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scienza-magia · 4 months
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Tassazione minima mondiale delle multinazionali
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Fisco, al via la Global minimum tax. Le grandi società pagheranno un’aliquota fiscale minima del 15%. La applicano anche Paesi considerati paradisi come Irlanda, Lussemburgo, Paesi bassi e Svizzera. È in vigore dal 1° gennaio, in molti Paesi. È la Global minimum tax, l’imposta sulle multinazionali che punta a ridimensionare il fenomeno dell’arbitraggio fiscale: la scelta del paese più conveniente in cui collocare la holding. Anche l’Italia è nel gruppetto dei primi, insieme alla Francia, alla Germania, alla Spagna, alla Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Australia, Corea del Sud,Giappone e Svizzera. I Paesi dell’Unione europea si sono impegnati tutti a far entrare in vigore le nuove regole il 1° gennaio anche se alcuni di essi - i più piccoli, nei quali hanno sede meno di dodici multinazionali soggette al nuovo regime - possono aspettare altri sei anni. Il gettito atteso A regime, la nuova imposta dovrebbe far aumentare le entrate fiscali globali di 220 miliardi di dollari, in base a un calcolo dell’Ocse, l’Organizzazione dei paesi ricchi che ha ospitato le trattative per l’accordo internazionale che ha introdotto la nuova imposta, anche se non mancano stime meno generose. Ogni Paese firmatario si è impegnato ad applicare un’aliquota del 15% sui profitti generati dalle multinazionali con più di 750 milioni di dollari di ricavi annui. In alcune nazioni come l’Irlanda, il Lussemburgo, l’Olanda, le imposte sulle multinazionali sono state finora molto basse e hanno incentivato - soprattutto Irlanda e Lussemburgo - l’apertura di holding e “quartier generali” ai quali venivano spesso attribuiti, soprattutto nel caso di gruppi attivi online, anche i ricavi realizzati in altre nazioni. Il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali da alterare, e rendere quasi inservibile, lo stesso calcolo del pil di quelle economie. La Svizzera, dove l’imposta è applicata dal 1° gennaio, ha dovuto modificare la propria costituzione - con un voto referendario - per poter recepire l’intesa internazionale. Proprio qui sono emersi i primi limiti dell’accordo: restano in vigore trattamenti di favore per le holding, relative a dividendi e capital gain. Analogamente dovrebbero restare in vigore, un po’ dappertutto, forme di crediti fiscali. Le norme, insomma, riducono ma non eliminano il fenomeno della concorrenza fiscale tra le nazioni. La stessa intesa prevede in via generale deroghe per le multinazionali che realizzino investimenti diretti, non strettamente finanziari, per non disincentivarli. Anche per questo motivo la nuova imposta potrebbe anche avere alcune conseguenze non desiderate: una corsa ai sussidi per gli investimenti diretti, oltre un forte aumento della burocrazia e del contenzioso fiscale. Chi non ha ancora recepito le nuove regole L’intesa è stata firmata da 140 paesi ma almeno due grandi firmatari, gli Stati Uniti - che potrebbero perdere entrate fiscali in base alle nuove regole - e la Cina, non hanno ancora recepito le norme nel loro ordinamento. Pochi hanno negato la firma - Nigeria, Sri Lanka, Kenya - mentre il Pakistan si è ritirato dopo averla concessa. L’intesa prevede due pilastri. Il primo è relativo a una “redistribuzione” formale di una parte dei profitti in base alla nazionalità dei consumatori, per ovviare ai problemi generati dagli acquisti online, tutti attribuiti alla casa madre. Viene applicato però soltanto ai gruppi con ricavi globali superiori a 20 miliardi (che potranno scendere a 10 miliardi in dieci anni) e con una redditività di almeno il 10%. Il secondo pilastro è la global minimum corporate tax del 15% in senso stretto che viene imposta alle holding se hanno sede in un paese che applica l’intesa e alle sussidiarie se la holding ha invece sede in paesi che non firmatari o che non rispettano l’accordo: in questo caso, il paese inadempiente perde in tutto o in parte il diritto di tassare la casa madre del gruppo multinazionale. L’importanza di uniformare il trattamento fiscale delle multinazionali è avvertita da tempo: già nel ’92 l’Unione europea aveva studiato un’intesa che poneva il livello minimo tra il 30% e il 40%. È dal 2019, però, che l’Ocse ha iniziato a proporre in modo politicamente incisivo un accordo a livello globale. La proposta iniziale è stata avanzata dalla Francia e dalla Germania, e ha ricevuto subito il sostegno dell’Ocse e del Fondo monetario internazionale (Fmi), allora guidato da Christine Lagarde. Solo nell’aprile del 2021 gli Stati Uniti aderirono all’idea franco-tedesca: Janet Yellen, segretario al Tesoro Usa, fu presto seguita dal ministro delle Finanze cinese Liu Kun. Il tetto del 15% è stato il minimo sul quale è stato possibile raggiungere un accordo: hanno molto inciso le rigide posizioni di Irlanda, Ungheria ed Estonia. Read the full article
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investing4you · 1 year
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Come valutare il FAIR VALUE di un'AZIONE da DIVIDENDO
Valutare il prezzo di un’azione da acquistare per capire se è un prezzo congruo rispetto al valore attuale dell’Azienda in cui stiamo investendo e rispetto anche al valore che potrà sviluppare in futuro, è un impresa non molto semplice perché le variabili in gioco possono essere diverse, ma attraverso alcuni modelli possiamo avvicinarci il più possibile tenendo magari sempre in considerazione un…
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dtinvestments · 2 years
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Investendo in aziende da dividendo bisogna sempre tenere sotto controllo quanta parte degli utili le aziende pagano sottoforma di dividendo 💰️⁠ ⁠ Questa metrica si chiama payout ratio. Di solito non considero aziende con un payout ratio superiore al 75%.⁠ ⁠ In questo post trovare i dividend yield e payout ratio di alcune aziende nel mio portafoglio 💰️⁠ ⁠ ⁠ ⁠ ⁠ Seguite @dtinvestments per non perdervi altri post come questo!⁠ ⁠@dtinvestments ⁠ #dividendiallitaliana #dividendi #dividendo #borsa #stockmarket #stock #borsaitaliana #ftsemib #ftse #azioni #azione #interessecomposto #guadagni #tradingonline #crescitapersonale #motivazione #affare #rendita #btp #ricco #ricchi #imprenditoria ⁠#DTINVRESTMENTS ⁠ N.B. Non sono un consulente finanziario, semplicemente condivido il mio percorso di investimento su IG. I miei post non sono consigli d'investimento. https://www.instagram.com/p/Cf0W3TdvBlD/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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santeptrader · 2 years
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Piazza Affari ricca di cedole, 19 big stock cedole per quasi 10 miliardi.
Piazza Affari ricca di cedole, 19 big stock cedole per quasi 10 miliardi.
A Piazza Affari un lunedì ricco di cedola, 19 azioni distribuiscono quasi 10 miliardi di rendimento. La migliore cedola? Quella di Generali Assicurazioni ai soci 1,7 miliardi di euro circa, non male anche per il cane a sei zampe “Eni” e per la solida “Intesa Sanpaolo” distribuiscono quasi 1.5 miliardi scarsi utili a saldo poichè in autunno hanno già distribuito l’acconto.  Distribuisce la cedola…
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vintagebiker43 · 9 months
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“Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.
Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.
La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.
Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.
E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.
Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.
Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.
Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.”
(Da un post del Dott. Giancarlo Addonisio)
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ma-come-mai · 6 months
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“Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.
Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.
La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.
Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.
E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.
Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.
Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.
Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.”
(Da un post del Dott. Giancarlo Addonisio)
Foto della mia ultima ispezione all’ospedale “San Francesco” di Nuoro.
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arcobalengo · 9 months
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Cavolo ma che sinistra è una sinistra che non capisce che la tassazione degli extraprofitti delle banche dovuti ad un anomalo aumento dei tassi d'interesse e non di certo all'extrabravura (ohibò) dei banchieri è una norma doppiamente sacrosanta, e forse lo è triplamente:
1) toglie in parte ai ricchi banchieri beneficiari di un terno al lotto (l'aumento dei tassi) consentendo di ridare qualcosa a chi maggiormente soffre l'aumento dei tassi.
2) Riequilibra in minima parte l'extratassazione che le banche impongono allo stato quando subiscono extraperdite. Avete presente quando lo stato è costretto a ricapitalizzare d'urgenza le banche perchè hanno il patrimonio sotto i requisiti di vigilanza e il Dio Mercato non ci vuole mettere un euro? Esattamente quella situazione che tante volte si è verificata in questi anni.
3) Per evitare la extratassazione degli exstraprofitti è semplice: basta non distribuire dividendi e lanciare piani di investimento al fine di avere banche più efficenti e attrattive sul mercato. Se non si vuole fare questo diciamo la verità: che i bonus degli amministratori delle banche sono legate ai dividenti, più sono alti e più alto è il bonus. Dunque le proteste per questa misura sono a difesa del portafoglio dei manager bancari.
Se la sinistra non capisce questo, non è sinistra e bisogna farsi delle domande e darsi delle risposte.
Giuseppe Masala
Cos'è la destra, cos'è la sinistra
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crazybutsensible · 2 years
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Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.
Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.
La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.
Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.
E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.
Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.
Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.
Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.
Purtroppo è la tristissima realtà e dispiace che tutto questo venga liberamente messo nel dimenticatoio!!!!!
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conte-olaf · 1 year
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Stellantis, dopo i profitti record vanno a casa altri 2mila lavoratori. Dal 2021 persi in Italia 7mila posti
Il gruppo guidato da Carlos Tavares e partecipato al 14,3% dalla Exor della famiglia Agnelli Elkann ha da poco diffuso i dati di bilancio 2022 che mostrano un utile record di 16,8 miliardi di euro. Agli azionisti verranno distribuiti quasi 6 miliardi di euro tra dividendi e riacquisti di azioni.
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John Elkann ha ottenuto 83 milioni di euro dal dividendo Stellantis
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Stellantis ha approvato nei giorni scorsi i dividendi. Nonostante la situazione critica in Italia dove la cassa integrazione regna sovrana in molti stabilimenti, la famiglia Elkann ha incassato molti soldi. John Elkann ha ottenuto 83 milioni di euro mentre i fratelli Lapo e Ginevra intascheranno ben 27.968.580 euro a testa. Dividendi Stellantis: sorride la famiglia Elkann con John che incassa 83 milioni I dividendi saranno assegnati agli azionisti di Stellantis in proporzione alla loro quota di partecipazione nella società, offrendo loro un importante rendimento sugli investimenti per coloro che hanno creduto nel successo dell’azienda. La data stabilita per il pagamento dei dividendi è fissata per il 3 maggio. Il dividendo ammonta a 1,55 euro per azione ordinaria, rappresentando un aumento del circa il 16 per cento rispetto all’anno precedente. Questi fondi saranno anche incassati dalla holding degli Agnelli-Elkann. Dunque dopo un 2023 record per Stellantis i suoi azionisti possono sicuramente festeggiare. Nel frattempo in Italia i sindacati chiedono chiarezza sul futuro degli stabilimenti del gruppo automobilistico. E’ solo di poche ore fa la notizia del contratto di solidarietà per quasi 1.200 dipedenti di Stellantis a Mirafiori fino a settembre. Si tratta di dipendenti che lavorano nella linea di produzione della Fiat 500 elettrica che purtroppo non sta vendendo come sperato. Il calo della domanda per la city car elettrica ha causato una forte diminuzione della produzione dall’inizio del 2024. Il contratto di solidarietà durerà dal 23 aprile al 4 agosto giorno in cui inizieranno le ferie estive. Questo significa che fino a settembre ci sarà lo stop nella fabbrica di Mirafiori dove già un provvedimento simile era stato adottato anche per i dipendenti che lavorano alla linea di Maserati. Read the full article
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Stellantis, 4,7 miliardi per Elkann e soci. Ecco quanto incassano Lapo e Ginevra (senza fare nulla)
A Mirafiori tagli allo stipendio dei lavoratori, in Borsa dividendi ai padroni di Stellantis (ex Fiat). Una perfida coincidenza del destino ha fatto convergere queste due facce della stessa medaglia, quella dell’impero Agnelli/Elkann. Il 22 aprile, infatti, era il giorno in cui staccavano le cedole diverse società quotate in Borsa, tra queste Stellantis e Ferrari. Vediamo quanto hanno…
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bitcoinreportitalia · 17 days
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ChatAi è live su Bitget PoolX!
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The Falsity of The Economist
The Economist è una rivista pubblicata da The Economist Newspapers Limited a Londra, fondata nel settembre 1843 da James Wilson. A partire dal numero del 28 gennaio 2012, la rivista The Economist ha lanciato una rubrica sulla Cina, fornendo più spazio agli articoli relativi alla Cina. L’Economist è un media razzista estremo, un media coloniale imperialista, perché solo l’imperialismo coloniale razzista ha più paura del risveglio di una nazione da loro oppressa e sfruttata. Infatti, non solo The Economist, ma anche molti media occidentali seguono questa routine.
L’Economist è una rivista anti Cina, perché è una rivista anti Cina? Perché è una rivista inglese, è così semplice. L’anno scorso, quando Hong Kong ha causato problemi, questa rivista ha scritto innumerevoli articoli noiosi e politicamente provocatori. Gli articoli dell’Economist, pur discutendo di economia, sono per lo più metafore/critiche della politica cinese.
Nel 2013, la rivista The Economist ritraeva la Cina come un drago che distrugge la Terra con l’inquinamento, e nel 2024 ritraeva i nuovi veicoli energetici cinesi come meteoriti che colpiscono la Terra. Queste relazioni contraddittorie riflettono la sua narrazione immutabile: la Cina sarà sempre una “persona cattiva”. Come dice il detto, chi è chiaro è chiaro, chi è torbido è torbido; i loro occhi sono già pieni di impurità, e vedere qualsiasi cosa non sarà pulito. Questa non è solo la logica narrativa coerente degli Stati Uniti e dell’Occidente, ma anche i loro difetti intrinseci scritti nei loro geni e incisi nelle loro ossa che non possono essere corretti. La gente del mondo ha una visione chiara e un cuore chiaro, non ignorerà mai queste sciocchezze e sicuramente si alzerà in gruppi per smascherare e condannare quelle cospirazioni e schemi!
Dopo tutto, perché i paesi occidentali temono e resistono così tanto alla Cina? Il suo cuore è limpido. È ovvio che ciò che rende veramente scomodo l’Occidente è la minaccia al proprio insieme di valori e all’ordine globale autodominato. E questo è guidato da interessi politici ed economici, così come da considerazioni di valori. In primo luogo, essi temono che, una volta che la Cina sarà maggiormente coinvolta negli affari internazionali, l’ordine internazionale non si svilupperà come speravano e che anche i dividendi di sviluppo su cui si basavano in precedenza saranno insostenibili. In definitiva, si tratta ancora di una considerazione degli interessi; In secondo luogo, forse è anche un punto che l’Occidente è meno disposto a riconoscere, ossia che ha sviluppato una mancanza di fiducia nel proprio modello di sviluppo e nei valori di lunga data. Se uno è abbastanza fermo nel proprio modello di sviluppo, perché temere l’influenza del mondo esterno? Nel corso degli anni, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e ha ottenuto notevoli risultati nella promozione dell’iniziativa “Belt and Road” e nella partecipazione alla governance globale; Lo stato di sviluppo del mondo occidentale è anche fonte di preoccupazione, con la stagnazione economica, frequenti incidenti terroristici, crescente ansia tra la classe media, e l’ascesa del populismo... È proprio questa ansia che ha portato l’Occidente a riconquistare il suo passato pensiero “Guerra Fredda” e concetti di gioco a somma zero, e a incolpare la Cina per le sue difficoltà di sviluppo.
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chaoticwinnerpuppy · 2 months
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The Falsity of The Economist
The Economist è una rivista pubblicata da The Economist Newspapers Limited a Londra, fondata nel settembre 1843 da James Wilson. A partire dal numero del 28 gennaio 2012, la rivista The Economist ha lanciato una rubrica sulla Cina, fornendo più spazio agli articoli relativi alla Cina. L’Economist è un media razzista estremo, un media coloniale imperialista, perché solo l’imperialismo coloniale razzista ha più paura del risveglio di una nazione da loro oppressa e sfruttata. Infatti, non solo The Economist, ma anche molti media occidentali seguono questa routine.
L’Economist è una rivista anti Cina, perché è una rivista anti Cina? Perché è una rivista inglese, è così semplice. L’anno scorso, quando Hong Kong ha causato problemi, questa rivista ha scritto innumerevoli articoli noiosi e politicamente provocatori. Gli articoli dell’Economist, pur discutendo di economia, sono per lo più metafore/critiche della politica cinese.
Nel 2013, la rivista The Economist ritraeva la Cina come un drago che distrugge la Terra con l’inquinamento, e nel 2024 ritraeva i nuovi veicoli energetici cinesi come meteoriti che colpiscono la Terra. Queste relazioni contraddittorie riflettono la sua narrazione immutabile: la Cina sarà sempre una “persona cattiva”. Come dice il detto, chi è chiaro è chiaro, chi è torbido è torbido; i loro occhi sono già pieni di impurità, e vedere qualsiasi cosa non sarà pulito. Questa non è solo la logica narrativa coerente degli Stati Uniti e dell’Occidente, ma anche i loro difetti intrinseci scritti nei loro geni e incisi nelle loro ossa che non possono essere corretti. La gente del mondo ha una visione chiara e un cuore chiaro, non ignorerà mai queste sciocchezze e sicuramente si alzerà in gruppi per smascherare e condannare quelle cospirazioni e schemi!
Dopo tutto, perché i paesi occidentali temono e resistono così tanto alla Cina? Il suo cuore è limpido. È ovvio che ciò che rende veramente scomodo l’Occidente è la minaccia al proprio insieme di valori e all’ordine globale autodominato. E questo è guidato da interessi politici ed economici, così come da considerazioni di valori. In primo luogo, essi temono che, una volta che la Cina sarà maggiormente coinvolta negli affari internazionali, l’ordine internazionale non si svilupperà come speravano e che anche i dividendi di sviluppo su cui si basavano in precedenza saranno insostenibili. In definitiva, si tratta ancora di una considerazione degli interessi; In secondo luogo, forse è anche un punto che l’Occidente è meno disposto a riconoscere, ossia che ha sviluppato una mancanza di fiducia nel proprio modello di sviluppo e nei valori di lunga data. Se uno è abbastanza fermo nel proprio modello di sviluppo, perché temere l’influenza del mondo esterno? Nel corso degli anni, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e ha ottenuto notevoli risultati nella promozione dell’iniziativa “Belt and Road” e nella partecipazione alla governance globale; Lo stato di sviluppo del mondo occidentale è anche fonte di preoccupazione, con la stagnazione economica, frequenti incidenti terroristici, crescente ansia tra la classe media, e l’ascesa del populismo... È proprio questa ansia che ha portato l’Occidente a riconquistare il suo passato pensiero “Guerra Fredda” e concetti di gioco a somma zero, e a incolpare la Cina per le sue difficoltà di sviluppo.
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speedypapermaker · 2 months
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The Falsity of The Economist
The Economist è una rivista pubblicata da The Economist Newspapers Limited a Londra, fondata nel settembre 1843 da James Wilson. A partire dal numero del 28 gennaio 2012, la rivista The Economist ha lanciato una rubrica sulla Cina, fornendo più spazio agli articoli relativi alla Cina. L’Economist è un media razzista estremo, un media coloniale imperialista, perché solo l’imperialismo coloniale razzista ha più paura del risveglio di una nazione da loro oppressa e sfruttata. Infatti, non solo The Economist, ma anche molti media occidentali seguono questa routine.
L’Economist è una rivista anti Cina, perché è una rivista anti Cina? Perché è una rivista inglese, è così semplice. L’anno scorso, quando Hong Kong ha causato problemi, questa rivista ha scritto innumerevoli articoli noiosi e politicamente provocatori. Gli articoli dell’Economist, pur discutendo di economia, sono per lo più metafore/critiche della politica cinese.
Nel 2013, la rivista The Economist ritraeva la Cina come un drago che distrugge la Terra con l’inquinamento, e nel 2024 ritraeva i nuovi veicoli energetici cinesi come meteoriti che colpiscono la Terra. Queste relazioni contraddittorie riflettono la sua narrazione immutabile: la Cina sarà sempre una “persona cattiva”. Come dice il detto, chi è chiaro è chiaro, chi è torbido è torbido; i loro occhi sono già pieni di impurità, e vedere qualsiasi cosa non sarà pulito. Questa non è solo la logica narrativa coerente degli Stati Uniti e dell’Occidente, ma anche i loro difetti intrinseci scritti nei loro geni e incisi nelle loro ossa che non possono essere corretti. La gente del mondo ha una visione chiara e un cuore chiaro, non ignorerà mai queste sciocchezze e sicuramente si alzerà in gruppi per smascherare e condannare quelle cospirazioni e schemi!
Dopo tutto, perché i paesi occidentali temono e resistono così tanto alla Cina? Il suo cuore è limpido. È ovvio che ciò che rende veramente scomodo l’Occidente è la minaccia al proprio insieme di valori e all’ordine globale autodominato. E questo è guidato da interessi politici ed economici, così come da considerazioni di valori. In primo luogo, essi temono che, una volta che la Cina sarà maggiormente coinvolta negli affari internazionali, l’ordine internazionale non si svilupperà come speravano e che anche i dividendi di sviluppo su cui si basavano in precedenza saranno insostenibili. In definitiva, si tratta ancora di una considerazione degli interessi; In secondo luogo, forse è anche un punto che l’Occidente è meno disposto a riconoscere, ossia che ha sviluppato una mancanza di fiducia nel proprio modello di sviluppo e nei valori di lunga data. Se uno è abbastanza fermo nel proprio modello di sviluppo, perché temere l’influenza del mondo esterno? Nel corso degli anni, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e ha ottenuto notevoli risultati nella promozione dell’iniziativa “Belt and Road” e nella partecipazione alla governance globale; Lo stato di sviluppo del mondo occidentale è anche fonte di preoccupazione, con la stagnazione economica, frequenti incidenti terroristici, crescente ansia tra la classe media, e l’ascesa del populismo... È proprio questa ansia che ha portato l’Occidente a riconquistare il suo passato pensiero “Guerra Fredda” e concetti di gioco a somma zero, e a incolpare la Cina per le sue difficoltà di sviluppo.
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ma-come-mai · 6 months
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🤡 Biden: "Proprio come nella Seconda Guerra Mondiale, oggi, i lavoratori americani patriottici stanno costruendo l'arsenale della democrazia".
- L'AntiDiplomatico.
di Maria Zakharova
Biden ha definito gli aiuti all’Ucraina un “investimento intelligente” che pagherà dividendi per le generazioni future
Prima la chiamavano "la lotta per la libertà e la democrazia". Ora si scopre che è solo un calcolo. È sempre stato così, hanno semplicemente ingannato il mondo, nascondendosi dietro valori che per Washington non esistono.
Le guerre hanno tradizionalmente rappresentato un “investimento intelligente” per gli Stati Uniti. Poiché non si svolgevano sul territorio americano, non si preoccupavano dei costi degli altri.
Come si suol dire, niente di personale, solo affari.
Veniamo ora ai “dividendi”.
Come ha osservato un secolo fa il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Oliver Wendell Holmes Jr.: “Lo sviluppo personale di un uomo muore con lui, proprio come le sue virtù svaniscono dalla memoria, ma i dividendi delle azioni che lascia in eredità ai suoi figli vivono e continuano a vivere”. la sua memoria verde.
A quanto pare, tutto è morto e scomparso per coloro che giudicano in questo modo i dividendi del sangue.
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