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#Storia delle Americhe
gregor-samsung · 2 years
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“ Nel 1585 Richard Grenville sbarcò in Virginia con sette navi e trovò indiani ospitali, ma quando uno di loro rubò una piccola coppa d’argento, rase al suolo l’intero villaggio. Dopodiché ebbe inizio la guerra con gli indiani! Quando i Padri Pellegrini arrivarono nella Nuova Inghilterra, quella terra era abitata da indigeni, ma il governatore del Massachusetts Bay Colony la definì “terra di nessuno”: gli “indiani” avevano solo il “diritto naturale”, non “civile” sulla terra. Da qui iniziò la guerra contro gli “indiani”, che finirà solo nel 1676, con la loro sconfitta. Più tardi, per liberare i territori dagli Appalachi al Mississippi, perché fossero occupati dai bianchi, i coloni fecero ricorso al “trasferimento degli ‘indiani’” (Indian Removal Act), come fu eufemisticamente chiamato! Questo rese disponibile un immenso territorio per la coltivazione del cotone al Sud e dei cereali al Nord, per l’immigrazione e per un’espansione, che raggiungerà ben presto l’Oceano Pacifico. E i popoli indigeni furono o massacrati o rinchiusi in “riserve” per turisti. Molti morirono anche per malattie importate dai bianchi. I dieci milioni di “indiani” che vivevano a nord del Messico al momento dell'arrivo di Colombo si ridussero alla fine a meno di un milione. Si tratta di un altro genocidio perpetrato dalla tribù bianca! “Lo sbarco di Colombo nel Nuovo mondo ha significato,” afferma Zinn, “l’espulsione violenta degli indiani da ogni chilometro quadrato del continente, accompagnato da indicibili atrocità, finché non restò che ammassarli nelle riserve.” Un’icona degli indiani d’America è Leonard Peltier, uno dei leader storici dell'American Indian Movement (Aim), che marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quasi cinquant’anni, dal 1977. È un perseguitato politico, condannato all'esito di un processo segnato da plurime violazioni del diritto di difesa. Le più note personalità mondiali hanno chiesto e chiedono la sua liberazione. Tutto ciò avvenne non solo in quello che oggi sono gli Usa, ma anche nel vicino Canada, a sua volta occupato da coloni inglesi.
In Canada fu messo in atto un vero e proprio “genocidio culturale” contro i popoli indigeni, un genocidio troppo a lungo negato. “Uccidi l’indiano, salva l’uomo,” era il motto razzista adottato dalle scuole canadesi nelle quali i bambini indigeni subivano un azzeramento della loro cultura. Il 29 maggio 2021 sono stati rinvenuti, presso la scuola di Kamloops, i resti di duecentoquindici bambini nativi. Pochi giorni dopo, un altro orribile ritrovamento: i corpi di settecentocinquanta bambini sepolti attorno a una chiesa cattolica a Saskatchewan, nel Canada francese. Sono tanti gli investigatori che sospettano che ci siano molte migliaia di bambini sepolti segretamente per nascondere la vergogna del genocidio. Queste macabre scoperte aprono una brutta pagina del passato del Canada. Tra il 1863 e il 1998, centocinquantamila bambini nativi furono strappati alle loro famiglie dal governo canadese e collocati in scuole residenziali, per costringerli ad accettare la religione e la civiltà occidentali. Nelle centodiciotto scuole residenziali, settantanove erano cattoliche e dipendevano direttamente dal Vaticano. In queste scuole molti furono i casi di violenze, sterilizzazioni e stupri. Come è potuto accadere tutto questo? Per capirlo bisogna risalire alla legislazione canadese. Il Federal Indian Act del 1874, tuttora in vigore, proclama l’inferiorità legale e morale dei popoli indigeni. E un altro decreto federale, il Gradual Civilization Act (1857), obbligava le famiglie dei nativi a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali i diritti di tutela dei loro figli. Non possiamo dimenticare che il trasferimento legale dei diritti di tutela dei minori vuol dire che, in caso di morte, le scuole ne lucravano, appropriandosi delle loro terre. Infine, nella British Columbia, un altro decreto del 1933, la Sterilization Law (tuttora in vigore), ha consentito sterilizzazioni di massa su interi gruppi di bambini indigeni. Amnesty International ha denunciato il fatto che molte donne indigene, che erano andate a partorire in ospedale, sono tornate a casa sterilizzate. Siamo davanti a un vero e proprio genocidio culturale che ha portato all'eliminazione delle lingue degli indigeni, alla soppressione della loro cultura e spiritualità, e alla loro completa marginalizzazione a livello politico-economico. Sono diventati stranieri nelle loro terre. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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diceriadelluntore · 3 months
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Storia Di Musica # 313 - AA.VV. - She Rocks Volume 1, 2017
Un giovane chitarrista di origini italiane (i nonni arrivarono negli Stati Uniti dalla Lomellina) nel 1978, quando ha appena 18 anni, manda una cassetta e una trascrizione del leggendario pezzo The Black Page al suo creatore, Frank Zappa. Il brano si chiama così perchè lo spartito è così pieno di segni musicali (punti, segni, note) ed è famoso perchè di una complessità mostruosa. Zappa impressionato dal talento del giovane chitarrista lo contatta e dopo che il nostro giovane eroe finisce la scuola, lo invita a Los Angeles, gli fa un provino e lo stipendia prima come trascrittore ufficiale e poi, dal 1980 fino al 1985, lo porta sul palco e in studio a registrare, presentandolo come il suo "little Italian virtuoso" e gli assegna spettacolari assolo definiti "impossible guitar parts". Quel giovane chitarrista è Steve Vai, unanimemente considerato uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. Oltre ai dischi, ai concerti, ai premi, al ruolo di innovatore dello strumento (leggendarie le chitarre Ibanez Jem con lui sviluppate) il suo è sempre stato un lavoro di ricerca sia strumentale sia umano: cacciatore di talenti prima, e poi produttore ed editore musicale. Nel 1999 infatti fonda insieme a Ray Scherr, il fondatore di Guitar Center, la più grande catena di negozi di strumenti musicali di tutte le Americhe (con oltre 300 negozi) una etichetta discografica, Favored Nations, con il preciso obiettivo di sviluppare la musica chitarristica, di scovare nuovi artisti e di produrre quelli già affermati. Il primo disco prodotto è del 2000, Coming To Your Senses del chitarrista jazz fusion Frank Gambale, di lì in poi è un susseguirsi di grandi nomi. A metà del decennio successivo, Vai sente la necessità di rispondere, con un disco, ad una domanda: Who says the ladies can’t rock?.
Per questo in collaborazione con l'associazione Women’s International Music Network mette su una compilation, insieme con Brad Tolinski, direttore di una delle bibbie dei chitarristi e chitarriste, Guitar World, di strepitose chitarriste, a cui dà il titolo di She Rocks Vol.1, sottotitolo: A Collection of Kick-Ass Guitar Goddesses, che esce nel gennaio del 2017. In scaletta 11 brani di 11 chitarriste che comprendono diversi generi, dal jazz rock al blues, ma che spingono forte verso l'hard rock e l'heavy metal, per un assortimento niente male. C'è una delle scoperte di Vai, la tedesca Yasi Hofer (qui presente con una torrida sua composizione, Cosmic Star), c'è la leggenda del rock femminile Lita Ford, delle Runwayas, che si unisce alle Lez Zeppelin, una tribute band femminile dei mitici Led Zeppelin, cantando The Lemon Song (uno dei testi più maliziosi ed erotici del catalogo di Plant e soci, nello slang "lemon" è una metafora del pene) accompagnata da Steph Paynes, che nella compilation regala una meravigliosa The Sun At Her Eastern Gate (Payne è stata anche scrittrice e giornalista del rock per riviste come il New Music Express e Rolling Stone). C'è il blues di U Know What I Like di Kat Dyson (che è stata più volte la lead guitar dei tour internazionali di Zucchero), il trascinante heavy metal di Transmogrify, brano scritto da Orianthi, chitarrista e polistrumentista australiana che accompagnò Micheal Jackson nel suo ultimo tour This Is It. Jackson era un grande estimatore di chitarriste, tanto che nella compilation c'è pure il contributo di un'altra sua storica sessionista, Jennifer Batten, che lo ha accompagnato nei tour di Bad, Dangerous e History: qui è presente la sua In The Aftermath. Si passa dal jazz rock di Sarah Longfield (The Taxi Time Travel Task Force) alle sonorità sofisticate di Yvette Young, uno dei talenti più puri in circolazione (Hydra), alle super prove di nomi più famosi come Nita Strauss (la chitarrista di Alice Cooper), che contribuisce con Pandemonium e Gretchen Menn con Scrap Metal. Da ricordare anche il brano di Nili Brosh, A Matter Of Perception, la chitarrista è stata per anni star degli spettacoli musicali del Cirque Du Soleil e insieme ad altre protagoniste di questa compilation suonerà in una tribute band, The Iron Maidens, che omaggia al femminile la musica degli inglesi Iron Maiden. In copertina c'è un disegno di Laura B. Whitmore, musicista, produttrice e ex manager di importantissime etichette discografiche, che nel 2012 fondò la WiMN per fornire supporto, informazioni e un senso di comunità alle donne in tutti gli aspetti del settore musicale, compresi artisti, addetti ai lavori, educatori e studenti.
La dicitura Vol.1 mi ha fatto sempre sperare in un Vol.2 che al momento non è ancora arrivato. Tuttavia questo disco è prova viva che " A Lady Can Surely Rocks".
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montag28 · 6 days
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Telegram.
App poco usata. Telegram, riaprirla dopo un po’ di tempo per una serie di combinazioni. Telegram, le sue impostazioni. Telegram che mi mostra tutti i miei contatti. Me ne fa vedere tanti che neppure sapevo ancora di conservare. Vedo uno pseudonimo. Lo usava una mia antica, antica amica. A un certo punto non ci siamo sentiti più. Senza litigare, senza che ci fossero dietro ambiguità di alcun tipo. Semplicemente, una strada che a un certo punto ha una biforcazione; i percorsi si separano. Evoluzioni diverse. Avevamo lunghi scambi in cui riuscivamo ad essere sia teneri che ruvidi all’interno dello stesso concetto. Lei a un certo punto se ne andò a vivere lontano, in un luogo che da qui sembrava proprio bellissimo e che, forse, sembrava bellissimo anche da lì. Io ero rimasto qui con quella che un tempo era la sua auto, azzurra metallizzata. Amica. Il suo nome, lo ricordo bene. Qual era il suo cognome? Non riesco a metterlo a fuoco. Ah, sì. La cerco su google? No, dai. Non si fa. Lasciala in pace. La lascio in pace. E poi dubito la troverei. La cerco su google? La cerco su google. Niente. Era ovvio. E suo padre? Me lo ricordo, anche lui. Passammo insieme un paio di mattinate, io e lui soli, senza la mia amica, per via dell’auto e delle relative pratiche. Salii anche a casa loro. Loro di chi? Dei genitori della mia amica, che intanto era già lontana. Quell’anno, era il 2016, mi mandò anche gli auguri di Natale su whatsapp. Intendo lui, il padre, che la mia amica chiama per nome, mica babbo o papà. Aveva un padre e una madre, la mia amica. Ma se posso fidarmi della mia esile memoria e della mia fallibile comprensione, in un certo senso aveva solo un genitore, che era sua nonna. Nel gennaio del ‘17 cominciai a lavorare in un posto vicino al Parco Lambro. Ero al principio di quello che, oggi, potrei definire come un lentissimo processo di guarigione. Anche lei, in qualche modo, se posso fidarmi della mia traballante memoria e della mia limitata comprensione. Solo che avevamo bisogno di medicine molto diverse. Il lavoro, io. Altre cose, lei. che non avrebbe senso nominare, un po’ per discrezione, un po’ perché non so se fidarmi della mia memoria eccetera, eccetera. Strade che si biforcano. Suo padre, ah sì, ero arrivato a lui. Lui, che ci andava a camminare più o meno tutte le mattine, al Parco Lambro, anche quando pioveva. Era andato da poco in pensione. Ogni tanto passava nella via dove lavoravo, ci incrociavamo, ci salutavamo. Come stai? Bene. Tu? Bene, bene. Vai a camminare? No, sto tornando. Bravo. Lavori? Certo. Ciao allora. Ciao. Ci vediamo! Certo. Ciao. Aveva un nome singolare, figlio di una storia singolare e mica tanto allegra. Amica. Su google non c’è. Ovvio. Cerco suo padre? Cerco il papà. Secondo me, lui c’è. Eccolo, lo sapevo. E se non è lui? Ma non credo abbia tanti omonimi. Apro il sito. È un sito di annunci mortuari. C’è anche una foto del viso, inscritta in un tondo. È lui? Ma non lo so, sai. E poi non me lo ricordo mica così bene. Che tonto. Finto tonto. L’uomo nel tondo. Occhi chiari. È lui. Corrisponde tutto. Nome, luogo, età. Foto. È successo a maggio di quest’anno. Pochissimi giorni fa. Il cimitero di Lambrate. Come ci sono qui? Non lo so. Ah, sì. Telegram. C’è un nome straniero, di donna, appena sopra quello di lui. Una donna più giovane. Risulta morta il giorno prima di lui. Dai, non è sua moglie. Non può essere. Non deve. Sarà un caso. Chiudo il sito. Andate a fanculo, tu e google. E vai a fanculo pure tu, Telegram. Amica antica, dove sei? Sei tornata per queste cose? Io, potessi, lo vorrei sapere qualche mese prima, che sto per morire. Il tempo di organizzare un viaggio, senza dirlo a nessuno, né del viaggio né della mia imminente dipartita. Il tempo di sparire. Disperso in qualche luogo remoto delle Americhe del Sud. Niente funerali, niente tombe, niente retorica, niente burocrazia. Disperso e basta. Morire è una seccatura. Amica dispersa, dove sei. Certe volte mi manchi spesso. Certe volte, non ricordo quasi d’averti conosciuta. Chissà come stai.
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daniela--anna · 25 days
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Era il 4 maggio 1949
quando la tragedia di Superga spezzò la leggenda del Grande Torino.
L'aereo con a bordo l'intera squadra si schiantò sul colle di Superga non lasciando scampo a nessuno dei suoi 31 passeggeri. Una delle squadre più forti della storia del calcio improvvisamente sparì lasciando sgomenta un'intera nazione.
Simili indimenticabili tragedie, al di là della ricerca di ogni possibile spiegazione, ci toccano a livello umano facendo sorgere in noi importanti domande tipo:
Perché le disgrazie capitano anche alla brava gente?
Siamo predestinati, oppure esiste un karma?
E soprattutto, dove sono i morti?
Cosa accade quando si muore?
Molti non sanno che la risposta a queste domande esistenziali sono alla portata di tutti in un libro antico ma sempre attuale: la Bibbia.
#curiosità
Le antiche origini del calcio.
I cinesi sono stati i primi a divertirsi calciando palloni nelle reti per sport nel III secolo a.C., e il gioco del calcio come lo conosciamo oggi è stato formalizzato in Inghilterra nel XIX secolo. Ma il predecessore della maggior parte dei moderni giochi con il pallone è nato nelle Americhe.
“Il concetto di sport di squadra trova le proprie origini in Mesoamerica”, afferma Mary Miller, docente di storia dell’arte all’Università di Yale che ha studiato numerose testimonianze di questo sport.
In Mesoamerica, la vasta regione storica che si estende dal Messico al Costa Rica, le civiltà fiorirono ben prima che Colombo le “scoprisse”, e molti di questi popoli praticavano uno sport che prevedeva l’uso di una pesante palla fatta di una sostanza ricavata dalla resina degli alberi.
📚 Alcune considerazioni.
Il gioco del calcio da secoli affascina intere generazioni e nazioni, talvolta fino al punto di dettare comportamenti sociali, instillare rivalità,addirittura odio per gli avversari, e/o diventare una vera e propria ludopatia.
Questo perché, anche se il calcio e lo sport hanno i loro lati positivi, per goderne i benefici bisogna mantenere il giusto equilibrio.
Come ci si può riuscire?
Tenendo conto di alcuni fattori che hanno a che fare anche con la salute mentale/fisica.
📚🔍Tutti i links di riferimento alla trattazione, li trovi nel mio Threads.
It was May 4, 1949
when the Superga tragedy broke the legend of Grande Torino.
The plane with the entire team on board crashed on the Superga hill, leaving no escape for any of its 31 passengers.
One of the strongest teams in the history of football suddenly disappeared, leaving an entire nation dismayed.
Such unforgettable tragedies, beyond the search for any possible explanation, affect us on a human level, raising important questions in us such as:
Why do misfortunes happen to good people too?
Are we predestined, or is there karma?
And above all, where are the dead?
What happens when you die?
Many do not know that the answers to these existential questions are within everyone's reach in an ancient but always current book: the Bible.
#curiosity
The ancient origins of football.
The Chinese were the first to enjoy kicking balls into nets for sport in the 3rd century BC, and the game of football as we know it today was formalized in England in the 19th century.
But the predecessor of most modern ball games originated in the Americas.
“The concept of team sport has its origins in Mesoamerica,” says Mary Miller, a professor of art history at Yale University who has studied numerous examples of this sport.
In Mesoamerica, the vast historical region that extends from Mexico to Costa Rica, civilizations flourished well before Columbus "discovered" them, and many of these peoples practiced a sport that involved the use of a heavy ball made of a substance obtained from tree resin.
📚 Some considerations.
The game of football has fascinated entire generations and nations for centuries, sometimes to the point of dictating social behavior, instilling rivalry, even hatred for opponents, and/or becoming a real gambling addiction.
This is because, even if football and sport have their positive sides, to enjoy their benefits you need to maintain the right balance.
How can this be achieved?
Taking into account some factors that also have to do with mental/physical health.
📚🔍All the reference links to the discussion can be found in my Threads.
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scienza-magia · 4 months
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Il Diluvio Universale nelle varie mitologie
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La presenza del ricordo del Diluvio Universale in tutte le culture antiche è un fatto che ha suscitato l’interesse di molti studiosi nel corso degli anni. La distruzione dell’umanità attraverso una grande inondazione è presente in molte culture antiche come in quella sumera, babilonese, greca, egizia e persino in alcune culture delle Americhe. Questo fenomeno ha portato molti a chiedersi se ci sia un fondo di verità dietro queste storie oppure se si tratti solo di una coincidenza. Tuttavia nonostante le differenze culturali e geografiche i racconti presentano numerose somiglianze come la presenza di un Diluvio Universale l’avvertimento divino prima della catastrofe e la salvezza di poche persone ed animali. Inoltre questi racconti sono spesso associati a simboli di purificazione e rinascita. Alcuni studiosi suggeriscono che questi miti possano essere stati influenzati da eventi naturali come grandi inondazioni tsunami che si sono verificati in passato. 1 La cultura dei Maya una delle più avanzate del mondo pre colombiano ha lasciato una serie di testimonianze che dimostrano la presenza del ricordo del Diluvio Universale nella loro mitologia. Secondo il Popol Vuh il libro sacro dei Maya qui che gli dei decisero di distruggere l’umanità a causa della sua corruzione e decadenza morale solo un uomo e una donna furono salvati grazie alla costruzione di una grande barca. In ultima analisi il Popol Vuh è un racconto apocalittico della distruzione dell’umanità. Nel Popol Vuh si narra la storia del mondo dal suo inizio descrivendo come i primi esseri umani furono creati dagli dei tuttavia questi primi esseri umani non erano perfetti e non erano in grado di venerare correttamente gli dei. Di conseguenza questi decisero di distruggere il mondo con un grande diluvio al quale solo pochi sopravvissero. Possiamo dire che il Popol Vuh è una storia molto importante per la cultura Maya perché fornisce una spiegazione sulla creazione del mondo e della razza umana oltre a descrivere la loro relazione con gli dei. Questa legenda mostra anche l’importanza del sacrificio umano nella cultura dei Maya poiché gli dei richiedevano sacrifici per mantenere l’ordine cosmico del mondo. Inoltre altre storie Maya raccontano di un Diluvio Universale dal Dio Chaac signore della pioggia e del fulmine che decise di punire gli uomini per la loro mancanza di rispetto verso la natura. Questi miti hanno molti punti in comune con quelli delle culture mesopotamiche come la costruzione di un’arca per sopravvivere alla catastrofe e la presenza di un eroe salvatore. La presenza del Diluvio Universale nella cultura dei Maya dimostra l’importanza universale di questo mito rappresentativo della paura dell’uomo nei confronti delle forze della natura. 2 Mesopotamia America Centrale Esiste una notevole somiglianza tra le legende del Diluvio Universale nella Mesopotamia e in America Centrale. Entrambe le culture raccontano di un grande diluvio che ha distrutto l’umanità salvando pochi individui ed animali. Inoltre entrambi i racconti includono l’idea di un dio che avverte l’uomo giusto dell’imminente disastro ordinando di costruire un’arca per salvare sé stesso la sua famiglia e gli animali. Anche la durata del diluvio è simile in entrambi i racconti: 40 giorni e 40 notti. Infine entrambi i racconti includono la figura di un uccello che venne inviato per cercare la terraferma. Tuttavia ci sono anche alcune differenze tra i due racconti. Nel mito mesopotamico il dio Enki avverte l’uomo giusto dell’imminente Diluvio Universale mentre nel mito Maya il dio Itzamnà avvisa l’uomo giusto. Inoltre l’arca nel racconto mesopotamico è descritta come una grande nave a forma di cubo mentre nel racconto Maya l’arca non è altro che una canoa. Nonostante queste differenze le somiglianze tra i due racconti del Diluvio Universale nella Mesopotamia in America Centrale sono sorprendenti. Queste coincidenze possono essere attribuite alla possibilità che questi due popoli abbiano avuto i contatti. 3 Un Mare di Erbe in alcune culture sud americane si parla del “mare di erbe” una vasta pianura sommersa dal mare che avrebbe coperto un’intera città. Questa città come Atlantide sarebbe stata distrutta da una calamità naturale. La leggenda del Mare di Erbe è presente anche in altre culture come quella cinese dove si racconta di un impero sommerso sotto le acque del Pacifico. Nonostante le differenze culturali e geografiche queste legende hanno molti elementi in comune. In tutte le versioni si parla di una civiltà avanzata che viene distrutta da una catastrofe naturale. Alcuni studiosi suggeriscono che queste legende possono avere un fondamento storico e che la loro diffusione in diverse parti del mondo sia dovuta alla migrazione degli antichi popoli. 4 Atlantide Atzlan La connessione tra Atlantide Atzlan è un aspetto altamente interessante. Secondo la mitologia azteca Atzlan era l’isola originaria dalla quale gli Aztechi provenivano. Si dice che Atzlan fosse un luogo di pace e prosperità ma alla fine fu distrutta da una grande inondazione. Questa storia ricorda molto la legenda dell’isola di Atlantide che secondo Platone fu sommersa dalle acque del mare. Alcuni studiosi hanno suggerito che Atzlan potrebbe essere stata la versione azteca di Atlantide. Ci sono anche altre connessioni tra le due legende. Entrambe le storie raccontano di un’antica civiltà avanzata che fu distrutta da una catastrofe naturale e che si crede anche influenzato le culture successive. Inoltre gli Aztechi credevano che il loro Quetzalcóatl avesse vissuto a Atzlan prima di partire per il Messico. Questo ricorda la legenda di Atlantide dove si diceva che i suoi abitanti fossero stati guidati da dei e semidei. 5 Apocalisse Universale Il Diluvio Universale è come abbiamo visto una delle legende più antiche e condivise in tutto il mondo. Tuttavia non è l’unica. L’apocalisse Universale ovvero la fine del mondo è un altro tema che attraversa culture e civiltà diverse. Nonostante le differenze nelle descrizioni dei dettagli molte legende dell’apocalisse condividono elementi comuni la distruzione totale il giudizio divino e l’idea di un nuovo inizio. Questo suggerisce l’esistenza di un filo invisibile che le lega tutte insieme. Alcune delle legende dell’apocalisse più note includono il Radnarog nella mitologia norrena il kali iuga nella tradizione indiana e il Libro delle Rivelazioni della Bibbia cristiana. Anche le culture pre colombiane hanno la loro versione dell’Apocalisse come il Popol Vuh dei Maya e la leggenda del Quinto Sole degli Aztechi. È interessante notare come queste legende si siano sviluppate in modo indipendente in luoghi diversi nel mondo ma condividono così tanti elementi comuni. Questo suggerisce che l’umanità abbia sempre avuto una profonda paura della fine del mondo e della distruzione totale. Il filo invisibile che lega queste legende ci ricorda che nonostante le nostre differenze culturali e geografiche siamo tutti uniti dalla nostra umanità e dalle nostre paure più profonde. Senza dubbio non esiste paura più terribile e più profonda della distruzione della fine del mondo sia che essa venga causata dall’acqua sia che essa sia dovuta al fuoco. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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personal-reporter · 7 months
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La zucca, ortaggio di metà autunno
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Simbolo dell’autunno e di Halloween, la zucca fa parte delle specie vegetali appartenenti alla famiglia delle Cucurbitaceae, e la sua  storia  cominciò grazie alla lagenaria (Lagenaria siceraria), una specie caratterizzata da un frutto cilindrico e allungato, importata dai popoli fenici, i quali cominciarono a coltivarla lungo le foci dei fiumi italiani. In seguito la coltura della lagenaria si ampliò tanto che prima gli etruschi e poi gli antichi romani furono affascinati da questo frutto. sono infatti molte le testimonianze che esaltano la zucca, come quella di Plinio, che ne sottolinea le doti definendola come un balsamo. Nei secoli le credenze e le superstizioni intorno alla zucca si moltiplicarono, a causa delle sue caratteristiche, infatti si sviluppa con estrema velocità e ha un frutto di grandi dimensioni, che talvolta presenta forme e colori molto particolari. Queste qualità fecero che nell’immaginario collettivo la zucca divenisse simbolo della resurrezione ma si perse l’abitudine di utilizzarne la polpa, a favore dei semi, spesso tostati prima di essere consumati. Citata nella Bibbia, da Dante Alighieri e persino da Leonardo da Vinci, la storia della zucca ebbe però una svolta dopo la scoperta delle Americhe e intorno al XVI secolo, quando vennero importate le zucche tonde e arancioni. Da allora la zucca divenne una vera e propria prelibatezza tanto da ricoprire ruolo primario in cucina ed è protagonista di numerose credenze e riti, tanto che anche in Italia il 31 ottobre è divenuta abitudine festeggiare Halloween,  una festività dalle origini antichissime che si è mantenuta e evoluta nei secoli arrivando fino ai giorni nostri. Pare che Halloween fosse festeggiato  in Irlanda già intorno al 500 a.C., quando i popoli autoctoni erano soliti festeggiare il Samhain, cioè la fine dell’estate, verso fine ottobre. Durante l’ultima notte del mese si dovevano spegnere tutti i focolari tranne i fuochi sacri dei druidi, che avrebbero avuto la forza di allontanare gli spiriti nefasti e assicurare raccolti abbondanti nella stagione seguente e l’arrivo del cristianesimo nell’isola britannica il rito venne modificato, mantenendo l’usanza di accendere dei fuochi propiziatori contro le sventure durante la notte precedente il giorno di Ognissanti. Fu così che gli irlandesi cominciarono a coltivare rape e patate dove inserivano fuochi che, protetti e alimentati dagli ortaggi, potevano rimanere accesi per molte ore durante la notte. Nacque così la tradizione di Halloween, da una contrazione dell’inglese All Hallows’ eve che in italiano si traduce come Vigilia di Ognissanti. La storia della zucca di Halloween cominciò solo nell’Ottocento, quando molti irlandesi emigrarono verso gli Stati Uniti d’America di seguito alla carestia, cos’ la tradizione mutò e le luci propiziatorie vennero inserite all’interno della zucca arancione. Data la facilità con cui la zucca  si poteva lavorare, si aggiunsero altri  significati e la figura antropomorfa incise sulle zucche di Halloween divenne un simbolo per scongiurare l’avvento degli spiriti funesti. La tradizione di Halloween si diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti tanto da divenire simbolo del popolo e, successivamente, fu esportata in tutto il mondo occidentale. Read the full article
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rebelontheroad · 8 months
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Il 12 ottobre 1492, Cristoforo Colombo, esploratore genovese al servizio dei Re Cattolici di Spagna, arrivò nel Nuovo Mondo, pensando di aver raggiunto l'Asia. Questo evento storico segnò l'inizio dell'era delle esplorazioni europee nelle Americhe. Oggi, questa nazione straordinaria ha prosperato in diversi modi, diventando una delle più influenti e culturalmente diverse del mondo, con una storia ricca e un impatto significativo sulla scena globale.
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jacopocioni · 1 year
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La porti un bacione a Firenze.
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Credo che la canzone sia abbastanza famosa per mettersi a commentare più di tanto, datata si, ma soggetta a successive interpretazioni. Il suo autore ed interprete è Odoardo Eugenio Giano Spadaro un fiorentinaccio calato nel signorile uomo di spettacolo. Non solo famoso in Italia, ma in Francia, nelle Americhe, tanto da essere considerato artista internazionale al suo rientro in patria. Un artista di teatro, di cabaret e soprattutto cantautore puro, cioè scrittore ed interprete delle proprie canzoni. La porti un bacione a Firenze è fra le tante la canzone che l'ha reso indimenticato, soprattutto a Firenze, ma anche nel resto del mondo.
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Targa Odoardo Spadaro Vi rimando a wikipedia per leggere chi era Odoardo Spadaro, vi dico solo che muore il 26 giugno 1965 ed al funerale i posteggiatori fiorentini intonano in suo onore proprio "La mi porti un bacione a Firenze". Firenze gli ha intitolato una strada e nel quarantesimo anniversario della sua morte ha omaggiato l'artista con una targa sulla facciata della sua abitazione in via Luca Landucci. Ovviamente il tempo passa e le persone dimenticano. Allora per rinverdire passate memorie vi ripropongo questo pezzo interpretato dallo stesso Odoardo, ma anche da altri artisti in modo da valutare modi e cambi di tempo. 1° artista Odoardo Spadaro  (Firenze, 16 gennaio 1893 – Firenze, 26 giugno 1965) https://www.youtube.com/watch?v=oT9Pv_Fu2nQ 2° artista Carlo Buti (Firenze, 14 novembre 1902 – Montelupo Fiorentino, 16 novembre 1963) https://www.youtube.com/watch?v=U53WdBhdw2s 3° artista Narciso Parigi (Campi Bisenzio, 29 novembre 1927) https://www.youtube.com/watch?v=5hg6Y7gr5i8 4° artista Nada (Gabbro di Rosignano Marittimo, 17 novembre 1953) https://www.youtube.com/watch?v=TSyHosnlX5I Testo della canzone Partiva una mattina co'i' vapore 'gli era un signore d'una certa età Vedendolo gli fo: Scusi signore! Perdoni, l'è di' ffiore, sì lo so Lei torna a casa lieto, ben lo vedo ed un favore piccolo le chiedo La porti un bacione a Firenze, che l'è la mia città che in cuore ho sempre qui La porti un bacione a Firenze, lavoro solo per rivederla un dì Son figlia d'emigrante, per questo son distante, lavoro perché un giorno a casa tornerò La porti un bacione a Firenze: se la rivedo glielo renderò E quel signore m'ha risposto allora Il tuo bacione a'ccasa porterò e per tranquillità sin da quest'ora, in viaggio chiuso a chiave lo terrò Ma appena giunto a'ccasa te lo giuro, il bacio verso i'ccielo andrà sicuro Io porto il tuo bacio a Firenze che l'è la tua città anche l'è di me Io porto il tuo bacio a Firenze nè mai, giammai potrò scordarmi te Sei figlia d'emigrante, per questo sei distante, ma stà sicura un giorno a'ccasa tornerai Io porto il tuo bacio a Firenze e da Firenze tanti baci avrai L'è vera questa storia e se l'un fosse la fo passar per vera sol perché, so bene e'lucciconi e quanta tosse gli ha chi distante dalla Patria egli è Così ogni fiorentino ch'è lontano, vedendoti partir ti dirà piano: La porti un bacione a Firenze gli è tanto che un ci vò; ci crede? Più un ci stò! La porti un bacione a Firenze un vedo l'ora quando tornerò La nostra cittadina pettegola e carina, la ci ha tant'anni eppure la un n'invecchia mai La porti un bacione a Firenze e a tutti i fiorentini che vedrà Read the full article
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam
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Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Si apre al pubblico il 22 marzo al Mudec - Museo delle Culture la mostra “Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen”, che presenta oltre 180 opere tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti provenienti dalla collezione di uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi, in dialogo con alcune opere della Collezione Permanente del Museo delle Culture. Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, la mostra è stata realizzata grazie ai prestiti del Museo Boijmans Van Beuningen (Rotterdam, Paesi Bassi) e a Fondazione Deloitte, partner della mostra. La curatela è affidata alla storica dell’arte Els Hoek, curatrice del Mfhduseo, con la collaborazione di Alessandro Nigro, professore di Storia della critica d’arte presso l’Università di Firenze. “Il Mudec prosegue nel lavoro di tessitura che collega la creatività moderna e contemporanea alle diverse culture del mondo – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Il particolare taglio curatoriale della mostra connette infatti un movimento artistico, capace di conquistare artisti che hanno contribuito a scrivere la storia dell’arte italiana ed europea, alla creatività di popoli lontani nello spazio e nel tempo, andando all’origine della ‘necessità dell’arte’, che è diversa ma simile in ogni luogo e in ogni epoca”. Era il primo dicembre 1924 quando a Parigi il poeta André Breton pubblicava la sua raccolta di prose “Poisson Soluble”, la cui introduzione sarebbe diventata il Primo Manifesto del Surrealismo, inaugurando ufficialmente la più onirica tra le avanguardie del XX secolo. I Surrealisti cercarono di esplorare la realtà oltre i limiti imposti dalla ragione, espandendola oltre i suoi confini fisici per attingere a una dimensione più piena dell’esistenza: la “surrealtà”. Il Museo Boijmans Van Beuningen possiede una collezione di arte surrealista famosa in tutto il mondo, che annovera tra gli altri artisti come Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte e Man Ray. Oltre a dipinti, oggetti e opere su carta, la collezione comprende numerosi libri rari, periodici e manifesti di artisti e scrittori surrealisti. La mostra fornisce quindi al pubblico una visione a 360 gradi dell’universo surrealista, proponendo opere di artisti famosi ma anche meno conosciuti, pubblicazioni e documenti storici. La scelta di curare una mostra per il Mudec ha portato Els Hoek, la curatrice del Museo olandese, a una selezione mirata della collezione con un focus particolare sull'interesse dei surrealisti per le culture native. La loro critica alla cultura e alla società occidentale industrializzata spinse infatti questi artisti a cercare modelli alternativi, e questa ricerca portò Breton e i suoi a studiare e collezionare gli oggetti etnografici, che entrarono a far parte dell’orizzonte concettuale del movimento. Alessandro Nigro, co-curatore della mostra, ha quindi sviluppato il fil rouge del percorso espositivo sul rapporto tra il surrealismo e le culture native, al quale è dedicata un’ampia sala in cui sono esposte opere della Collezione Permanente del Mudec provenienti da Americhe, Africa, Artico canadese e dalla Papua, in dialogo con artisti quali Tanguy, Masson, Carrington e Lam. Ogni sezione è introdotta da una scultura chiave o un oggetto iconico, che parla al visitatore evocando il tema a cui la sezione stessa è dedicata, e da una citazione che racconta e ricorda al pubblico come il surrealismo fu anche manifesto filosofico, pensiero poetico, sguardo incantato su una realtà ‘altra’. Le sezioni sono arricchite da un apparato multimediale che completa il quadro del racconto. Nelle sale verranno proiettati anche spezzoni di film d’epoca che hanno rivisitato la poetica surrealista contribuendo a formare nella società un nuovo modo di approcciarsi alla realtà: da capolavori come Entr’acte (1924), cortometraggio di Rene Clair, a Spellbound di Alfred Hitchcock, del 1945.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La ricarica bidirezionale è davvero il futuro della mobilità elettrica?
Sempre più spesso nel settore dell'automotive e in generale nella quotidianità sentiamo utilizzare termini come “vehicle-to-grid (V2G)”, “vehicle-to-home (V2H)” o, più comunemente, “ricarica bidirezionale”. Di cosa, però, parliamo realmente? Quale sarà il suo apporto al mondo della mobilità elettrica? Lo scopriamo con la storia di oggi. Cosa vuol dire mobilità elettrica? La mobilità elettrica si riferisce all'utilizzo di veicoli a propulsione elettrica (EV) per il trasporto di persone e merci. Questi veicoli sono alimentati da batterie elettriche e motori elettrici, anziché da motori a combustione interna che bruciano carburante fossile come benzina o diesel. L'utilizzo della mobilità elettrica sta diventando sempre più popolare a causa dei suoi numerosi vantaggi. In primo luogo, i veicoli elettrici sono più efficienti dal punto di vista energetico rispetto ai veicoli a motore a combustione interna. Ciò significa che hanno una maggiore autonomia e possono percorrere maggiori distanze con la stessa quantità di energia. Le parole di Enric Asuncion, founder di Wallbox La ricarica bidirezionale è davvero il futuro della mobilità elettrica? Andiamo ad scoprire quelle che sono le idee e le sensazioni di Enric Asuncion, founder di Wallbox per quanto riguarda il racconto della storia di oggi: Cos'è Wallbox? Wallbox è un’azienda internazionale dedicata a cambiare il modo in cui il mondo utilizza l’energia nel settore dei veicoli elettrici. Wallbox crea dei sistemi di ricarica intelligente che combinano una tecnologia innovativa con un design eccezionale e che permettono di gestire in maniera ottimale il rapporto tra veicolo, fonte energetica, edificio e caricabatterie. L’azienda offre un portafoglio completo di soluzioni di ricarica e gestione dell'energia per uso residenziale, commerciale e pubblico in più di 100 Paesi. Fondata nel 2015, con sede a Barcellona, ha come missione principale quella di promuovere l’adozione di veicoli elettrici nel mondo, garantendo un uso più sostenibile dell’energia. L’azienda impiega circa 1.000 persone in Europa, Asia e Americhe. Quali sono i maggiori vantaggi della ricarica bidirezionale? - Vantaggi economici Restituendo energia alla rete domestica si può ricaricare il proprio veicolo sfruttando le tariffe delle fasce orarie più economiche ed è possibile inoltre rivendere l’energia negli orari di maggiore domanda energetica, ottenendo un prezzo ancora migliore. - Vantaggi ambientali Attualmente i veicoli elettrici sono i pilastri di un nuovo paradigma per la gestione energetica, ancora più sostenibile e grazie al quale il consumatore ha il potere di decidere. La ricarica bidirezionale rende la casa ancora più ecologica, soprattutto se combinata a fonti di energie rinnovabili. A volte si ha paura che le rinnovabili possano risultare inaffidabili, ma combinandole all’uso ad un caricabatterie bidirezionale chi possiede un veicolo elettrico potrà utilizzarne la batteria come storage di energia. - Vantaggi sociali Utilizzare i veicoli elettrici come fonte di energia domestica può diventare conveniente per tutto il quartiere in cui si vive: se diversi proprietari di veicoli elettrici scegliessero di utilizzare i caricabatterie bidirezionali e sfruttare l’energia immagazzinata nell’auto per alimentare le loro abitazioni, si potrebbero evitare o gestire meglio le sovratensioni locali nelle ore di punta. Qual è la differenza tra ricarica bidirezionale e ricarica intelligente?  La ricarica bidirezionale permette di far viaggiare il flusso di energia in due direzioni. Con ricarica intelligente invece si fa riferimento a qualsiasi tipo di ricarica EV (unidirezionale o bidirezionale) la cui durata e velocità sono controllate da un dispositivo “intelligente” – grazie alla connessione dati tra il veicolo elettrico e il caricabatterie – invece che attraverso un interruttore manuale.  Con un decreto del 30 gennaio 2020, il Ministro dello Sviluppo Economico ha stilato alcune linee guida che stabiliscono criteri e modalità per favorire la diffusione di questa tecnologia. L'Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) ha quindi pubblicato le regole che riguardano le colonnine di ricarica dotate di tecnologia V2G e l'aggiornamento del sistema elettrico. L'obiettivo è "promuovere la partecipazione dei veicoli elettrici al funzionamento della rete elettrica, studiando i meccanismi di ricarica e di accumulo ma anche di cessione di energia al sistema". ARERA, inoltre, provvederà a completare la definizione delle regole per la copertura dei costi della tecnologia V2G non appena il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) avrà individuato i requisiti tecnici minimi che dovranno avere i dispositivi e i misuratori installati presso il punto di connessione (anche quando integrati nelle infrastrutture di ricarica) per l'erogazione dei servizi ancillari. Al momento, purtroppo, in Italia parliamo ancora di sperimentazione: non resta che aspettare, ma iniziando ad investire in quella che oggi per Wallbox non è una tecnologia del futuro, ma del presente stesso. Foto di andreas160578 da Pixabay Read the full article
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gregor-samsung · 15 days
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" Un pensiero o idea di trasferimento [del popolo palestinese risale] ai primi tempi del movimento sionista, come mostrerebbe un'annotazione del diario di Theodor Herzl: «Dobbiamo espropriare con delicatezza. […] Cercheremo di indurre la popolazione in miseria ad attraversare il confine procurandole un'occupazione nei paesi di transito; negandogliela, però, nel nostro. […] Il processo di espropriazione e di sgombero dei poveri deve avvenire con discrezione e circospezione.»¹ A distanza di quarant'anni, Ben-Gurion ribadiva il concetto: «Il trasferimento di popolazione è già avvenuto nella valle di Jezreel, nella piana del Sharon e in altri luoghi. Siete a conoscenza del lavoro del Fondo nazionale ebraico in proposito. Ora occorre realizzare un trasferimento di ben altre dimensioni.»² Durante la guerra del 1948, Ben-Gurion mise in pratica le sue raccomandazioni. In una campagna nota come "Operazione Hiram" fu realizzato un trasferimento indiscriminato di popolazione dalla Galilea. Durante questa campagna, ha scritto Morris, le forze armate sioniste eseguirono "un numero insolitamente elevato di esecuzioni di popolazione civile contro muri o nei pressi di un pozzo con notevole metodicità". Molto scrupolosamente, Morris cita ventiquattro episodi di terrorismo o di massacro, di cui i più efferati ebbero luogo a Saliha (78 uccisi), Lod (250), Dawayima (centinaia) e, ovviamente, nel già citato villaggio di Deir Yassin. Alcuni di questi massacri furono probabilmente perpetrati per ragioni tattiche: a Dawayima, nei pressi di Hebron, per esempio, "una colonna entrò nel villaggio sparando all'impazzata e uccise qualsiasi cosa si muovesse". Altri massacri rispondevano, invece, all'intento strategico di terrorizzare la popolazione affinché fuggisse. Questi massacri non furono certo tenuti nascosti dalla popolazione palestinese. Dopotutto, come ebbe a dire una volta Lenin, l'intento del terrorismo è terrorizzare. (Morris, ricordiamo per inciso, ha giustificato i sionisti richiamandosi alla logica del ben noto aforisma di Lenin: "Per fare la frittata occorre rompere le uova").
Secondo un testimone oculare di Deir Yassin: «Deir Yassin era un villaggio che fu attaccato dagli israeliani, o dai sionisti, il 9 aprile 1948. […] Incontrerà delle persone che le diranno: "Questo è quello che successe a Deir Yassin", perché loro erano là. Ho incontrato una donna che mi ha detto che le portarono suo figlio e le dissero di prenderlo in grembo e poi lo uccisero. Usavano coltelli, baionette. Un macello; non un combattimento. Non c'era nessuno da combattere. Erano prevalentemente donne e bambini. Molte, moltissime persone furono massacrate in quel villaggio. Questo massacro terrorizzò l'intera Palestina. Tutti parlavano del massacro di Deir Yassin.» Complessivamente, furono cancellati oltre cinquecento villaggi palestinesi. La maggior parte dei palestinesi che fuggì fini in Cisgiordania, nella striscia di Gaza, nei paesi arabi limitrofi. Quelli con un certo grado di istruzione, con specializzazioni o disponibilità economica cercarono di rifarsi una vita meglio che poterono, talvolta in luoghi lontani come il Golfo persico, l'Europa, le Americhe. Quelli che non furono altrettanto fortunati finirono nei campi profughi, organizzati, inizialmente, dallo United Nations Releif for Palestine (Unrp). "
¹ B. MORRIS, Revisiting the Palestinian Exodus of 1948, in E. L. ROGAN e A. SHLAIM (a cura di), The War of Palestine, Rewriting the History of 1948, Cambridge University Press, Cambridge, 2001, p. 41 [trad. it. La guerra per la Palestina: riscrivere la storia del 1948, Il Ponte, Bologna, 2004]. ² Ibidem, p. 43.
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James L. Gelvin, Il conflitto israelo-palestinese. Cent'anni di guerra, traduzione di Piero Arlorio, Einaudi (collana Piccola Biblioteca Einaudi n° 357), 2007¹; pp. 179-181.
[Edizione originale: The Israel-Palestine Conflict, Cambridge University Press, 2005]
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diceriadelluntore · 1 year
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Agrumato*
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Questa foto è un particolare magnifico di una statua, l’Ercole Farnese, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Capolavoro di ogni tempo, è copia in marmo di un originale in bronzo di Lisippo, del III secolo a.C., copiato da Glicone di Atene nel II secolo a.C., il quale firma l’opera sulla base della statua. L’opera racconta un momento di pausa dell’eroe dopo l’ultima delle sue 12 fatiche, la raccolta dei Pomi del Giardino delle Esperidi. Appoggiato alla sua clava d’ulivo, con la leontè tolta, nella sua mano gigantesca, nascosta dietro la schiena, tiene i tre pomi del mitico Giardino.
In greco antico melon indicava un frutto sferico. Per assonanza con malum, da cui effettivamente deriverà la parola mela, si è sempre pensato che i Pomi del Giardino delle Esperidi fossero delle mele, ma la descrizione di questi frutti dorati, che sembravano figli del sole, porta ad una direzione che questi leggendari frutti fossero degli agrumi. Tant’è vero che sin dal Rinascimento, sinonimo di agrume è la parola esperidio, che indicava questi meravigliosi frutti.
Questa storia è una delle tante che Giuseppe Barbera, professore emerito di Arboricoltura all’Università di Palermo e uno dei massimi esperti di agrumicoltura in Europa, analizza in questo libro
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una storia del mondo inedita, che passa attraverso la storia, la conoscenza, la coltivazioni di queste piante meravigliose, che probabilmente come nessun altra ha formato, attraverso l’intreccio tra natura, scienza, arte umana, paesaggi culturali complessi che raggiungono livelli di armonia e e di concentrazione di valori estetici, ecologici ed economici, sconosciuti alle altre specie. Dice Barbera: “La storia li ha tratti dal selvatico, li ha modificati e selezionati per piantarli in un vaso, lungo strade o piazze, in un giardino ornamentale, una campagna produttiva. I loro frutti arrivano ai mercati, alle tavole, alle industrie alimentari.  Accompagnano la nostra vita, anche trovando posto in memorie e sentimenti sollecitati da apparenze, profumi e sapori che nessun altro genere fruttifero presenta così numerosi e differenziati. Li Incontriamo nei romanzi, nelle poesie e nelle canzoni, nelle pitture, nella fotografia d’autore, nel teatro e nei film, anche nella musica” (pag. 17).
Questo è un libro che racchiude il paesaggio agrumicolo in ogni senso: dalla storia botanica delle piante e delle varietà, al loro uso in cucina, nell’arte profumiera, ma soprattutto al valore simbolico ed estetico che queste piante meravigliose (una delle poche varietà legnose che può avere i fiori, i frutti acerbi e quelli maturi contemporaneamente sulle piante) hanno avuto come status symbol, presenti in tutti i giardini delle residenze nobiliari d’Europa (e il concetto stesso di coltivazione in serra nasce per conservare gli agrumi nei rigidi climi dell‘Europa centrale) e poi negli ultimi centocinquanta anni come immensa industria agricola, essendo gli agrumi la specie arborea fruttifera più coltivata al mondo.
Barbera ha il meraviglioso dono di affrontare con maestria il racconto, che spiega bene tante cose: come una peculiarità del nostro paese, “il paese dove nascono i limoni” nella famosa e fortunata descrizione goethiana, sia frutto di una serie di intrecci di dominazioni, di scambi culturali, anche di puro caso (gli agrumi non nascono nel mediterraneo, ma hanno trovato qui un habitat che conferisce loro caratteristiche uniche). È anche una storia, ben poco conosciuta, di colonialismo: le più grandi piantagioni moderne di agrumi sono tutte nelle Americhe, il frutto fu portato lì sin dai tempi di Cristoforo Colombo. Ma è soprattutto la storia di profumi, luoghi, sapori indimenticabili, alcuni dei quali modificati per coltivare questi frutti magnifici, che continueranno ad affascinare sempre. Vi lascio un quadro che non conoscevo, che ritengo bellissimo:
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opera di Francisco De Zurbaran, Natura morta con limoni, arance e una rosa, del 1663, conservato al Norton Simon Museum di Pasadena, che nasce dalla filantropia di Norton Simon, uno dei più ricchi uomini della California, che deve la sua fortuna al commercio del succo di arance.
*Agrumato è un aggettivo recentissimo, che deriva dall’uso che i sommelier  propongono di un vino che ha sentori di agrumi. Non esisteva ai tempi di Ercole, che probabilmente aveva un sentore agrumato sulle sue gigantesche mani.
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LA SANGUINOSA CONQUISTA DELLE AMERICHE E IL SEGNO LASCIATO DAL GENOCIDIO
LA SANGUINOSA CONQUISTA DELLE AMERICHE E IL SEGNO LASCIATO DAL GENOCIDIO La conquista delle Americhe da parte della Spagna è uno degli episodi più spaventosi intrisi di sangue negli annali della storia umana. Analizzandola, diversi studiosi, affrontano in profondità affascinanti questioni: il carattere delle società americane prima...
Vi presento una riflessione storica frutto della lettura di un editoriale della rivista In Defense of Marxism; mi spiace per i lettori che si aspettano solo notizie di archeologia ma questa scienza e la storia sono innegabilmente legate da un non poco sottile filo di convergenze. Karl Marx ha scritto nel Capitale: “Se il denaro viene al mondo con una macchia di sangue congenita su una guancia,…
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Le antiche città Maya erano contaminate ...
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Le antiche città Maya erano contaminate dal mercurio quanto le città moderne
Raccogliendo dati dalle 10 città Maya contaminate dal mercurio, gli archeologi hanno notato che le misurazioni ambientali erano molto simili a quelle odierne Molti pensano che l’inquinamento sia un problema moderno, ma nelle città in cui vivevano i Maya 1.772 anni fa c’erano già livelli tossici di un comune contaminante: il mercurio. Gli archeologi dell’Università Cattolica dell’Australia hanno trovato questo metallo pesante, solitamente associato ai rifiuti dell’industria moderna, in 10 degli 11 insediamenti Maya che hanno studiato. Nello specifico, a Chunchucmil in Messico; Actuncan in Belize; La Corona, Tikal, Petén Itzá, Piedras Negras e Cancuén in Guatemala; Palmarejo in Honduras; e Ceren in El Salvador. Queste scoperte suggeriscono che tali alte concentrazioni di mercurio hanno influenzato la salute degli antichi Maya molto prima che i conquistadores arrivassero nelle Americhe. Pertanto, furono i Maya a riempire il suolo di quantità industriali di mercurio. Un contaminante così tossico da rappresentare ancora un pericolo per gli archeologi che hanno indagato su questi siti. Ma da dove viene il mercurio? Il mercurio, come il piombo o il cadmio, è naturalmente presente nell’ambiente. Sebbene la versione più pura sia ottenuta fondendo questo metallo a una temperatura relativamente bassa, possiamo trovare cinabro (solfuro di mercurio cristallino) vicino a sorgenti termali o in regioni ad alta attività vulcanica. L’archeologia della regione conferma che i Maya usarono per secoli il cinabro come colorante. Questo perché il pigmento rossastro ottenuto da questo minerale è molto più resistente del viola ottenuto dalle lumache di mare. Inoltre, per i Maya ossessionati dal sangue, il cinabro era il colore più bello. Numerose opere d’arte nelle città Maya hanno utilizzato questo pigmento di mercurio. Altre indagini precedenti avevano già trovato vasi chiusi contenenti mercurio in luoghi dove aveva vissuto la civiltà Maya, come Quiriqua in Guatemala, El Paraíso in Honduras e Teotihuacán in Messico. Quindi trovare questo minerale non dovrebbe essere stato difficile per gli abitanti precolombiani. Tuttavia, nessun archeologo fino ad ora pensava che i Maya avessero abusato di questo pigmento così tanto secoli fa. Il mercurio aveva un valore spirituale per i Maya Durante la loro esplorazione, gli archeologi hanno scoperto che i Maya consideravano il cinabro qualcosa di più di un semplice “bel colore”. Per loro, il ch’ulel o la forza dell’anima di una persona risiedeva nel sangue. Pertanto, il pigmento rosso brillante del cinabro, simile al sangue, era a quei tempi una sostanza inestimabile e sacra. Quando i primi monumenti agli dei furono eretti nelle città durante il 3° secolo d.C., i Maya usarono questa polvere di mercurio naturale per aggiungere colore ai pezzi decorativi. Anche durante i riti funebri, i Maya usavano il mercurio purificato per decorare i defunti. Dopodiché il metallo tossico è penetrato in profondità nelle ossa, lasciando un’eredità persistente di problemi di salute. Ad esempio, uno degli ultimi sovrani della città Maya di Tikal, un re di nome Dark Sun, era particolarmente obeso. Ciò è dovuto a una malattia metabolica che è comunemente causata da avvelenamento da mercurio. “Il mercurio era una sostanza inestimabile per i Maya, ma a loro insaputa era anche mortale e persiste nel suolo e nei sedimenti attorno agli antichi templi“, spiega Nicholas Dunning, archeologo dell’Università di Cincinnati. L’inquinamento delle città, antico quanto la storia dell’umanità? Raccogliendo dati dalle 10 città Maya contaminate dal mercurio, gli archeologi hanno notato che le misurazioni ambientali erano molto simili a quelle odierne. In altre parole, tutte quelle città Maya hanno concentrazioni di mercurio che superano o eguagliano i parametri di riferimento moderni per i livelli di tossicità. Quindi sembra che la contaminazione dei metalli sia sempre stata un problema, anche prima dell’avvento delle industrie. By Federica Vitale FONTE: Read the full article
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sibilla27vane · 3 years
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“Sono un uomo senza passato
me ne infischio del mio passato
il mio passato è una bambina
di sette anni che andava in cartiera
e che io ho chiamato madre
i miei casi meschini
sono meno che merda
di fronte alla sua paura
alle sue piccole gioie così piccole
che la storia non potrà registrare
nel mio passato c’è un uomo
che ha impastato milioni di pani
e che io ho chiamato padre
il mio passato è il suo odio
per il suo padrone
il suo amore per i gatti
la sua docile morte
io amo il mio passato
Lenin Marx Giulio Cesare Mosè
sono il mio passato
Gesù Cristo e lo schiavo
che costruì le piramidi
tutti gli umiliati e gli offesi dei millenni
il pitecantropo e il suo fuoco magico
Leopardi Dante e Socrate e mia nonna
che insegnava a cantare nella sua chiesa paesana
le montagne sono il mio passato
i laghi prealpini e i loro pesci
le stelle e i loro pianeti
le candele e i loro altari
le trottole i mitragliatori
i nidi delle processionarie
il Vangelo il Corano di Vittorio
gli occhiali di Togliatti
i fuochi della Rivoluzione d'Ottobre
Robespierre e la sua ghigliottina
Gandhi e il suo fuso
Spinoza e il suo latino
Rabelais e i suoi giochi di parole
Breton Orazio Sacco e Vanzetti
Pinelli è il mio passato
la Ghirlandina e i suoi morti
San Gemignano e le sue torri
Dostoevskij primo amore
Tolstoj fiume senza parole
i bachi da seta sono il mio passato
i dinosauri Hitler Mussolini
Churchill Stalin Roosevelt Moscatelli
e persone che voi non conoscete
morti che io non ho conosciuto
tutto ciò che saprò
tutto quello che non saprò mai
e le alghe in fondo ai mari
i mari in fondo all’universo
l'universo in fondo ai suoi microbi
le lune in fondo ai loro cieli
le parole in fondo alle loro vene
i pazzi i profeti gli assassini i preti
i poeti i lebbrosi i dervisci
gli impiegati d’ordine
i manovali portatori di terra
lo zio disperso nelle Americhe del Sud
le sue ossa spolpate dalla lontananza
io sono il mio passato
il vostro presente
l’avvenire di tutti
me ne infischio del mio nome
posso perdermi senza rimpiangermi
come si perdono i capelli
sotto le forbici del parrucchiere
come si perde il sole ogni sera
come si perdono le parole
con cui si finge di vivere,
di essere un tale, quel tale,
questo tale,
questo stronzo"
(Versi di Gianni Rodari. Sono praticamente sconosciuti e furono trovati postumi dall'autore della sua biografia, Marcello Argilli, tra i quaderni privati dello scrittore)
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weirdesplinder · 3 years
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ANGELICA
Oggi voglio parlarvi di una saga storico romantica indimenticabile, quella di Angelica, scritta dai coniugi Anne e Serge Golon.
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Questa serie di libri, ambientata nella Francia del XVII secolo, racconta le vicende della bella Angelica (Anne Golon si ispirò alla sua stessa avventurosa vita per scriverle) figlia di un barone decaduto.
Sintesi della trama (che sarebbe lunghissima): In gioventù Angelica scopre una boccetta di veleno destinata al re e sventa l' attentato. Scopre anche l'identità dei congiurati: ciò la metterà in pericolo per tutta la vita. Sposa controvoglia il ricco Joffrey de Peyrac, conte di Tolosa, ricchissimo e dotato di una voce incredibile, ma sfigurato e zoppo. Quando Angelica viene conquistata dalle virtù del marito, il destino li divide: accusato di stregoneria, Joffrey de Peyrac è condannato a morte. Lei si ritrova reietta a Parigi senza un soldo, ma non si da per vinta e prima grazie alle sue doti di ostessa, poi grazie a un matrimonio d’interesse, e a molte altre peripezie (e uomini) risale la scala sociale per infine cogliere l’interesse dello stesso Re Sole, che quando capisce di non potere ottenere mai il cuore, le confessa che Peyrac non è morto sul rogo. Quetsa scoperta stravolge Angelica che fugge da Versailles e parte in cerca del primo marito, finendo in altre mille avventure.
Secondo me questa serie ha influenzato pesantemente la serie su Jamie Fraser di Diane Gabaldon, voi non credete?
Io vedo diversi punti in comune alla due serie:
1- I protagonisti sono molto attraenti e durante tuutta la saga quasi tutti gli altri personaggi vogliono portarseli a letto
2- Angelica, così come Claire viene tacciata di stregoneria
3- Le vicende di Angelica si intrecciano con quelle di personaggi storici reali, vedi Re di Francia. E lo stesso accade a Jamie e Claire
4- Angelica si ritrova coinvolta in una rivolta contro il re, come Jamie
5- Angelica si accompagna ad altre persone ma rimane sempre innamorata del suo vero amore, proprio come Jamie e Claire
6- I figli hanno un ruolo marginale all'interno della storia, almeno fino agli ultimi libri
7- Angelica fugge dalla Francia e va verso le Americhe col marito per iniziare una nuova vita, ma ben presto i guai la seguono, come accade a Jamie e Claire
8- Angelica e Goffredo sono molto moderni, come Jamie e Claire. E le similitudini pottebbero continuare.........
Comunque sia, la serie di Angelica nella sua edizione italiana più recente, edita da Tea, conta ben 21 libri (e anche in una precedente edizione Garzanti), così tanti perchè alcuni romanzi originali (non tutti) sono stati divisi in due. Io invece posseggo l’edizione Villardi che mantiene credo la divisione originale dei romanzi e che vede ogni volume molto voluminoso. Ne esistono comunque anche altre edizioni in commercio nell’usato perciò prendete il mio elenco sottostante con le pinze e controllate le trame per capire quali e quanti romanzi eventualmente vi mancano e dovete acquistare:
Ecco i libri che compongono la serie:
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1. Angelica Marchesa degli angeli
Trama: Figlia di un nobile decaduto del Poitou, Angelica, ancora adolescente, è costretta a sposare Goffredo di Peyrac, un misterioso gentiluomo di Tolosa. Sfigurato e zoppo, Goffredo è in realtà un uomo di scienza, dall'animo generoso e nobile, che saprà conquistare il cuore di Angelica
2. Angelica e il giustiziato di Notre-dame
Trama: Angelica e il marito Goffredo partono alla conquista di Parigi ma, alla corte di Luigi XIV, la felicità e il successo degli sposi suscitano invidie e ostilità e Goffredo è ben presto accusato di stregoneria. Sola e abbandonata da tutti, la Marchesa degli Angeli trova rifugio nei bassifondi di Parigi, in mezzo a ladri e assassini. Anche nelle avversità, Angelica rifiuta di abbattersi...
3. Angelica alla corte dei miracoli
Trama: Costretta a vivere nei bassifondi di Parigi, Angelica riesce a ricostruire la sua fortuna, dividendo i suoi sentimenti tra un feroce bandito e un giovane poeta prima di intraprendere la conquista dell'elegante quartiere del Marais, tappa importante sulla via che la riporterà alla corte di Versailles.
4. Angelica alla corte del Re
Prostrata dalle avversità, ma fedele al suo sogno di fama e ricchezza, Angelica è risalita con coraggio dall'abisso di miseria e disperazione in cui era precipitata. Ha riconquistato Parigi diffondendo una sconosciuta bevanda esotica, la cioccolata, e ora i salotti della nobiltà si parono di nuovo alla sua ammaliante bellezza: il momento del trionfale ritorno a Versailles è giunto.
5. Angelica e le notti di Versailles
Sposa in seconde nozze del marchese Filippo du Plessis-Bellière, Angelica viene riaccolta a corte, tra la gelosia delle favorite di Luigi XIV e l'ostilità dei gentiluomini del seguito reale. L'ambiente fastoso di Versailles nasconde, però, altre insidie per la fiera Marchesa degli Angeli, altri pericoli e nuove sofferenze, ma anche la gioia più inattesa e sconvolgente: l'amore del re.
6. Angelica e l'amore del Re
Trama: La Marchesa degli Angeli è di nuovo al culmine. Tra le molte favorite, lei sola ha conquistato il cuore di Luigi XIV, che la vorrebbe con sé per sempre. Ma la speranza che Angelica ha sempre custodito rinasce: forse Goffredo di Peyrac, l'unico vero amore della sua vita, l'uomo che il Re Sole aveva mandato al rogo, è ancora vivo...
7. Angelica l'indomabile
Trama: Certa, in cuor suo, che Goffredo è ancora vivo, Angelica decide di partire, di lasciare Parigi e la Francia rinunciando a tutto quello che ha faticosamente conquistato. Le tracce del marito la spingono verso l'Africa, ma il viaggio nel Mediterraneo è pieno di insidie che la Marchesa degli Angeli non sospetta nemmeno.
8. Angelica schiava d'oriente
Trama: Caduta in mano ai pirati nel suo viaggio verso Tunisi, Angelica viene ceduta al feroce sovrano arabo Mulay Ismail, che la vuole per il suo harem. Ma il Grande Eunuco, che vuol farne la più potente favorita del suo signore, la tiene nascosta, fino a quando un aiuto inaspettato non le aprirà la strada verso una fuga rocambolesca...
9. Angelica si ribella
Trama: Sfuggita alla schiavitù grazie a una memorabile fuga organizzata da un coraggioso normanno, Angelica trova riparo al Plessis. Ma quando il re le impone una pubblica ammenda per essere riammessa a corte, il suo spirito indomabile si ribella, trascinandola in una nuova avventura al fianco dei protestanti perseguitati... Bella e orgogliosa, audace e sensuale, Angelica de Sancé de Monteloup, contessa di Peyrac e marchesa du Plessis-Bellière è la donna più affascinante, amata e desiderata della Francia del Re Sole. L'accurata ricostruzione storica, l'intreccio ricco di azione e di colpi di scena, le centinaia di personaggi, gli intrighi, le passioni travolgenti, il fasto e la corruzione della corte sono gli ingredienti di questa serie di romanzi che hanno entusiasmato milioni di lettori in tutto il mondo e che sono stati oggetto di fortunate trasposizioni cinematografiche.
10. Angelica alla guerra
Trama: Accanto ai protestanti perseguitati, l'indomabile Angelica affronta le truppe del Re Sole, incurante della sua stessa vita pur di difendere i più nobile dei principi: la libertà di pensiero. Vinta, Angelica si rifugia a La Rochelle, dove riesce a salvare i protestanti dalla morte sul rogo, organizzandone la fuga e facendoli imbarcare su una nave comandata dal pirata Rescator. E' l'inizio di una nuova avventura...
11. Angelica e il pirata
Trama: La vita a bordo della nave su cui la bella Angelica si è imbarcata per sfuggire alle truppe del re Sole, non è per nulla facile anche per una donna coraggiosa come lei. Nonostante le numerose difficoltà la nostra eroina riesce tuttavia a far breccia nel cuore dell'affascinante capitano il "Rescator". Ma quando un marinaio si accorge che la nave si sta dirigendo verso nord, anziché verso l'America, dà l'allarme. Gli uomini della ciurma organizzano una sanguinosa ribellione e prendono prigioniero il "Rescator", dopo che questi ha trascorso una notte d'amore con Angelica. Ma il capitano riesce a fuggire e si rinchiude nella stiva con i suoi uomini.
12. Angelica e il nuovo mondo
Trama: Il Rescator prigioniero nella stiva, la nave in balia delle correnti, gli uomini furiosi e senza una guida capace: la vita sul veliero che porta Angelica oltre oceano è sempre più dura. Ma finalmente le coste della Florida appaiono all?orizzonte. Per la bella Marchesa degli Angeli è il segno di una nuova speranza, dopo le avventure e le sofferenze e i pericoli trascorsi. Una nuova vita l’attende, al fianco dell?uomo che ha sempre amato.
Qui si concludevano i film dedicati ad Angelica negli anni ‘60, ma i libri proseguono:
13. Angelica alla frontiera
Trama: Negli sconfinati territori dei Grandi Laghi nordamericani, Angelica cavalca sicura tra enormi aceri secolari, illuminata dalla luce scarlatta dell'autunno. Ha con sé i figli e il marito, il fiero Goffredo di Peyrac, al quale, dopo innumerevoli vicissitudini, si è riunita, per affrontare assieme le difficoltà e i pericoli di una nuova vita in una terra sconosciuta. Tra montagne selvagge e fiumi impetuosi, tra efferate tribù irochesi e fanatici gesuiti, nuove sfide e avventure stanno attendendo la Marchesa degli Angeli
14. La tentazione di Angelica
Trama: Angelica si è finalmente riunita al marito, il fiero Goffredo de Peyrac, e ai figli, quando un incontro inatteso sopraggiunge a turbare la serenità faticosamente ritrovata. L'uomo che crede essere il terribile pirata Barbadoro è in realtà Colin, il compagno, l'amico, l'amante di un tempo. Saprà Goffredo capire il dramma che tormenta la sua amata? E riuscirà Angelica a non cedere alla passione che il ricordo di Colin riaccende in lei? Ancora una volta sarà il cuore a guidarla verso una scelta senz'altro degna della donna splendida, audace e imprevedibile quale è la nostra eroina.
15. Angelica e la diavolessa
Trama: La serenità faticosamente conquistata da Angelica è turbata dall'arrivo a Gouldsbouro, la libera colonia creata da Goffredo di Peyrac, di una donna dal fascino magnetico e dirompente. Lo stesso Goffredo sembra essere ammaliato da quella strepitosa bellezza. Come se non bastasse un succedersi di avvenimenti inattesi e sinistri minaccia la pace e la fresca vitalità della colonia: gli abitanti di Gouldsbouro diffondono la voce che in città si aggiri una "diavolessa", una donna perversa e affascinante come il male stesso.
16. Angelica e il complotto delle ombre
Trama: Scampata alle malvagità della duchessa di Maudribourg, la terribile "diavolessa", Angelica e il suo sposo, Goffredo di Peyrac, lasciano la colonia di Gouldsboro per recarsi nel territorio francese del Québec. Ma mentre si fa più vicina la meta, alla mente della Marchesa degli Angeli riaffiorano le ombre di un passato quanto mai lontano e doloroso, e con esse volti ed episodi da tempo dimenticati. E non solo... Entrati nelle terre di un Paese che li aveva banditi, Angelica e Goffredo dovranno superare ostacoli e avversità, pregiudizi e diffidenze, prima di godere della serenità tanto cercata.
17. Angelica a Quèbec
Trama: Angelica e il suo sposo Goffredo stanno per approdare a Québec, un piccolo gioiello architettonico affacciato sulle rive del San Lorenzo, in Canada. Ma mentre si fa più prossima la meta, un sentimento di angoscia e di timore li assale: che cosa li attenderà in quello sterminato e gelido Paese, suddito della corona di Francia, di quello stesso Luigi XIV che li ha banditi per sempre dalla madrepatria? E come verranno accolti dalla gente del posto? Ad attenderli saranno nuove ed emozionanti avventure
18. La sfida di Angelica
Trama: Angelica e il suo sposo, finalmente sereni, hanno trovato una seconda patria nello sconfinato Canada, un mondo giovane e avventuroso. Ma la felicità appena conquistata viene messa subito in pericolo dall'invasione, da parte dei feroci irochesi, della città di Québec. Soltanto il coraggio di Angelica, che affronta il capo degli irochesi, riuscirà a salvare la vita dei suoi concittadini. Intanto dalla Francia giunge un messaggero: porterà notizie sull'esilio?
19. Angelica, la strada della speranza
La felicità della bella Angelica, incinta del Conte di Peyrac, è in pericolo. Il parto è drammatico, due gemelli prematuri nascono a Salem, la città delle streghe... E poi l'orribile notizia della morte di Padre d'Orgeval, il nemico di Angelica, e le accuse da cui deve difendersi, con tutte le sue forze...
20. Angelica, la fortezza del cuore
Angelica e suo maroto sono riusciti ad uscire indenni dalla caccia alle streghe ma nuovi pericoki sono in afgguato.
21. La vittoria d'Angelica
La figlia di Angelica è stata rapita, Goffredo è dovuto tornare in Francia, ma Angelica non intende certo arrendersi. E con l'aiuto inaspettato di suo figlio....
Non vi svelo il finale di questa serie, ma l'ultima frase è molto Rossella di Via col Vento
L'accurata ricostruzione storica, l'intreccio ricco di azione e di colpi di scena, le centinaia di personaggi, gli intrighi, le passioni travolgenti, il fasto e la corruzione della corte sono gli ingredienti di questa serie di romanzi che hanno entusiasmato milioni di lettori in tutto il mondo e che hanno spinto anche diversi registi a terna delle trasposizioni cinematografiche.
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La più famosa e riuscita è certamente la serie di film degli anni ‘60 con protagonisti gli indimenticabili e supersexy Michèle Mercier e Robert Hossein, che furono ben 5 e le cui trame coprono le trame dei romanzi solo fino al dodicesimo, come vi accennavo sopra :
1. Angelica (1964)
2. Angelica alla corte del re (1965)
3. La meravigliosa Angelica  (1965)
4. L'indomabile Angelica  (1967)
5. Angelica e il gran sultano (1968)
Se vi interessa comprarli ho visto che sono in vendita su LA FELTRINELLI a questo Link.
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