu) e una Legge Omnibus. Si tratta di due maxi-provvedimenti emessi con procedura di urgenza in modo da bypassare i meccanismi democratici formali tipici di ogni democrazia parlamentare. Il processo Milei incarna un progetto autoritario e messianico (non si sottovaluti la conversione all’ebraismo ortodosso del presidente) di rifondazione istituzionale, un reale «processo di riorganizzazione nazionale», l’espressione usata da primo comunicato della giunta militare nel 1976 e ripresa dallo stesso Milei durante il suo discorso di insediamento. Il Dnu è già entrato in vigore da quasi un mese e mezzo, e potrà essere revocato soltanto dai tribunali. Proprio in questi giorni la legge omnibus è stata respinta dal parlamento, nonostante l’opposizione friendly del Pro di Macri, della vecchia Ucr e del peronismo di destra, e dovrà tornare nelle commissioni. Questi due provvedimenti sono stati accompagnati da un terzo – il cosiddetto Protocollo Repressivo della ministra della sicurezza, Patricia Bullrich – che autorizza la violenza statale e cioè la sorveglianza, la prevenzione arbitraria e soprattutto la repressione poliziesca indiscriminata di ogni manifestazione pubblica di dissenso, di ogni blocco di strade a causa di proteste, così come l’aumento delle pene di reclusione per reati politici. Già nelle prime manifestazioni di opposizione al governo abbiamo visto scene – arresti indiscriminati, attacchi feroci e intimidatori delle forze dell’ordine ai manifestanti e anche alla stampa – che non si vedevano dagli anni più bui della storia del paese. Da notare che il protocollo è divenuto operativo prima della sua approvazione in parlamento. Un’eccezione che opera in uno stato di eccezione più ampio. 
L’agenda di governo del processo Milei eccede anche qualsiasi tentativo di comprensione attraverso categorie economicistiche, anche tipicamente neoliberali, come austerity, aggiustamento strutturale, azzeramento del deficit fiscale, riduzione del debito pubblico, ecc. Nella sua essenza è un tentativo di cambiare, secondo una modalità autoritaria e intransigente, la costituzione materiale dello Stato-nazione, ovvero di eliminare qualsiasi tipo di regolazione istituzionale della vita sociale e ambientale per favorire in modo dispotico non il «libero mercato», bensì la produzione di valore, la speculazione e la rendita finanziaria, l’appropriazione di terre da parte di grandi proprietari e corporazioni e l’estrattivismo in tutte le sue dimensioni, senza alcun tipo di mediazione (giuridica, sindacale, ecc.). Si tratta di un modello di società di tipo pre-contrattualista, un modello di accumulazione brutale fondato sull’assurda concezione secondo cui la società è fatta soltanto dal libero scambio tra individui. Da qui la sua infatuazione per Margaret Thatcher. Così, con i suoi due decreti fondativi, sommati a una svalutazione della moneta del 120%, alla liberalizzazione dei prezzi dei generi alimentari, dei farmaci e dei contratti per gli affitti, alla cancellazione di ogni sussidio statale al trasporto e ai servizi pubblici (acqua, luce, gas, ecc.) e al blocco delle opere pubbliche, il processo Milei si è tradotto in uno dei più brutali trasferimenti di ricchezza di tutta la storia argentina dalle classi popolari all’oligarchia agro-finanziaria. Le statistiche in questi mesi registrano un calo del consumo dei generi alimentari di prima necessità del 40%, insieme a un crollo del 40% degli acquisti di farmaci essenziali. Un’estrazione feroce su una popolazione socialmente già allo stremo, dopo tre anni di inflazione galoppante. 
È questo il primo risultato di un’applicazione sadica, fanatica e alla lettera della terapia dello «shock economico» di Milton Friedman, il quale sosteneva che la rifondazione in senso neoliberale di una società doveva avvenire nei primi sei mesi di governo e, se possibile, nel pieno di una grave crisi economica. E tuttavia il «messianismo neoliberale» di Milei non è del tutto comprensibile al di fuori della storia coloniale dell’Argentina. Sta qui la sua principale differenza con i sovranismi del Nord globale. Il processo Milei affonda il suo immaginario politico nel progetto del «colonialismo d’insediamento» razziale delle élites bianche creole argentine di fine Ottocento, ovvero in un paese oligarchico governato da un blocco sociale agro-esportatore liberale e assai vincolato al capitalismo finanziario internazionale dell’epoca, e quindi fondato sulla negazione ed esclusione strutturale delle masse autoctone. Il processo Milei trae buona parte della sua linfa culturale da questa Argentina coloniale e pre-peronista, ovvero da un modello di paese costruito su un genocidio di stato e cioè sull’esclusione e repressione dei «gauchos» e delle masse proletarie meticce, e sullo sterminio pianificato dei popoli indigeni e degli afro-discendenti. Il «ritorno all’Argentina potenza» invocato da Milei, la sua santificazione di una personalità storica come Juan Bautista Alberdi (1810-1884), sta a significare un ritorno messianico a questa sorta di «paradiso adamico» rappresentato da un paese fondato sul terrorismo di stato, ovvero su un progetto volutamente omicida di «bianchizzazione» della popolazione. Sta qui il senso della prima frase enunciata da Milei durante la cerimonia di assunzione: «È finita la lunga notte populista, viva la libertad carajo!». Milei vede la storia post-peronista come una storia di progressiva decadenza economico-culturale; e questa decadenza, nella sua enunciazione, è dovuta ai diversi tentativi populisti di inclusione del cosiddetto «subsuelo de la nacion» (il proletariato autoctono e meticcio) nella grammatica istituzionale della cittadinanza moderna, e attraverso la redistribuzione della ricchezza. È su questo sfondo della storia nazionale che va interpretata una delle sue enunciazioni più note: «Qualsiasi tentativo di giustizia sociale è un’aberrazione». Non può sorprendere dunque se nel processo Milei si cercherà di azzerare, prima o poi, come peraltro già annunciato, le importanti ed esemplari conquiste di trent’anni di lotta per i diritti umani, per la Memoria, la Verdad y la Justicia, riguardo ai delitti di lesa umanità commessi dal terrorismo di Stato durante l’ultima dittatura civico-militare tra il 1976 e il 1983 finita con 30mila desaparecidos. Da quanto detto, inoltre, non è difficile intuire che lo schieramento internazionale con Stati uniti e Israele, e l’uscita dai Brics, già annunciati da Milei, non obbediscono soltanto a ragionamenti puramente geopolitici, o semplicemente ideologici, e meno che mai economici, poiché Cina e Brasile sono i principali partner economici dell’Argentina, ma ha radici piuttosto profonde. 
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lamilanomagazine · 1 month
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Modena. Via libera all'approvazione del protocollo con Unimore che ridisegna l'area con attenzione ai servizi, al verde e alla mobilità sostenibile
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Modena. Via libera all'approvazione del protocollo con Unimore che ridisegna l'area con attenzione ai servizi, al verde e alla mobilità sostenibile. La realizzazione di nuovi edifici universitari e per la ricerca scientifica, tramite demolizione e ricostruzione o adeguamento di strutture esistenti, ma anche l'aumento delle residenze universitarie, la valorizzazione della Biblioteca scientifica interdipartimentale, lo sviluppo del Centro sportivo e dei servizi rivolti a studenti e personale con spazi integrativi per lo studio e la socializzazione, per la ristorazione e lo svago. E, ancora, l'individuazione di un'area verde pedonale e attrezzata con la desigillazione di 12.500 metri quadrati di suolo e la messa a dimora di 80 nuove alberature. Un nuovo sistema di accesso con il potenziamento dei percorsi ciclabili e pedonali, l'incremento di stalli per biciclette e l'inserimento di una velostazione per la manutenzione; oltre a un riassetto volto a ridurre la motorizzazione, con la separazione e qualificazione dei percorsi carrabili, la limitazione dell'accesso alle auto private, l'attuazione delle zone 30 previste e l'adeguamento dell'offerta di sosta. È quanto prevede il masterplan sul Progetto urbano "Modena città universitaria – Campus universitario di via Campi" rispetto al quale il Consiglio comunale di Modena, nella seduta di giovedì 21 marzo, ha dato il via libera all'approvazione del relativo protocollo di intesa tra Comune e Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. La delibera, illustrata dall'assessora all'Urbanistica Anna Maria Vandelli, è stata approvata con il voto a favore di Pd, Sinistra per Modena e Modena Civica e il voto contrario di Lega Modena, Movimento 5 stelle e Fratelli d'Italia; astensione per Europa Verde-Verdi. "Attraverso un lavoro congiunto di Comune e Università durato mesi – ha affermato Vandelli – con il Protocollo d'intesa e il Masterplan è stato definito e condiviso un nuovo assetto finalizzato a qualificare e disciplinare il campus universitario delimitato dalle vie Campi, Vignolese, Araldi e Braghiroli, individuando le modalità per arrivare a un complessivo processo di razionalizzazione e riorganizzazione dell'area con un impatto importante anche sul contesto esterno all'università e sulla città stessa". "Il via libera al protocollo – spiega il sindaco Gian Carlo Muzzarelli – si inserisce nell'ambito dello sviluppo più complessivo della "Città universitaria", indirizzo strategico che vede da tempo Comune e Università impegnati su vari fronti (alloggi per studenti, spazi didattici e di ricerca, trasporti, offerta formativa e didattica, integrazione degli studenti anche fuori sede, iniziative ed eventi, comunicazione e informazione) per far diventare quello di Modena sempre più un Polo universitario di eccellenza a livello nazionale, in grado di richiamare un consistente numero di studenti qualificando in questa prospettiva anche la città". L'assessora Vandelli ha spiegato che "il precedente Piano particolareggiato, ormai datato, aveva bisogno di essere allineato alle nuove strategie del Pug, con azioni di miglioramento ecologico-ambientale, dell'accessibilità carrabile e della sicurezza, delle attrezzature universitarie e dei servizi, oltre che per la mobilità sostenibile". Nel Masterplan, infatti, viene posta una maggiore attenzione alla qualità della vita degli studenti e del personale, prevedendo interventi di ampliamento e riqualificazione degli spazi aperti, residenziali, didattici e per attività sportive anche al fine di migliorare il livello di sostenibilità ambientale ed energetica dell'ateneo. In particolare, vengono qualificati e incrementati le aree e i percorsi verdi, implementati con arredi e attrezzature, desigillate le zone a parcheggio, previste coperture verdi in corrispondenza dei nuovi edifici con l'obiettivo, tra l'altro, di mitigare l'effetto isola di calore all'interno dell'area universitaria. Si rafforzano le connessioni pedonali, ciclabili e del trasporto pubblico tra il Campus, il centro, le stazioni e gli altri Poli universitari ed è previsto l'impegno a costruire una piattaforma comune anche con l'Ausl per individuare insieme nuove misure per la mobilità pubblica con il coinvolgimento dei Mobility manager dei vari enti. Il Masterplan va quindi a disegnare una cornice di riferimento per individuare i singoli progetti da portare a finanziamento e da realizzare nel tempo: "Si parte con un primo stralcio attuativo finanziato per 25 milioni di euro dal Miur per la realizzazione del nuovo edificio del Dipartimento di Scienze biomediche – ha concluso Vandelli – ma Comune e Università collaboreranno per l'attuazione dell'intero Masterplan impegnandosi a individuare ogni possibile fonte di finanziamento".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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corallorosso · 3 years
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16 settembre 1976 "LA NOTTE DELLE MATITE SPEZZATE" Un orrore, una piaga indelebile per l'Argentina e per il mondo intero. La Plata, capoluogo della provincia di Buenos Aires, notte del 16 settembre 1976. María Claudia Ciocchini, María Claudia Falcone, Horacio Hungaro, Claudio de Acha, Francisco López Muntaner, Daniel A. Racero: sequestrati nel corso dell’operazione di polizia conosciuta come la Noche de los Lapices e poi scomparsi. Desaparecidos. Erano tutti e sei studenti liceali di 16 e 17 anni, accusati di sovversione, colpevoli di aver manifestato in difesa dei diritti degli studenti, in particolare contro l’abolizione del Boleto Escular Secundario, che garantiva il trasporto gratuito sugli autobus e uno sconto sui libri di testo. Era l’anno del colpo di stato che portò al potere la giunta militare di Jorge Rafael Videla e che vide l’avvio del Processo di Riorganizzazione Nazionale, durato fino al 1983. Il bilancio assegnato all’istruzione venne ridotto energicamente. Le università, con i loro professori progressisti, i ricercatori e i gruppi studenteschi, vennero considerate possibili centri di “sovversione politica”. Il concetto di Riorganizzazione significò un’azione repressiva sistematica. Per gli studenti diventò sempre più difficile incontrarsi, i centri ricreativi pullulavano di poliziotti, nelle scuole iniziarono i blocchi e le perquisizioni all’entrata. La notte del 16 settembre 1976 un gruppo di uomini incappucciati fece irruzione nelle case dei sei ragazzi e li rapì, dopo averli picchiati e denudati, impedendo alle famiglie di opporre resistenza. Furono internati in campi di detenzione diversi e torturati. Usarono gli elettrodi attaccati alle labbra, alle gengive e ai genitali, inviando potenti scariche elettriche che bruciavano la pelle. Li tennero rinchiusi nudi, in mezzo ai liquami. Abusarono delle ragazze. Li nutrirono con una brodaglia grassa quel tanto per non farli morire. Qualche giorno dopo furono arrestati altri quattro giovani, Patricia Miranda, Emilce Moler, Pablo Díaz, Gustavo Calotti, tutti sopravvissuti. Dalla testimonianza di Pablo Diaz, militante in una organizzazione giovanile rivoluzionaria, è stato possibile ricostruire i fatti di quella notte, l’orrore delle detenzioni politiche, delle torture e delle “sparizioni” durante i voli della morte sull’Atlantico: dal 1976 al 1981, più di cinquemila dissidenti politici, veri o presunti oppositori del regime, dopo un’iniezione di Penthotal, barbiturico ad azione ipnotica usato anche nella pena di morte negli Stati Uniti, narcotizzati ma ancora vivi, furono scaraventati dai portelloni degli aerei della Marina Militare e lanciati nell’oceano. Un volo di sola andata verso il Destino Finale. Pablo Diaz fu detenuto per tre anni, nove mesi e dieci giorni nell’Unità Penitenziaria nº9 di La Plata e non venne affatto formalizzato un processo legale; non è mai riuscito a spiegarsi il perché della sua liberazione e non di quella dei suoi compagni. Il senso di colpa per essere sopravvissuto, il dolore e il senso di solitudine lo spinsero nel 1982 a presentare una denuncia alla Commissione Nazionale sulla Sparizione delle Persone. Plaza de Mayo a Buenos Aires, ma anche altre città argentine, ricordano i sei ragazzi e le migliaia di scomparsi che hanno lottato per la propria terra, la propria cultura, la propria libertà, contro ogni forma di dittatura. Stella Colombo
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paoloxl · 5 years
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Il business dell’accoglienza non è quel di cui hanno parlato per anni alcuni esponenti politici che oggi fanno parte della maggioranza di governo. Non esattamente. O meglio, con il passare dei mesi scopriamo che fare affari sulla pelle dei migranti, a prescindere da quanto questi siano accolti in maniera dignitosa, potrebbe poi non essere qualcosa di riprovevole per il governo in carica. Partiamo da lontano e poi scopriamo perché.
Nel 1979, negli Stati Uniti, una legge legalizzò la possibilità di affidare le carceri in appalto a privati. Il primo Stato ad approfittarne fu il Texas nel 1989, gli Stati che avevano approvato una qualche forma di privatizzazione erano trenta e i detenuti rinchiusi in carceri private erano diventati 140mila. Gli ultimi dati disponibili sul sito del Bureau of Justice statistics indicano come nel 2011 le persone rinchiuse in carceri private fossero l’8,2% del totale del quasi milione e seicentomila detenuti negli Stati Uniti contro il 7,9 dell’anno precedente – 6,7% del totale dei carcerati statali e 18% di quelli federali. Negli Usa le carceri private ha significato cosi più alti, condizioni di detenzione peggiori e anche tassi di incarcerazione più alti – per delle ragioni collegate direttamente al sistema degli appalti. Ma fermiamoci qua, che quello degli Stati Uniti è solo un esempio e qui parliamo di Italia ed Europa.
Cosa c’entra tutto questo con l’Italia, l’immigrazione e il razzismo? Semplice: la nuova concezione del sistema di accoglienza delle persone che chiedono asilo nel nostro Paese, quelle in attesa di sapere che destino avranno, quelle in attesa di essere identificate (e così via) sembra richiamare il sistema di detenzione privato americano, appaltato a soggetti privati. Questo almeno è quanto spiega bene un dossier pubblicato dal periodico Valori nel quale si racconta della potenziale cessione a multinazionali del sistema di accoglienza. Spieghiamo citando Valori:
Il giro di vite governativo sul sistema di accoglienza di migranti, rifugiati e richiedenti asilo imposto dal Decreto Sicurezza ha già prodotto un sicuro vincitore: il gruppo privato elvetico ORS. La società, controllata dal private equity londinese Equistone Partners, gestisce da anni decine di centri per migranti in Svizzera, Austria e Germania e il 22 agosto scorso ha annunciato ufficialmente il suo arrivo in Italia. Il contesto legale plasmato da Matteo Salvini non potrebbe essere più favorevole. Il drastico ridimensionamento del sistema Sprar in favore dei CAS, gestiti dai privati, rappresenta un’occasione troppo ghiotta. Grandi centri di massa, improntati al risparmio (almeno in apparenza) e orientati al profitto.
La società lavora in Austria, dove però il governo in carica sta pensando di riassumere in house il sistema di accoglienza per due ragioni: appaltare fa diminuire i costi per persona ma fa crescere quelli complessivi e l’accoglienza è di pessimo livello. I centri gestiti da ORS sono infatti spesso sovraffollati e in un caso questo ha portato a una denuncia da parte di Amnesty International. Nel 2015 a Traiskirchen, centro pensato per 1800 persone, ne dormivano 4500, alcuni all’aperto. In Germania e Norvegia operano invece la Homecare e la Hero Norge AS, che a loro volta hanno visto calare i profitti (per ragioni collegate alla chiusura della rotta balcanica) e che neppure sono nuove a scandali. Ospiti della Homecare sono morti durante risse e altri hanno denunciato maltrattamenti. Trentuno dipendenti sono sotto processo in Renania.
Il modello, insomma, non è dei migliori. Anzi: non c’è luogo del pianeta dove la privatizzazione del sistema carcerario o di accoglienza abbia generato risparmi o una maggiore qualità del servizio. Di solito, vale negli Stati Uniti come in Austria, succede che queste società abbiano una grande capacità di condizionare le scelte politiche. Negli Stati Uniti  investendo pesantemente in lobbying, in Austria offrendo lavoro ad ex politici dei partiti di governo.
Torniamo all’Italia. Perché Valori avverte del pericolo che sistemi come quello austriaco vengano adottati da noi? In parte abbiamo risposto con la citazione qui sopra: la ORS ha aperto una sede legale nel nostro Paese. E la ragione risiede nella riorganizzazione del sistema di accoglienza voluta dal governo. La chiusura dei CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) come Castelnuovo di Porto e l’abolizione del permesso di protezione umanitaria, che ha generato (e genererà) l’espulsione dalle strutture di accoglienza di migliaia di persone non è frutto della voglia di migliorare i servizi o di colpire quello che viene definito “il business dei rifugiati”. Probabilmente una parte degli ospiti dei CARA che ne hanno titolo verranno inviati negli Sprar che nel frattempo vengono svuotati da chi, grazie al Decreto sicurezza, non ha più le carte in regola per risiedervi.
Obbiettivo del Decreto sicurezza è quello di avere dei centri grandi, non pensati per l’integrazione e l’accoglienza ma semplicemente come parcheggi di persone che sono in attesa di conoscere il loro destino. Che, nella mente di chi ha concepito le nuove leggi, sono per la maggior parte dei millantatori che dicono di aver diritto allo status di rifugiato pur essendo migranti economici. La conseguenza è che questi non necessitano di servizi volti a facilitare l’inclusione sociale, perché nella maggior parte finiranno con l’essere espulsi. Falso, ma utile a distruggere un sistema di accoglienza diffusa, quello degli Sprar, che stava lentamente cominciando a funzionare. I nuovi centri saranno quindi, leggiamo ancora sul dossier di Valori (e abbiamo scritto varie volte anche noi):
Più grandi, senza gare pubbliche e con un sistema che, pur avendo costi medi inferiori, farà spendere di più allo Stato. E per i migranti non ci sarà alcun obiettivo di integrazione e un destino certo di emarginazione sociale. Saranno così i centri di “accoglienza” versione Salvini: il ministro degli Interni punta a renderli sempre più simili a strutture di detenzione. Ma il nuovo sistema costerà meno alle casse pubbliche? Basta leggere i numeri ufficiali per dire di no. Nelle strutture del Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati (il cosiddetto SPRAR), mediamente, un migrante costa circa 6.300 euro per i 6 mesi in cui mediamente resta in uno SPRAR. In un Centro di Accoglienza Straordinaria (i cosiddetti CAS) da 10 a 14mila. A rivelarlo sono i documenti ufficiali depositati dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) alla commissione Affari Costituzionali della Camera.
Con la possibile gestione dell’accoglienza da parte dei grandi privati il business dell’accoglienza è dunque destinato a crescere, non a diminuire. Non solo, gli scandali che in questi anni hanno investito le organizzazioni che gestivano i centri, svelando corruzione e cattivi servizi, sono in buona parte colpa dello Stato. Perché? Perché spesso le assegnazioni sono state fatte ad affidamento diretto, senza gara, e perché le prefetture non facevano controlli. Non solo: i tempi di permanenza dovuti ai tempi lunghi di esame delle domande di asilo, ha reso più lunga la permanenza nei centri dei richiedenti asilo e, di conseguenza, fa crescere i costi. Anche da questo punto di vista, insomma, il Decreto sicurezza non è buono. Non per i migranti e i richiedenti asilo, non per i diritti umani e neppure per le casse pubbliche e la lotta alla corruzione.
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enzopizzolo · 3 years
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On. Giuliano (M5S) Sacrificio Marcone diventi strumento di rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata
La parlamentare del Movimento 5 Stelle Carla Giuliano, di San Severo è intervenuta ieri in Aula per ricordare il 26esimo anniversario dell’uccisione, per mano mafiosa, di Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, ucciso a Foggia con due colpi di pistola il 31 marzo 1995.
Erano le 19.15 e Marcone stava rientrando a casa dopo un’interminabile giornata di lavoro. Solo qualche giorno prima Marcone aveva presentato un esposto alla Procura della Repubblica per denunciare una rete di attività criminali. Una denuncia frutto di una meticolosa indagine sulle pericolose connessioni tra la pubblica amministrazione e la criminalità organizzata”.
Queste alcune delle frasi salienti dell’intervento in aula col quale la parlamentare del M5S di San Severo ha voluto ricordare il Direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia chiedendo nuovi strumenti nella lotta alle mafie nel nostro territorio.
“A 26 anni da quella barbara esecuzione ancora senza colpevoli, Marcone, insignito della medaglia d’oro al merito civile, è simbolo di integrità morale, coraggio, dedizione al lavoro.
Ed è uno stimolo e un punto di riferimento per quella parte sana della nostra comunità che non vuole dimenticare e non può e non deve arrendersi alla morsa della criminalità organizzata.
Quella morsa criminale che ci ha privato
di un funzionario integerrimo, coraggioso, lungimirante, è divenuta la c.d. “Quarta mafia” operante in Capitanata e così pericolosa da portate recentemente il Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, ad affermare che “la mafia foggiana oggi è il nemico numero uno dello Stato” ha proseguito l’on. Giuliano che ha colto l’occasione per “lanciare un appello all’intera aula parlamentare ed al Governo affinché si renda il sacrificio di Marcone e delle altre e tante vittime innocenti strumento di rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata, sollecitando l’adozione di nuovi ed efficaci strumenti di contrasto alla mafia nel mio territorio”.
Per la parlamentare pentastellata è “importante non dimenticare mai che “il contrasto alle mafie passa inevitabilmente anche dalla riorganizzazione della rete dei presidi giudiziari”.
Questo intervento dell’on. Giuliano fa seguito alla proposta di legge che la parlamentare del Movimento 5 Stelle, in qualità di vicepresidente dell’intergruppo parlamentare sulla geografia giudiziari, ha sottoscritto, insieme al collega LoVecchio e agli altri componenti dell’intergruppo parlamentare,
e che mira ad ottenere “una riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”. La proposta impegna il Governo a rivedere, nell’arco di sei mesi dall’eventuale approvazione, tutto il sistema giustizia partendo dalla rivisitazione della legge del 14 settembre 2011, che ha portato al taglio di Tribunali e Sedi distaccate (in Capitanata: Tribunale di Lucera e sezioni di Apricena, San Severo, Rodi Garganico, Cerignola, Manfredonia e Trinitapoli).
“Se la criminalità organizzata avanza, lo Stato non può stare a guardare. Riaprire i Tribunali significa dotare la Capitanata di ulteriori anticorpi alle mafie, alleggerire il carico di lavoro ormai riversato sugli uffici di Foggia e rendere più rapida la Giustizia. La riorganizzazione del 2012 non ha sortito gli effetti sperati. Ora, con questa proposta di legge, intendiamo apportare dei correttivi indispensabili per rafforzare la lotta alla criminalità organizzata. E, in questo processo non si può prescindere dalla riapertura di Lucera, Apricena, San Severo, Rodi Garganico, Cerignola, Manfredonia e Trinitapoli”, conclude la parlamentare del M5S di San Severo.
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forzaitaliatoscana · 3 years
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Al via il tesseramento di Forza Italia in provincia di Lucca
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Al via il tesseramento di Forza Italia in provincia di Lucca. Il vice coordinatore provinciale vicario di Lucca di Forza Italia Matteo Scannerini: "continua la ristrutturazione del partito, il prossimo passo sono i congressi comunali" “Forza Italia, a livello nazionale, ha dato il via alla nuova campagna di tesseramento. La provincia di Lucca sarà parte attiva della ristrutturazione del nostro partito che, dal 1994 è garanzia di libertà ed equilibrio nel panorama politico italiano”. Così si esprime Matteo Scannerini, da poco vicecoordinatore vicario di Forza Italia in provincia di Lucca, consigliere provinciale e responsabile del tesseramento. “Ringrazio, anzitutto, il coordinatore regionale Sen. Massimo Mallegni e il coordinatore provinciale Maurizio Marchetti per la fiducia loro concessami in merito alla nomina a vicecoordinatore vicario. Il tesseramento è un'ottima occasione per dare il via a quel processo riorganizzazione di Forza Italia che riporterà il movimento azzurro fondato da Silvio Berlusconi, ad essere più che mai protagonista del panorama politico italiano”. “I sondaggi ci vedono in crescita e la fiducia che tanti italiani ripongono in noi è un ulteriore stimolo, per i nostri rappresentanti, ad operare per il bene comune, dagli enti locali fino al governo. Non solo. Invitiamo tutti coloro che vorranno partecipare attivamente al rilancio del paese, messo a dura prova dalla crisi economica e sanitaria, con idee, azioni, suggerimenti, ad unirsi a noi. Read the full article
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danielscrepanti · 4 years
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Le 10 domande che sottoporrò in giornata ai colleghi che si sono candidati come consiglieri dell’Ordine degli Architetti sono in realtà più di 10. Ho invitato privatamente tutti i candidati a rispondere a non più di 5 quesiti ciascuno scegliendo le domande dalla seguente lista. Alcuni hanno risposto che lo faranno, altri che lo faranno se lo faranno tutti gli altri, altri ancora che lo faranno ma non sanno se faranno in tempo, altri ancora non hanno risposto e dubito che lo faranno. Ho pregato tutti di accompagnare le risposte con una loro foto (anche artistica) e una brevissima presentazione (sarò drastico nei tagli). Nel rispondere alle 5 domande scelte, ciascun candidato dovrà essere molto chiaro nel precisare se i contenuti espressi lo sono a titolo puramente personale, oppure lo sono come sintesi di un dibattito svolto, o in corso di svolgimento, all’interno di un gruppo di lavoro per definire un programma condiviso di azioni politiche della professione.
1. Qualità dello spazio – Penso alla vicenda della riqualificazione del lungomare di Porto San Giorgio (FM) e della sua futura pista ciclabile, con l’Amministrazione comunale che prima ha impegnato l’Ordine per organizzare un concorso di progettazione volto alla scelta della migliore proposta progettuale per un contesto specifico, e poi ha fatto marcia indietro optando per la scelta del progettista economicamente più vantaggioso. Quale strategia adottare per riuscire finalmente nell’impresa di organizzare concorsi di progettazione (non di idee) in Comuni di medie dimensioni?
2. Valorizzazione del patrimonio culturale – Seguo da tempo le iniziative che il Sindaco del Comune di Monte Rinaldo (FM) Gianmario Borroni sta portando avanti per valorizzare al massimo l’Area Archeologica La Cuma: dalla comunicazione dei risultati della terza campagna di scavo condotta nel 2019 (sostenendo sinergie tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche e l’Università di Bologna e la British School at Rome), al meraviglioso concerto in streaming del Maestro Dario Faini, in arte Dardust, avvenuto i primi di giugno. Quale può essere il contributo degli architetti a simili iniziative di valorizzazione integrata e di promozione condivisa del patrimonio culturale del territorio?
3. Ricostruzione post sisma – Dopo 11 anni, quando lungo l’A24 intravedo il centro storico di L’Aquila, scorgendo in lontananza tante gru provo un senso di profonda tristezza. La stessa tristezza che ho provato in seguito alla recente bocciatura del pacchetto di norme sul terremoto del Centro Italia del 2016 da parte della Commissione bilancio della Camera, che hanno poi indotto il Premier Conte a rassicurare il Commissario Straordinario Legnini. Una tristezza analoga a quella che mi ha causato la lettura di un post di Giovanni Marucci, architetto camerte da sempre impegnato per il suo territorio e per la qualità dell’architettura e del paesaggio in Italia. In un passaggio, il post di Marucci diceva che a Camerino, dopo quattro anni dal sisma, “nessun edificio pubblico è stato risanato, la città alta, cuore della vita sociale, culturale ed economica è rimasta colpevolmente ferma a quattro anni fa, senza nessun cenno di vergogna”. Mi domando, ma gli architetti, tutti gli architetti, non dovrebbero rappresentare con più forza e decisione almeno la sofferenza per il loro territorio? Come lottare il più possibile per lenirla e su quali temi concentrare gli sforzi, inclusi quelli comunicativi?
4. Rilancio territoriale – Il rapporto annuale dell’Istat pubblicato pochi giorni fa ha messo chiaramente in luce quello che mi pare il vero tema urbanistico, e conseguentemente architettonico, dovuto alla pandemia da Covid-19: l’acuirsi delle disuguaglianze sociali. Nell’ultimo libro del compianto Bernardo Secchi, “La città dei ricchi e la città dei poveri”, tale tema veniva individuato come la questione urbana che siamo chiamati ad affrontare come architetti del XXI secolo. Tra le manifestazioni di quei processi nazionali che aggravano la situazione, come lo smantellamento del welfare state e la dissipazione di quella che potremmo chiamare “la città pubblica” (per usare in senso molto ampio, e forse consapevolmente improprio, un’espressione coniata da Paola Di Biagi riferendosi all’edilizia sociale e alla riqualificazione urbana), mi viene in mente come esempio la drammatica situazione dei posti letto ospedalieri che in Italia si è ridotta dal 1995 al 2018 da 6.3 a 3.5 posti ogni 1000 abitanti. Tutte queste problematiche, legate alle difficoltà degli strumenti e metodi dell’urbanistica in una condizione di crisi economica e di fortissimo cambiamento tecnologico, mi sembrano un po’ lontane dal dibattito professionale e dalle politiche professionali, eppure dovrebbero essere centrali. Quali iniziative di categoria si potrebbero attuare sotto il profilo analitico e progettuale? Come riportare al centro delle politiche professionali le questioni degli investimenti pubblici locali e della loro realizzazione, manutenzione ed eventuale trasformazione? Come collaborare alla riorganizzazione territoriale dei servizi, particolarmente importante ai fini della gestione delle future emergenze epidemiologiche e dei loro effetti sociali?
5. Scuole innovative – L’articolo 7-ter del Decreto legge 8 aprile 2020 n. 22 (Decreto scuola) convertito dalla legge 6 giugno 2020 n. 41, per la realizzazione degli interventi di edilizia scolastica, prevede che tutti i Sindaci e i Presidenti di Provincia, fino al 31 dicembre 2020, possano operare con i poteri dei commissari straordinari, prevedendo specifiche deroghe al Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha giudicato tale scorciatoia normativa “un atto di grave immaturità politica e di totale inconsapevolezza delle esigenze del Paese e delle modalità con cui affrontarle”. Alfonso Femia, con una lettera inviata al Presidente Cappochin e ai presidenti di alcuni ordini provinciali, ha rincarato la dose ribadendo che “non è segno di maturità politica affrontare il tema scuola post Covid solo attraverso gli strumenti dell’emergenza, né solo soddisfacendo gli aspetti tecnici e normativi per la sicurezza e l’adeguamento energetico”. Come incentivare una visione strategica che faccia partire la riqualificazione del territorio dalla scuola, affrontando per esempio temi come l’offerta di centri estivi, il rapporto con la digitalizzazione, l’attenzione alle famiglie più fragili, il riuso di altri luoghi per le attività didattiche?
6. Superbonus 110 per cento – Quali iniziative intraprendere per sostenere localmente le linee di intervento che beneficiano del cosiddetto super bonus, ossia il nuovo sgravio fiscale che consente di detrarre il 110 per cento delle spese sostenute per far fronte a interventi antisismici e di efficientamento energetico?
7. Burocrazia – Il 26 giugno Michele Ainis ha pubblicato su La Repubblica un articolo intitolato “Se la riforma diventa un vizio”. Tra gli altri dati a supporto della sua tesi, Ainis richiamava le 608 modifiche ricevute nel giro d’un anno dal codice degli appalti licenziato nel 2016; modifiche che sembrerebbero rendere necessaria la sua riforma. Necessità di tale riforma emersa anche in seguito alla ricostruzione del viadotto sul Polcevera di Genova, che è avvenuta in 22 mesi derogando ampiamente sull’applicazione delle norme vigenti del codice degli appalti stesso. Quale posizione assumere rispetto a questi problemi, l’ipertrofia burocratica e riformatrice italiana da un lato e dall’altro la possibilità di sorvolare tutte le procedure e le norme vigenti attuando il cosiddetto modello Genova?
8. Legge per l’architettura – Uno dei grandi temi della politica professionale è la necessità di una legge per l’architettura in Italia. Gran parte del Congresso Nazionale degli Architetti celebrato due anni fa a Roma, ruotava intorno a questo obiettivo, centrale per la qualità della vita dei cittadini, per il rilancio competitivo delle aziende e per il miglioramento delle prestazioni dei servizi pubblici nel territorio italiano. Quale sarebbero i principali contenuti della legge che si vorrebbero proporre all’attenzione della politica?
9. Ordinamento della professione – La bozza di proposta recante Riforma dell’ordinamento professionale diffusa dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori i primi giorni di marzo, ha avviato un dibattito durante l’emergenza epidemiologica che non si è necessariamente potuto sviluppare con l’ampiezza e l’approfondimento necessari. Il 23 e il 24 luglio si terrà una importante Conferenza Nazionale degli Ordini per discutere gli esiti della prima fase di coinvolgimento degli Ordini provinciali. Dopo la conferenza, il Gruppo Operativo “Ordinamento” invierà agli Ordini il quadro sinottico aggiornato con i contributi emersi in tale sede. Si avvierà conseguentemente l’ultima fase di dibattito prevista in occasione degli incontri che il Consiglio Nazionale terrà con le macro-aree territoriali. Si tratta indubbiamente di un percorso di condivisione con gli Ordini di cui va dato merito al Consiglio Nazionale. È inoltre evidente che occorrerà organizzare al meglio la condivisione locale dei princìpi e dei contenuti della riforma. Quali iniziative attivare per favorire la più ampia partecipazione dei “mondi che sono interessati alla disciplina della professione e che già hanno cominciato, negli scorsi giorni, ad esprimersi”? Come potrà avvenire nel nostro territorio il confronto con gli altri interlocutori, e con tutti gli attori interessati al processo, oltre che ovviamente con le Istituzioni politiche?
10. Cultura professionale – Durante il lockdown ho lamentato più volte una tendenza degli architetti a dimenticare alcune radici culturali della propria disciplina e a proporre come inediti dei processi in verità già avviati da lungo tempo. Manuel Orazi ha scritto un bellissimo articolo su il Foglio pubblicato il 03 maggio scorso, intitolato “Architettura da pandemia”, in cui tra le altre cose ha ricordato l’effettiva nascita su basi igieniste dell’urbanistica. A mio avviso, durante la quarantena gli architetti hanno perso la grande occasione di avvicinare nuovamente le persone alla loro cultura professionale, rendendola meno di nicchia e isolata e rispolverando il suo patrimonio di conoscenze ed esperienze progettuali. Indubbiamente, già esistono alcune iniziative di valore operate per favorire la diffusione di una cultura della domanda di architettura. Per esempio, già prima della pandemia, il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha attivato la seconda edizione del progetto scolastico “Abitare il Paese – La cultura della domanda. Bambini e ragazzi per un progetto di futuro prossimo”. Probabilmente, nel momento in cui la scuola ha consentito inedite possibilità di didattica a distanza, gli obiettivi e le strategie di tale progetto si sarebbero dovute rilanciare. Quali ulteriori iniziative intraprendere per colmare la distanza rispetto alla società della cultura architettonica, paesaggistica e urbanistica?
11. Casa comune dell’architettura – Tre proposte per aprire agli iscritti, alle scuole e alla cittadinanza, le porte dell’Ordine, le porte dell’Archivio dell’architetto Sergio Danielli e le porte della biblioteca dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Fermo.
12. Trasparenza e politiche digitali – Pochi giorni fa, il Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Milano, ad integrazione della documentazione economico-finanziaria, ha pubblicato “Verso il Bilancio Sociale”, un primo esercizio di rendicontazione e trasparenza. Si tratta di “un documento e di una sezione online a disposizione di tutti, dove sono illustrati priorità e obiettivi, oltre a report sulle attività svolte e i risultati raggiunti nel 2019”. Le priorità di mandato, gli obiettivi futuri, le informazioni sulle attività svolte e sui risultati che verranno raggiunti dal prossimo Consiglio dell’Ordine, saranno condivisi e comunicati in modo innovativo e trasparente agli iscritti e a tutti i portatori di interesse? Come avverranno il monitoraggio e la valutazione del lavoro svolto?
13. Aree interne e aree esterne – L’esperienza più significativa di osservazione ed analisi del territorio che ho avuto modo di compiere è avvenuta all’interno di un progetto di ricerca intitolato “Territorio casa comune”, svolto dal Gruppo di Ricerca ‘Morfologie e dinamiche territoriali’ del Centro de Estudos de Arquitectura e Urbanismo della Facoltà di Architettura di Porto, in Portogallo. Gli studi e le ricerche effettuati si sono sostanziati in una mostra aperta alla cittadinanza che si è tenuta nella ‘Casa del Territorio’ del Comune portoghese oggetto di indagine: Vila Nova de Famalição. Lo studio territoriale aveva un obiettivo molto preciso: costruire una idea collettiva del territorio che si producesse moltiplicando i punti di vista sullo stesso per avere letture, rappresentazioni, discussioni e dibattiti su quel qualcosa che si conosce e riconosce in comune al suo interno e che dà senso alla realtà territoriale. La presentazione della mostra recitava: “Mostrare è una condizione per rendere pubblico, per organizzare una visione del mondo ed esporla al giudizio degli altri. Senza di questo la società è invisibile e il territorio, una astrazione. Se desideriamo che il territorio che abitiamo sia inteso e vissuto come casa comune – come spazio di vita e relazione di un gruppo sociale che lì si inscrive – ebbene questa casa dovrà essere il risultato della costruzione collettiva di un immaginario e di progetti comuni su ciò che siamo come società e su cose e luoghi che possiamo e dobbiamo condividere. Una casa in costruzione”. Mi pare vada in qualche modo verso questa direzione la proposta contenuta nella bozza di Riforma dell’ordinamento professionale degli architetti, per istituire un Osservatorio permanente sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione e una rete di Osservatori territoriali organizzati ed animati dagli ordini provinciali. Nelle intenzioni, gli Osservatori dovrebbero essere lo strumento operativo per rafforzare la capacità di interlocuzione della categoria con le istituzioni politiche e con i vari livelli di governo del territorio. Mi chiedo, e chiedo, se tali Osservatori potrebbero anche svolgere il ruolo di supportare i professionisti nel ricollocare le questioni della qualità del progetto all’interno di quadri conoscitivi molto più aderenti alle specificità contemporanee dei contesti territoriali di intervento. Si ritengono necessarie rappresentazioni e analisi del territorio che siano molto attente alla vita contemporanea e alle attuali dinamiche dell’abitare? Si ritengono utili letture ed interpretazioni del territorio meno schematiche e stereotipate di quelle su cui si fondano le politiche urbane e territoriali dell’Unione Europea basate su dualismi arcaici città-campagna, urbano-rurale, centro-periferia, interno-esterno? Se il contrario di interno è esterno, nella Strategia nazionale per le aree interne, credo che la costa adriatica e tirrenica debbano essere incluse tra le aree esterne.
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toscanoirriverente · 7 years
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Fondazione Luigi Einaudi: Eia eia alalà
L’idea dell’onorevole Emanuele Fiano è sbagliata sotto tutti i punti di vista. Il guaio è che una Camera ottusa l’ha seguito. Ottusa e, come vedremo, ignorante. Un’idea anche nobile, negli intenti, ma nefanda nelle conseguenze.
Il fascismo è parte della storia nazionale. Una parte certo non gloriosa, conclusasi come peggio non si poteva, ma pur sempre parte della storia nazionale. Sul punto la parola passa e resta all’opera di Renzo De Felice.
Il fatto che quell’opera fu in ogni modo avversata, in sede culturale e universitaria, va a disonore di chi pensò d’isolare chi scriveva la storia. Posto che la si scrive e riscrive sempre, sul punto c’è poco da aggiungere.
Essendo il fascismo parte della storia nazionale è dissennato supporre di poterla cancellare. Anche perché si avvierebbe un processo che non si saprebbe più come fermare.
Suppongo che, con coerente approccio, diventi proibito commerciare immagini di Stalin. Dopo di che si rischia di non potere riprodurre l’atto che avviò la fine della seconda guerra mondiale. O si dovrà cancellare Stalin da Yalta? Corbellerie.
Ma c’è un punto di cui non ho sentito parlare, segno che la Costituzione italiana è un testo assai citato e per niente letto. Qualcuno ha ripassato la dodicesima norma transitoria e finale?
Il primo comma stabilisce che: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Si badi: non è proibito essere stati (sarebbe stato impossibile proibirlo) o essere fascisti, ma la riorganizzazione di quello che fu uno stato nello Stato. Il resto era libero, tanto che nacque un partito fondato da reduci di Salò.
Il secondo comma è quello che ci interessa: “In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”.
Rileggetelo con calma e lentezza. I Costituenti si rendevano ben conto che non era possibile mettere fuori legge un’idea politica, se non uccidendo sul nascere la Costituzione repubblicana, al tempo stesso ancora fumavano le macerie, materiali e morali, prodotte dal fascismo.
Quindi posero un limite temporale. Significa che dal 1953 anche i “capi responsabili del regime fascista” avrebbero potuto candidarsi e, teoricamente, governare. È chiaro?
È mai possibile che settanta anni dopo, nel 2017, si supponga di potere proibire icone che, nel frattempo, sono divenute cianfrusaglia?
I Costituenti pensarono che cinque anni fossero sufficienti per rendere la Repubblica e la democrazia abbastanza forti da sopportare il ritorno politico di chi aveva distrutto l’Italia. E avevano ragione.
Vi pare che settanta anni dopo sia un pericolo chi vende o compra un busto di Mussolini, un vino con la sua effige, o fa il saluto romano? Se c’era un modo per trasformare settari confusi e ridicoli in vittime di persecuzione Fiano l’ha trovato.
Ditegli di smettere.
Davide Giacalone, 18 settembre 2017
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lamilanomagazine · 2 years
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Milano, ecco la nuova vita dell’ex mercato Selinunte
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Milano, ecco la nuova vita dell’ex mercato Selinunte. Trasformare l'ex mercato comunale coperto di piazzale Selinunte nel centro del quartiere San Siro attraverso progetti imprenditoriali che favoriscano l'aggregazione e la socialità. È questo l'obiettivo con cui l'Amministrazione comunale ha presentato questa mattina in Sala Alessi le linee guida del bando definitivo per la riqualificazione della struttura. L'ex mercato comunale coperto è stato assegnato fino al 30 giugno 2023 al Centro Sportivo Italiano (CSI) che, per 12 mesi, offrirà gratuitamente alla cittadinanza attività sportive e momenti di aggregazione aperti a tutti. Attraverso il bando per l'assegnazione definitiva, che sarà pubblicato nei prossimi giorni, il Comune di Milano punta alla ricerca di una partnership per la riqualificazione definitiva del mercato che scatterà dal 1 luglio 2023, alla scadenza della convenzione per l'uso temporaneo con CSI. «L'assegnazione per un anno a CSI è un primo passo importante per immaginare un futuro differente per l'ex mercato», spiega Pierfrancesco Maran, assessore al Piano Quartieri.  «Ora stiamo lavorando per trovare una realtà imprenditoriale che sia disponibile a prendere in carico definitivamente la struttura che dovrà essere il simbolo del rilancio del quartiere San Siro», aggiunge Maran. Nel corso della mattinata è stato anche presentato lo "Studio d'area San Siro", redatto dall'assessorato alla Rigenerazione urbana in collaborazione con Amat e il Centro studi Pim, che indaga il quadrante ovest della città nelle sue contraddizioni urbanistiche, architettoniche e socio-culturali per restituirne, oltre ad un quadro fedele, le potenzialità, le risorse e gli spazi di modificazioni per renderlo meno frammentato e più vivibile, migliorando la qualità della vita di chi lo abita e, in ultima analisi, di tutti i cittadini. «Riteniamo importante - spiega l'assessore alla Rigenerazione Urbana Giancarlo Tancredi - pianificare e realizzare il processo rigenerativo delle aree meno centrali, indagarne il contesto, inquadrarne i punti critici e le potenzialità, per orientarne al meglio i progetti di trasformazione. Lo studio è uno strumento intermedio, che si inserisce tra la macro scala del Piano del Governo del Territorio e quella delle singole aree di intervento, fatta di Piani Attuativi, Programmi Integrati di Intervento e Permessi di Costruire Convenzionati. L'obiettivo è restituire le caratteristiche di un determinato quadrante urbano attraverso analisi quantitative e qualitative, e allo stesso tempo proporre una strategia in grado di indirizzare la rigenerazione urbana di Milano. Questo sull'area di cui lo stadio è il baricentro potrà anche costituire un utile supporto al dibattito pubblico in avvio sul tema nei prossimi mesi». Dodici le proposte migliorative indicate dallo Studio, tra cui la trasformazione di via Harar/Rospigliosi da strada ad alto scorrimento a sequenza di piccole piazze con servizi ed esercizi commerciali ai piani terra, la riqualificazione di via Novara come strada urbana di collegamento tra le grandi aree verdi, nuovi servizi legati allo sport dedicati soprattutto ai giovani del quartiere, la valorizzazione degli accessi al Parco delle Cave. Alcune delle proposte fanno perno su progetti già attivi e già coperti finanziariamente, come il Pinqua, il Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell'Abitare, grazie al quale verrà riqualificato l'edificio Aler di via Newton 15 e potenziati i servizi di welfare urbano, compresa anche la risistemazione di strade e degli spazi pubblici limitrofi.  Altre proposte sono invece del tutto nuove: il fil-rouge resta sempre quello della rigenerazione del tessuto di un quartiere oggi frammentato, la riqualificazione e la riorganizzazione del patrimonio edilizio esistente e la valorizzazione della rete degli spazi e del verde pubblici. In sintesi, si tratta di 230mila mq di spazi pubblici che si possono riqualificare insieme a 5 piazze (Axum, Esquilino, piazzale Segesta, Selinunte/Aretusa, centro storico di Quarto Cagnino) per creare nuove centralità e luoghi di socialità nei quartieri, 6 edifici da rifunzionalizzare (oltre al mercato di piazza Selinunte, via Newton 15, scuola Manara, ex deposito ATM, ex Omni e Cascina Case Nuove), 16mila nuovi alberi da piantumare, 3 nuovi parchi (piazza D'Armi, San Siro ed ex Trotto), un corridoio ecologico tra piazza D'Armi e il Parco delle Cave), 23 km di itinerari ciclabili e pedonali. Nel corso della mattinata è stata esposta in Sala Alessi la mostra "City matters" sui possibili usi dell'ex mercato composta da nove proposte di possibili riqualificazioni realizzate dagli studenti del corso di laurea magistrale in Product Service System Design del Politecnico di Milano. Per ulteriori informazioni sulla presentazione dello studio: www.comune.milano.it... Read the full article
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corallorosso · 3 years
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"FU ADOTTATO UN METODO CHE LA CHIESA CONSIDERAVA CRISTIANO, OSSIA GENTE CHE SI ALZA IN VOLO E NON ARRIVA A DESTINAZIONE." I VOLI DELLA MORTE (VUELOS DE LA MUERTE) I vuelos de la muerte furono una pratica di sterminio attuata durante la Guerra sporca in Argentina e in Cile nell'ambito del cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale(1976-1983). Mediante i vuelos de la muerte migliaia di dissidenti politici, o ritenuti tali, furono gettati in mare vivi e sotto l'effetto di droghe da appositi aerei o elicotteri militari. Come avvenivano i voli della morte? I detenuti che venivano trasladados ("trasferiti", termine usato dagli aguzzini per indicarne l'eliminazione definitiva), di norma erano raggruppati nel sottosuolo di un Centro di Detenzione Clandestino. Qui gli ufficiali comunicavano loro che sarebbero stati trasferiti ad un centro di detenzione situato nel Sud del paese, e che quindi sarebbero stati sottoposti ad una vaccinazione per evitare il diffondersi delle malattie durante il volo. In realtà, quest'ultima consisteva in un'iniezione di tiopental sodico, che aveva lo scopo di addormentare le vittime (ma non di ucciderle). A questo punto i detenuti, vivi ma incoscienti, venivano spogliati, caricati su camion, trasportati al più vicino aeroporto militare e imbarcati sugli aerei. La maggior parte dei detenuti veniva lanciata ancora in stato di incoscienza, ma vi sono alcuni casi in cui qualche vittima si sia risvegliata e sia stata buttata a mare in stato cosciente. Come venne testimoniato dall'ex repressore dell'ESMA Adolfo Scilingo, tutti gli ufficiali, a turno, prendevano parte all'operazione, che durava all'incirca un'ora e mezza. (...) In un'intervista di Martín Castellano a Adolfo Scilingo (4 ottobre 1997), quest'ultimo afferma: «I voli furono comunicati ufficialmente da Mendía (viceammiraglio della Armada, la marina militare) pochi giorni dopo il golpe militare del marzo 1976. Ci è stato spiegato che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nell'Armada si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. Ci ha spiegato che nell'Armada i sovversivi non sarebbero stati fucilati, giacché non si volevano avere gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e Pinochet in Cile. E neanche bisognava "andare contro il Papa", ma è stata consultata la gerarchia ecclesiastica ed è stato adottato un metodo che la Chiesa considerava cristiano, ossia gente che si alza in volo e non arriva a destinazione. Davanti ai dubbi di alcuni marinai, si è chiarito che "i sovversivi sarebbero stati buttati nel bel mezzo del volo". Di ritorno dai voli, i cappellani cercavano di consolarci ricordando un precetto biblico che parla di "separare l'erba cattiva dal grano".» Sebbene vi siano pochi dati in proposito, la sparizione dei cadaveri dei desaparecidos tramite il lancio da aerei sembra essere stato un metodo molto diffuso, in aggiunta a quello delle tombe clandestine. I Centri Clandestini di Detenzione (CCD) collegati a questa pratica erano soprattutto la ESMA, l'Olimpo, la Perla, il Campito. In particolare, quest'ultimo centro clandestino fu allestito in prossimità dell'aerodromo appunto per facilitare il trasporto dei detenuti agli aerei. L'Aeronautica uruguaiana ha ammesso nel 2005 di aver effettuato voli della morte in collaborazione con le Forze Armate argentine(Operazione Condor). (...) Fabio Casalini
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paoloxl · 6 years
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http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o51985:e1
Il 28 ottobre ricorre l’anniversario della Marcia su Roma: data simbolicamente assurta ad inizio del regime fascista. 
A distanza di tanti anni, esattamente novantasei, ci troviamo alle prese con evidenti rigurgiti fascisti nella pratica di vere e proprie provocazioni poste in atto in termini di simbologia e richiamo diretto, come abbiamo potuto notare proprio in questi giorni in alcuni episodi accaduti, per esempio, a Savona. 
Ma veri e propri rigurgiti fascisti si avvertono anche a livello di schemi culturali, di comportamenti a livello di massa, di opzioni politiche concrete portate avanti da soggetti che si collocano al governo del Paese e appaiono incontrare apparenti irresistibili fortune elettorali e di consenso da parte dell’opinione pubblica, senza ricevere quel contrasto che meriterebbero. 
Ricordando che il fascismo salì al potere pur rappresentando un’esigua minoranza parlamentare sulla base proprio di una mancata opposizione e di un accompagnamento “furbesco” attuato da coloro che pensavano di addomesticarlo anestetizzandolo nella gabbia del potere. 
L’attuale situazione, nella quale si stanno riproducendo soprattutto i temi più deteriori del razzismo deve essere affrontata attraverso l’espressione costante della negatività dei principi che il fascismo ha rappresentato realizzandone la costante comparazione con ciò che sta concretamente accadendo. 
Per questo motivo la conoscenza assume un valore fondamentale ed è in questo senso che attraverso le note che seguiranno si cercherà di offrire un contributo attraverso un tentativo (certo parziale e appena abbozzato) di ricostruzione storica del peggior fenomeno che ha attraversato la storia d’Italia e d’Europa. 
Questa sommaria ricostruzione è destinata anche a tener desta l’attenzione sui rischi che sta correndo in questo momento la nostra democrazia avvolta in un pessimo clima politico, morale e culturale. 
Il termine fascismo nasce con i Fasci siciliani (1891 – 1893), ma la prima fortuna politica di questo appellativo si colloca tra il 1914 e il 1919, a partire dai Fasci di azione rivoluzionaria, che propagandavano l’intervento italiano nella prima guerra mondiale, precedendo quindi l’adunata dei Fasci di combattimento di Milano del 23 Marzo 1919, atto di nascita del movimento mussoliniano. 
Il fascismo nasce, quindi, come punto di aggregazione di reduci dalla guerra rimasti ai margini nel processo di riorganizzazione della vita pubblica nell’immediato dopoguerra, riorganizzazione fondata sui nuovi grandi partiti di massa e sulla convivenza tra questi e gli antichi ceti notabilari dell’Italia liberale. 
I reduci di guerra, in particolare del corpo degli Arditi, si mossero così sulla base di contorni politici piuttosto vaghi, all’insegna di slogan che oggi potremmo riassumere come quelli della “rottamazione” o del “tutti a casa”. 
Il fascismo, in questo modo si inserì, nei primordi, in un filone di generico ribellismo, schierandosi tuttavia da subito su di una linea violentemente anti-socialista e anti – democratica, all’insegna di una non meglio precisata “selezione di valori”. 
Il fascismo respinse ogni egualitarismo e in tale senso la paternità ideologica del fascismo deve essere attribuita, in larga parte, al nazionalismo. 
In tempi come quelli attuali di crisi verticale del quadro internazionale il tema del nazionalismo, dovrebbe fare una qualche impressione in un lavoro comparativo svolto da sinceri democratici. 
Non a caso proprio il nazionalista Alfredo Rocco sarà, più tardi, l’autentico “architetto” del fascismo diventato regime. 
Nella sua prima formulazione l’ideologia dei fasci apparve debitrice anche verso movimenti come il futurismo e l’arditismo, esaltatori dell’italianità della guerra e della giovinezza, e portatori di un generico rifiuto della “normalità” borghese (in questo senso, sempre riferendoci agli esordi, esiste una possibilità di comparazione sul piano internazionale con l’Action Francais di Maurras). 
Dopo il fiasco elettorale del novembre 1919, dall’autunno del 1920, grazie ai massicci finanziamenti di organizzazioni agrarie, soprattutto in Val Padana, il fascismo assunse, sul piano organizzativo, il volto dello squadrismo. 
Uno squadrismo tollerato, quando non aiutato dalle istituzioni dello Stato. 
Sul piano ideologico il fascismo lasciò cadere le pregiudiziali contro la monarchia e la chiesa cattolica. 
L’ambiguità ideologica diventerà, da questo punto in avanti, una costante del pensiero fascista che si articolerà in una complessa varietà di posizioni. 
Lo stesso Mussolini, del resto, non nasconderà mai il proprio “relativismo” sul terreno filosofico – politico. 
La linea di oggi è quella del “né di destra, né di sinistra”, mentre si punta decisamente verso l’elettorato di destra sia da parte della Lega, sia da parte del M5S: ma non possiamo dimenticare precedenti illustri con la “vocazione maggioritaria” proclamata prima da Veltroni e poi da Renzi. 
Tornando alle origini del fascismo:davanti al ripiegare del movimento socialista il fascismo si schierò in modo esplicito all’estrema destra. 
I liberali, ormai in pieno disfacimento, credettero di poter compiere un’operazione d’inserimento del fascismo nelle istituzioni attraverso un processo di progressiva integrazione e assorbimento “nella legalità” e ne favorirono, attraverso la presentazione di liste di “Blocco Nazionale”, l’ingresso in Parlamento con le elezioni del maggio 1921. 
Un’analisi rivelatasi, alla fine, del tutto fallace. 
Con l’ingresso in Parlamento il fascismo si avviò alla trasformazione in partito che venne formato (con la denominazione Partito Nazionale Fascista) nel Novembre del 1921. 
Il PNF teorizzò, da subito, quello che sarà definito “doppio binario”, quello legale e quello insurrezionale e l’ascesa al potere avvenne in una forma a metà dei due versanti con la marcia su Roma del 28 ottobre 1922. 
Giunto al potere, mentre si dedicava all’edificazione delle strutture istituzionali di un regime poi giudicato a posteriori d’imperfetta vocazione totalitaria, il fascismo affrontò l’elaborazione di un apparato teorico – politico. 
Ma l’intellettualità fascista era costituita, in primo luogo, non da ideologi ma da organizzatori. 
Lo stesso filosofo Giovanni Gentile, entrato nel primo governo Mussolini e autore di quella che è stata definita la “più fascista delle riforme” quella della scuola, svolse lungo il ventennio un ruolo di straordinario organizzatore culturale. 
Un ruolo di organizzatore culturale che gli consentì di egemonizzare gran parte del ceto intellettuale italiano. 
Sul piano teorico Gentile fu un convinto sostenitore della continuità tra il liberalismo classico, incarnato nell’Italia della “destra storica”, e il fascismo: la “storicità” del fascismo (cui si contrapponeva il bolscevismo con la sua “antistoricità”) avrebbe dovuto dimostrare, partendo dalla volontà di conciliare le esigenze dell’individuo e quelle dello Stato (in un processo di subordinazione dell’una verso l’altra), la possibilità di realizzazione dello Stato Etico. 
La Stato delineato da Alfredo Rocco, invece, fu tratteggiato in termini più marcatamente organicistici. 
Lo Stato fu considerato come il “grande tutto”: in esso sarebbe stata superata la lotta di classe per proiettarsi, poi, grazie alla riconquistata solidarietà nazionale, nella competizione internazionale in nome della potenza demografica e del destino della nazione. 
Tra Gentile e Rocco, comunque, la differenza – sul piano delle prospettive tendenziali – risultarono, alla fine, sfumate o comunque unificate, in primo luogo, dal punto vero di intersezione delle anime del fascismo: quello relativo al culto del “Duce”. 
Il “Duce” rappresentava la guida che tracciava il cammino, il capo assoluto. 
Il culto del Capo, è bene ricordarlo, è tornato molto di moda nell’attualità in forma anche diversa da quella che ha caratterizzato il ventennio precedente dalla presenza di un “imprenditore passato alla politica”. 
Ai nostri giorni la “cultura dello Stato” è naturalmente affatto diversa, ma egualmente finalizzata alla detenzione del potere in una società massificata e neutralizzata dall’espressione di una cultura dell’individualismo e del consumo: fenomeni favoriti dall’espansione nell’uso dei mezzi di comunicazione di massa in esclusiva funzione di marketing riducendo l’offerta politica altresì come quella culturale a “prodotto”. 
Gli intendimenti di fondo però tra il tipo di massificazione sociale imposta negli anni’30 e quella determinata adesso sono identici: il potere posto al di fuori dalla verifica democratica. 
La verifica del consenso riservata all’esercizio di un’autonomia del politico appannaggio esclusivo di un ceto politico provvisto della possibilità esclusiva di usufruire di incentivi selettivi, esattamente come i gerarchi del ventennio. 
Torniamo però al filo conduttore del nostro discorso. 
Accanto al mussolinismo, lo statalismo fu il dato unificante del fascismo. 
Pur rimanendo rilevante il peso del PNF e delle sue gerarchie, fu lo Stato a prevalere, anche sul piano teorico. 
Lo stesso dibattito, del resto molto vivace, sul corporativismo, pur mettendo in luce una pluralità di posizioni (dalla rigida gabbia statuale prevista da Rocco, fino alla “corporazione proprietaria” di Ugo Spirito), finì con l’assestarsi nella forma più blanda sostenuta da Bottai rispetto a quella propugnata da Alfredo Rocco. 
“Corporazione proprietaria” rappresenta un altro termine che sta trovando pratica applicazione nell’attualità del dibattito politico, specialmente quando si osserva il tentativo di distruzione dei corpi intermedi rappresentativi delle diverse realtà sociali. 
Il fascismo tese a presentarsi, inoltre, come squisitamente “italiano” e “romano”: torna qui il tema ricorrente del nazionalismo – bellicista. 
L’alleanza con la Germania hitleriana e l’intervento nella seconda guerra mondiale, accentuarono i caratteri ideologici propri del fascismo degli esordi, come il bellicismo e, di converso, fecero emergere tratti ideologici propri di quella successiva fase rimasti in ombra quali il razzismo e l’antisemitismo. 
Alcuni di questi caratteri, ma soprattutto il rifiuto della democrazia e la lotta senza quartiere proclamata al bolscevismo, consentirono di identificare un ruolo internazionale del fascismo, attivo in Europa, e felicemente definito da Palmiro Togliatti come “regime reazionario di massa”. 
Una definizione che ha consentito, anche dopo la caduta del regime, di leggere il fenomeno del fascismo in senso transpolitico, come una sorta di cesarismo tipico del XX secolo basato su di un capo carismatico. 
Un capo carismatico che portava avanti la ricerca del consenso delle masse attraverso una strumentazione di tipo propagandistico e pedagogico, l’adozione di slogan rivoluzionari (intesi per lo più in una direzione aggressivamente nazionalistica) nemica tanto della democrazia quanto del comunismo. 
In ogni caso le interpretazioni del fascismo puntano oggi a una articolazione di giudizio (ben oltre la rigida definizione di Dimitrov: “Dittatura terroristica degli elementi reazionari, più sciovinistici e più imperialistici del capitale finanziario”). 
Queste interpretazioni si pongono in relazione all’analisi socio – politica del nesso tra fascismo e classi sociali, con particolare riguardo alle classi medie, insistendo molto (anche grazie agli spunti offerti da Adorno e da Horkheimer) sulla tema della personalità autoritaria e su di un presunto ruolo “modernizzatore”.
Nel modello autoritario un rapporto gerarchico di sfruttamento tendendo a tradursi in un atteggiamento orientato verso il potere e di dipendenza portandolo ad un attaccamento disperato a tutto ciò che appare forte (il gruppo, il partito, la legge, lo stato, la razza ecc.) e un rifiuto di tutto ciò che è relegato al fondo. 
Quali contro-misure adottare contro l’intera struttura dell’atteggiamento del pregiudizio? Un tema di grande attualità se osserviamo attentamente ciò che accade. 
Il nazionalismo che rimane la matrice diretta del fascismo di allora e di oggi, rimane prodotto dell’organizzazione totale della società, che può essere mutato soltanto mutando la società. 
In precedenza alle riforme sociali e /o rivoluzioni serve, come già accennato in precedenza. l’aumento nella capacità culturale della gente 
E’ necessario lavorare per attuare quella presa di coscienza che permetta agli individui di riconoscere che il fascismo è qualcosa di imposto e contrario ai loro interessi.
Franco Astengo
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sciscianonotizie · 6 years
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untitled42566 · 4 years
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Lavoro in sicurezza, firmato dalle parti sociali il Protocollo promosso dalla Regione Marche
Il presidente Ceriscioli: “Un grande lavoro di condivisione per ripartire in sicurezza, supportando concretamente imprese e lavoratori nello svolgimento della propria attività”
ANCONA – La fase 2, quella del ritorno alla normalità, impone la collegialità, la condivisione delle scelte tra istituzioni e parti sociali, in un’ottica di patto per lo sviluppo che veda una ripartenza in sicurezza, valorizzando il ruolo che ognuno svolge, a partire dalla rappresentanza delle imprese e dei lavoratori. In tale contesto la Regione Marche, con ASUR e ANCI Marche, facendo proprio il percorso che ha portato alla sigla del protocollo nazionale della sicurezza, ha promosso un protocollo d’intesa regionale il cui obiettivo principale è quello di supportare imprese e lavoratori nello svolgimento delle attività produttive, commerciali e dei servizi, nel rispetto delle disposizioni anti Covid-19.
Il protocollo – condiviso e sottoscritto da Cgil Marche, Cisl Marche, Uil Marche, Confartigianato, Cna, Confapi, Confesercenti, Confcommercio, Claai, Casartigiani, Lega Cooperative, Confcooperative, Agci, Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Copagri – è stato presentato, nel corso di una videoconferenza stampa, dal presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, dal direttore generale Asur Marche Nadia Storti e dal presidente Anci Marche Maurizio Mangialardi, con tutte le parti sociali collegate in video. Il Protocollo “Lavoro-Sicurezza” – è stato spiegato – integra la normativa nazionale sull’emergenza Coronavirus con impegni calibrati alle esigenze manifestate nelle Marche, con le parti firmatarie che si impegnano a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro, una adeguata consapevolezza dei livelli di protezione personale, un’organizzazione dei servizi misurati alle esigenze lavorative.
La Regione Marche favorirà la mappatura del contagio anche tramite il ricorso ai test sierologici validati: il loro utilizzo, tra i lavoratori, è regolato da un’apposita delibera regionale. Si impegna inoltre a dare un contributo alle imprese per i costi affrontati in merito alle misure di contenimento del Covid. Approverà, poi, un piano straordinario di potenziamento degli organici Asur dei Servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro. “Il tutto – ha sottolineato il presidente Ceriscioli – sempre in un’ottica non certo repressiva, ma di accompagnamento e supporto per una ripresa in assoluta sicurezza”.
Asur Marche metterà a disposizione la piattaforma web “Marche Prevenzione” per raccogliere le segnalazioni da verificare prioritariamente. “Sarà accessibile ai firmatari – ha detto Nadia Storti – e raccoglierà anche i Protocolli aziendali anti-contagio che le imprese dovranno inviare e ospiterà le risultanze delle attività di vigilanza. Forniremo anche assistenza e informazione attraverso sportelli dedicati e materiali divulgativi”. Anci Marche, da parte sua, sensibilizzerà gli Enti locali sui servizi alle famiglie, promuovendo una loro rimodulazione in base alle nuove disposizioni.
La firma del protocollo, secondo il presidente Maurizio Mangialardi, “è un momento veramente importante per la nostra comunità che segue il filo conduttore vincente sviluppato nelle Marche: abbiamo sempre fatto tutto tutti insieme, puntando su una pianificazione calata e condivisa con il territorio”. Grande soddisfazione per tutte le parti sociali firmatarie del protocollo, a partire dalle segreterie generali di CGIL CISL UIL che, in una nota congiunta, sottolineano come “Il Protocollo costituisca un passaggio significativo in questa fase di gestione dell’emergenza Covid-19, perché avvia un percorso importante di collaborazione tra Istituzioni e parti sociali che, in trasparenza, con precise assunzioni di responsabilità, accompagneranno il delicato e indispensabile processo di rilancio delle attività produttive, nel segno della salute e della sicurezza di lavoratrici, lavoratori e cittadini”. Sulla stessa lunghezza d’onda le sigle artigiane CNA, CONFARTIGIANATO, C.L.A.A.I. e CASARTIGIANI che evidenziano “come fosse naturale aderire a tale protocollo le cui azioni sono concretamente finalizzate alla ripresa in sicurezza per le aziende e anche alla luce del recepimento delle misure del protocollo nazionale e di quello che abbiamo fatto nel nostro settore, sia a livello nazionale che territoriale”.
“La sottoscrizione di questo protocollo – sottolineano da parte loro CONFESERCENTI E CONFCOMMERCIO – è una conseguenza del lavoro svolto per assicurare la riapertura delle attività in massima sicurezza, in sintonia con i protocolli di settore del commercio e del turismo che stiamo firmando sia a livello nazionale che territoriale”. Il mondo delle Cooperative (LEGACOOP CONFCOOPERATIVE E AGCI) evidenzia come “il protocollo garantisca un sostegno ai processi in corso finalizzati all’erogazione dei servizi in sicurezza. La necessità è ora quella di prevedere, una riorganizzazione di questi servizi, con la partecipazione di altri gestori, come la cooperazione sociale che rappresenta un soggetto importante nel sistema del welfare marchigiano. A fronte di una difformità tra le tante norme che vengono emanate tra livello nazionale e locale, questo protocollo delle Marche è invece chiaro per quanto riguarda la responsabilizzazione delle imprese”. Grande soddisfazione espressa anche dalle associazioni agricole (COLDIRETTI, CIA, CONFAGRICOLTURA e COPAGRI) che evidenziano “la qualità del lavoro svolto dalla Regione, tra le prime in Italia a programmare una riapertura in sicurezza per i lavoratori e gli utenti dei servizi. Le disposizioni peseranno ovviamente sulle aziende ma è un protocollo necessario per ripartire in sicurezza”. Apprezzamenti, infine, per il lavoro svolto dalla Regione anche da parte di CONFAPI che sottolinea l’utilità e la validità del protocollo firmato. “Essere assieme oggi – evidenzia CONFAPI – garantisce un valore aggiunto alle aziende e consente di allinearsi nella comune battaglia a supporto delle aziende del tessuto marchigiano. Siamo contenti e apprezziamo il lavoro svolto dalla Regione”.
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Lavoro in sicurezza, firmato dalle parti sociali il Protocollo promosso dalla Regione Marche Lavoro in sicurezza, firmato dalle parti sociali il Protocollo promosso dalla Regione Marche
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italianaradio · 4 years
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Cisl Fp Calabria, Elisa Carpentieri coordinatrice donne
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Cisl Fp Calabria, Elisa Carpentieri coordinatrice donne
Cisl Fp Calabria, Elisa Carpentieri coordinatrice donne
È Elisa Carpentieri la coordinatrice donne della Csil Fp Calabria. è successo ieri in occasione della riunione del consiglio generale della Cisl Fp Calabria, allargato ai consigli generali delle tre provincie, alla presenza del segretario generale nazionale Cisl Fp Franco Berardi e del segretario generale Cisl Calabria Tonino Russo, con all’ordine del giorno la situazione politico sindacale e la nomina della nuova Coordinatrice Donne Cisl Fp Calabria. I lavori sono iniziati con un commuovente ricordo in onore di un Dirigente sindacale di grande spessore, componente del Consiglio Generale Cisl Fp Calabria, venuto a mancare da poco, Salvatore Arcieri, alla presenza della moglie e della figlia, nonché con la proiezione di un emozionante filmato sulla ricca attività sindacale che ha visto protagonista la Cisl Funzione Pubblica Calabria in tutto il 2019. I lavori sono proseguiti con la relazione della Segretaria Generale della Cisl Fp Calabria, Luciana Giordano, che ha tracciato un dettagliata panoramica sulla situazione nazionale, specificando che le Segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil non solo hanno deliberato di mantenere la mobilitazione dei lavoratori di tutti i Settori e dei pensionati ma hanno proclamato lo stato di agitazione dei lavoratori dei Comparti delle Funzioni Centrali, delle Funzioni Locali e della Sanità a causa delle scarse risposte riscontrate nella legge di bilancio 2020 su temi di fondamentale importanza per il lavoro pubblico. Rinnovi contrattuali; nuove assunzioni; superamento del precariato; scorrimento delle graduatorie degli idonei; relazioni sindacali partecipative; riordino degli ordinamenti professionali e del sistema di classificazione del personale; adeguamento normativo fra lavoratori pubblici e privati in materia di Tfr/Tfs, orari per visite mediche, pagamento dei giorni di malattia, conciliazione vita/lavoro; contrasto al fenomeno dei contratti pirata e dello sfruttamento del lavoro; eliminazione del tetto di spesa al salario accessorio ancorata a quella del 2016; svincolare le PEO dal limite del 50%, arrogantemente fissato dalla RGS, in sede di conto annuale 2018. E ancora la rivendicazione di un’organica e autentica riforma della PA, che partendo da una seria digitalizzazione e da un ricambio generazionale metta al centro di ogni processo innovativo e di riorganizzazione il lavoratore pubblico, quale elemento cardine e fondamentale di ogni processo di efficentamento dei pubblici Uffici. Questi i temi della vertenza e della Piattaforma unitaria presentata al Governo. Ma per la Calabria, ha proseguito la Giordano, la legge di bilancio 2020, una volta approvata definitivamente, produrrà due importanti risultati. Innanzitutto, la possibilità di stabilizzare il personale precario della Sanità pubblica e di procedere allo scorrimento delle graduatorie degli idonei, consentendo così di immettere nuova forza lavoro nelle corsie degli Ospedali, nelle sale operatorie e nei Pronto Soccorso del SSR della Calabria e qui ha rivolto un forte monito al Commissario Cotticelli, invitandolo a non essere vittima di ulteriori tentennamenti e di procedere subito al reclutamento di nuovo personale. E poi l’importante risultato della stabilizzazione nell’arco di tutto il 2020 degli oltre 4200 lavoratori a tempo determinato provenienti dall’ex bacino Lsu/Lpu della Calabria, in deroga agli stringenti vincoli assunzionali vigenti nella Pubblica Amministrazione, in posizione sovrannumeraria, così come sostenuto e richiesto fin dall’inizio dalla Cisl, e con lo stanziamento delle risorse finanziarie necessarie. Nella parte conclusiva della relazione ha richiamato l’impegno della Cisl per far emergere e affermare in questa Regione quel patrimonio di saperi, capacità, competenze, che troppo spesso si è costretti a donare al resto del Paese e al resto d’Europa, se non del mondo. Sulla stessa scia l’intervento del Segretario Generale della Cisl Calabria, Tonino Russo, che fin dall’inizio del suo mandato ha sostenuto e affiancato ogni battaglia e ogni rivendicazione portata avanti dalla Federazione del Pubblico Impiego, riconoscendo l’importanza del lavoro pubblico e di come abbisogni di interventi tesi a liberarlo dai condizionamenti della cattiva politica, riconoscendo e valorizzando le migliori pratiche e le eccellenze che esistono anche nel sistema pubblico calabrese. Ha proseguito poi con importanti riflessioni sui bisogni e sulle criticità della terra calabrese in un articolata analisi. Nel corso dei lavori i 250 Consiglieri e delegati provenienti da tutta la Calabria hanno proceduto all’elezione della nuova Responsabile del Coordinamento Donne della CISL FP Calabria, Elisa Carpentieri, dipendente del Consiglio regionale della Calabria, componente della Segreteria aziendale della CISL FP e componente della RSU. È seguito un breve ringraziamento da parte della nuova Coordinatrice Donne, eletta all’unanimità, che si è detta onorata per la grande dimostrazione di stima da parte dell’intero Consiglio generale, nonché di far parte di una grande squadra quale è quella del Coordinamento Donne della CISL, guidata dalla Coordinatrice Regionale Confederale Nausica Sbarra. Gli auguri di buon e proficuo lavoro da parte dei Segretari Giordano, Russo e Berardi, che hanno affermato di essere certi che la preparazione giuridica, la sensibilità e la motivazione di Elisa Carpentieri costituiranno un valore aggiunto per tutta l’Organizzazione e per le donne del pubblico impiego calabrese.
È Elisa Carpentieri la coordinatrice donne della Csil Fp Calabria. è successo ieri in occasione della riunione del consiglio generale della Cisl Fp Calabria, allargato ai consigli generali delle tre provincie, alla presenza del segretario generale nazionale Cisl Fp Franco Berardi e del segretario generale Cisl Calabria Tonino Russo, con all’ordine del giorno la situazione politico sindacale e la nomina della nuova Coordinatrice Donne Cisl Fp Calabria. I lavori sono iniziati con un commuovente ricordo in onore di un Dirigente sindacale di grande spessore, componente del Consiglio Generale Cisl Fp Calabria, venuto a mancare da poco, Salvatore Arcieri, alla presenza della moglie e della figlia, nonché con la proiezione di un emozionante filmato sulla ricca attività sindacale che ha visto protagonista la Cisl Funzione Pubblica Calabria in tutto il 2019. I lavori sono proseguiti con la relazione della Segretaria Generale della Cisl Fp Calabria, Luciana Giordano, che ha tracciato un dettagliata panoramica sulla situazione nazionale, specificando che le Segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil non solo hanno deliberato di mantenere la mobilitazione dei lavoratori di tutti i Settori e dei pensionati ma hanno proclamato lo stato di agitazione dei lavoratori dei Comparti delle Funzioni Centrali, delle Funzioni Locali e della Sanità a causa delle scarse risposte riscontrate nella legge di bilancio 2020 su temi di fondamentale importanza per il lavoro pubblico. Rinnovi contrattuali; nuove assunzioni; superamento del precariato; scorrimento delle graduatorie degli idonei; relazioni sindacali partecipative; riordino degli ordinamenti professionali e del sistema di classificazione del personale; adeguamento normativo fra lavoratori pubblici e privati in materia di Tfr/Tfs, orari per visite mediche, pagamento dei giorni di malattia, conciliazione vita/lavoro; contrasto al fenomeno dei contratti pirata e dello sfruttamento del lavoro; eliminazione del tetto di spesa al salario accessorio ancorata a quella del 2016; svincolare le PEO dal limite del 50%, arrogantemente fissato dalla RGS, in sede di conto annuale 2018. E ancora la rivendicazione di un’organica e autentica riforma della PA, che partendo da una seria digitalizzazione e da un ricambio generazionale metta al centro di ogni processo innovativo e di riorganizzazione il lavoratore pubblico, quale elemento cardine e fondamentale di ogni processo di efficentamento dei pubblici Uffici. Questi i temi della vertenza e della Piattaforma unitaria presentata al Governo. Ma per la Calabria, ha proseguito la Giordano, la legge di bilancio 2020, una volta approvata definitivamente, produrrà due importanti risultati. Innanzitutto, la possibilità di stabilizzare il personale precario della Sanità pubblica e di procedere allo scorrimento delle graduatorie degli idonei, consentendo così di immettere nuova forza lavoro nelle corsie degli Ospedali, nelle sale operatorie e nei Pronto Soccorso del SSR della Calabria e qui ha rivolto un forte monito al Commissario Cotticelli, invitandolo a non essere vittima di ulteriori tentennamenti e di procedere subito al reclutamento di nuovo personale. E poi l’importante risultato della stabilizzazione nell’arco di tutto il 2020 degli oltre 4200 lavoratori a tempo determinato provenienti dall’ex bacino Lsu/Lpu della Calabria, in deroga agli stringenti vincoli assunzionali vigenti nella Pubblica Amministrazione, in posizione sovrannumeraria, così come sostenuto e richiesto fin dall’inizio dalla Cisl, e con lo stanziamento delle risorse finanziarie necessarie. Nella parte conclusiva della relazione ha richiamato l’impegno della Cisl per far emergere e affermare in questa Regione quel patrimonio di saperi, capacità, competenze, che troppo spesso si è costretti a donare al resto del Paese e al resto d’Europa, se non del mondo. Sulla stessa scia l’intervento del Segretario Generale della Cisl Calabria, Tonino Russo, che fin dall’inizio del suo mandato ha sostenuto e affiancato ogni battaglia e ogni rivendicazione portata avanti dalla Federazione del Pubblico Impiego, riconoscendo l’importanza del lavoro pubblico e di come abbisogni di interventi tesi a liberarlo dai condizionamenti della cattiva politica, riconoscendo e valorizzando le migliori pratiche e le eccellenze che esistono anche nel sistema pubblico calabrese. Ha proseguito poi con importanti riflessioni sui bisogni e sulle criticità della terra calabrese in un articolata analisi. Nel corso dei lavori i 250 Consiglieri e delegati provenienti da tutta la Calabria hanno proceduto all’elezione della nuova Responsabile del Coordinamento Donne della CISL FP Calabria, Elisa Carpentieri, dipendente del Consiglio regionale della Calabria, componente della Segreteria aziendale della CISL FP e componente della RSU. È seguito un breve ringraziamento da parte della nuova Coordinatrice Donne, eletta all’unanimità, che si è detta onorata per la grande dimostrazione di stima da parte dell’intero Consiglio generale, nonché di far parte di una grande squadra quale è quella del Coordinamento Donne della CISL, guidata dalla Coordinatrice Regionale Confederale Nausica Sbarra. Gli auguri di buon e proficuo lavoro da parte dei Segretari Giordano, Russo e Berardi, che hanno affermato di essere certi che la preparazione giuridica, la sensibilità e la motivazione di Elisa Carpentieri costituiranno un valore aggiunto per tutta l’Organizzazione e per le donne del pubblico impiego calabrese.
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