4 GIU 2019 18:53
CALCIO DOTTO (EMANUELE) MINUTO PER MINUTO - “IL TECNICO DEL VERONA BAGNOLI DOPO LA PARTITA CON LA JUVE DISSE AI CARABINIERI: ‘CERCATE I LADRI? NELL’ALTRO SPOGLIATOIO”, LA STORICA VOCE DI “TUTTO IL CALCIO” DOPO 39 ANNI DI CARRIERA VA IN PENSIONE E SCIORINA RICORDI SU MARADONA, BOSKOV ("MI DICEVA: GENTILEZZA COSTA POCO E COMPRA TUTTO”) ZICO E BRERA - "IL TOP? I FRATELLI ABBAGNALE" – VIDEO
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Cristiano Vella per www.ilfattoquotidiano.it
“Undecimo? Lo dicevo per due motivi, per ricordare un grandissimo galantuomo, che era Roberto Bortoluzzi, e perché l’italiano è una lingua bellissima”. Emanuele Dotto, voce storica dello sport italiano, tra i grandi di Tutto il calcio minuto per minuto ha lasciato ieri, dopo 39 anni di carriera.
E ad ascoltare i suoi racconti, di Boskov, di Maradona, Zico, Merckx, sembra di ritornare a pomeriggi assolati di radioline appoggiate in equilibri precari purché funzionassero, fruscìo di schedine del Totocalcio e la voce gentile di Dotto a raccontare di portieri che avocano a sé il pallone all’undecimo minuto. “Il mio linguaggio ricercato? Parlo italiano, semplicemente, che è una lingua bellissima che oggi a volte viene mortificata”. Il racconto dello sport è cambiato, tanto, in 40 anni: è cambiato il linguaggio, “oggi Brera sembrerebbe una lingua straniera”, ed è cambiato lo sport stesso.
“La mia prima radiocronaca – racconta Dotto – è stata Berloni-Scavolini di pallacanestro, nel 1980, due anni dopo ho iniziato col calcio, con Varese-Lazio. Raccontavamo in maniera diversa: non c’era la spettacolarizzazione di oggi con la tendenza a enfatizzare qualsiasi cosa, non si badava granché ad agenti, procuratori o procuratrici. Era un’Italia povera, che sognava col Totocalcio”. Oggi invece c’è il campionato spezzatino: “È un po’ come il cibo: mangiare troppo ti porta la nausea, e oggi con questa bulimia si assiste anche alla minor partecipazione emotiva. C’è stato un cambiamento profondo e radicato: a me ormai il calcio sembra un altro sport, forse perché io sono del ’52 e resto ancorato ai valori di quel tempo. La mia era l’epoca in cui c’erano le bandiere, oggi semmai ci sono le banderuole”.
Infatti tra i tanti campioni incontrati in 40 anni di sport i ricordi di Dotto partono da un punto diametralmente opposto a gloria e lustrini: “Penso subito a Osvaldo Bagnoli, una delle persone più belle e intelligenti che ho conosciuto nonostante non avesse studiato. Ricordo quando ero a Verona con gli scaligeri che persero contro la Juventus che ebbe vari episodi arbitrali a favore: negli spogliatoi Volpati per la rabbia tirò uno zoccolo in una vetrata, rompendola. A quel punto si affacciò un ufficiale dei carabinieri per chiedere se andasse tutto bene e intervenne Bagnoli con la famosa battuta “Se cercate i ladri sono nell’altro spogliatoio””.
Come dimenticare poi Boskov: “Laureato in storia e geografia, potevi parlarci di tutto: mi diceva “gentilezza costa poco e compra tutto”. Ricordo che gli chiesi il motivo dello spostamento di Invernizzi in posizione arretrata, alla Samp. Mi rispose: “Uomo che fugge è buono per altra battaglia” frase che riflette la genialità dell’uomo”.
L’episodio più curioso con Zico, fuoriclasse brasiliano dell’Udinese: “Mi riconobbe trent’anni dopo per quel che emerse da una mia domanda. Io gli avevo chiesto cosa lo avesse colpito di più dell’Italia e lui mi rispose che erano state le banane, perché se le avesse date ai suoi maiali lo avrebbero morso vista la qualità scadente rispetto a quella del Sud America. Trent’anni dopo mi ha incontrato e mi ha riconosciuto come “quello delle banane””.
Nessun dubbio per Dotto sul più grande di tutti: “Maradona, l’esempio perfetto di ciò che distingue il calciatore dal fuoriclasse, con tutti i suoi problemi” e sempre legati a Napoli sono i campioni che ricorda con più piacere: “I fratelli Abbagnale, cui aggiungo anche Agostino: sono il top per umanità, si sono davvero fatti “il mazzo” per vincere e sono stati stupendi anche nelle sconfitte. Ecco: il calcio dovrebbe imparare da loro e dal canottaggio, non c’è scusa o arbitro che possa influire e vince chi è più forte”.
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9 lug 2018 16:42
NON C'È PIÙ LA NOSTALGIA DI UNA VOLTA - L'INTERVISTA DI DOTTO A VANZINA (2015): ''MI FA INNERVOSIRE QUANDO MI CHIAMANO 'MAESTRO'. MAESTRO DEI MIEI COGLIONI. MONICA BELLUCCI? L’HO LANCIATA IO IN UN FILM DI MARCO RISI. MAI AVREI PENSATO CHE SAREBBE DIVENTATA UNA STAR INTERNAZIONALE, NON È CERTO MERYL STREEP'' - ''SERVILLO? TEMO SIA UNO SNOBBONE E CI VEDA COME IL DIAVOLO'' - ''ECCO LA MIA CAZZATA PIÙ MEMORABILE''
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Giancarlo Dotto per ''Diva & Donna'' (2015)
Figli di Steno, alias Stefano Vanzina, che vuol dire figli della commedia all’italiana. Tenuti in grembo da Totò e da Alberto Sordi, come dire tenuti in grembo dal destino, hanno inventato in quasi quarant’anni, tra gli altri, Diego Abatantuono e Jerry Calà e reinventato Gigi Proietti, miracolato Massimo Boldi e Christian De Sica, ma anche Raoul Bova, lanciato Claudio Amendola e Isabella Ferrari, Enrico Brignano e Vincenzo Salemme, scoperto Ricky Memphis e, questo lo sanno in pochi, Monica Bellucci.
In quanto a nazionalpopolarità, i fratelli Vanzina se la battono in Italia con i fratelli Abbagnale e i fratelli Bandiera. Come campioni di box office non hanno rivali. Che siano cineombrelloni o cinepanettoni, piacciono a tutti o quasi, agli spettatori che si sganasciano, agli attori che girano in fretta e ai produttori che con loro risparmiano. Non piacciono a certa forforosa saccenza. Carlo è il regista, Enrico lo sceneggiatore. Inchiodo l’iperattivo Carlo Vanzina a Porto Rotondo con la famiglia, la moglie Lisa e le figlie Isotta e Assia, in una pausa di lavoro. Sta ultimando il montaggio di “Torno indietro e cambio vita”, il suo ultimo film.
“E’ la storia di una coppia esemplare all’apparenza. Stanno insieme da quando erano ragazzi. Poi, un giorno, a letto, lei, Giulia Michelini, dice a lui, Raoul Bova: “Mi voglio separare”. Lui si confida con l’amico, Ricky Memphis: “Col cavolo che mi risposerei se tornassi indietro”. Mentre lo dice, viene investito da una macchina e si risveglia nel cortile della scuola. L’occasione di riscrivere la sua vita. Una storia all’americana”.
E’ grazie alla ditta Vanzina che Raoul Bova ha trovato la sua dimensione come attore.
“L’ho lanciato più di vent’anni fa con “Piccolo grande amore”. Quando era un ragazzo di bell’aspetto e poco più”.
Vent’anni dopo?
“Raoul è un ragazzo riflessivo e scrupoloso. Cosciente che questa sua popolarità va sfruttata in maniera professionale. Cerca personaggi positivi. Lui non si sente per niente un latin lover. Ha trovato questa chiave di prendersi un po’ in giro”.
Ricky Memphis, un altro che si può definire tuo. Lui sì è una faccia.
“Ha iniziato con me. Protagonista con Amendola e la Bellucci de “I mitici”. Anche qui, roba di vent’anni fa. Ricky è fantastico. Lui, come attore, è il contrario del metodo. Ma ha questa faccia che dice tutto, questa sua malinconia di fondo”.
Come succede per molti attori importanti, faccia monouso. Faccia iconica e laconica.
“Ricky è così. Parla poco ma, quando, lo fa sono sentenze”.
I fratelli Vanzina. Carlo ed Enrico sono per l’Italia, insieme ai fratelli Taviani, quello che i fratelli Coen, ma direi soprattutto i fratelli Farrelly sono per l’America e i fratelli Ardenne per il Belgio.
“Ce ne sono tanti altri nel cinema. Aggiungerei i fratelli Wachowski, quelli di “Matrix”. Andy e Larry. Solo che Larry nel frattempo è diventato donna e ora si chiama Lana”.
Di questi tempi si è, cinematograficamente parlando, già a Natale.
“Produrremo insieme a Andrea Occhipinti un film scritto a sei mani con Neri Parenti che scombinerà gli equilibri classici del Natale, fondati sulla triade De Laurentiis, Medusa e Rai Cinema”.
Suona come una sfida temeraria.
“Una scommessa vera. Siamo partiti con i soldi nostri, senza finanziamenti. Potremmo scompaginare il mercato o prendere una batosta”.
Il futuro sta finalmente diventando presente? Si aprono nuove frontiere e nuovi mercati anche nel cinema.
“Sta cambiando tutto. La tecnologia è andata talmente avanti. La pay tv è la nuova frontiera. C’è un grande bisogno di contenuti. Purtroppo, noi autori commerciali siamo stati colpevolmente miopi”.
Sarebbe a dire?
“Cedere i diritti delle nostre opere ai vari De Laurentiis, Medusa e Rai. Oggi il mondo è globale, avere delle tue cose è decisivo. La gente pensa che noi Vanzina siamo miliardari...”.
Lo pensavo anch’io.
“Invece non lo siamo. Anzi, se me ne trovi tu uno che vuole investire nel cinema”.
Tempi di rievocazioni. Il remake del vostro celebre “Sapore di mare”.
“Più che un remake, abbiamo tentato un nuovo capitolo ambientato negli anni Ottanta. Un buon film che non ha avuto l’attenzione giusta. Ci sono rimasto male. Chissà, forse il titolo sbagliato, “Sapore di te”. Forse, non è scattata la nostalgia”.
Non c’è più la nostalgia di una volta.
“Oggi la gente è tutta proiettata nel futuro, se ne frega del passato”.
Quanto sono importanti i titoli?
“Sono più importanti i trailer. I ragazzi li guardano e scelgono, anche se vanno sempre di meno al cinema. Le mie due figlie, di quindici e sedici anni, non ci vanno proprio”.
Lavorate sempre con Enrico nello studio di papà Steno?
“Che poi era il salotto di casa. Scrivevano le sceneggiature e registravano con un vecchio Geloso a bobine. A quel tavolo si sono seduti Totò, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Ettore Scola, Scarpelli. Tanti altri. Una factory continua”.
Enrico e tu. Quasi quarant’anni di cinema insieme.
“Un giorno, mi chiama un giornalista e mi fa: “Sono trent’anni che stai facendo il regista”. Non me n’ero accorto. Mi sono sentito vecchio improvvisamente. Adesso, sono quasi quaranta. Una cosa che mi fa innervosire è quando mi chiamano “maestro”.
Perché?
“È brutto. Maestro dei miei coglioni”.
A quale sei più affezionato, tra i personaggi inventati?
“Penso a Donato, il tifoso milanista di Diego Abatantuono. Un personaggio di culto. Come il Mandrake di Gigi Proietti in “Febbre da cavallo”, inventato da mio padre e riproposto da noi”.
Un Gigi Proietti meraviglioso nella parte del cialtrone che s’inventa la vita.
“La cosa meravigliosa di Gigi è che, dopo Gassman e Bene, è il nostro attore teatrale più completo. Passa da Shakespeare alle barzellette. Un grande attore che non disdegna il basso”.
C’è chi lo considera il suo limite.
“Per me è il suo più ammirevole talento”
È l’ultimo dei mohicani. Non così capito dal cinema.
“Sembrava sempre che dovesse esplodere, ma non ce la faceva e allora si rifugiava nel teatro. Gigi è sempre stato schivo con il cinema. Aveva una faccia, come dire, “facciosa”. Una faccia troppo importante. Talmente bravo che non risultava credibile”.
Percorsi stupefacenti tra gli attori da te lanciati.
“Diego Abatantuono. Da macchietta da cabaret è diventato un attore importante. Ha dimostrato uno spessore che neanche immaginavo. Diego ha una presenza scenica dominante. È un affabulatore. Ma, anche un accentratore. Gli piace comandare tutto”.
Altre storie sorprendenti.
“Monica Bellucci. L’ho lanciata io in un film di Marco Risi. Lei, devo dire, me l’ha riconosciuto pubblicamente e gliene sono grato. Mai mi sarei aspettato che sarebbe diventata una star internazionale. È una brava attrice, ma non è Meryl Streep”.
Un grandissimo attore che ha non ha avuto la storia che meritava.
“Maurizio Micheli. Attore meraviglioso che, non so perché, non è mai riuscito a fare la carriera che gli spettava”.
Ritorni, dopo tanti anni, a lavorare con Massimo Boldi.
“Massimo ha tentato la strada di una sua casa di produzione. E’ andata male. Potevamo fare ancora tante cose insieme. Succede solo da noi che gli attori, a un certo punto, s’inventano di voler fare tutto, gli agenti, i registi, i produttori. Fai l’attore? Basta e avanza”.
Sono noiosi i comici?
“Sono per lo più malinconici e invidiosi. Fanno eccezione, tra quelli che conosco, Christian De Sica e Carlo Verdone”.
Roberto Benigni resta il nostro unico attore esportabile?
“Da quando l’ho detto, però non ha fatto più niente. Mi ha sconfessato. Come se gli fosse venuta l’angoscia da Oscar, di non essere più all’altezza di quel film”.
Il film di Paolo Sorrentino ti è piaciuto?
“Molto. Con qualche lungaggine, ma mi è rimasto dentro. La scena sulla terrazza, il ballo, la faccia di Toni Servillo”.
Toni Servillo con i Vanzina. Questa sì, sarebbe un’accoppiata sorprendente.
“Mi piacerebbe tanto averlo con me. Potrebbe fare il comico benissimo”.
L’ho visto a teatro in uno spettacolo goldoniano. Bravissimo.
“Non lo conosco di persona. Mi sembra uno snobbone. Mi sa che i Vanzina per lui sono come il diavolo. Troppo commerciali”.
Assegna i tuoi Oscar alla commedia italiana.
“Monicelli, Risi, Age e Scarpelli, Ettore Scola. Per il film scelgo “I soliti ignoti”. L’Oscar per l’attore lo spartisco ex-aequo tra Sordi, Gassman e Totò”.
Ti rumina l’idea di suggellare una storia importante con un capolavoro, tipo “C’era una volta il West” di Sergio Leone, anche lui fin lì considerato un regista di genere?
“Ti confesso, è proprio quello che c’è nella mia testa. Ci ho anche provato in passato. Un film con Gian Maria Volontè, quando era già un mostro sacro. Ma, in Italia l’etichetta ti condanna. Ho idee importanti, ma mi autocensuro. Dovrei trovare uno pseudonimo per fare un film fuori dal cliché dei Vanzina”.
I Vanzina. Siete, nel bene e nel male, un marchio.
“Ci vorrebbero un’idea internazionale, finanziamenti stranieri. Il vero guaio è che il nostro cinema è molto piccolo. Qui da noi è una palude, tutto stagnante, fermo”.
Checco Zalone ti piace?
“Tantissimo. Mi diverte. E’ un comicone”.
Diversi film con Enrico Brignano. Poi, più nulla.
“Aspirava a fare l’assolo. Anche lui, questa ambizione di voler fare tutto. Faccia pure. E’ cambiato. Non è più allegro, né pacioccone. E’ diventato cicciotto. Del resto, ognuno ha la faccia che ha. Certo, Brignano non può fare Mastroianni”.
Tra te e tuo fratello chi affronta meglio il tempo che passa?
“Non ce la siamo mai detta questa cosa. Forse io. Sai, l’idea che potrò sopravvivere nella mia famiglia, che qualcosa di me resterà, un piccolo seme”.
La famiglia. Il tuo ancoraggio.
“Che poi non è solo la mia, ma quella molto estesa della tribù Melidoni. In questi giorni è il compleanno di Gianni, famoso giornalista e padre di Lisa. In queste occasioni ci riuniamo tutti. Un esercito. Posti in piedi”.
Il tuo spazio sacro. Dove ci sei solo tu. Niente mogli, figli, fratelli.
“La fedeltà a me stesso. Del successo non me ne frega niente. M’importa solo essere quello che i miei genitori si aspettavano da me. Una persona rispettosa, educata, perbene. Questo non me lo può togliere nessuno”.
Una cazzata memorabile, da inserire nell’enciclopedia delle umane cazzate.
“Tante. Come l’imbarcata che presi a diciotto anni per una svedese conosciuta in Sardegna. Una ragazza da sogno. Partii come un pazzo per la Svezia in macchina e scoprii che era fidanzata. Una batosta, ma quel viaggio mi servì a farmi sentire un po’ Kerouac”.
Il tuo cast ideale pensando al futuro.
“Un sogno mai realizzato. Lavorare un giorno con Carlo Verdone. Mi dispiace l’idea di chiudere la mia storia senza poterlo fare. Mi troverei bene, sono sicuro, anche con Checco Zalone”.
Il tuo cast ideale pensando al passato.
“Ho un grande rammarico. Mi farebbe piacere, prima di andare all’ospizio, fare di nuovo un film con Boldi e De Sica insieme”.
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