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#mosaicos poeticos
mosaicos-poeticos · 3 days
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@dibujitos.felices
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sounds-right · 2 years
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Ugo Crepa: ecco “Non mi vuoi più bene" feat Dutch Nazari 
Dall' 8 luglio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "Non mi vuoi più bene" (Blackcandy Produzioni) feat. Dutch Nazari, il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali.
"Non mi vuoi più bene" prodotto da foolviho racconta la fine di una relazione d'amore terminata male, dove si arriva quasi a odiare l'ex partner. Si sa però, che i due sentimenti sono complementari e l'ombra del ritorno è sempre dietro l'angolo.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto' 
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
Dopo "Tu da quando sei qua?", venerdì 8 luglio 2022 uscirà in radio "Non mi vuoi più bene", il nuovo singolo di Ugo Crepa con il featuring di Dutch Nazari.
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Ugo Crepa: dall’8/7 "Non mi vuoi più bene" feat Dutch Nazari 
Dall' 8 luglio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "Non mi vuoi più bene" (Blackcandy Produzioni) feat. Dutch Nazari, il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali.
"Non mi vuoi più bene" prodotto da foolviho racconta la fine di una relazione d'amore terminata male, dove si arriva quasi a odiare l'ex partner. Si sa però, che i due sentimenti sono complementari e l'ombra del ritorno è sempre dietro l'angolo.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto' 
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
Dopo "Tu da quando sei qua?", venerdì 8 luglio 2022 uscirà in radio "Non mi vuoi più bene", il nuovo singolo di Ugo Crepa con il featuring di Dutch Nazari.
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tarditardi · 2 years
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Ugo Crepa: ecco “Non mi vuoi più bene" feat Dutch Nazari 
Dall' 8 luglio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "Non mi vuoi più bene" (Blackcandy Produzioni) feat. Dutch Nazari, il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali.
"Non mi vuoi più bene" prodotto da foolviho racconta la fine di una relazione d'amore terminata male, dove si arriva quasi a odiare l'ex partner. Si sa però, che i due sentimenti sono complementari e l'ombra del ritorno è sempre dietro l'angolo.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto' 
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
Dopo "Tu da quando sei qua?", venerdì 8 luglio 2022 uscirà in radio "Non mi vuoi più bene", il nuovo singolo di Ugo Crepa con il featuring di Dutch Nazari.
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fashionbooksmilano · 3 years
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I giochi delle Muse
Caterina Napoleone per Paola Lenti
Corraini Edizioni, Mantova 2021, 204 pagine, 28x20cm,  brossura + sovracopertina, testo italiano e inglese, ISBN  9788875708955
euro 45,00
email if you want to buy :[email protected]
È un viaggio poetico e ricco di suggestioni, a tratti onirico, quello che Paola Lenti, sotto la guida esperta della storica dell’arte Caterina Napoleone, ha compiuto in Italia alla ricerca di mosaici più belli. Non solo quelli di siti archeologici celeberrimi come Pompei, ma anche quelli dalla bellezza trascurata, celati in località misconosciute o poco note al grande pubblico; consunti dall’oblio e dallo scorrere del tempo.Paola Lenti è andata a scovarli con la meticolosità di una storica e lo stupore di una neofita, alla ricerca di suggestioni e assonanze con altre trame e orditi: quelle dei filati e dei tessuti della sua azienda, che sin dalla nascita compongono i “mosaici” colorati dei suoi tappeti e i rivestimenti dei suoi mobili. Ne è nato un libro, l giochi delle Muse (Corraini Edizioni), che rivela le corrispondenze cromatiche tra frammenti di mosaici e scampoli di tessuti; le analogie compositive tra pavimenti di antiche domus patrizie e tappeti cuciti e decorati a mano; le similitudini tra l’artigianalità della Roma imperiale e quella contemporanea dell’azienda di Meda.Una sorta di viaggio à rebours  nell’arte del mosaico che si dipana da Nord a Sud – lungo un’asse immaginaria che va da Murano a Brescia, da Oplontis sino a Piazza Armerina – ricomponendo, tappa dopo tappa, le tessere di quelli che Caterina Napoleone definisce «tappeti di pietra».Un libro da sfogliare alla scoperta di un patrimonio inestimabile e di ciò che continua a rendere unico il nostro Paese: la sapienza artigiana.
06/10/21
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+++ NOVITA' IN LIBRERIA +++
➡️ Passaggio al Bosco Edizioni
Renzo Giorgetti
DIZIONARIO DI MIGUEL SERRANO
Il pensiero di Miguel Serrano, vasto e complesso come pochi altri, si presta a facili fraintendimenti ed errate interpretazioni. Studiare, ordinare e codificare l’immenso lavoro del pensatore cileno - pertanto - significa comprenderne il senso profondo, indagandone le prospettive, gli slanci e le analisi.
L’autore - con questo Dizionario - ha compiuto una ricerca di grande valore, mettendo insieme i tanti tasselli di un mosaico che - nella sua monumentalità - presenta la Forma coerente ed organica della weltanschauung: dai simboli religiosi ai rimandi esoterici, dallo studio del nazional-socialismo alle origini del Mito, dall’allegoria all’archetipo, dalla parola antica alle manifestazioni della Tradizione, dal rito ai segni sacri.
Identificare e interpretare i concetti di una trama complessa – dunque – significa approcciarsi ad una totalità che deve essere conosciuta nella sua interezza, armonizzando i singoli elementi nel più ampio orizzonte del pensiero analogico, poetico e mitico di Serrano, dove spirito e intelletto vengono egualmente risvegliati dalla potenza dei riferimenti perenni e sovra-razionali.
Editore: Passaggio al Bosco
Anno: 2019
Collana: Bastian Contrari
Pagine: 338
Formato: 14,8 x 21
Legatura: Brossura
Prezzo: 18,00 euro
Isbn: 978-88-85574-25-0
ACQUISTA LA TUA COPIA:
➡️ www.passaggioalbosco.it
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handsg0ld · 5 years
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Blade Runner è la quintessenza del cyberpunk esistenzialista declinato con i toni del noir: un "hard boiled" sci-fi di chiara matrice filosofica, che indaga e s'interroga sulla dimensione dell'essere umano, sul rapporto uomo-macchina, sul ruolo di dio, sul senso del tempo, sull'importanza dei ricordi nell'identità di un essere vivente. Una visione antropocentrica di una raffinatezza rara, che rielabora il mito della creazione e della ribellione al proprio demiurgo in chiave retrofuturistica. Ma il capolavoro di Ridley Scott, capace di generare un'eredità culturale senza precedenti, è anche un organismo filmico proteiforme, in continua evoluzione, che ha cambiato volto e sembianze molte volte nei 35 anni trascorsi dal suo esordio. Sono infatti ben sette le versioni di Blade Runner che si sono susseguite nel tempo: ognuna possiede un tassello aggiuntivo del grande mosaico di Scott, dettagli minuscoli o macroscopici che possono ora arricchire ora stravolgere completamente la chiave di lettura tramite cui interpretare la pellicola. Con Blade Runner 2049 ormai nelle nostre sale abbiamo pensato di rinfrescarci la memoria, analizzando non tanto le differenze che intercorrono tra tutte le edizioni, bensì le disparità artistiche e concettuali che separano la Theatrical Version (anche nota come Domestic Cut) del 1982 e la Final Cut del 2007, decisamente quella più vicina all'idea partorita da Ridley Scott durante la stesura dello script originale. "I didn't know how long we had together...who does?" Sebbene la bellezza visiva dell'opera rimanga pressoché invariata a prescindere dal numero di versioni che sono state realizzate, a mutare profondamente sono sia alcuni aspetti stilistici, sia il sostrato narrativo alla base del concept del film. Anzitutto - e questo è uno dei cambiamenti più evidenti e significativi - la Domestic Cut, ormai "ritirata" dal mercato, presenta l'aggiunta della voce fuori campo di Harrison Ford, del tutto rimossa nella Final Cut: lo spettatore viene così messo al corrente dei pensieri di Rick Deckard, che accompagnano la visione attraverso la descrizione di situazioni ed eventi che, in nome del fascino enigmatico che permea la pellicola, avrebbero potuto (e forse dovuto) rimanere taciuti. La presenza di questo narratore esterno, inserito dopo le reazioni altalenanti dei primi screen test, rappresentava una chiara concessione al "grande pubblico": molti dei temi trattati da Blade Runner posseggono infatti un impatto oscuro, ermetico, fumoso, proprio come il grigiore che avvolge il cielo e le strade della Los Angeles del 2019. Era - ed è - un film che procede per indizi ed allusioni, che non prende per mano lo spettatore nel tentativo di spiegargli, più nel dettaglio, il significato delle sequenze cui sta assistendo. L'introduzione forzata della voce narrante è emblematica di come le esigenze di distribuzione abbiano finito per prendere il sopravvento su quelle artistiche: pertanto nella Final Cut, in cui il cantilenante commento di Ford lascia il posto ad un riflessivo silenzio (riempito solo dalla musica dei Vangelis), Blade Runner ritrova l'essenza primigenia della sua filosofia. Non si spiega, si interpreta. Ne è un chiaro esempio la sequenza in cui Deckard osserva le fotografie artefatte di Rachel, che mostrano la fittizia infanzia della ragazza (uno dei replicanti più elaborati della Tyrell Corp). Una scena delicata ed intima, che nello sguardo ruvido di Ford, pennellato di leggera tristezza, trova la sua massima espressività: le istantanee del passato, le memorie dei giorni d'infanzia, l'elaborazione di un ricordo inesistente hanno reso Rachel più "umana" di altri replicanti, non perché caratterizzata da emozioni diverse o "superiori", ma perché vive nella totale illusione di essere una vera donna. In questo modo, un simile momento assume un valore molto più profondo rispetto a quello smaccatamente sentimentale propinato dalla Theatrical Version. Quando Deckard scruta le fotografia di una piccola (finta) Rachel con sua madre, d'altronde, in sottofondo possiamo sentire: "Non era previsto che i replicanti avessero sentimenti, neanche i cacciatori di replicanti. Cosa diavolo mi sta succedendo?". Ecco che il focus si sposta su un piano più romantico, sull'umanizzazione veicolata tramite la semplice e schietta emotività. Il ricorso all'esplicitazione finisce inevitabilmente per intaccare anche lo strepitoso personaggio di Roy Batty (interpretato da un Rutger Hauer in stato di grazia): la psicologia di questo "villain" nella Final Cut è trasmessa allo spettatore per lo più dalle sue azioni, dal suo brutale patricidio e dalla inaspettata decisione di risparmiare Deckard, proferendo uno dei monologhi più celebri (e magnetici) della storia del cinema. E proprio le ultime parole di Roy sono esemplificative del mood che si respira in Blade Runner: i raggi B, le porte di Tannhauser e i Bastioni d'Orione sono immagini che stimolano la fantasia dello spettatore, la sua personale interpretazione. Prende forma così una mitologia futuristica che fa dell'ermetismo il suo più grande appeal: chi osserva la pellicola si trova insomma costretto a fantasticare, ad elaborare nella propria mente il significato di ciò che ha ammirato, senza il bisogno di essere "imboccato" con futili spiegazioni. Ed invece, poco dopo la morte di Roy, mentre nella Final Cut l'inquadratura indugia semplicemente sul volto di un Deckard tumefatto e rattristito, nella Domestic Cut si cerca di dare un significato limpido e manicheo sulle azioni compiute dal Replicante: "Io non so perché mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l'avesse mai amata... Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: "Da dove vengo?" "Dove vado?" "Quanto mi resta ancora?" Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire". Al di là di una scrittura non certo impeccabile, la distanza tra le due scelte narrative è lampante, e il "non-detto" assume una valenza molto più potente. Anche in questo caso, l'edizione dell'82 è quella più "edulcorata", di facile comprensione, che propone una precisa linea interpretativa sia delle emozioni di Rick, sia delle domande esistenziali che la Final Cut, implicitamente, si limita soltanto, e con più eleganza, a sottintendere. Eppure, come è noto, la Theatrical Version prende maggiormente le distanze dall'edizione definitiva soprattutto sul finale. La Domestic Cut, infatti, contiene al suo interno il cosiddetto "happy ending", una conclusione patinata e cucita a forza su di un tessuto cinematografico dalla trama tragica, dolorosa, impietosa. Diversamente dalla versione del 2007, in cui Deckard accetta la limitata durata di Rachel, decidendo di rimanerle accanto con la consapevolezza che "lei non vivrà", nella versione precedente il blade runner fugge via con la Replicante lungo un panorama arioso, naturalistico, soleggiato e terso, in netta contrapposizione con l'opprimente fumo della perenne notte di Los Angeles. "Tyrell mi ha detto che Rachel era speciale: nessuna data di termine. Non sapevo per quanto tempo saremmo stati insieme. Ma chi è che lo sa?". Un finale da fotoromanzo, inginocchiatosi alle logiche della diffusione su larga scala, realizzato in modo un po' posticcio montando insieme le riprese di una panoramica aerea, scartate da Kubrick durante la lavorazione di Shining. Cose per cui il dio della biomeccanica non ti farebbe entrare in Paradiso... Accantonando le variazioni stilistiche e contenutistiche delle due opere, probabilmente la differenziazione più importante riguarda la reale identità del personaggio principale. La Final Cut, d'altronde, possiede un nucleo tematico sottocutaneo che si annida, subdolamente e intelligentemente, nelle pieghe del film, mostrandosi in modo sporadico soltanto a fasi alterne, con piccoli indizi del tutto assenti nella Theatrical Cut. Ci riferiamo, prevedibilmente, alla teoria (di recente, purtroppo, confermata da Scott in una dichiarazione che ha privato la pellicola del suo accattivante alone di mistero) secondo la quale Deckard sarebbe in realtà un replicante a sua volta. Coerentemente con il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, nella Domestic Cut Deckard è un essere umano, un ex sbirro con alle spalle un divorzio e un lavoro che non amava. Nella versione del 2007, di contro, una scena lascia intendere la natura artificiale del protagonista che, ad occhi aperti, dinanzi ad un pianoforte, sogna un bianco unicorno. Questa piccola sequenza onirica dona tutt'altro senso all'origami che, nel finale, Gaff (forse il "vero" blade runner del film) pone davanti all'appartamento di Deckard: un unicorno di carta, lasciato in quel luogo come monito, avvertimento, rivelazione. È come se Gaff fosse a conoscenza dei suoi sogni, permettendoci così di intuire che questi siano stati impiantati nella mente del protagonista allo stesso modo degli innesti di Rachel. Sono altre le prove a supporto della tesi (ad esempio, l'incredibile resistenza fisica di Rick, la sua passione per le foto - piuttosto comune tra i replicanti -, il presunto luccichio nei suoi occhi, simile a quello delle altre creature artificiali), così come non mancano alcune ipotesi che la contraddicono: a prescindere dall'effettiva validità di una simile supposizione, tuttavia, quel che conta è l'alto grado di suggestione e stimolo intellettuale che è in grado di offrire, capace di riscrivere la linea interpretativa sia dell'opera nella sua interezza, sia del finale, il quale acquisisce quindi un tono ancora più poetico, affranto ed ineluttabile. In tal modo, Deckard avrebbe una data di scadenza, un termine ultimo piuttosto ravvicinato. Varrebbero così anche per lui le parole che Gaff ha pronunciato per Rachel: "It's too bad she won't live. But then again, who does?" (in italiano tradotte come: "Peccato però che lei non vivrà! Sempre che questo sia vivere."). E la risposta ad un tale interrogativo ce la fornisce Eldon Tyrell, il magnate che ha dato vita alla generazione di Replicanti: non è la quantità di anni a determinare la qualità dell'esistenza. Perché, in fondo "la luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo".
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pangeanews · 6 years
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“Pound bisognerebbe soltanto leggerlo, ogni pagina è una sorpresa, ma oggi l’interesse langue…”: dialogo con Massimo Bacigalupo
Nonostante Ezra Pound sia morto da quel dì – il primo novembre sono 46 anni – e il suo esordio poetico risalga a più di un secolo fa, era il 1908 – si pagò la ‘placca’, A Lume Spento, a Venezia – basta pronunciare il suo nome per infiammare la Storia. Nessun artista nel Novecento – il secolo che ha rivoltato l’arte fino al suo esaurimento – è stato così decisivo in campo artistico – ha cambiato il modo di fare poesia in Occidente – e così pronto a scendere, pagando tutto, fino all’ultimo, nell’agone del secolo. I Cantos, questa specie di monolite lirico, un totem in pietra lavica, lavacro di ogni sapienza raggiunta, sono il poema ineludibile, l’ultimo tentativo di una poesia ‘totale’, dantesca. Ora, editorialmente, assistiamo a una breve ‘rinascita’ di Pound: Alessandro Rivali ha appena pubblicato con Mondadori Ho cercato di scrivere Paradiso, che è l’esito di un decennio di chiacchierate con la figlia di Pound, Mary de Rachewiltz, mentre Aragno ha in cantiere una raccolta di interviste di Pound; d’altro canto, l’anno scorso, Mondadori ha rimandato in libreria i Cantos scelti, l’editore ‘da collezione’ De Piante ha pubblicato l’inedito di Piero Chiara, Viaggio con Ezra Pound, mentre Guanda ha ristampato i XXX Cantos tradotti da Massimo Bacigalupo, un lavoro essenziale se non altro perché è l’unica traduzione del poema poundiano risolta da uno specialista (I Cantos nei ‘Meridiani’ Mondadori sono per mano della figlia di Pound, Mary). Massimo Bacigalupo, anglista di genio (per i ‘Meridiani’ Mondadori ha curato, tra l’altro, l’opera di Wallace Stevens; curiosità, la nota Wikipedia di Bacigalupo in inglese è assai più densa di quella in italiano…), nato come regista di cinema ‘d’avanguardia’, ha curato i libri più importanti in Italia di Pound, anche per ragioni ‘biografiche’ (a Rapallo, ‘Ez’ giocava a tennis con il papà di Bacigalupo): i Canti postumi (Mondadori, 2002) e il testo esegetico L’ultimo Pound (Edizioni di Storia e Letteratura, 1981). Insomma, è inevitabile invitarlo al dialogo. (d.b.)
110 anni fa, A Lume Spento, a Venezia, la città dove Ezra Pound è sepolto. Come a dire, gli estremi si toccano. Che cosa c’è di ‘poundiano’, già, in quegli esiti d’esordio?
A Lume Spento è fin dal titolo dantesco già un coacervo poundiano, un libretto di versi indifesi che Pound pubblicò a sue spese e che piacque a Yeats per i suoi ritmi insoliti, le mitologie, l’evocazione di menestrelli medievali (Cino, Peire Vidal, Bertran de Born) simili ai suoi rapsodi irlandesi. C’era musica, sensualità, trepidazione… Già l’anno successivo, 1909, molte di quelle poesie tornano in Personae, altro titolo fantasmagorico (mutuato da Browning) che quasi vent’anni dopo sarà il titolo della raccolta d’autore delle liriche poundiane. Raccolta del resto purtroppo mai tradotta integralmente. Il Pound innamorato del passato e il Pound avanguardista al suo meglio, con cose meno riuscite e frivolezze e prosaismi che pure gli valsero il plauso dei nostri lettori più avvertiti, da Montale a Sanguineti. “La poesia deve nascere dalla prosa, questa la sua grande scoperta…”.
Uno dei cuori pulsanti dei Cantos è l’icona del Tempio Malatestiano, se non altro perché lì l’epopea pagana si salda al primo Rinascimento; perché il potere del condottiero si connette con l’impresa artistica; perché c’è il sarcofago di Pletone, maestro del neoplatonismo rinascimentale; perché una analogia c’è tra il romagnolo Malatesta e il romagnolissimo Mussolini. Pound, per altro, torna a Rimini, dopo la gita del 1922-23, insieme a Olga Rudge, nel medesimo Tempio, ad assistere a un concerto, nel cartellone della Sagra Malatestiana. Che cosa c’è di così attrattivo in quel Tempio per Pound? D’altronde, il poeta unisce l’impeto poetico-cosmico di Whitman alla filosofia di Confucio, la parola artistica al fatto politico… Da dove nasce questa facoltà sincretica?
Qui cominciano le infinite storie di Pound, la sua capacità di scoprire e appassionarsi che spesso si comunica al lettore. Sigismondo è un po’ dannunziano, l’esteta armato, e Pound pensava di mettere insieme nei Canti malatestiani (VIII-XI) poesia e filologia, recandosi negli archivi di mezza Italia, trascrivendo e citando. Gli piaceva il sapore del reperto archeologico. Mi sono accanito a seguirne le tracce traducendo per Guanda i XXX Cantos, che appunto comprendono le imprese di Malatesta. Ma che argomento strampalato! Riflettersi in un bandito-condottiero-mecenate-poeta del Quattrocento… Il lettore deve stare al gioco, poiché Pound vede i momenti epici ma anche quelli umoristici ed erotici. Suona la grancassa, poi c’è la vocina stridula del ragazzino innamorato. Le tante voci, i cambi di registro, le tessere del mosaico. Un’esperienza unica per chi ci si immergerà. Fra l’altro nella mia “traduzione” non ritraduco i testi rinascimentali ma li cito dall’originale. C’è da smarrirsi e divertirsi: “Ala capella de li martori non avemo comenzato ancora a metere in opera prede vive per do casione”… E un reperto di cui mi vanto per la chiusa del Canto X: “Loro sonno più giente assai che noi semo, / ma noi semo più homini” (alla vigilia di una battaglia).
In L’ultimo Pound lei riconosce nei Pisani una ‘svolta’ della lirica dei Cantos: la vita e l’opera del poeta, in qualche modo, finalmente, coincidono. Ma l’utopia di Pound, della poesia come maestra di vita politica, è realizzabile, non è un mirabile, tragico fallimento?
Ma certo, l’utopia è caratterizzata dal fallimento. Pound è uno scrittore epidermico, parla di quel che ha sotto gli occhi e gli passa per la testa. Ha la fortuna di imbroccare delle magnifiche trovate, memorabili. Tutto il resto, come dice lui, è zavorra, scoria. Politica, economia, blablah…
Chi fu sinceramente vicino a Pound durante gli anni dell’internamento al St. Elizabeths tra i poeti e gli scrittori del suo tempo?
Quasi in prima fila l’allora giovane Robert Lowell, con problemi psichiatrici suoi. Era assai autorevole e fece avere all’amica indigente Elizabeth Bishop il posto di Consulente per la Poesia alla Library of Congress (che poi si sarebbe chiamato di “poeta laureato”). La Bishop, signora assai per bene, per sdebitarsi visitò spesso Pound. Ne nacque la più bella poesia o critica su di lui scritta, “Visite a St. Elizabeths”. “Questa è la casa dei matti. / Questo è l’uomo che giace nella casa dei matti…”. È uscito di recente un bel libro su quel periodo di deliri e produttività: The Bughouse (cioè il manicomio) di Daniel Swift.
Ne L’ultimo Pound scrive che “il suo progetto irrealizzato d’un paradiso terreste ci è più caro oggi degli esiti pacifici di coloro che non si perdono”. Su questo punto le chiedo: su quale verso Pound intendeva terminare i Cantos? 
L’ultimo Canto è il CXVI, che scrisse a Rapallo verso settembre 1959: “Un po’ di luce, come un fuoco di stoppia, / per ricondurre allo splendore”. Era stato colpito dal nome di una stradina di Rapallo, il Vico dell’Oro. I versi sono citati su una targa sul lungomare rapallese… I testi pubblicati dopo il CXVI nell’edizione ‘Meridiani’ (la migliore in circolazione) sono delle rimanenze.
Che cosa ci resta da indagare nell’opera di Pound, a suo avviso?
Resta da divertirsi (se ci si riesce) a leggerlo. Ogni pagina apre dei percorsi stravaganti, e spesso è poesia. Che c’è e non c’è, si fa aspettare. I Canti postumi da me editi nello Specchio Mondadori sono pieni di sorprese. Decine di pagine in italiano, abbozzi del 1945, su cui nessun italianista si è per ora pronunciato. In realtà l’interesse per Pound langue. Basti dire che l’edizione inglese dei Posthumous Cantos da me curata non ha avuto nessuna recensione o quasi in America, e dire che si trattava di un centinaio di pagine di inediti e testi dispersi di una delle massime figure della storia letteraria americana. La ristampa del 2017 dei Cantos scelti negli Oscar ha una lunga e impegnata prefazione di Giuseppe Montesano, un bel testo, raro in Italia, che mostra come è possibile avvicinare Pound oggi, affacciarsi sul turbine. Ma credo che i Canti postumi diano un’idea migliore del poema in fieri, non raggelato nei testi canonici.
Tra le varie donne che hanno agito nella vita di Pound, ricordo l’evanescente dolcezza de ‘La Martinelli’, con cui Pound fa una pubblicazione per Scheiwiller. Di lei si sa molto poco: ce ne può parlare?
Sheri non era per nulla evanescente, una figlia dei fiori eroinomane a cui Pound pagò uno studio e un processo. (Vedi il memoriale Fine al tormento di H.D./Hilda Doolittle, edito da Archinto.) Era una fonte di poesia intemperante di cui Pound si invaghì e che a suo modo sfruttò per tornare adolescente nell’ospedale psichiatrico, giocare a scambiarsi bigliettini, magari qualche bacio rubato. Tutto perché poi la penna scrivesse quei versi memorabili: “Castalia è il nome di quella fonte nella piega del colle / Il mare sotto, battigia sottile”. Magari la fonte e la piega saranno ciò che la musa porta nel grembo. “Hai trovato nido più soffice del cunnus? (la vagina – Canto XLVII). Tenera Martinelli! Raccontò a Bukowski che quando Pound le lesse il “suo” (di Sheri) Canto, il XC, gli vennero (a Pound) le lacrime agli occhi e le disse. “Questa è una delle più belle poesie d’amore mai scritta”. Bukowski era alquanto scettico. Ma questo era l’adorabile e detestabile Pound.
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carmenvicinanza · 3 years
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Leonor Fini, artista libera e dissacrante
https://www.unadonnalgiorno.it/leonor-fini/
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Leonor Fini è stata un’artista poliedrica e cosmopolita del secolo scorso. Tanti i campi in cui si è cimentata, pittura, scenografia, scrittura, è stata illustratrice e disegnatrice.
Un tema costante che ha accompagnato la sua esistenza è stato quello delle maschere, del travestimento come gioco ma anche come fuga e stratagemma per sfuggire alle difficoltà.
La sua è stata una lunga vita vissuta con grande libertà assecondando i suoi impulsi e desideri. Ha scandalizzato, provocato, indomita e fiera. Amante del nero e di abiti ondeggianti, di cappe e mantelli, tanti scatti la vedono in posa come un’istrionica femme fatale.
Leonor Fini nacque a Buenos Aires il 30 agosto 1907, il padre era argentino di origini beneventane e la madre triestina di origini tedesche. I genitori si separarono presto e in maniera molto conflittuale. Aveva solo due anni quando sua madre scappò da quell’uomo violento riportandola in Italia, nella sua città natale. Il padre lottò fortemente per riprendersi la figlia, al punto da attuare un tentativo di rapimento. Per evitare che potessero portargliela via, la madre la portava in giro travestita da maschietto.
La consuetudine precoce al mascheramento, lasciò il segno in tutta la vita in cui creò per se stessa abiti concepiti come maschere, per scandalizzare, per nascondersi o per trasformarsi in una di quelle creature femminili quasi mitologiche che furono spesso al centro della sua arte.
Leonor Fini iniziò a disegnare fin da piccola. Una lunga malattia agli occhi che la costrinse a restare nell’oscurità per alcuni mesi, potrebbe essere stata la causa scatenante delle sue visioni oniriche.
Imparò l’anatomia nell’obitorio di Trieste, espose per la prima volta a 17 anni. Per un periodo si trasferì a Milano, dove fu in contatto coi più importanti artisti dell’epoca. Ebbe una relazione con Achille Funi conosciuto dopo aver creato un mosaico per il Palazzo della Triennale.
Dal 1931, Parigi divenne la sua patria d’elezione. Christian Dior, che ai tempi era un gallerista, le organizzò una mostra nel 1932 e le fece conoscere Elsa Schiaparelli, l’esuberante stilista con cui nacque una grande affinità culminata nel ’36 con la creazione della boccetta del profumo Shocking, fra i più famosi dell’epoca.
Entrò in stretto contatto con l’ambiente dei surrealisti, anche se non si unì mai ufficialmente al movimento, forse a causa degli atteggiamenti misogini del teorico del gruppo André Breton.
Tutta la sua vita e la sua carriera artistica furono all’insegna della libertà e della sperimentazione, per misurarsi nei territori creativi più diversi.
Si legò sentimentalmente allo scrittore André de Mandiargues, presentatole da Henri-Cartier Bresson: un legame libero e costellato di viaggi.  Peggy Guggenheim la introdusse al MoMa di New York dove partecipò alla mostra Fantastic Art, Dada and Surrealism.
Sposò Federico Veneziani da cui si separò presto. In uno dei suoi viaggi nel Principato di Monaco, durante una prima teatrale conobbe il console Stanislao Lepri che, innamoratosi follemente di lei, decise di lasciare la sua professione per dedicarsi alla pittura. Tornata a Roma, firmò i costumi di varie opere liriche, e strinse un’amicizia con Elsa Morante che durerà tutta la vita. Ben presto la neonata coppia si trasformò in un trio in cui entrò a far parte uno scrittore polacco, Kostantin Yelensky. Il loro fu un indelebile triangolo amoroso, una convivenza che durò per ben trentasette anni, fino alla morte di Lepri, nel 1980.
In seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo essere stata ospite di Salvador Dalí, nel Nord della Francia, tornò in Italia. A Roma divenne la protagonista della ritrattistica ufficiale del bel mondo capitolino. Alternava la mondanità cittadina a lunghi soggiorni estivi passati presso la torre di Anzio, sul lungomare laziale oppure presso il monastero abbandonato di Nonza, in Corsica. Qui riuniva i suoi amici più intimi per dei veri e propri sabba basati sul travestimento, sulla fotografia, sulla pittura e sul disegno.
A Parigi è stata protagonista di mostre internazionali, venne ritratta da Dora Maar e Man Ray, Lee Miller e Cecil Beaton. Per Les demoiselles de la Nuit, Leonor Fini creò costumi e maschere ispirati a una delle più grandi passioni della sua vita, i gatti. Anche Federico Fellini, fu affascinato dalla sua figura,le fece disegnare i costumi di una scena di Otto e mezzo.
Negli anni romani spiccano i ritratti di Alida Valli a seno scoperto, di Valentina Cortese e dell’amica Anna Magnani.
Verso la fine degli anni settanta, le scelte di Leonor Fini si spostarono verso tematiche più introspettive, la cosiddetta Kinderstube, la Camera dei ricordi, figure femminili sospese tra la sfinge e la bambola circondate da esseri inquietanti e asessuati che sembravano uscite da un allestimento teatrale per un’opera di Ibsen.
Negli ultimi anni della sua vita si ritirò in una fattoria nella valle della Loira assieme ai suoi 19 gatti.
Si spense il 18 gennaio 1996 a Parigi. Per rendere un ultimo poetico omaggio al suo amore, dispose di essere seppellita tra i suoi due amanti. Aveva fatto costruire un piccolo mausoleo a tre per restare con loro in un abbraccio eterno.
Il suo legame con il teatro, i suoi romanzi surrealisti, la sua passione per il disegno e la fotografia, i suoi tanti amori, il suo essere libera e dissacrante, come il suo originale concetto di fedeltà e l’amore per la vita, mostrano una personalità unica che, valicando i confini dell’arte si è collocata di diritto tra le figure più interessanti del Novecento.
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mosaicos-poeticos · 2 months
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@soyevelyn_04
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fedecostantini · 4 years
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[Scatto poetico: "Cristalli di Luna" Sydney 04.08.2020] Cristalli di ombra nel denso travaglio del fare. chiamata all'essenza, sottile richiamo d'inedito, scomposto mosaico in divenire, transito di un'ancestrale potenza Marina nel flusso vitale, drenaggio sfiancante di una Notte di Luna piena in terra australiana. Cristalli di Luce nel rarefatto parto dell'essere. #scattopoetico #poesia #anima https://www.instagram.com/p/CDkmVLZA6S_/?igshid=i7socqzgjria
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sounds-right · 2 years
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Ugo Crepa, il nuovo singolo è "Tu da quanto sei qua?"
Dal 20 maggio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni), il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" è un brano che racconta un qualsiasi pomeriggio primaverile in cui gli incontri, per quanto particolari, fanno parte della routine. La canzone è divisa in due momenti: il primo, l'appuntamento con un amico con cui non si ha molta voglia di argomentare, e il secondo, l'incontro, casuale, con una ex, con cui invece non si ha proprio niente da dire e la conversazione procede con frasi di circostanza. Il ritornello fa da collante tra le due situazioni vissute.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto'.
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo singolo di Ugo Crepa disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio 2022 e in rotazione radiofonica dal 20 maggio.
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Ugo Crepa, il nuovo singolo è "Tu da quanto sei qua?"
Dal 20 maggio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni), il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" è un brano che racconta un qualsiasi pomeriggio primaverile in cui gli incontri, per quanto particolari, fanno parte della routine. La canzone è divisa in due momenti: il primo, l'appuntamento con un amico con cui non si ha molta voglia di argomentare, e il secondo, l'incontro, casuale, con una ex, con cui invece non si ha proprio niente da dire e la conversazione procede con frasi di circostanza. Il ritornello fa da collante tra le due situazioni vissute.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto'.
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo singolo di Ugo Crepa disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio 2022 e in rotazione radiofonica dal 20 maggio.
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tarditardi · 2 years
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Ugo Crepa, il nuovo singolo è "Tu da quanto sei qua?"
Dal 20 maggio 2022 sarà disponibile in rotazione radiofonica "TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni), il nuovo singolo di Ugo Crepa già disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" è un brano che racconta un qualsiasi pomeriggio primaverile in cui gli incontri, per quanto particolari, fanno parte della routine. La canzone è divisa in due momenti: il primo, l'appuntamento con un amico con cui non si ha molta voglia di argomentare, e il secondo, l'incontro, casuale, con una ex, con cui invece non si ha proprio niente da dire e la conversazione procede con frasi di circostanza. Il ritornello fa da collante tra le due situazioni vissute.
Biografia
Ugo Pronestì, in arte Ugo Crepa, è un giovane rapper e cantautore di Napoli il cui suo sound spazia dal rap al new soul, dall'r&b al funk, e la sua scrittura è un poetico mosaico introspettivo.
Si avvicina alla cultura hip hop nel 2013 e negli anni entra a far parte di vari collettivi, tra cui Nero Su Bianco, Filefun, e la Tritolo, capitanata da Clementino, con all'attivo vari singoli come 'la metà di un minuto'.
Nel 2020 incontra sul suo percorso Squarta e Gabbo, con cui nasce una collaborazione attiva tutt'ora. Insieme a Foolviho e Alessandro Rase, producer napoletani pubblica Marigliano, che traccia la strada ai seguenti singoli fino ad arrivare a 'Laion' feat Clementino, passando per ' Postumi', 'Chillin', 'Scompariró' etc.
"TU DA QUANTO SEI QUA?" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo singolo di Ugo Crepa disponibile sulle piattaforme digitali dal 13 maggio 2022 e in rotazione radiofonica dal 20 maggio.
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tempi-dispari · 5 years
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'Mai più soli', la stagione 19/20 del Teatro Vascello
Una stagione ricca di novità quella del Teatro Vascello, frutto di un lavoro appassionato alla ricerca non solo di grandi titoli e grandi interpreti ma di sempre motivate e mai casuali scelte programmatiche. Un disegno di ampio respiro, con proposte diverse tra loro ma tutte riconducibili a un progetto culturale unitario sotto il segno della qualità.
Mai più soli è lo slogan della Stagione 2019 – 2020 che individua nel teatro il luogo ideale e privilegiato per incontrarsi, riflettere e confrontarsi con la realtà e la contemporaneità che ci circondano.
Stagione-Teatro-Vascello-2019-2020-Download
Si rinnovano relazioni già collaudate e si concretizza una nuova e inedita collaborazione con la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi guidata da Carolina Rosi con la quale il Teatro Vascello condivide ideali e futuri progetti.
Per una più immediata leggibilità gli spettacoli sono stati raggruppati in diverse sezioni.
Il nuovo abbonamento di prosa è composto da 9 proposte di artisti diversi per sensibilità, ma accomunati dal loro indiscusso talento.
Drammaturgia contemporanea con Stefano Massini, Spiro Scimone, Enzo Moscato:
– Alessandro Preziosi è l’intenso protagonista di Vincent Van Gogh L’odore assordante del bianco, uno spettacolo prodotto da Khora.teatro con la regia di Alessandro Maggi e la drammaturgia di Massini – asciutta ma ricca di spunti poetici – che riflette sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea (26 novembre – 1° dicembre).
– Scimone e Sframeli si misurano per la prima volta con Pirandello e con i Sei personaggi in una versione calorosamente festeggiata che, dopo una lunga tournée, arriva finalmente a Roma; uno spettacolo in perfetto equilibrio tra comicità e feroce ironia diretto da Francesco Sframeli, anche in scena con un nutrito cast di giovani attori (3-8 dicembre).
– Una sanguigna e tenerissima Imma Villa diretta da Carlo Cerciello, dà voce e corpo a Scannasurice di Enzo Moscato, uno spettacolo emozionante pluripremiato che torna a Roma dopo gli unanimi consensi ottenuti dal pubblico e dalla critica e che è ormai diventato un apprezzato piccolo “cult” (10-15 marzo).
Due i classici: La tempesta di Shakespeare e La locandiera di Goldoni.
Quella che arriva dal Teatro Biondo Palermo, a firma di Roberto Andò è una Tempesta ricca di spunti visionari, di elegante fattura e densa di suggestioni; nel ruolo di Prospero un attore di talento come Renato Carpentieri affiancato, tra gli altri, da Vincenzo Pirrotta, Filippo Luna, Gaetano Bruno e Giulia Andò (10-19 gennaio).
Sorprende e fa sorridere La locandiera, nella versione della Compagnia Proxima Res di Tindaro Granata: una brillante edizione, diretta da Andrea Chiodi, fedele all’originale, ma non priva di trovate che la rendono piacevolmente attuale (28 gennaio-2 febbraio).
Teatro musicale con Moni Ovadia, artista ironico, narratore dotato di straordinaria lucidità: a 25 anni dal primo Oylem Goylem, mette in scena un nuovo spettacolo con nuove storie, umorismo yiddish, canzoni, barzellette, musica klezmer (4-9 febbraio).
Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Gadda e Pasolini Fabrizio Gifuni continua la sua lacerante antibiografia di una nazione; in Con il vostro irridente silenzio (18-23 febbraio) si confronta con alcuni degli scritti più scabri della storia d’Italia: le lettere dalla prigionia e il memoriale di Aldo Moro. Gifuni dedica inoltre con Fatalità della rima una serata a Giorgio Caproni, poeta livornese che visse una parte importante della sua vita a Monteverde, a due passi dal Teatro Vascello (17 febbraio).
Atteso ritorno a Roma è quello di Marco Paolini, straordinario affabulatore, con Filo filò, il suo più recente lavoro prodotto da Jolefilm che riflette sui cambiamenti determinati dalle nuove tecnologie sulla nostra vita quotidiana (24-29 marzo).
Rezza & Mastrella, Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Teatro di Venezia 2018, sono di casa al Vascello che dedica quest’anno ai due artisti una piccola “personale”. Sarà l’occasione per vedere (o rivedere) Fotofinish, uno dei cavalli di battaglia della coppia, un classico della loro graffiante e surreale comicità (17-22 dicembre), Bahamuth, scatenato e spassosissimo montaggio dadaista (26-31 dicembre); Anelante (3-5 gennaio) storia di un uomo alla continua ricerca della sua dimensione.
Accanto alle proposte in abbonamento un’ampia sezione è quella dedicata ai progetti di teatro, alla danza, alla musica, al circo.
Inaugura i progetti teatrali The night writer Giornale notturno di Jan Fabre. Lo interpreta Lino Musella che diventa Fabre in questa opera autobiografica dell’artista belga in cui emergono le intriganti sfaccettature e gli affascinanti pensieri di uno dei maggiori esponenti dell’arte e del teatro contemporaneo (11-13 ottobre in collaborazione con Romaeuropa Festival).
Un focus è dedicato a Roberto Latini, regista, attore e performer di originale personalità: La delicatezza del poco e del niente è un concerto poetico di parole su alcune delle composizioni più intense di Mariangela Gualtieri (14 ottobre); Il cantico dei Cantici è un poema antico al quale Latini sa infondere nuove energie (16-17 ottobre); Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? è una rielaborazione drammaturgica del capolavoro pirandelliano interpretato da PierGiuseppe Di Tanno che, solo in scena, dà voce a tutti i personaggi (18-20 ottobre).
Una novità è Venezia a Roma, un progetto che nasce in collaborazione con la Biennale Teatro di Venezia con l’intento di sostenere il lavoro di giovani artisti. Ospite quest’anno è Giovanni Ortoleva, regista under 30, menzione speciale alla Biennale 2018 che presenta Saul liberamente tratto dall’Antico Testamento e ispirato al testo di André Gide, drammaturgia dello stesso regista e di Riccardo Favaro (24-27 ottobre).
Quattro sono gli appuntamenti con la danza:
– Il Balletto di Roma arriva con due lavori inediti: Hu_Robot su coreografie di Ariella Vidach (4-6 ottobre) e Sogno, una notte di mezza estate firmato da Davide Valrosso (25 febbraio -1 marzo).
– Ricky Bonavita con la Compagnia Excursus presenta in prima nazionale Alma Tadema (13-15 novembre);
– Dancing partners (27-28 aprile) è un progetto europeo in rete che vede coinvolti artisti di diverse nazionalità (Italia, Spagna, Svezia, Inghilterra);
– Vivaldiana è infine il titolo del nuovo lavoro della Spellbound di Mauro Astolfi ispirato al musicista veneziano (5-10 maggio).
– È uno “spettacolo per tutti” – tra danza e circo – L’uomo calamita del Circo El Grito in programma dal 12 al 15 dicembre.
Spaziano dal classico al popolare le proposte musicali:
Tre gli appuntamenti di Calendario Civile (programma che trae ispirazione dal libro di Alessandro Portelli, per non dimenticare i grandi avvenimenti che hanno segnato la storia dell’Italia e dell’umanità) realizzati in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio:
– Moni Ovadia rilegge i grandi poeti greci in Romeosini Grecità (16 settembre);
– Dario Marconcini anche in scena con Giovanna Daddi e Emanuele Carucci Viterbi propone – in occasione della Giornata della Memoria – La mamma sta tornando, povero orfanello di Jean Claude Grumberg (27 gennaio);
– dedicato al ricordo del disastro di Chernobyl è Bob Dylan, pioggia e veleno con Alessandro Portelli, Piero Brega, Susanna Buffa, Sara Modigliani (20 aprile).
– La Scuola Popolare di musica Donna Olimpia e l’Orchestra di Villa Pamphilj arriva (dal 6 all’8 marzo) con Lucignolo e gli altri singspiel originale per soli, cori e orchestra diretto da Fabrizio Cardosa;
– Di voce in voce è la proposta di Nando Citarella, un viaggio tra musica e parola con ospiti diversi ogni sera (1-5 aprile);
– Ovidio Heroides Metamorphosis è l’incontro artistico tra Manuela Kustermann, interprete di alcune pagine del poeta latino Ovidio e Cinzia Merlin, virtuosa pianista (15-19 aprile);
– Soul è un concerto della More than Gospel diretto da Vincenzo De Filippo (26-29 maggio).
Chiusura con Maggio corsaro, due spettacoli di drammaturgia italiana contemporanea:
– La consuetudine frastagliata dell’averti accanto di Marco Andreoli diretto e interpretato da Daniele Pilli e Claudia Vismara (12-17 maggio);
– L’uomo più crudele del mondo scritto e diretto da Davide Sacco (20-22 maggio).
Numerosi gli appuntamenti in calendario in Sala Mosaico – rinnovata piccola sala del teatro – con incontri, letture, mise en espace dedicate alla poesia e alla letteratura; da novembre ad aprile si conferma inoltre la presenza di Vittorio Viviani – ogni giovedì alle ore 18.00 – con Quel copione di… che, a partire dalla novellistica italiana, riflette sulla situazione di oggi.
Come di consueto – saranno proposti nel corso dell’anno appuntamenti dedicati ai ragazzi con Il Vascello dei piccoli e si rinnoveranno le collaborazioni con il Romaeuropa Festival, Flautissimo, Roma Fringe Festival.
Sono in vendita on line e al botteghino del Teatro Vascello gli abbonamenti per la prosa Zefiro (a 9 titoli), Eolo (a 5 titoli a scelta). Ponentino è invece una card libera a 5 titoli tra le proposte di danza, musica, circo e progetti speciali di teatro.
È previsto inoltre un cambiamento negli orari della programmazione: sabato ore 19.00, domenica ore 17.00, tutti gli altri giorni alle ore 21.00.
L’Art Theatre BioBistrò è aperto tutti i giorni a partire dalla mattina.
Biglietteria:
Prosa intero € 25, ridotto over 65 € 18, ridotto under 26 € 15
Abbonamenti
ZEFIRO abbonamento fisso a 9 spettacoli (posto e turno fisso)
turno a scelta tra martedì, mercoledì, giovedì: 162,00 euro
turno a scelta tra venerdì, sabato, domenica: 180,00 euro
EOLO abbonamento a combinazione a 5 spettacoli (posto e turno fisso)
turno a scelta tra martedì, mercoledì, giovedì: 90 euro
È possibile effettuare il cambio turno con un costo supplementare di € 5,00;
esclusivamente per i nostri vecchi abbonati il cambio turno sarà possibile senza costi aggiuntivi.
Progetti Teatro intero € 25, ridotto over 65 € 18, ridotto under 26 € 15
Progetti Musica, Danza e Circo intero € 20, ridotto over 65 € 15 ridotto under 26 € 12
Flautissimo intero € 20, ridotto over 65 € 15, ridotto under 26 € 12
* per il concerto degli Avion Travel inizio spettacolo h 18: Intero € 25 ridotto over 65 € 18 ridotto under 26 € 15
Maggio corsaro posto unico € 15
Vittorio Viviani quel copione di… posto unico € 12,00 compreso di aperitivo
Ponentino card € 60,00 a 5 spettacoli a scelta tra le proposte di teatro, musica e danza, l’abbonamento non è valido per le proposte inserite negli abbonamenti EOLO e ZEFIRO.
TEATRO VASCELLO STRUTTURA DOTATA DI ARIA CONDIZIONATA
Via Giacinto Carini, 78 – 00152 Roma
Tel. 06.5881021/06.5898031
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alemicheli76 · 4 years
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E anche quest’anno ci siamo.
Il giorno più terrificante, più magico, quello in cui ogni barriera crolla e irrompe una meravigliosa libertà.
Le convenzioni sociali spariscono.
I legami tra morti e vivi si rinsaldano, tanto che i nostri antenati, gli spiriti e ogni entità iniziano a scorrazzare allegri in mezzo a noi.
Nessuna realtà, nessuna divisione tra materiale immateriale.
Nessuna compostezza.
Solo una sana, indispensabile follia che anima non solo strade e vicoli, ma sopratutto i nostri cuori.
Halloween o Samahin, al pari del Carnevale festeggia il caos primordiale, quello da cui tutto nasce e in un certo senso si rinnova.
E’ nello scompiglio che legittimiamo di nuovo i valori che fondano il nostro patto sociale, o li sostituiamo, certi che il tempo non torna indietro ma procede in un movimento a spirale.
E in ogni attività umana che si voglia dire creativa, Halloween/Samahin fa sentire la propria indomita forza.
E’ costume che a ogni 31 ottobre bussi alla porta il terrore: storia sanguinarti, storie anche di redenzione, orrore e paura capaci di immolare in un olocausto salvifico le peggiori pulsioni umane.
Ma oggi io vorrei celebrare l’altro lato di Halloween quello della magia, dello stupore, dell’incanto che si avverte quando, il mondo altro, ci stringe in un abbraccio che scalda l’anima.
Pronti al viaggio incantato?
*****
FAR PACE CON LA MORTE: BUCANEVE E IL REGNO SOTTERRANEO, DARK ZONE EDITORE, DI PAOLO FUMAGALLI
Bucaneve richiama i lontani racconti celtici ricchi di creature assurde, magiche eppur tetre, abitanti a volte dispettosi, a volte benevoli delle regioni denominate Regno dei Faerie.
Ed è in quella dimensione da sogno laddove abitava lo spirito eterno del Weird, il controsenso, dove i valori, le convezioni, le regole trovavano nuove formulazione, che emerge il racconto poetico, oscuro e meraviglioso di Bucaneve.
Che diviene a tutti gli effetti la regina di Samahin nella sua veste di divinità sotterranea nella forma di fanciulla, si comporta nel regno sotterraneo come una divinità solare in conformità con l’antica tradizione, diviene così una Dea brillante che non trova contraddizione con l’oscurità, con il nero, con il “dark”.
IL SEGRETO VA SVELATO E FORSE COMPRESO. LA TRILOGIA DEI LYNBURN ( COMPOSTA DA UNPOSKEN UNTOLD UNMADE) DI SARA REES BRENNAN TRISKELL EDIZIONI
  #gallery-0-16 { margin: auto; } #gallery-0-16 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 33%; } #gallery-0-16 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-0-16 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */
Davvero il segreto permette a noi di vivere in armonia?
La separazione tra il regno dell’incanto e quello mortale è separato da un sottile e impalpabile velo.
Magari i maghi, gli stregoni il numinoso vive tra di noi, ma fingiamo di non accorgercene.
Quando però il velo si strappa è necessario che il non detto, il segreto irrompa nelle nostre vite e le stravolga.
Perché solo allora i nostri veri valori verranno allo scoperto.
IL REGNO DEI FAERIE COME NON LO AVETE MAI VISTO: GLI EREDI DELLA FOGLIA DI GIUDITTA ROSS, TRISKELL EDIZIONI
  Giuditta Ross è a parer mio una delle migliori penne in circolazione.
Capace di creare mondi da sogno popolati da creature mitologiche, quelle che spesso arricchiscono le nostre visioni notturne.
Ecco danzare in un caleidoscopico girotondo fatine, licantropi, streghe, e persino un burbero e inacidito vampiro.
Ma se apparentemente i suoi urban sembrano seguire la scia letteraria moderna, vi informo subito che Giuditta è molto vintage.
E’ talmente imbevuta di mito che le sue creature sono molto diverse da quelle a cui ci hanno abituato edulcorati libri fantasy.
Le sue fate “ le fae” sono come la vera tradizione vuole: volubili, capricciose, di una bellezza surreale la stessa che colora le nostre fantasticherei quelle notti lontane di mezz’estate, nel meriggio dorato, come sussurrerebbe la voce soave di Carrol.
Sono l’essenza stessa dell’ecosistema, da lei traggono vigore e a loro donano fecondità, e nuova linfa vitale.
State pur sicuri che laddove tocca il suolo il piede di fata, la natura gorgoglia rigogliosa, e accarezza grata quelle regali appendici.
E proprio perché partecipi di quel ciclo ecologico, esse sono e devono essere suddivise in due coorti distinte e al tempo stesso gemelle: la corte dell’inverno, denominata unseelie e la corte dall’estate, la seelie.
Questi aggettivi non hanno nulla da spartire con la concezione orientale del mondo, ossia divisa in bene e male. Semplicemente sono due colori che partecipano essi stessi a creare il favoloso mosaico composito che noi chiamiamo madre natura.
QUANDO IL DIAVOLO DI METTE LO ZAMPINO… IL BALLO DEL DIAVOLO E ALTRI RACCONTI DI GAIA CASSARI
Se non si vuole che la vita diventi arida, si atrofizzi, e avvizzendo muoia, serve solo una cosa: movimento. E’ la stasi continua, il reiterare vecchi schemi mentali, l’accucciarsi su se stessi, sulla rassicurante abitudine che crea il crollo di civiltà e persino delle persone.
Una volta entrati nell’ottica immobilistica del benessere, l’uomo di ferma. Ma non solo fisicamente.
Non sperimenta più, non cerca più, non ha domande, non ha curiosità. Tenta solo, in ogni modo, di non perdere ciò che la società gli ha così benevolmente elargito: le gabbie, spesso sono gabbie auree.
Spesso il via libera allo scorrere indomito di impulsi atroci, per nulla “umani”, che serve a convincerlo a non cambiare.
Ma senza movimento la persona muore. Inesorabilmente. E forse rischia, in una fredda notte di fine ottobre, di rendersi semplicemente conto, di non aver mai davvero vissuto.
Di non avere la passione che spinge oltre, quella che ci fa sacrificare noi stessi per dare vita a un sogno. Il libro di Gaia è un viaggio, a volte oscuro a volte poetico all’interno dell’essere più misterioso dell’universo: l’uomo.
BLAKE SAGA DI SIMONE ALESSI
Raccontare, descrivere, immergersi nel regno di Blake non è affatto semplice.
Eppure è una mistica esperienza che consiglio a tutti. Blake è l’apertura attraverso cui, tramite lo shock, iniziamo a conoscere la storia dell’uomo e dei suoi dei, nella straordinaria parabola della creazione.
A cosa serve la religione?
Cosa spinge l’essere umano a rappresentare e dare vita alla divinità e al sacro?
Blake con immagini, con poesie, con accadimenti spesso oscuri poiché simbolici, ce lo svela.
Ma ce lo svela nel criptico linguaggio dell’esoterismo, ossia la disciplina in grado di penetrare nelle regioni celate, che formano la vera realtà. Tutta la filosofia di Alessi abbraccia questa verità: per poter essere, esistere e darsi una forma, seppur spirituale, Dio, i Dei, il sacro deve trasformarsi costantemente.
RITROVARE SE STESSI. ALICE NEL LABIRINTO DI ROBERTA DE TOMI
L’alice di Roberta De Tomi siamo noi.
Noi tutti che affrontiamo riottosi quella fase chiamata socializzazione. Alice perde o dimentica quel weird dove brillano i sogni, dove la linfa vitale incomprensibile dell’arte dimora.
Alice dimentica il suo nome. Dimenticando il suo nome scorda la sua essenza. Troppo presa da sé stessa, quella che sboccia in un mondo di luci sfavillanti pieno di promesse, di amore, di lucentezza, di armonia. Smette di raccontarsi storie assurde. Smette di assaporare l’aroma speziato di un tè servito da teiere sbeccate, in un ricevimento bizzarro e assurdo.
Smette di parlare con i fiori e ascoltare la voce degli insetti. Sono solo insetti in fondo, puoi approcciarti solo con un atteggiamento scientifico. Le porte sono porte, il cibo sostiene le cellule e gli organi.
Non fa crescere né rimpicciolire.
Un coniglio è solo preda quando non è un adorabile animaletto da mostrare all’altro come segno di status. Un cappellaio si occupa di farci apparire al meglio. Il the non è una gara di indovinelli, ma un preciso rituale con un profondo senso di condivisione dei valori sociali. Ecco perché il bisogno mio e di Alice del paese delle meraviglie diviene un forte richiamo. Per non avvizzire in ricordo di amori perduti, di opportunità non sfruttate, per non ascoltare il coro del dissenso, dell’anatema sociale. È il bisogno di bagnarci alla gelida fonte del non senso, di nutrirsi di fantasia senza briglie di accettabilità. Correre in un mondo senza confini, immaginaria dimensione di delicata, piacevole, bonaria follia.
E UN PO’ DI ORRORE PER SALUTARVI
Vi ho mentito.
Vi avevo promesso libri fantastici e nessun orrore.
Ma Non potevo resistere. Un libro di veri orrori ve lo devo consigliare. E pertanto ho scelto uno dei più belli in assoluto:Biancaneve zombie di Elena Mandolini, Dario Abate editore.
Lo ammetto.
Ho sempre odiato Biancaneve.
Nonostante il mio interesse antropologico per le fiabe, la pallida principessa proprio non la sopportavo.
Cosi anonima, cosi vittima degli eventi.
Cosi totalmente inutile. Cosa faceva di avvincente?
Nulla.
Restava rilegata in casa, in balia di una pazza fissata con il ritocchino, fissata con gli specchi e invasata più di una partecipante al reality del grande fratello.
E la dolce, svenevole Biancaneve?
Tutto il giorno a lavare e cantare, sognando il vero amore capace di trascinarla via con sé, un inetto a cavallo, con un’orrida calzamaglia. E mentre sognava un giorno migliore mi dicevo da bambina: tonta scavalca la torre, prendi un’iniziativa, una sola.
Insomma oltre a cantare cinguettando con i passerotti fa qualcosa!
E cosa faceva?
Nulla.
Accetta che un rozzo cacciatore, un altro tonto incapace di mettere due parole in fila, la porti in un bosco e lei lo segue.
Docile come un baobab.
Era una pianta, non un essere umano, portata dal posto A al posto B. E quando resta sola nel bosco, invece di darsi una svegliata, cantava. Di nuovo.
Neanche fosse la Callas rediviva. Ma per fortuna incontra i sette nani che la salvano…mettendola a pulire, lavare, spazzare cucinare e rammendare.
E lei canta.
Invece di prenderli a badilate sulle gengive, canta.
E canta anche quando la matrigna, altro mirabile genio, passa per caso nel bosco, bussa alla casetta e le porge una mela cosi rossa da far impallidire quelle del miglior supermercato Conad.
Ma l’inetta canta ancora.
E la mangia.
Per fortuna lì c’è il colpo di scena tanto agognato e si strozza.
Finalmente un po’ di azione mi dico.
E resta nella bara di cristallo, circondata dai sette premi Nobel, con torsolo di mela ancora in bocca, bella e inutile più di prima.
Capite perché io speravo che entrasse in scena Godzilla e la divorasse intera lei, la mela e i geni che la circondavano?
Oppure speravo che il dandy vestito d’azzurro cadesse da cavallo o che so, fosse divorato da uno sciame di locuste carnivore?
Beh le mie preghiere di bambina sono state esaudite da Elena.
Infatti, il genio che è in lei (saremmo mica sorelle?) ha immaginato uno scenario totalmente differente e per nulla strano per il proseguo della noiosa favola, in grado di donargli un po’ di ritmo, di pathos e di azione. La bella e inutile, e completamente inetta Biancaneve è morta.
Sta lì ammuffita nella sua bella bara.
E aspetta il bacio del tonto la dovrebbe risvegliare .
La domanda che si pongono menti eccelse come le nostre è: come si risveglia?
Quale effetto avrà il bacio del sommo rincoglionito?Come diventerà Biancaneve riportata indietro dai morti come una novella Euridice?
Che effetto avrà la morte sulla sua umanità?
Sparirà perché in grado di distruggere il tabù che separa la vita dalla morte, tabù infrangibile soltanto in una particolarissima notte, o diventerà…altro?
A voi la scoperta.
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CONCLUSIONI
Di libri meravigliosi a Halloween, ce ne sono parecchi. E citarli tutti è impossibile.
Cosi vi regalo quelli che a ogni fine ottobre leggo io, affinché lavorino sulla mia anima e la prendano per mano, portandola a liberarsi della forma di bruco per diventaste farfalla.
Quale tipo di farfalla, sarà la vostra scelta. Io amo diventare ogni giorno una falena testa di morto.
Ma io in fondo, sono la Signora Oscura per eccellenza
Felice Halloween a tutti.
Cosa si legge ad Halloween? A cura di Alessandra Micheli E anche quest'anno ci siamo. Il giorno più terrificante, più magico, quello in cui ogni barriera crolla e irrompe una meravigliosa libertà.
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