Tumgik
#buio e luce tra cielo e terra
annalisalanci · 10 months
Text
La filosofia dell'esoterismo
La filosofia dell'esoterismo
Tumblr media
La filosofia dell'esoterismo
La psicologia esoterica, condivide gran parte del terreno della filosofia. Essa è un diverso progetto di verità che ritrova la sua peculiarità all'interno delle filosofie che hanno animato l'esoterismo, ma anche soprattutto vuole ricostruire un rapporto oltre che con il passato della filosofia, in cui il <<discorso>> sulla psiche era appunto di pertinenza filosofica e non scientifica, anche con il presente della filosofia. 
Tra le filosofie contemporanee in cui la psicologia esoterica può trovare il suo innesto, abbiamo quella particolare forma di esistenzialismo formulata da Heidegger e dai filosofi che hanno portato avanti il suo pensiero. Fu lo stesso Heidegger ad offrire un nuovo terreno di sviluppo alla metafisica e un senso nuovo alla filosofia come discorso sull'essere e sull'esistere relativo in particolare alla posizione dell'uomo rispetto all'uno e all'altro ambito. 
L'uomo come <<esserci>>, presenza nel mondo, diventa, infatti, la cosa unica, dove questa distinzione è annullata per realizzare il mistero umano in cui l'essere non può essere distinto dal suo <<ci>>. Nei vangeli della rivoluzione scientifica abbiamo inseguito il paradosso si un soggetto puro separato dal suo mondo che poteva diventare un oggetto di studio, un soggetto sopra e un mondo sotto. 
L'uomo esiste perchè partecipe dell'essere, ma esiste anche in quanto presente nel mondo e non possiamo immaginarci altrimenti. Essere e mondo diventano quindi nell'uomo cosa unica, l'esserci (il dasein). 
E' sotto questa luce che la psicologia esoterica trova il suo riferimento filosofico, poiché ogni scienza si propone di conoscere l'ente e niente altro, essa non si chiede che cosa sia questo niente altro, il niente. L'esperienza del niente non è però un'esperienza <<comprensibile>>, ma piuttosto emotiva dell'uomo percorso dall'angoscia: essa è un'emozione, un'esperienza psichica e per certi versi un'esperienza mistica di enso contrario quando si fa pura, quando cioè l'angoscia come esperienza del nulla si fa così profonda da non consentire all'ente di apparire e di significare, l'abisso contro l'assoluto, non coglibile razionalmente, ma solo attraverso il sentimento: l'anima ha però la capacità di illuminare l'ente, essa ha in sé la luce che rende possibile la rivelazione dell'ente dal niente in quanto ente per l'essere esistenziale dell'uomo. Il niente quindi è la condizione per cui l'ente si svela ad un essere aperto alle cose. Per vedere le cose occorre che siano illuminate, l'apertura dell'uomo alle cose è questa luce. 
La verità, in greco a-l'éteia (non-nascondimento), è manifestazione , svelatezza, tutta la Cabala è un'interpretazione simbolica di questo svelarsi del non manifesto (ain soph aur). Appare appunto lampante che se c'è un non-nascondimento esiste anche un <<nascondimento>> (léte) che sta dietro alla manifestazione. 
Alla verità come manifestazione si contrappone la non verità del nascondimento, cioè l'immanifesto, e la non verità come errore. 
Se la verità è non-nascondimento, il nascondimento appare essenziale alla verità, proprio come l'immanifesto alla manifestazione, nell'albero cabalistico. Esso è in realtà quell'orizzonte cui volgono lo sguardo il misticismo, la Cabala e la stessa magia che si riferiscono a questa fonte sotterranea, che come nascondimento precede ogni svelamento, il mistero che precede il disvelarsi del manifesto. 
Una psicologia esoterica che voglia dirsi tale deve riportare l'attenzione dell'anima sul mistero, senza tuttavia distoglierla completamente dall'ente manifesto, ma trovando invece un equilibrio ideale, come abbiamo visto per esempio parlando dell'ecospiritualità. Per fare questo l'anima come presenza nel mondo, ha bisogno innanzitutto di comprendersi e di conoscersi, prima di andare ad esplorare i rapporti con il circostante, e quindi necessita di un modello della psiche che sarà naturalmente esotericamente orientato. 
6 notes · View notes
kuromiwriter · 20 days
Text
UN TAVOLINO DI VETRO SULLA LUNA
C'era una volta un tavolino sulla luna,
una luna rocciosa e grigia come il fango.
Miriadi di pozzanghere
si distendevano sulla superficie lunare come specchi rotti.
Accanto alle pozzanghere violacee
si situava un vecchio e scheggiato tavolino di vetro.
Un tavolino ricoperto di specchi:
specchi frammentati e sporchi di polvere lunare.
Ma la sporcizia traspariva a malapena
sul riflesso del cielo, nero come la pece.
Il cupo e secolare tavolino giaceva
tra quelle pozzanghere violacee dall'odore di zolfo e vernice fresca.
Ma cosa ci faceva davvero un tavolino
sulla luna?
e chi l'aveva costruito un tavolino di vetro ricoperto di specchi?
Che senso ha un tavolino così particolare e senza sedie?
perché mai portare un tavolino in una luna inabitata e spenta?
Era un logoro e secolare tavolino
nato dal dolore e dalla disperazione.
La disperazione di una luna malata
che sarà infelice per sempre.
Permanevano i ricordi amari,
sgualciti come pagine di giornale strappate e annegate nel caffè bollente.
Aveva appena conosciuto
la sua stella magnifica
quando la luna vuota iniziò a brillare.
Il sole amava la luna,
come un drago fedele riscaldava la principessa che sognava la luce.
Il sole donava la sua luce infuocata
alla sua fredda amata..
spegnendosi con il passare del tempo.
Lei era diventata spettacolare,
adesso brillava più di un diamante e
tutte creature dell'universo iniziarono ad innamorarsi di lei.
Nella Terra gli esseri umani le dedicarono poesie e sinfonie,
gli artisti iniziarono a dipingerla,
i lupi ululavano
e gli animali si addormentavano dolcemente ammirandola come una musa.
Ma lei non faceva altro
che disprezzare se stessa.
odiava la sua oscurità originaria
e pensava che l'universo fosse un'innata menzogna.
Lei non era mai stata veramente felice,
nata nella tenebra sentiva l'oscurità anche nella luce più disparata.
Fragile come una sfera di cristallo
guardava malinconica il sole
che le sorrideva dolcemente.
La luna si sentiva una creatura orribile,
nonostante il suo amato le stesse regalando la sua esistenza.
Lei non fece altro che lasciarsi trascinare dalle tenebre dell'universo
che bramavano la sua luce.
Il sole stava per spegnersi,
ma decise di non morire per lei e raccolse la sua poca luce per poi trasferirsi in un'altra galassia.
Il sole non meritava la sofferenza della luna immersa nelle tenebre.
Rimasta sola la luna tornò al buio
e scomparve nell'universo.
Avvolta nelle tenebre pianse sprazzi di zolfo e vapori chimici:
senza il sole adesso si sentiva morire.
Si rese conto di quanto spregevole e meschina fosse stata
e cadde in un oblio eterno di tormento.
La luna si sentiva desolata e schiacciata dal suo dolore incombente,
senza il sole non era altro che un dado senza numeri lanciato nell'oscurità.
Con il passare del tempo creò dalle sue lacrime un tavolino di vetro,
ricoperto di specchi di cristallo puro.
La luna decise di crearne uno ogni anno
fino a ricoprire l'intera superficie lunare di tavolini di cristallo.
Codesti erano il ricordo eterno
del suo amante perduto,
sperava vanamente nel suo ritorno...
ma ormai il sole si era inabissato in un'altra galassia dove miriadi di pianeti e satelliti lo meritano davvero.
Ma adesso la luna con l'oblio degli anni era diventata una sfera di cristallo totalmente coperta di specchi,
specchi che nemmeno si scorgevano riflettendo l'oscurità del cielo tenebroso.
La luna era invisibile nel cielo,
ma sperava ogni giorno in suo ritorno.
Quando il sole sarebbe tornato con la sua luce infuocata avrebbe ammirato per sempre l'incantevole spettacolo
di una luna di fuoco.
Se il sole tornasse da lei non smetterebbe mai di spegnersi,
perché guarderebbe nella luna la perfezione della sua stessa luce.
Ma ormai era troppo tardi...
la lancette erano scadute
e si fermarono nell'oblio di un'eterna disperazione.
7 notes · View notes
missfreija · 7 months
Text
title: /// (mi rifiuto di dare un titolo lol)
fandom: vampire chronicles
pairing: armand/marius
romance, fluff, venice era
Il pennello intinto di nero scorreva veloce nello spazio della tela, stretto tra le dita sottili di Marius che, in piedi tra le pieghe del suo abito ampio, dipingeva la fine dell'umanità per mano del Dio cristiano. Le sue labbra si increspavano in un guizzo di nervosismo, mentre gli occhi, ombreggiati dai capelli biondi, gli conferivano un’ espressione assorta. Tra le mura del palazzo echeggiò un lontano rimbombo di passi. “Maestro, non dovrebbe affaticarsi troppo, è da più di una settimana che non stacca le mani da quel lavoro.” Gli occhi pensosi erano mutati in pozze colme di beatitudine non appena il giovane umano dai capelli ambrati ebbe varcato la soglia. “Dovresti sapere che non ti è permesso entrare in questa stanza senza il mio consenso, Amedeo" mormoró il vampiro, accennando un lieve sorriso indulgente. Amedeo si avvicinò alla composizione con curiosità, mentre Marius si accingeva a riprendere la sua meravigliosa opera, dopo aver ripulito frettolosamente le macchie di pittura disseminate sul pallido braccio. “Che concetto si cela alla base della vostra nuova creazione?” domandò il giovane. “È scaturito da un mio sogno.” Precisò. “Devi sapere, Amedeo, che ciò che per gli umani pare molto tempo, dal calar del sole al sorger della luna, per una qualsiasi divinità equivale a meno di un secondo. Così, il sole si abbassa sulla terra sfumando di rosa aranciato il cielo e le nuvole per poi scomparire, lasciando il palcoscenico alla luna ed accendendo le costellazioni davanti agli occhi di Dio. Rifulgono i bianchi marmi dei templi nella notte, colonne scanalate dai capitelli fioriti d'acanto sostengono fregi rappresentanti imprese eroiche e miti del passato. Bassorilievi muti fissano le tenebre della terra sovrastate dalle splendenti stelle accompagnate dal chiaro volto di Proserpina. E un soffio da oriente, vento ormai debole, adagia una corona intrecciata di fiori, in via di appassire, sulla gradinata di fronte all'alta ed imponente statua del Cristo. Io mi trovavo in questo scenario e piangevo, come morte, persone ancora in vita, guardando l'oro delle nuove città bagnarsi del sangue causato dalle guerre e i cadaveri dei morti venir risucchiati nel regno degli inferi, ove si nasconde il più profondo male dell'uomo, nutrimento demoniaco o forma del demonio stesso. Mi trovavo, in questa illusoria macchinazione febbrile, proprio nel cuore della strage, dove gli arcangeli sterminavano le creazioni dell’umanità. Desideravo scomparire, chiudere gli occhi e tornare a dipingere: illuminare il cielo nella raffigurazione per cancellare la notte che tentava invano di rammentarmi tele e dipinti passati, mai dimenticati nel mio cuore.” Il signore del palazzo veneziano sorrise amaramente, posò il pennello e premette una mano sulla schiena di Amedeo, attonito, in un invito a precederlo. Si avviarono lungo un buio porticato che si affacciava sul cortile. Gocce di pittura nera rigavano i volti di cento angeli nel cielo al tramonto.
Marius entrò nella stanza e i suoi occhi non ebbero bisogno di attendere qualche istante per abituarsi alla nuova atmosfera dalla scarsa luminosità. Il tenue bagliore sprigionato dalle poche candele sul tavolo era più che sufficiente per illuminare il suo mondo circostante. Pian piano andò notando la radiosa ed armoniosa figura che rimaneva semi sdraiata sull'ampio letto dai cuscini di prezioso velluto. Era abbastanza longilinea e sorrideva verso il vampiro, il ritratto della paziente attesa. La pelle chiara rifletteva la luce soffusa delle candele che sprigionavano profumi delicati di spezie e di sandalo, le gambe distese sui soffici cuscini erano leggermente piegate per dare una postura eretta al bacino. Marius mosse un passo verso l'oggetto del suo desiderio. Un sottile velo di seta, che copriva le spalle del giovane ucraino, era scivolato lentamente di lato nascondendo in parte i capezzoli che risaltavano più scuri nella sua trasparenza. Un braccio in tensione, il sinistro, reggeva il busto affondando la mano tra i cuscini mentre l'altro si scaricava rilassato su di un fianco mostrando l'avambraccio. Il giovane portava al dito un onice di piccole dimensioni. Lo sguardo limpido di Amedeo pareva ebbro di gioia, le sue palpebre inondate di una misteriosa polvere dorata che scuriva il contorno dell' occhio dando un' apparenza di intensa profondità. Le mani statuarie sul suo bacino fecero perdere l'equilibrio a quella postura precaria; il suo corpo si distese sui cuscini e la pelle fremette a quel contatto, bramando una connessione più penetrante e appagante. Il capo era reclinato sulla spalla sinistra, gli occhi ora semichiusi e ombreggiati dalle ciglia scure. ''Siete finalmente tornato, Maestro'' mormorò il cherubino. Quell'amore rendeva completa e significativa tutta la sua esistenza di giovane ragazzo umano, e Marius in qualche modo lo sapeva. Posó baci morbidi come petali sulle gote e sui capelli di Amedeo, con immensa gentilezza mentre il giovane si metteva a sedere e reclinava il capo in avanti per accogliere quel gesto, lottando contro le lacrime che minacciavano di rigargli le guance e contro l'emozione che gli serrava la gola. Le sue mani cercarono il petto ricoperto dalla tunica di Marius. Era troppo forte il desiderio di far scorrere le labbra sulla pelle marmorea del suo signore, in una scia di baci adoranti. Le labbra rosee si socchiusero in un respiro più profondo degli altri; il giovane alzò la testa con un movimento quasi felino, trascinante, e incontrò lo sguardo di Marius. Le iridi brune simili a granato parevano celare arcani antichi ed impenetrabili. Il potere insito in quello sguardo lo sopraffece. Armand serrò gli occhi al socchiudersi delle labbra fredde sulle proprie, baciando con trasporto il suo signore. Sotto il peso del corpo del vampiro, l'umano alzò involontariamente una gamba e la seta strusciò contro il suo fianco. La mano destra di Amedeo corse a sistemare una ciocca dei capelli chiari del maestro dietro l'orecchio; erano setosi e parevano vivi, sciogliendosi fino alle spalle in una morbida cascata color miele. Le sue labbra lasciarono intravedere visibili per un attimo i bianchi denti in un sorriso, la lingua rossa per un istante passò ad inumidire il labbro superiore, ma fu fermata, come animale intrappolato, tra canini aguzzi. Marius scoprì le parti nascoste di quel corpo che aveva imparato a conoscere; con adorazione, passò le dita tra i capelli profumati che giacevano sparsi sulla superficie morbida delle lenzuola. ''Esprimi i tuoi desideri, Amedeo''
Marius parlò con inflessione melodiosa, quasi vibrante, e con una punta di decisione nel tono, ma parve infinitamente dolce alle orecchie rapite di Amedeo. Gli attimi di felicità che aveva condiviso con lo scomparso Andrei gli restarono nei ricordi.
12 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
L'IDEA IMPRECISA
La suggestione dell'idea come espressione della razionalità, come codice che fornisce identità comune alla comunità degli esseri umani, è molto antica. Il pensiero occidentale è debitore a Platone il quale seppe cogliere nel concetto di "anima" l'incontrovertibile della verità che viene in luce, in opposizione alla doxa delle sensazioni e delle espressioni soggettive: nell'anima, entità invisibile ma generatrice del pensiero, l'idea è "ἀλήθεια", svelamento, uscita dall'oblio, chiarezza, evidenza. Si comprende quale valore abbia la relazione tra luce e tenebre, non solo come metafora dell'incessante ricerca del significato: è la luce la condizione della "forma", del fenomeno, dell'apparire, del reale. "Ιδέαι" sono dunque le entità eterne costitutive della realtà, ne rappresentano l'essenza. Eppure, fuori dalle espressioni matematiche, dei numeri e delle forme geometriche, le idee circolano se fanno storia: si affermano qualora divengano una narrazione condivisa. Se con sant'Agostino l'anima platonica entra a pieno titolo nella dimensione teologica di una religione dei "corpi" - senza il concetto di corpo è impossibile capire il cristianesimo - il riflesso dell'idealismo primigenio che si porta dietro, induce a ritenere la razionalità delle idee il marchio della loro autenticità, del loro ancoraggio saldo alla verità. Così, il pensiero occidentale, da Platone in avanti, ha proseguito nel solco dell'idea come atto generativo, della creazione che ha un'origine rispetto al nulla. Il buio è il nulla. La luce è il primo atto. «In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.» - Genesi, capitolo primo - Dunque, l'occidente crede nell'essere e nel nulla, nella creazione e nel significato. Ma l'occidente cristiano. Non quello greco. Che non a caso, dimenticando la lezione di Parmenide, ha espresso, magistralmente, l'inquietudine di trovarsi di fronte al baratro del "nulla" nella tragedia. Ecco perché noi siamo cristiani e non più greci: abbiamo risolto la terribile percezione di un'assenza del significato, nella fede in un atto di creazione che ogni essente ha tratto dalle tenebre. Non importa che quest'idea sia imprecisa, non trovi fondamento in un'evidenza: l'idea stessa del rimedio alla morte nel nulla, per quanto inesplicabile, indefinibile, inconsistente sul piano materiale, ha conquistato il mondo e costituito la sua direzione storica. Ecco perché Nietzsche definì questa concezione il "colpo di genio del cristianesimo". Idea imprecisa quanto contraddittoria: Dio non è luce, ma è ciò che non può essere mai svelato. Altrimenti, Dio diverrebbe un concetto, una "cosa" come le altre cose del mondo. Per questa ragione, l'occidente designa il malefico con il termine "Lucifero", colui che porta la luce, colui che vuole svelare, colui che vuole "reificare" il Dio creatore. Idea imprecisa, dunque. Perché la perfezione dell'idea possiede qualcosa di luciferino, in sé. Mentre il dubbio e la ricerca, contengono una tensione vitale che spesso si dimentica o volutamente si tralascia. L'esperienza del viaggio ha più valore della meta. Presunta. Forse inutile.
- Gaetano Previati (1852-1920): "La creazione della luce" - 1913 circa, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma - In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto" 1975, collezione privata
12 notes · View notes
gregor-samsung · 1 year
Text
“ Il paese s'era messo a vivere la sua curiosa vita invernale: le giornate e le notti si confondevano, l'ombra e il buio nascevano senza violento contrasto. Il mattino spruzzava un po' di chiaro nell'ombra con la pigrizia annoiata di un compito eterno: il paese pareva disabitato, radi i passanti, piú radi i capannelli dei contadini che avvolti nei mantelli, il viso sprofondato nei baveri, passavano ore, talvolta, a guardarsi taciturni, o ad ascoltare la narrazione di un fatto a cui nessuno credeva. Ma nell'interno delle case la vita acquistava un suo piacevole andamento; gli uomini attirati dal tepore del camino uscivano poco e si mischiavano con sempre maggiore intimità alla vita delle donne e dei ragazzi. Perciò, gente d'ordinario taciturna, non faceva che parlare, parlare; l'immobilità nello spazio trovava il suo correttivo nella mobilità della fantasia. Era il periodo dei racconti, delle favole, del ricordo di motti arguti, delle elencazioni delle genealogie. L'intreccio inestricabile delle parentele veniva dipanato dai piú vecchi che si compiacevano di questa funzione di cronisti e, senza volerlo, con quell'operazione naturale della mente che è volta a rendere armoniche le disarmonie del passato davano ai semplici fatti narrati un ritmo di favolosa invenzione. Gl'interventi delle persone venivano posti nelle congiunture che piú necessariamente li richiedevano: gl'incontri erano miracolosi e scioglievano agevolmente i contrasti. Il passato cosí inconsapevolmente composto e armonizzato si coloriva di bellezza. Il presente con le sue inquietudini appariva alla mente come provvisorio, come qualcosa che avendo termine doveva dar luogo al lontano ordine perduto. Le vicende locali passate li orientavano nei rapporti con gli altri membri della comunità che erano tutti caratterizzati con virtú e difetti che, a detta degli anziani, venivano loro da fonti lontane. Rimontando di generazione in generazione quelle virtú e quei difetti acquistavano coerenza e continuità. Nel vasto dramma che ognuno si veniva componendo nella mente gli attori erano disegnati a tutto rilievo e agivano secondo la necessità interna della tradizione. La terra intanto, sotto la pioggia e la nebbia, riposava quietamente; i contadini l'avevano abbandonata al suo riposo. Cosí, nera, fumigante di vapori, era misteriosa e diabolica. Il seme gettato nel suo grembo germinava segretamente secondo una legge che nessuno poteva comprendere. Solo quando le prime foglie tenerissime avevano compiuto il prodigio di aprirsi un varco tra le zolle tutto si faceva chiaro. Allora interveniva l'idea di Dio, il crescere, il verzicare avvenivano nella luce, nel regno delle cose evidenti che la ragione raggiungeva. Per le piante e il grano cresciuti si potevano invocare i santi, scongiurare con preghiere il fulmine e la grandine, ma la vita segreta della terra sfuggiva ai certi poteri del cielo: non si poteva influire su di lei come sul ventre gravido delle donne che con gesti di oscura magia. Ma la terra piú che il cielo aveva una legge ferrea, il grano nasceva sempre, Dio e il cielo potevano, talvolta, non mandare la spiga. “
Francesco Jovine, Signora Ava, Einaudi, 1958; pp. 102-104.
[1ª edizione originale: 1942]
9 notes · View notes
liliaesse · 8 months
Text
C'è chi guarda il tramonto da lontano e si meraviglia dell'unione tra la luce e il buio,il colore e il cosmo,il cielo e la terra.
E poi c'è chi si appropria dei suoi colori,mescolandosi con la natura diversa dal proprio essere,rendendo il panorama una confusione di colori,forme e inquinamento di figure.
È allora che il tramonto cesserà di mostrarsi per paura di essere contaminato da corpi non degni del suo compiacimento.
#MGTH
4 notes · View notes
elorenz · 13 days
Text
Incipit
Ripercorrendo il sentiero che conduce al punto più alto della collina, fra le basse fronde appuntite del pungitopo fiorito tra le querce ed i castagni, in quell'intenso odore che il muschio sparge tra gli alberi con l'umidità della prima mattina, notò ai piedi del ruscello la carcassa mezza sventrata di un daino. Sul collo aveva un vistoso buco che ne aveva scavato le carni, il ventre aperto dai morsi con mezze budella difuori che sussultavano smosse dall'acqua che si insaccava sulla riva; tutt'attorno un area rossa colorata dal suo sangue. Strane tracce di un quadrupede risalivano la scarpata laddove l'umidità ammorbidiva la terra. Uno scricchiolio indirizzò il suo sguardo tra la folta boscaglia, nell'ombra del fogliame si muovava qualcosa di sconosciuto che lentamente sgusciava tra i tronchi ed i cespugli ma non poteva essere un lupo. Si unirono altri suoni e mentre i cani i abbiavano in lontananza spaventati da qualcosa, una spessa nuvola sorvoló il cielo oscurando la luce del giorno. Il buio si disperse, il bosco divienenne una zona d'ombra e lo scricchiolio dei passi divenne sempre più forte nelle orecchie del ragazzo...
1 note · View note
mypickleoperapeanut · 1 month
Text
Tumblr media
"Il faro di Punta Trak"
da Favole & dintorni
Questo è il racconto in prima persona di un marinaio di terra, atipico e anticonvenzionale, che pur non navigando per mare, tocca tanti porti.
Il grande faro di Punta Trak, così alto, imponente e con in cima, proprio sotto la sua lanterna, la stretta terrazza circolare, tutta delimitata da una robusta ringhiera di ferro, è il mio riferimento giornaliero, sulla strada che mi porta al lavoro, mi capita spesso di vederlo nelle fredde e umide mattine invernali, quando ancora il buio predomina e le prime luci dell’alba stentano non poco a farsi strada, molto spesso è quasi del tutto immerso nella nebbia, talmente fitta da non lasciar scorgere niente e nessuno alla sua base, dandomi così l’impressione che quella sua luce rotante sia sospesa nel cielo.
Il faro si lascia comunque scorgere facendo capolino fra le basse nuvole cariche di pioggia, sono le sue tre larghe fasce rosse orizzontali che si alternano al bianco, proprio in alto, a renderlo visibile e inconfondibile anche senza luce.
Punta Trak è una grande area alla periferia nord est della città, il faro che ne prende il nome è nella sua parte più estrema.
Una zona con tanti vecchi edifici, grandi capannoni, magazzini di stoccaggio, motrici di treni che spingono o trainano decine di carrozze merci, container, cisterne e un’infinità di enormi camion, sempre in arrivo o in partenza per le strade d’Europa, che caricano e scaricano senza pausa, pallet e merci di ogni genere.
C’è la dogana, la stazione degli autobus, un moderno centro commerciale ed un continuo brulicare di gente che viene e che va.
Ci sono vecchie costruzioni in disuso e nuovi stabili con tanti uffici, un insieme eterogeneo in cui degrado e sofisticate tecnologie creano forti contrasti che, in disarmonica continuità tra loro contribuiscono a creare quel tipico sapore, che identifica e contraddistingue, ma soprattutto accomuna tutte le vaste zone periferiche delle città destinate a grandi movimenti di genti e di merci.
Io lavoro nella zona del faro, tutti i giorni le mie narici avvertono fortemente quel suo inconfondibile acre profumo, sul mio viso e non solo su quello sento continuamente arrivare gli spruzzi d’acqua, la mia pelle è abbronzata come quella di un marinaio, perché proprio come un vero marinaio con la mia lancia, con qualunque tempo, sono sempre in mezzo all’acqua.
Ma Punta Trak non è come Punta Penna in Abruzzo o Punta Secca in Sicilia, non è un caratteristico lembo di terra che si spinge nel nostro bel mare mediterraneo, ma una piatta area, di Olomouc città al centro d’Europa, il cui vero nome è quello di area Csad, in questa area non ci sono né scogli né mare, né tanto meno navi o rimorchiatori.
Il grande faro di Punta Trak altri non è che una enorme ciminiera che vedo dal piazzale dove vengono a farsi lavare camion, autobus e quanto altro viaggi su ruote.
Questo improbabile porto senza banchine, senza transatlantici né passeggeri transoceanici non è che il lavaggio per automezzi pesanti dove lavoro.
Il forte profumo che avverto non è certamente il meraviglioso profumo di mare, ma è quell'insieme di fatto di gas di scarico dei motori, di fumo delle motrici dei treni, di legno delle traverse dei binari intrise di catrame, di carbone e gli schizzi d’acqua che mi bagnano, non solo il viso, spesso anche tutto il resto, non sono quelli delle onde che si infrangono sugli scogli, ma il getto d’acqua riciclata e maleodorante che fuoriuscendo a forte pressione dalla mia lancia, che non è la veloce imbarcazione che fa la spola tra le navi e la banchina del porto, ma l’attrezzo che spruzza con forza l’acqua che si infrange sulle ruote o sui teloni dei grandi automezzi.
Sono gli autisti, i loro camion e le rispettive merci, gli unici a partire e tornare in questo porto senza mare.
Per noi che siamo qui, ma soprattutto per me, la stanzialità in questo luogo, con un lavoro sempre uguale fatto dagli stessi movimenti, dalle stesse operazioni che si susseguono quotidianamente con una ripetitività e una ovvietà sconcertante, è molto pesante da accettare, molto duro, faticoso e stancante da fare.
Mentre sono qui che lavo e rilavo decine di camion, autobus, cisterne, immagino che la ciminiera sia un faro ed io un viaggiatore di mare che torna da un lungo viaggio pieno di avventure ed esperienze fantastiche, come peraltro fantastica è la mia vita.
Tornare nei luoghi natii, tornare a casa, tornare dove c’è chi ti aspetta è sicuramente il desiderio più grande per un viaggiatore, ma ancor più affascinante per un esploratore di professione come me è il partire, il ripartire per un nuovo viaggio, una nuova avventura, una nuova impresa che appaghi totalmente la mia voglia di nuovo, il mio desiderio di scoprire cose sconosciute e percorrere nuove strade, fantasticare, progettare un futuro fatto di spazi dove la mia mente possa, senza limiti, liberare i suoi pensieri.
Nel frattempo resto qui nel piazzale del lavaggio, mentre le luci artificiali soppiantano lentamente la luce del giorno, io continuo a lavare tutto quello che c’è da lavare e guardo il mio faro e immagino di ripartire presto per uno dei miei viaggi che mi porterà lontano verso una nuova destinazione e mi farà vivere nuove esperienze, nuove avventure, nuove emozioni.
Il faro di Punta Trak Olomouc Česká republika 2011
Favole & dintorni
https://lefavolediriccardo.blogspot.com/?m=1
0 notes
ragazzaframmentata · 1 month
Text
Finché tempo ce ne era era facile nasconderti, celarti nell’angolo più remoto della mia testa…ma non posso negare di non aver dimenticato quella data, risuona nella mia testa come una melodia malinconica, un profondo dolore.
Rivedo ogni attimo, dolore e forza, calore e debolezza..è tutto in tempesta dentro me.
Vorrei dirti queste parole ma ormai che senso avrebbe? Tutto si è ridotto ad un corrisposto senso di lontananza.
Sentirti avvolgere dal braccio gelido della morte quando io ho cercato di risollevarti finché ho potuto è straziante.
Cosa provare? Rabbia? Dolore? Tristezza? Malinconia? Non lo auguro a nessuno.
Anche se sarà tardi so che molte cose potrò spiegartele quando starai meglio, quando ti sentirò come aria sulla mia pelle e la terra come tuo abbraccio.
Ci sono tante cose che vorrei raccontarti, tanti perché su quei punti in sospeso tra noi, tante cose che vorrei sapere.. è complicato.
Tu come dolce veleno nella mia vita hai temprato la mia forza, mi hai fatto toccare il fondo per capire quanto valgo e quanto amore posso donare…ma quel dono l’ho donato proprio a te.
Tanti rimorsi, tanti “avrei potuto” rigano il mio viso come coltelli, se le cose sono andate così forse avevano un senso solo se fossero andate esattamente come le ricordiamo.
Chissà se ti potrò vedere tra i volti della gente, nelle cose che mi ricordi…so solo che nonostante tutto odio il finale.
Non lo accetto? Forse..verrà a mancare una parte del mio vissuto perché, anche se nel dolore, con te posso dire di aver vissuto un qualcosa che valeva la pena di essere affrontato.
Le cose negli ultimi tempi erano cambiate, abbiamo sbagliato entrambi ma posso dire di aver toccato la felicità quando eravamo noi.
Grazie perché mi hai regalato un futuro migliore, la mia eterna dannazione, perché infondo so che a tante promesse non ho fatto giustizia.
Tu, invece, ti sei aggrappato alla vita come ti avevo chiesto, a quel tavolo ci sei stato.
Non posso che ringraziarti infinitamente e, quando sarà il momento, augurarti un cammino lieve dove il dolore e il rancore celati nel tuo cuore, possano volare nel cielo come piume bianche.
Dove tutto possa acquistare un senso, dove l’amore che hai sempre cercato possa avvolgerti in un tenero e caldo abbraccio.
Dove tu possa riposare in pace con te stesso per brillare ogni volta che guarderò il cielo.
Questa lettera è un riflesso della dedizione e tenerezza che ti ho dedicato in questi anni.
Anni dove ho amato davvero, intensamente, nel bene e nel male, quel male che mi hai inflitto.
Dio solo sa quanto ho pregato affinché quelle notti di sofferenza ti fossero a te lievi, ho pregato di avere la forza di esserne all’altezza, che quel momento passasse…,che tu non mi morissi tra le braccia.
Non ho mai creduto in niente, ma ne ho trovato casa e conforto in mezzo a quel buio di incertezze e paure.
Laddove disperavo, arrivava la luce.
È assurdo che dopo tempo io sia qui a parlarne, tante persone si sono accorte che dietro questa maschera di sorrisi stampati e occhi brillanti celo una profonda sofferenza e dolore.
Mi guardo indietro, non riesco a spiegare come io abbia superato tutti quei momenti…a ripensarci provo paura.
Avevo solo 18 anni… provavo amore come a 50… vivevo come fossi già morta.
I momenti belli non li scordo, li porto dentro al cuore ma risultano sfocati a confronto di quei momenti li.
Avevo solo 18 anni, già sapevo cosa volesse dire “nonostante tutto, nella gioia e nel dolore”, a qualsiasi costo, a qualsiasi condizione.
Nonostante i miei mille difetti sono fiera di me, perché per amore ho fatto grandi gesti, cose che potevo solo immaginare.
Ho capito cosa voleva dire amare una persona senza riserve, dove il mondo esterno non contava più, c’eravamo solo noi.
E dopo tutto quello che sappiamo e che non meritavo…beh… non ho avuto il privilegio della tua fedeltà.
Usata, umiliata, rovinata… perché?
Perché di tutto questo? Perché buttare tutto quello che volevamo, che stavamo costruendo? Perché tanta rabbia e bugie? Perché farmi passare tutto questo male?
Questo lo saprai sempre e solo tu.
Guardandomi indietro posso dire che, guardando la situazione come è ora, rifarei tutto.
Dalla panchina alla fine, da come ti avevo conosciuto a come ho preso un biglietto di sola andata via da te.
Tutto perché non potevo dare di più ma a te non è bastato.
Sono fiera di me, davvero.
Spero che un giorno tu possa capire perché io abbia sempre scelto te finché è stato possibile.
Spero che un giorno tu possa comprendere
Spero un giorno di non sentirmi più come se stessi scappando dal passato perché, piaccia o non piaccia, è proprio grazie a quest’ultimo che sono cambiata.
Coraggiosa per affrontare i problemi, un cuore grande per amare incondizionatamente, lacrime copiose per sfogare quel dolore inflitto ma troppo piccola per subire tutto quel male.
Avevo solo 18 anni
0 notes
Text
Tumblr media
ALBERI SACRI
"Gli indiani Hidatsa del Nord America credono che ogni oggetto naturale abbia il suo spirito o, meglio, la sua ombra. A queste ombre si deve una certa considerazione, o rispetto. Si crede che alcuni grandi alberi abbiano un'intelligenza che, se convenientemente avvicinata, può aiutare in varie imprese.
L'abbattere questi giganti è considerata una cattiva azione, e quando c'era bisogno di grandi travi, usavano soltanto gli alberi già caduti. I più anziani dicevano che molte disgrazie del loro popolo erano causate dalla moderna mancanza di rispetto per i diritti dei grandi alberi.
Anche gli Irochesi credono che ogni specie di alberi, piante ed erbe abbiano il loro spirito. Era costume rendere grazie a questi spiriti.
Fra gli abitanti di lingua ewe della Costa degli Schiavi (Africa) il dio Huntin dimora in alcuni alberi giganti della foresta. Gli alberi in cui egli abita vengono circondati da una cintura di foglie di palma, e ad esso vengono offerti sacrifici di galline, e a volte anche di esseri umani, che vengono legati al tronco o deposti ai piedi dell'albero.  Anche gli alberi che non contengono la dimora di un Huntin non possono essere tagliati senza che il boscaiolo offra un sacrificio per purificarsi dal sacrilegio che stà commettendo. Omettere il sacrificio è un'offesa che può essere punita anche con la morte.
Tempo fa tra i monti Kangra del  Punjab si soleva sacrificare una fanciulla a un vecchio cedro, e le famiglie del villaggio fornivano a turno la vittima.
Quando si abbatte una quercia, essa emette delle strida o dei lamenti, che si possono udire lontano un miglio, come se il genio della quercia si lamentasse. Alcuni stregoni affermano di aver udito il pianto degli alberi sotto la scure. Alberi che sanguinano o emettono grida di dolore o d'indignazione quando sono colpiti dall'ascia o bruciati, si incontrano spesso nei libri o nei racconti, in tutte le culture."
- da Magia e culto degli alberi di J.G.Frazer -
Anche senza offrire alcun sacrificio umano, e neppure di galline, portiamo rispetto a queste magnifiche creature, spiriti viventi che mettono in comunicazione la Terra con il Cielo, il Buio con la Luce, lo Spirito con la Materia. Gli antichi hanno saputo coglierne l'essenza, la maggior parte di noi invece passano distratti e veloci senza nemmeno accorgersi di essi. Solo qualche tempo incontrai una signora nel bosco che si soffermava davanti ad ogni grande albero, lo toccava e recitava una breve preghiera. Io rimango sempre affascinato da queste creature meravigliose e a volte stravaganti, ogni volta che entro nel bosco, mi sembra di entrare in una fiaba. 
Questa bellimma queerca campeggia all'ingresso dell'abitato di Viazzano, sulla strada che costeggia il fiume Ceno tra Fornovo e Varano Melegari.
.......
"The Hidatsa Indians of North America believe that every natural object has its own spirit or, rather, its shadow. To these shadows we owe some consideration, or respect. Some large trees are believed to have intelligence which, when conveniently approached, can aid in various feats.
Cutting down these giants is considered a bad deed, and when large beams were needed, they only used trees that had already fallen. The elders said that many of their people's misfortunes were caused by modern disrespect for the rights of large trees.
The Iroquois also believe that every species of trees, plants and herbs have their own spirit. It was customary to give thanks to these spirits.
Among the Ewe-speaking inhabitants of the Slave Coast (Africa) the god Huntin dwells in some giant trees of the forest. The trees in which he lives are surrounded by a belt of palm leaves, and sacrifices are offered to him from hens, and sometimes even human beings, who are tied to the trunk or placed at the foot of the tree. Even trees that do not contain a Huntin's abode cannot be cut down without the lumberjack offering a sacrifice to purge himself of the sacrilege he is committing. Omitting the sacrifice is an offense that can also be punished with death.
Long ago in the Kangra Mountains of Punjab it was customary to sacrifice a girl to an old cedar, and the families of the village took turns providing the victim.
When an oak is felled, it makes screams or moans, which can be heard a mile away, as if the genius of the oak were complaining. Some sorcerers claim to have heard the weeping of the trees under the ax. Trees that bleed or cry out in pain or indignation when struck by the ax or burned are often encountered in books or stories, in all cultures."
- from Magic and Tree Cult by J.G.Frazer -
Even without offering any human sacrifice, or even chickens, we respect these magnificent creatures, living spirits who put the Earth in communication with Heaven, Dark with Light, Spirit with Matter. The ancients were able to grasp its essence, but most of us pass by distracted and fast without even noticing them. Only some time I met a lady in the woods who pausing in front of every big tree, she touched it and said a short prayer. I am always fascinated by these wonderful and sometimes extravagant creatures, every time I enter the woods, it seems to me to enter a fairy tale.
0 notes
annalisalanci · 8 months
Text
Ragnatele nvisibili
Ragnatele kinvisibili
Tumblr media
Annalisa Lanci
Tumblr media
Demone giapponese
Ragnatele invisibili. "In vari testi esoterici, la negatività, che assorbe la nostra energia vitale, viene descritta, come larve psichiche, le quali, sviluppandosi, costruiscono ragnatele che si nutrono del nostro spirito e della nostra mente… è evidente, che le lacune sono alla base dell'esistenza umana; la loro causa, non sono altro che i costruttori di queste strutture invisibili, i quali si nascondono come ragni nei buchi." Invisibile cobwebs. "In various esoteric texts, negatività, which absords our vital energy, is describeb as psychic larvae, which as they develop, construct cobwebs that feed on our spirit and our mind… It Is evident that gaps are at the basis of human existence: their cause, are none other than the builders of these invisibile structures, who hide like spiders in holes."
2 notes · View notes
psicologoestroverso · 9 months
Text
Tumblr media
CAPITOLO # 1
Eccoci qui, come state? Spero bene. Io sono abbastanza stanco, sono appena uscito da un turno al lavoro. Stavo spulciando la mia galleria sul telefono e mi sono imbattuto in questa foto. L'ho scattata a Pian paradiso in provincia di Viterbo. È l'alba del giorno in cui siamo andati, con il campo della cmt, ad Assisi.
L'alba a me affascina molto di più del tramonto. L'alba è simbolo di inizio. Di un nuovo giorno, che si le scelte le parole e i gesti che abbiamo fatto il giorno prima...possono influenzare questo nuovo giorno. Ma comunque la mettiamo... è sempre un nuovo giorno. Ho sempre visto la vita come una sfida a scacchi tra noi ( persone) e il destino.
A volte siamo cechi e pensiamo che le cose fatte nel passato, si ripercuoteranno nel presente e nel futuro. È vero. Ma come in ogni partita a scacchi che si rispetti....se sbagli una mossa il tuo avversario se ne approfitta ( ovvio si chiama competizione), ma non dobbiamo mai dimenticare che poi TOCCA A NOI. La mossa dopo quella del nostro avversario, può sistemare il problema ( affrontando il problema) o può essere passato in secondo piano....perché tanto se ho fatto un torto ad un mio amico " non mi riguarda". Quante volte ci prendiamo gioco delle persone che ci amano, si fidano e ci vogliono bene? Quante?. Succede sempre volontariamente o involontariamente.
Ma quello che voglio dirvi è che la natura ci insegna a vivere. Il TRAMONTO: ci si sta avvicinando alla notte, la stella che illumina tutta la nostra galassia, scende e scompare lasciando spazio ad una luna che non risplende come il sole. Un celo buio, la notte....per alcuni vuol dire pace, serenità e silenzio....per altri inizia veramente la sofferenza. Ma poi arriva lei L'ALBA la luce dopo l'oscurità. Un bagliore che squarcia l'oscurità dando luce...e si sa....senza luce non c'è vita. Per ogni periodo brutto che passiamo ci sarà sempre prima o poi un raggio di sole che ci dà speranza. Citando un film "non può piovere per sempre".
Ma vi chiederete...come faccio a vedere la luce se sono seduto in un tunnel buio? È questo il problema SEI SEDUTO. Alzati cammina, corri, striscia....perché la soluzione, la felicità e l'amore non cadono dal cielo in una 24 ore. No devi combattere e creare l'habitat per far si che queste cose accadono....e non succederà mai stando fermi immobili.
E se ti senti senza forza, intrappolato al terreno e impossibilitato a muoverti....urla CHIEDI AIUTO, a volte le persone sono delle stronze, ed è vero anche io vivo questo pensiero tutti i giorni. Ma poi trovi delle persone con occhi dolci, voci gentili e gesti veri. Non disperare perché troverai anche tu tutto questo. Perché nella vita non c'è una scadenza fissa in cui le cose arrivano. Come ho detto prima...devi lottare per far si che certe cose accadano...i romani dicevano sempre "si vis pacem, para bellum". Perché si a volte devi combattere una guerra eterna per trovare la pace.
Vi lascio con due domande, potete anche non rispondermi...basta che veramente accendete quel cervello che tutti noi abbiamo e che questa società ci ha bloccato, TU DOVE SEI, NEL TRAMONTO? NELLA NOTTE? NELL'ALBA?. COSA TI STA TENENDO IN PIEDI NEL COMBATTERE? COSA TI STA BUTTANDO A TERRA E TI IMPEDISCE DI STARE UP?
Auguro a tutti voi buona notte
0 notes
lestreghedifenix · 1 year
Text
Tumblr media
Festività Pagane
18 maggio festa di Aradia
Tutto ebbe inizio.
Milioni di anni fa.....
In principio, l'universo era vuoto, una grande manto nero.
Le uniche creature esistenti erano, il Padre e la Madre, i Fondatori.
Un giorno, questi Fondatori, decisero di creare i pianeti.
Il primo pianeta creato fu la Terra.
Non come la conosciamo noi, inizialmente era una grande massa di roccia, come un grande sasso.
Poi si misero a modellare questa roccia, come un'opera d'arte,
iniziarono col creare il cielo e il mare.
Crearono le montagne, i prati, gli alberi e tante altre cose, come se stessero dipingendo un quadro.
Finito il lavoro, crearono i primi esseri viventi, gli animali.
Ne crearono di molti tipi, e di diverse misure, li misero nel mare, nelle montagne, nei prati e persino in cielo.
Finiti gli animali, pensarono di creare 4 spiriti,
per proteggere il loro creato ed aiutare gli esseri viventi.
Questi 4 spiriti erano il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria, che sono ancora in mezzo a noi ,ma i Fondatori, gli hanno dato il potere di essere invisibili.
Poi crearono la prima Dea, Diana, aveva il compito di gestire il funzionamento dei mari, della terra, dei prati e di tutto il creato.
Per riuscire a controllare al meglio la Terra, decisero che lei non doveva abitarci, quindi crearono un pianeta dove farla vivere, la Luna.
La Madre guardò la loro opera, ormai la Terra era finita e Diana controllava tutto ,ma mancava ancora qualcosa, la luce.
Così i Fondatori decisero di creare un Dio, Lucifero, il portatore di luce.
Aveva il compito di illuminare la Terra e di riscaldare i suoi abitanti, crearono un pianeta dove farlo vivere, il Sole.
I fondatori decisero di fare l'ultimo ritocco al loro capolavoro e crearono gli esseri umani, che dovevano procreare e vivere in pace e armonia con la natura e gli animali.
Diana e Lucifero erano come fratelli, lavoravano insieme per dare la luce e l'oscurità alla terra,
per far cambiare il tempo e aiutare la natura e tutti gli esseri viventi.
Lei era molto attratta dalla luce di lui e un giorno decise di andare a trovarlo, spostò la Luna verso il Sole e quel giorno ci fu la prima eclissi.
Quando Diana si incontrò con Lucifero, fu amore a prima vista, restarono assieme solo poco tempo, per non creare difficoltà sulla Terra.
Prima di andarsene la Dea diede un bacio al Dio, si udì una grossa esplosione, un evento mai visto prima: come dei fuochi d'artificio, si crearono dei puntini luminosi in tutto l'universo, le stelle.
Da quel giorno Diana e Lucifero hanno continuato a fare i loro brevi incontri e li fanno tutt'ora.
In uno di questi incontri i due Dei si sono uniti, tra il buio dell'eclissi si poté vedere un grande bagliore in cielo, una stella con una scia di luce, che attraversò tutta la Terra, era una Cometa, annunciava l'arrivo della loro figlia, Aradia.
Passarono anni e anni, la Terra era ormai già popolata da tantissimi esseri viventi, tanti uomini, che col passare del tempo iniziarono a sfruttare la natura e gli animali per le loro comodità.
Gli umani infine si misero anche a sfruttare i loro simili, i più ricchi e benestanti, opprimevano i poveri e le donne.
Il Dio e la Dea decisero di chiamare i Fondatori, li aggiornarono sulla situazione e gli chiesero il permesso di mandare Aradia sulla Terra, per mettere a posto la situazione.
I Fondatori decisero che era la cosa migliore da fare, mandarono Aradia sulla terra, una immortale in mezzo ai mortali, con il compito di assoldare degli umani a cui insegnare la magia per poter migliorare la loro situazione.
Aradia così fece, arrivò sulla Terra, iniziò a parlare con delle contadine, oppresse dagli umani di sesso maschile, raccontando loro chi era e quale fosse la sua missione.
Cominciarono quindi ad incontrarsi nei boschi di notte, per non farsi scoprire, si radunavano formando un cerchio e tenendosi per mano.
Aradia era in mezzo a loro e con il suo aiuto, riuscivano a contattare il Dio e la Dea, successivamente, riuscirono a farlo anche senza il suo aiuto.
Le contadine impararono ad usare la magia e a fare pozioni e medicine con le erbe, e con queste a
proteggersi dai soprusi.
In seguito Aradia ha continuato a contattare altre persone per diffondere la sua sapienza, le sue seguaci erano sempre più numerose anche se rimanevano nascoste.
La figlia degli Dei aveva il potere di distruggere tutti gli oppressori e i potenti sfruttatori, ma non lo fece, preferì mettere i poveri e gli oppressi in condizione di difendersi e vivere per il meglio le loro vite.
Aradia fu così chiamata, la prima Strega, le sue discepole, le streghe, si riunivano in coven ed erano sempre più numerose.
Curavano le malattie, parlavano con gli Dei e facevano incantesimi e pozioni per migliorare il proprio stile di vita.
Tutt'ora ci sono ancora tante Streghe in giro per il mondo, si riuniscono per celebrare le feste Pagane
e per i vari rituali.
La leggenda di Aradia è ancora viva nei loro pensieri, colei che scese sulla Terra per difendere gli oppressi e i poveri.
Quando guardate in cielo, ricordatevi degli Dei che ci guardano da lassù e di Aradia
che veglia su di noi.
#streghedifenixwitchcraft
#lestreghedifenixtarot
0 notes
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti 
L'IDEA IMPRECISA 
La suggestione dell'idea come espressione della razionalità, come codice che fornisce identità comune alla comunità degli esseri umani, è molto antica.  Il pensiero occidentale è debitore a Platone il quale seppe cogliere nel concetto di "anima" l'incontrovertibile della verità che viene in luce, in opposizione alla doxa delle sensazioni e delle espressioni soggettive: nell'anima, entità invisibile ma generatrice del pensiero, l'idea è "ἀλήθεια", svelamento, uscita dall'oblio, chiarezza, evidenza. Si comprende quale valore abbia la relazione tra luce e tenebre, non solo come metafora dell'incessante ricerca del significato: è la luce la condizione della "forma", del fenomeno, dell'apparire, del reale.  "Ιδέαι" sono dunque le entità eterne costitutive della realtà, ne rappresentano l'essenza.  Eppure, fuori dalle espressioni matematiche, dei numeri e delle forme geometriche, le idee circolano se fanno storia: si affermano qualora divengano una narrazione condivisa.  Se con sant'Agostino l'anima platonica entra a pieno titolo nella dimensione teologica di una religione dei "corpi" - senza il concetto di corpo è impossibile capire il cristianesimo - il riflesso dell'idealismo primigenio che si porta dietro, induce a ritenere la razionalità delle idee il marchio della loro autenticità, del loro ancoraggio saldo alla verità.  Così, il pensiero occidentale, da Platone in avanti, ha proseguito nel solco dell'idea come atto generativo, della creazione che ha un'origine rispetto al nulla. Il buio è il nulla.  La luce è il primo atto. 
«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.» Genesi, capitolo primo. 
Dunque, l'occidente crede nell'essere e nel nulla, nella creazione e nel significato.  Ma l'occidente cristiano.  Non quello greco.  Che non a caso, dimenticando la lezione di Parmenide, ha espresso, magistralmente, l'inquietudine di trovarsi di fronte al baratro del "nulla" nella tragedia.  Ecco perché noi siamo cristiani e non più greci: abbiamo risolto la terribile percezione di un'assenza del significato, nella fede in un atto di creazione che ogni essente ha tratto dalle tenebre.  Non importa che quest'idea sia imprecisa, non trovi fondamento in un'evidenza: l'idea stessa del rimedio alla morte nel nulla, per quanto inesplicabile, indefinibile, inconsistente sul piano materiale, ha conquistato il mondo e costituito la sua direzione storica.  Ecco perché Nietzsche definì questa concezione il "colpo di genio del cristianesimo".  Idea imprecisa quanto contraddittoria: Dio non è luce, ma è ciò che non può essere mai svelato.  Altrimenti, Dio diverrebbe un concetto, una "cosa" come le altre cose del mondo. Per questa ragione, l'occidente designa il malefico con il termine "Lucifero", colui che porta la luce, colui che vuole svelare, colui che vuole "reificare" il Dio creatore.  Idea imprecisa, dunque.  Perché la perfezione dell'idea possiede qualcosa di luciferino, in sé.  Mentre il dubbio e la ricerca, contengono una tensione vitale che spesso si dimentica o volutamente si tralascia.  L'esperienza del viaggio ha più valore della meta.  Presunta.  Forse inutile. 
Gaetano Previati (1852-1920): "La creazione della luce" - 1913 circa, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto" 1975, collezione privata
9 notes · View notes
sophiaepsiche · 1 year
Text
Le profondità di San Charbel
Tumblr media
Il silenzio interiore era il suo regno, l’anello di congiunzione con Cristo.
La purificazione spirituale inizia senza una fine: dura finché l’anima non si riempie della divina sapienza.
Aveva sempre lo sguardo fisso per terra, non guardava, non parlava con nessuno se non quando richiesto.
Charbel in questo modo ha cercato di escludere le emozioni e di superarle, per fare di se stesso un’offerta a Dio con amore puro.
Di fronte alla fugacità del mondo sente il bisogno di raddoppiare lo spirito di abbandono di tutto per Dio.
Ogni cosa esterna scompare, rimane solo la grazia che gli permette di entrare nel mondo di Dio.
Padre Charbel vuole stare solo con il Solo.
Non proverà mai una consolazione umana ma solo quella proveniente da Dio.
Il suo desiderio di non distogliere lo ‘sguardo da Dio’ era la sua preoccupazione principale.
Lascia tutto per possedere il ‘Tutto’.
Charbel conosce tutta l’ambiguità interiore ed esteriore della sua mente.
Aspetta la luce di Dio mentre medita sulla natura umana. Sondando in profondità il suo animo.
Solo con il silenzio incondizionato Padre Charbel acquistava maggiore consapevolezza dell’amore reciproco tra lui e Dio, amore santificante con il quale interagire per essere trasfigurato interiormente
Charbel continuò il suo viaggio profondo immergendosi nel suo deserto interiore, necessario per l’ascesa verso Dio. 
Allontanarsi da se stesso, scoprirsi immensamente povero faceva sì che potesse avvicinarsi a Dio, riempirsi di Dio, diventando un tutt’uno con Lui.
In qualsiasi luogo si trovasse, stava in meditazione nel più assoluto silenzio. 
Solo così poteva raggiungere la pace interiore e quell’umiltà necessaria per avvicinarsi a Dio e comunicare con Lui.
L’atmosfera ascetica lo manteneva in unione con il Cielo, purificando continuamente e incessantemente il suo cuore e la sua mente.
Charbel lottò con il buio umano perché solo così sarebbe riuscito a purificarsi interiormente.
Qualsiasi preoccupazione, qualsiasi sbaglio, anche la più semplice disattenzione, lo incoraggiarono a proseguire e a cercare Dio nella sua pienezza.
Egli faticava a liberarsi totalmente di sé, né riusciva a vivere pienamente nella luce di Dio, ma si aggrappava a tutto ciò che gli permetteva di avvicinarsi ad essa.
Cercava continuamente di uscire dalle tenebre, proprie dell’uomo, non tanto per liberarsi dalla sofferenza interiore, quanto per trovare la pienezza interiore di Dio.
- citazioni sulla vita del monaco eremita San Charbel tratte da “San Charbel - Itinerario nelle profondità” di Padre Elias al Jamhoury
1 note · View note
espritbleutee · 1 year
Text
scarsa visibilità, poca percezione.
non riesco a ritrovare la strada,
credo di essermi persa
tra sentieri, colline, montagne.
sono molto stanca, le gambe cedono.
interrompo la scalata,
ho bisogno di riposarmi.
la paura scorre nelle mie vene.
è notte fonda, non c’è anima viva qui
e neanche io lo sono.
esistere o sopravvivere?
improvvisare.
siedo a terra, poggiandomi ad un albero.
mi guardo intorno, oscurità.
mi guardo dentro, stessa cosa.
una voce pronuncia flebilmente il mio nome;
sento i battiti del mio cuore aumentare.
chi sei? che cosa vuoi?
silenzio.
chi vuoi che io sia?
non ho il coraggio di rispondere.
sono ciò che sarai, ciò che sei e ciò che eri
sono tutto e sono niente
sono i pensieri, i sentimenti e le parole di ieri
sono il tuo cuore e la tua mente
sono il mostro da cui provi a scappare
la tua interiorità frammentata
sono ciò che ti può consolare
o un’emozione dimenticata
dove mi trovo? ti chiederai
non son fuori, io sto dentro
ascolta bene e capirai
è arrivato ora il momento
c’era una volta una bambina
spensierata e assai felice
poi di colpo è ragazzina
permanente cicatrice
ciò che dimentichi sono io
nulla è mai perduto e vive in me
catalogo ogni saluto ed ogni addio
come nelle librerie di un antico caffè
il mondo gira, il tempo passa
sopra di noi le vecchie arpie
e in fondo il cuore è solo una cassa
in cui riecheggiano le melodie
di pensieri e vecchi amori
di bellezze e novità
di speranze e di dolori
che tu sempre dovrai affrontar
vedo grigio e poi anche blu
la mia bussola è impazzita
sono io e sei anche tu
riprendi in mano questa vita
guarda bene, sì, con attenzione
lo strapiombo è uno scalino
non sei intrappolata nell’afflizione
la via d’uscita è lì vicino
alza la testa, osserva il cielo
liberati dalle catene che ti trattengono
non ti ha mica uccisa quel veleno
perché le mie mani ancor ti tengono
cosa sono? cosa voglio?
ero, sono e sarò te
starai bene, è solo un sogno
ogni cosa ha il suo perché
mi ritrovo come pietrificata,
riesco a muovere solo le pupille.
osservo freneticamente il buio che mi avvolge,
ma niente,
non c’è niente,
non c’è nessuno.
d’improvviso, sorge il sole,
irradiando la sua luce ovunque.
chiudo gli occhi e li riapro,
sono senza parole.
dove sono? dove mi trovo? cos’è successo?
sono io, distesa su un letto,
tra il calore delle coperte.
confusa, ruoto il mio sguardo
tentando di assimilare il luogo in cui mi trovo,
che poi è la mia camera,
la mia casa.
respiro affannoso, tachicardia,
timore ingiustificato.
una vecchia foto sul cassettone
richiama la mia attenzione.
ritrae me da bambina.
eppure quella foto la ricordavo diversa,
appare cambiata.
la vecchia me sembra sorridere, adesso,
e proprio in mia direzione.
guardo fuori dalla finestra,
sono le sette del mattino.
il cielo è di un bell’azzurro chiaro,
gli uccellini cinguettano.
sento il profumo dei fiori che sbocciano,
che addolcisce ogni mio sentimento negativo.
chi ero, chi sono e chi sarò?
cosa mi fa male e cosa no?
questo non lo so, ma non fa niente.
l’importante è essere consapevoli
e ricordarsi che
dopo ogni inverno
verrà sempre una primavera.
0 notes