8 lug 2023 14:31
L’AVEVAMO CAPITO, MA ORA ABBIAMO LA CONFERMA DIRETTAMENTE DA LUI: "ERO UN CASO PSICHIATRICO” – PASQUALE BRUNO, DETTO “O ANIMALE”: “HO PICCHIATO TUTTI. ROBERTO BAGGIO? MI PATIVA. IL PIÙ GRANDE? MARADONA. LO MENAVI E NON CADEVA MAI. SOLO VIALLI E ANCELOTTI NON SCAPPAVANO, MICA ERANO FIGHETTE" - LA "LAMBADA" DI VAN BASTEN E L’AVVERSARIO PIÙ INDISPONENTE: "PAOLO DI CANIO, GRAN CACACAZZI" – E POI RIVELA L’ORIGINE DEL SUO SOPRANNOME (C’ENTRANO TRICELLA E UN SICARIO DELLA CAMORRA) -
Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per repubblica.it
Dicono sia stato il difensore più duro e crudele della storia del calcio italiano, uno stopper assetato di sangue. Pasquale Bruno, ‘O animale, come lo battezzò un suo compagno di squadra alla Juventus. Ma è stato anche tra i più forti marcatori in un’epoca fenomenale per il nostro football, gli anni Novanta. Oggi è un sessantunenne “malato” di mountain bike, ed è una persona mitissima.
Pasquale, ma lei era davvero così tremendo?
“Dottor Jekyll e Mister Hyde. Fuori dal campo ero un tipo tranquillo, ma già nel tunnel degli spogliatoi mi partiva l’embolo. Mi sarebbe servito uno psichiatra, ero un caso grave”.
Ma perché?
“La sconfitta, un dolore insopportabile. A volte piangevo sotto la doccia. Due anni fa, mia figlia Sandra mi ha confessato che da piccolina, diciamo verso i sei/sette anni, dal passo che avevo entrando in casa lei capiva se avessi vinto o perso. Non ci potevo credere. Pensate come ero messo! Peggio di Shining”.
Cosa ricorda di quei momenti?
Non avevo amici tra i calciatori, ero troppo orgoglioso per chiedere la maglia a un Maradona o a un Van Basten. E poi, visto come li menavo, non me l’avrebbero neanche data. Ero come accecato”.
Cento ammonizioni, cinquanta giornate di squalifica: con lei, gli arbitri non potevano sbagliarsi.
“I cartellini rossi o gialli erano automatici, ma non sempre meritati. Diciamo che con Pasquale Bruno si andava sul sicuro. Però, io non ero solo questo. Ero proprio forte. Mai sbagliato una partita importante o una finale. Annullai lo spagnolo Butragueño, stella del Real Madrid, marcandolo a uomo a tutto campo: vorrei vederne uno di adesso, giocare così”.
Lei odiava Roberto Baggio?
“È stato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi però mi pativa, mi insultava. E più lui parlava, più io lo menavo. Ma che gol mi fece in un derby! Con una finta mi mandò a rotolare in curva Maratona. Fenomeno”.
Un’altra volta, sempre in un derby contro la Juve, lei si prese otto giornate di squalifica: come andò?
“Il bianconero Casiraghi, fortissimo, l’avversario più cattivo che io abbia mai affrontato, simulò di avere subìto un fallo da parte mia. Ed eravamo già ammoniti tutti e due dopo neanche un quarto d’ora. L’arbitro Ceccarini, guarda caso quello di Iuliano e Ronaldo, estrasse un altro giallo e mi cacciò. Mi prese una crisi isterica, stavo vivendo una clamorosa ingiustizia, i compagni provarono a tenermi, Lentini mi stringeva, mi faceva male e io mi infuriavo ancora di più”.
Come finì?
“Otto turni di stop. Il martedì, Moggi venne negli spogliatoi e annunciò: ‘Pasquale, sono quaranta milioni di multa’, ovviamente in lire. Risposi: ‘Direttore, se devo pagare quaranta milioni, smetto di giocare’. E Moggi: ‘Allora puoi pure smettere’. Me li tolsero dallo stipendio fino all’ultimo centesimo”.
Cosa voleva dire, essere un difensore in quegli anni?
“Dover affrontare ogni settimana Maradona, Van Basten, Roberto Baggio, Vialli, Careca, Batistuta. Se non eri un fenomeno non giocavi in serie A, e anch’io modestamente lo ero. Rispetto ai marcatori di oggi, Pasquale Bruno era un fuoriclasse. Tra i miei colleghi attuali, neppure uno sarebbe titolare in quel Milan, in quella Juve, in quel Torino. Oggi Gullit segnerebbe 150 gol”.
Il più grande?
“Beh, Maradona. Lo menavi e non cadeva mai, con quel baricentro basso che aveva. Se facevi spalla a spalla con lui, che era tostissimo, finivi a terra tu. Non lo abbatteva nemmeno Vierchowod, cioè il più forte marcatore di quell’epoca”.
Una volta Van Basten si mise a ballare sopra di lei, a terra. Perché?
“Avevo appena fatto autogol, e non mi rendevo conto della sua presa in giro. Quando mi rialzai e tornai in me, dissi all’olandese: ‘Resta in campo, ti prego resta in campo’. Purtroppo, e per fortuna per lui, Capello lo sostituì”.
Lei se la prese anche con Ancelotti.
“Un gigante, Carletto, forte forte, mica un fighetta. Gli dicevo: ‘Oggi ti faccio finire la carriera’. E lui, sempre a battersi senza scappare. Un altro che non scappava mai era Vialli. Lo menavo di brutto e Luca, imperterrito, mi guardava e mi diceva: ‘Pasquale, stai tranquillo’. Così mi disarmava”.
L’ avversario più indisponente?
“Forse Paolo Di Canio, grande giocatore e gran cacacazzi. Appena lo sfioravi, si buttava a terra e piagnucolava”.
(…)
Pasquale, ci dica: che fine ha fatto ‘O animale?
“Un giorno il mio compagno Roberto Tricella, dopo un allenamento alla Juve, si rivolse ai giornalisti: ‘Adesso accompagno a casa Pasquale Bruno detto ‘O animale’. Io sorrisi ma non capivo. Poi, feci delle ricerche e scoprii che Tricella si riferiva a Pasquale Barra, un celebre sicario della camorra che era soprannominato così. La presi male: non potevo essere chiamato come un assassino. Poi, si sa come sono i giornalisti, e da quel momento fui ‘O animale per sempre. Dovetti sopportarlo”.
È vero che Dino Zoff è stato il suo maestro?
“Mi convocò nell’Olimpica quand’ero al Como. Mi ripeteva: ‘Pasquale, tu potresti giocare benissimo a calcio ma ti piace menare la gente. Io non capisco, ma fa’ come vuoi’”.
Come spiegherebbe il vostro calcio a un ragazzo di oggi?
“Gli direi che dopo una sconfitta io ero ferito, soffrivo, piangevo e mi disperavo, mentre i giocatori di adesso perdono una finale e vanno in discoteca o al ristorante. A un ragazzo di oggi, direi: non sapete cosa vi siete persi”.
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ho provato a non andarci al mare
ma non ho mai ho trovato nulla di così speciale,
pensando a tutte le volte che mi son sentito banale,
steso s’un letto a cercare di non pensare,
nei miei anni vissuti correndo
a cantare e sperare, lavorare e studiare,
mentre fuori pioveva ed io scappavo via
pensando fosse giusto così,
immergermi nei miei luoghi comuni
che dico di odiare
e poi la crisi occidentale,
le rivoluzioni nelle strade
la voglia di ballare
in quei posti affollati
facendo finta di niente,
le nostre camicie sbottonate,
pre sbornia nel solito baretto
pre sbornia seduti s’un muretto,
e poi ancora ballare ballare ballare
il 1998,
e poi il 2002,
gli articoli 31 alla radio,
la mia ragazza eri tu
anche se non mi menavi
anche se non mi parlavi.
Perdo accendini
Come se avessi le tasche bucate,
perdo la testa
nelle mie mareggiate,
cercando di dimenticare
quante notti ho passato senza amare
in questo museo antico
che sembra il mondo
mentre cerco un'altra opera d'arte
che non siano i tuoi occhi
nei miei anni vissuti male
a cantare e sperare, lavorare e studiare
mentre fuori pioveva
ed io scappavo via
cercando l'orizzonte
scappando da caronte
pensando d'aver la certezza
di riuscire a nuotare
e poi distinguere
il sapore del sale
da quello dello zucchero
poi però
ho baciato la tua pelle
in piedi in macchina,
stesi in discoteca
come i bicchieri abbandonati
in mezzo la pista,
come sguardi persi
in mezzo ad una rissa,
e poi la crisi occidentale,
le rivoluzioni nelle strade
la voglia di ballare
in quei posti affollati
facendo finta di niente,
le nostre camicie sbottonate,
pre sbornia nel solito baretto
pre sbornia seduti s’un muretto,
e poi ancora ballare ballare ballare
il 1998,
e poi il 2002,
gli articoli 31 alla radio,
la mia ragazza eri tu
anche se non mi menavi
anche se non mi parlavi.
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perdo accendini
come se avessi le tasche bucate,
perdo la testa
come se fosse una bottiglia in mezzo al mare,
ma tu ricordi i nostri venerdì sera?
le nostre camicie sbottonate,
pre sbornia nel solito baretto
pre sbornia seduti s'un muretto,
e poi ancora ballare ballare ballare
nei nostri venerdì sera,
la nona sinfonia,
il 1998,
e poi il 2002,
ci siam rivisti dopo quattro anni,
gli articoli 31 alla radio,
la mia ragazza eri tu
anche se non mi menavi,
anche se amavi questo stupido guaio
che son io,
cioccolato fondente,
un bicchiere di rum
succo alla pera,
non ne capivamo niente noi
però nei nostri venerdì sera
ci sentivamo così grandi,
pronti ad esplodere,
pronti a vivere
pre sbornia, pre sesso, pre tutto,
il 1998
e poi il 2002,
ci siam rivisti dopo quattro anni,
gli articoli 31 alla radio,
i lividi sulla tua pelle,
i meteoriti sulle mie guance,
i baci sapor sapone,
che cazzo di gusto c'ha il sapone,
e poi ancora ore ed ore
in piedi in macchina,
stesi in discoteca
come i bicchieri abbandonati
in mezzo la pista,
come sguardi persi
in mezzo ad una rissa,
continuo a perdere accendini
e venerdì sera
dentro le tasche
dei tuoi capelli ricci.
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