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#pioppeti
stefano1973sblog · 8 months
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Uno dei nostri pioppeti a Vigevano zona ex messicano
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lamilanomagazine · 9 days
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Viadana, i Carabinieri Forestali salvano una garzaia da un abbattimento di un pioppeto
Viadana (Mantova), i Carabinieri Forestali salvano una garzaia da un abbattimento di un pioppeto E’ solo grazie al tempestivo intervento dei Carabinieri forestali di Mantova che un’importante garzaia situata a Viadana, tra San Matteo delle Chiaviche e Villastrada, è stata salvata dalla completa distruzione da parte di chi stava tagliando il pioppeto che ospitava decine di nidi di aironi ed altri uccelli acquatici protetti. Come non molti sanno, una garzaia è un luogo dove molte specie di uccelli trampolieri di passo, gli ardeidi, in particolare aironi, nitticore, garzette, nel periodo primaverile, costruiscono ogni anno i nidi per la deposizione delle uova e la cura dei propri pulcini. Essendo specie gregarie, questi uccelli in Pianura Padana scelgono degli habitat con alberi d’ alto fusto, principalmente formazioni boschive ripariali quali saliceti, ontaneti, boschine miste, ma anche canneti, per costruirvi decine di nidi dove condurre la loro attività riproduttiva. Purtroppo, frequentemente, i siti prescelti sono dei semplici pioppeti, diffusissimi in Pianura Padana all’ interno delle golene del Po e dei suoi affluenti, impianti artificiali di alberi a rapido accrescimento per la produzione di legname per l’industria della carta e dei pannelli. Il fatto non sarebbe di per sè pericoloso per le colonie di uccelli; ma può succedere, come nel caso che stiamo raccontando, che il pioppeto sia giunto a fine turno (solitamente 10/12 anni dall’ impianto) ed il proprietario decida di abbatterlo per ricavarne il legname previsto, senza curarsi della presenza di decine o centinaia di nidi. Ed in questo caso è andata proprio così: l’utilizzazione dell’arboreto è iniziata senza alcuna preoccupazione per i nidi, ben visibili date le loro dimensioni, presenti. Nel giro di poche ore di lavoro l’abbattimento a raso di buona parte dell’impianto arboreo ha comportato una strage di nidi, che sono restati schiacciati sotto tronchi e chiome pesanti quintali i quali, schiantandosi al suolo, hanno ucciso pulcini, distrutto uova e di fatto quasi azzerata la riproduzione di quella colonia, con un danno gravissimo per la biodiversità e la conservazione di uccelli protetti non solo dalla legislazione nazionale sulla caccia ma anche dalle Direttive europee e mondiali recepite dall’ Italia, come la Direttiva Uccelli del 2009, la Direttiva Habitat del 1992, ma ancor prima la Convenzione di Berna del 1979 . Per fortuna in questo caso il danno è stato almeno in parte sventato: grazie alla preziosa e competente segnalazione di persone del posto al Gruppo Carabinieri forestale di Mantova, nella mattinata di ieri 4 militari si sono rapidamente recati sul posto, dove hanno immediatamente intimato il fermo lavori alla ditta di contoterzisti che stava atterrando le piante di pioppo. Sotto i tronchi e le ramaglie ormai abbattuti sono stati rinvenuti decine di nidi, con uova schiacciate, pulcini morti o in fin di vita, adulti storditi o feriti. Fortunatamente l’intervento ha scongiurato danni estremi, preservando circa un quarto del pioppeto dall’ ulteriore abbattimento, ma il danno è comunque molto grave. Con l’aiuto di alcuni naturalisti di fiducia dei forestali, molti nidi ed uccelli sono stati rinvenuti, censiti, classificati, e quelli feriti, grazie alla collaborazione della Polizia provinciale, avviati verso i centri di recupero più vicini, per un estremo tentativo di cura e liberazione: sulla base degli esemplari e delle carcasse rinvenute, alcune decine, si stima che gli uccelli morti possano essere diverse centinaia, con altrettanti nidi distrutti. Sentita l’autorità giudiziaria, i forestali hanno messo sotto sequestro preventivo tutta l’area dell’impianto, per evitare che i lavori potessero venire irresponsabilmente proseguiti, e denunciato per la uccisione di animali attraverso la distruzione dei nidi gli esecutori materiali del gesto. Questi ultimi, che saranno processati per la violazione dell’art. 30 c. 1 lettera b) della legge sulla protezione della fauna selvatica omeoterma, la Legge nr. 157/1992, comunemente conosciuta come legge sulla caccia, andranno incontro ad un processo rischiando l’ arresto da 2 a 8 mesi o l’ ammenda da 750 a 2000 Euro. Fatti come quelli narrati non sono purtroppo rari, e fa veramente male sapere che misfatti del genere in danno al nostro ambiente naturale e al patrimonio di biodiversità non solo italiano ma di tutta l’ Europa potrebbero essere evitati semplicemente con un pizzico di sensibilità da parte degli operatori, in questo caso evitando il taglio dei pioppeti nei mesi primaverili, da marzo a giugno/luglio, quando si svolge la nidificazione, e rimandandolo agli altri periodi dell’ anno quando le garzaie sono disabitate e l’ abbattimento degli alberi non comporterebbe alcun danno ecologico. Purtroppo anche la normativa a disposizione delle forze dell’ordine per reprimere fatti del genere è del tutto inadeguata, specie per l’ammontare irrisorio delle sanzioni applicabili o per la mancata previsione delle fattispecie punibili nella normativa di settore, quando ad esempio pratiche come quella del taglio dei pioppeti potrebbe essere facilmente disciplinata da un punto di vista temporale anche solo da normative di livello regolamentare.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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oubliettemagazine · 10 months
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Le métier de la critique: Piero Ravasenga, l’opera narrativa ed il Ventennio
Piero Ravasenga nacque il 7 luglio 1907 a Borgo San Martino (AL), un comune di circa 1500 abitanti, situato nelle vicinanze di Casale Monferrato, nella pianura sulla riva destra del Po dominata da pioppeti e da colture cerealicole. Piero Ravasenga Suo padre era il medico condotto della zona; sua madre, Agostina Vigliani, nipote di Onorato Vigliani, figura di spicco della Destra storica…
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schizografia · 2 years
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Come in un film di Godard: solo
In una macchina che corre per le autostrade
Del Neo-capitalismo latino – di ritorno dall’aeroporto –
[là è rimasto Moravia, puro fra le sue valige]
solo, “pilotando la sua Alfa Romeo”
in un sole irriferibile in rime
non elegiache, perché celestiale
il più bel sole dell’anno –
come in un film di Godard:
sotto quel sole che si svenava immobile
unico,
il canale del porto di Fiumicino
una barca a motore che rientrava inosservata
i marinai napoletani coperti di cenci di lana
un incidente stradale, con poca folla intorno…
come in un film di Godard – riscoperta
del romanticismo in sede
di neocapitalistico cinismo, e crudeltà –
al volante
per la strada di Fiumicino,
ed ecco il castello (che dolce
mistero, per lo sceneggiatore francese,
nel turbato sole senza fine, secolare,
questo bestione papalino, coi suoi merli,
sulle siepi e i filari della brutta campagna
dei contadini servi)…
sono come un gatto bruciato vivo,
pestato dal copertone di un autotreno,
impiccato da ragazzi a un fico,
ma ancora almeno con sei
delle sue sette vite,
come un serpe ridotto a poltiglia di sangue
un’anguilla mezza mangiata
le guance cave sotto gli occhi abbattuti,
i capelli orrendamente diradati sul cranio
le braccia dimagrite come quelle di un bambino
un gatto che non crepa, Belmondo
che “al volante della sua Alfa Romeo”
nella logica del montaggio narcisistico
si stacca dal tempo, e v’inserisce
Se stesso:
in immagini che nulla hanno a che fare
con la noia delle ore in fila…
col lento risplendere a morte del pomeriggio…
La morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi.
E questo bestione papalino, non privo
di grazia – il ricordo
delle rustiche concessioni padronali,
innocenti in fondo, com’erano innocenti
le rassegnazioni dei servi –
nel sole che fu,
nei secoli,
per migliaia di meriggi, qui, il solo ospite,
questo bestione papalino, merlato
accucciato tra pioppeti di maremma,
campi di cocomeri, argini,
questo bestione papalino blindato
da contrafforti del dolce color arancio
di Roma, screpolati
come costruzioni di etruschi o romani,
sta per non poter più essere compreso.
Pier Paolo Pasolini.
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variazionisuntema · 4 years
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Come in un film di Godard:  solo in una macchina che corre per le autostrade del Neo-capitalismo latino – di ritorno dall’aeroporto – [là è rimasto Moravia, puro fra le sue valige]     solo, «pilotando la sua Alfa Romeo»         in un sole irriferibile in rime         non elegiache, perché celestiale         –  il più bel sole dell’anno – come in un film di Godard:         sotto quel sole che si svenava immobile         unico,      il canale del porto di Fiumicino      – una barca a motore che rientrava inosservata      – i marinai napoletani coperti di cenci di lana      – un incidente stradale, con poca folla intorno…
– come in un film di Godard – riscoperta del romanticismo in sede di neocapitalistico cinismo, e crudeltà – al volante per la strada di Fiumicino, ed ecco il castello (che dolce mistero, per lo sceneggiatore francese, nel turbato sole senza fine, secolare,
questo bestione papalino, coi suoi merli, sulle siepi e i filari della brutta campagna dei contadini servi)…
sono come un gatto bruciato vivo, pestato dal copertone di un autotreno, impiccato da ragazzi a un fico,
ma ancora almeno con sei delle sue sette vite, come un serpe ridotto a poltiglia di sangue un’anguilla mezza mangiata
le guance cave sotto gli occhi abbattuti, i capelli orrendamente diradati sul cranio le braccia dimagrite come quelle di un bambino un gatto che non crepa, Belmondo che «al volante della sua Alfa Romeo» nella logica del montaggio narcisistico si stacca dal tempo, e v’inserisce Se stesso: in immagini che nulla hanno a che fare con la noia delle ore in fila… col lento risplendere a morte del pomeriggio…
La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi.
E questo bestione papalino, non privo di grazia – il ricordo delle rustiche concessioni padronali, innocenti in fondo, com’erano innocenti le rassegnazioni dei servi – nel sole che fu, nei secoli, per migliaia di meriggi, qui, il solo ospite,
questo bestione papalino, merlato accucciato tra pioppeti di maremma, campi di cocomeri, argini,
questo bestione papalino blindato da contrafforti del dolce color arancio di Roma, screpolati come costruzioni di etruschi o romani, sta per non poter più essere compreso.
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#pioppeti #fog #trees #nature #fog (presso Vigevano City)
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Il rigore dei pioppi. Me ne basterebbe un pizzico ... ma niente da fare 😂😉👏🏻#blog #pioppi #pianuralombarda #lomellina #pioppeti #rigore #terra #rossotibet #amanda #amandadeni3_0 #lifestyleblog
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La bassa emiliana è così…lingue vie che serpeggiano nel nulla, tra campi, fossati che pullulano di vita, pioppeti e vecchi edifici abbandonati… Le sue stradine sgarruppate proseguono imperterrite ed uniscono paesi, costeggiano il fiume e ricordano il mutamento che questa laboriosa terra ha vissuto nei secoli. Da palude a territorio ricco di opportunità. È così l’Emilia…profuma di vino e grigliate ed è talmente umida da avere foschia anche in estate…ma è come la vita, l’Emilia: prosegue serpeggiando unendo i monti al mare e non la puoi fermare finché non sarà la sua ora di spegnersi. #bassaemiliana https://www.instagram.com/p/CRDYKVILriz8SNOLgzswOdKenlPVyG3mXAefjc0/?utm_medium=tumblr
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mezzopieno-news · 3 years
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AUMENTANO LE FORESTE ECOGESTITE IN ITALIA: PRIMA NELL’UE
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In Italia le foreste gestite in modo sostenibile aumentano e raggiungono una superficie complessiva di 900.000 ettari, l’equivalente di circa tutta l’area della regione Umbria.
L’incremento rispetto allo scorso anno è stato di 8.000 ettari, comprensivi di boschi e pioppeti protetti dalle speculazioni e inseriti nella cosiddetta Catena di custodia del PEFC, il Programma Internazionale di Valutazione degli schemi di certificazione forestale. La regione più ricca di foreste ecogestite è il Trentino Alto-Adige con oltre la metà del patrimonio nazionale (555.997 ettari), seguito da Friuli Venezia Giulia (92.016 ettari), Veneto (74.360 ettari), Lombardia, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata, Marche e Umbria.
Nel ventesimo anno di attività sul territorio italiano, il Programma fa segnare un cospicuo aumento delle aziende di trasformazione nel settore legno e carta che aderiscono alla Catena di Custodia, che raggiungono quota 1.179, con un aumento di 142 rispetto all’anno passato e un significativo incremento di nuove aziende, prevalentemente del settore edilizia e imballaggi. Gli altri settori industriali coinvolti sono quello dei pannelli, edilizia e prima trasformazione e il settore carta, sia per stampa che per packaging.
Il PEFC è un'alleanza globale di sistemi nazionali di certificazione forestale senza scopo di lucro e non governativa, impegnata a promuovere la gestione sostenibile delle foreste attraverso una certificazione indipendente di terza parte. Il 55% dei consumatori europei riconosce e cerca il logo PEFC sui prodotti e sul packaging, e l’Italia è al primo posto come conoscenza e percezione dell’etichetta, con il 67% dei consumatori attenti.
_________________________
Fonte: Programme for Endorsement of Forest Certification schemes - 18 febbraio 2021
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t-annhauser · 7 years
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La scuola di liscio
Mio nonno mi iscrisse ai corsi di liscio perché quella era la sua idea di educazione sentimentale, "chi bala bén fa la morosa". Io all'epoca ascoltavo i Depeche Mode e mi pettinavo come George Michael, fui catapultato d'emblée nel rutilante mondo di Castellina-Pasi ("Spaccafisa", "Tuttopepe"). La scuola di ballo era lontana, ricordo i tragitti all'andata con la morte nel cuore, anche per la mania di mio nonno di sorpassare i camion col coltello fra i denti. 
Traversavamo il Po all'altezza di Castelnovo Bariano, paesaggio bidimensionale, tutto fossi, pioppeti e distributori GPL. Nemmeno l'idea di ritrovarmi per le mani una ballerina mi consolava, anzi, più che altro mi imbarazzava, così, di imbarazzo in imbarazzo, imparai la mazurka aperta, cioè quella con le figure (il loop, il flip, il doppio axel), più il valzer, il bolero e il tango, con l'hesitation. All'inizio le figure proprio non mi volevano entrare in testa, con la ballerina che mi perculava e mio nonno assai avvilito, per conto mio sudavo freddo. Ma non c'era solo il liscio, c'era anche il programma "moderno", vale a dire la rumba, il twist e il cha cha cha, il tutto propedeutico alle esibizioni di piazza (Castelmassa, Pontelagoscuro, Bergantino centro).
A pensarci adesso mi pare tutto un po' irreale, come fosse accaduto ad un altro. Ricordo una sera in cui non avevano sparso abbastanza talco sulla pista e ci piantavamo come biciclette sprofondate nella sabbia (il liscio necessita appunto di superfici lisce, possibilmente scorrevoli), ricordo le mie due ballerine, con le quali mi scuso idealmente per il mutismo dovuto essenzialmente alla mia timidezza patologica. Erano belle ragazze e pure io ero un bel tipo, solo era la testa che non funzionava, allora come oggi. 
Era mia nonna a cucirmi i vestiti per le esibizioni, una salopette attillata di maglina elastica, con la riga rossa sui pantaloni che parevo un carabiniere, le camicie invece di chiffon rosso e verde mela, e le scarpe di copale (come nella nota canzone di Guccini). Assomigliavo ai Cugini di Campagna, solo senza le zeppe. La parata di apertura la facevamo sulle note di "Sì, la vita è tutto un quiz", quella di chiusura su "Cacao Meravigliao", la parte migliore era quando era tutto finito. Le volte che ho sbagliato i passi... c'era la serata che li imbroccavo tutti e c'era quella che sbagliavo il primo e via tutti gli altri, tanto cambiava poco, a fine serata ci regalavano una coppa di consolazione, base in marmo e struttura in plastica (variazioni liberty su tema coppa Rimet). 
Mi scuserete ma avevo bisogno di sfogarmi, sto facendo un po' di ordine, come di chi si appresta a buttarsi di sotto ma prima piega bene le camicie perché di lui si conservi un buon ricordo, non fate troppi pettegolezzi.
(scritta mesi fa sull’altro blog ma già con i segni della fine imminente)
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freedomtripitaly · 4 years
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A ridosso del fiume Po, tra le campagne della bassa reggiana, c’è un piccolo gioiello in miniatura dove le costruzioni monumentali dei Bentivoglio mostrano un’urbanistica tardo cinquecentesca dell’epoca delle Signorie. Si tratta di Gualtieri e questo borghetto – che si trova in provincia di Reggio Emilia al confine con la Lombardia – ospita anche una delle più grandi mostre permanenti dedicate al pittore Antonio Ligabue che qui passò parte della sua vita e mosse i primi passi nella pittura, proprio quella che lo rese celebre in tutto il mondo. Gualtieri, cosa vedere Gualtieri è l’espressione dell’emilianità della bassa reggiana, tra sorrisi e buona cucina. La sua storia risale dall’antichità e si narra che il borgo sia passato dai Longobardi alla famiglia d’Este di Ferrara fino al marchesato dei Bentivoglio, a cui si deve la città come la si conosce oggi, ovvero disegnata come una corte tra paesaggi d’acqua e terra, con la sua piazza quadrata e i suoi portici, che d’inverno vengono avvolti dalle nebbie, mentre d’estate riparano dal sole e dall’afa. Un piccolo borgo, ma ricco di fascino, che si può iniziare ad esplorare partendo da piazza Cavallotti verso Vittorio Emanuele II dove, passata la torre civica, ci si apre allo splendore della piazza abbracciata da Palazzo Bentivoglio. Si tratta di uno spazio perfettamente quadrato, luminoso e che racchiude un prezioso giardino che, secondo lo storico d’arte Cesare Brandi, ha reso quella di Bentivoglio una delle più belle piazze d’Italia. E proprio il palazzo, qui, la fa da padrone. Voluto dal figlio del marchese Cornelio Bentivoglio è stato restaurato e ricostruito, mantenendo intatto tutto il suo splendore, compresi gli affreschi e le sale dei piani nobiliari. La struttura si può visitare, anche con l’ausilio di una guida, e qui sono allestiti il Museo Documentario Antonio Ligabue dedicato al pittore naïf e la Donazione Umberto Tirelli, noto sarto teatrale. Al fianco del palazzo si trova l’antico teatro mentre, al centro del percorso, si può scorgere chiesa di Santa Maria della Neve, terminando poi di nuovo, con la torre civica. Palazzo Bentivoglio. Fonte: iStock Antonio Ligabue, al pittore è dedicato un museo D’origini svizzere, Antonio Ligabue arrivò a Gualtieri nel 1919, quando venne espulso dal suo paese, iniziando una nuova vita, anche lavorativa come bracciante e operaio. Il suo incontro con la pittura avviene proprio qui, nel reggiano, come antidoto contro i disturbi nervosi che lo portavano spesso a farsi ricoverare per le continue ossessioni. La testa di tigre, l’aquila con volpe e gli autoritratti sono alcuni dei suoi dipinti più noti, surreali, che hanno ispirato altri artisti. Qui a Gualtieri, in via Giardino 27, c’è un museo dedicato a Ligabue, allestito in una delle case di Gualtieri dove aveva soggiornato. Tra documenti, riproduzioni, quadri e audiovisivi si può ripercorrere la vita di questo genio d’artista, noto in vita come ‘el matt’, espressione dialettale reggiana che si traduce come “il matto”. Una curiosità: a gennaio 2020 l’attore Elio Germano, che ha interpretato il pittore nel film ‘Volevo nascondermi’, ha ricevuto l’Orso d’Argento al festival di Berlino. Gualtieri. Fonte: 123rf Un teatro recuperato Qui a Gualtieri c’è anche un’altra storia bellissima legata alle arti: quella del teatro sociale di Gualtieri, luogo abbandonato e totalmente recuperato da un gruppo di ragazzi che ha ripreso le attività. Si trova all’interno di Palazzo Bentivoglio e tutta la comunità, abbracciando l’idea dei giovani, ha contribuito al suo grande restauro. Qui oggi si svolgono regolarmente attività. Un giro vicino al Po Chi passa a Gualtieri non può andarsene senza aver visto le campagne. In macchina o in bicicletta, passando antiche cascine agricole e pioppeti, la direzione è una sola: verso il fiume Po. Dal Grande Fiume, poi, si può scegliere di proseguire il giro sulle sponde, nella zona golenale, fare una passeggiata a piedi nell’area protetta del bosco del Caldarèn, o guardare i pescatori disposti lungo le rive. L’acqua qui è la vera protagonista: Gualtieri, infatti, si trova a ridosso della riva destra del Po e della sponda sinistra del torrente Crostolo. Uno spettacolo naturale affascinante che attraversa boschi di salice bianco, cave di sabbia e lanche che rendono il paesaggio unico. Il Po. Fonte: 123rf https://ift.tt/2BB4jOS Gualtieri, il borgo dell’Emilia che ha ispirato Antonio Ligabue A ridosso del fiume Po, tra le campagne della bassa reggiana, c’è un piccolo gioiello in miniatura dove le costruzioni monumentali dei Bentivoglio mostrano un’urbanistica tardo cinquecentesca dell’epoca delle Signorie. Si tratta di Gualtieri e questo borghetto – che si trova in provincia di Reggio Emilia al confine con la Lombardia – ospita anche una delle più grandi mostre permanenti dedicate al pittore Antonio Ligabue che qui passò parte della sua vita e mosse i primi passi nella pittura, proprio quella che lo rese celebre in tutto il mondo. Gualtieri, cosa vedere Gualtieri è l’espressione dell’emilianità della bassa reggiana, tra sorrisi e buona cucina. La sua storia risale dall’antichità e si narra che il borgo sia passato dai Longobardi alla famiglia d’Este di Ferrara fino al marchesato dei Bentivoglio, a cui si deve la città come la si conosce oggi, ovvero disegnata come una corte tra paesaggi d’acqua e terra, con la sua piazza quadrata e i suoi portici, che d’inverno vengono avvolti dalle nebbie, mentre d’estate riparano dal sole e dall’afa. Un piccolo borgo, ma ricco di fascino, che si può iniziare ad esplorare partendo da piazza Cavallotti verso Vittorio Emanuele II dove, passata la torre civica, ci si apre allo splendore della piazza abbracciata da Palazzo Bentivoglio. Si tratta di uno spazio perfettamente quadrato, luminoso e che racchiude un prezioso giardino che, secondo lo storico d’arte Cesare Brandi, ha reso quella di Bentivoglio una delle più belle piazze d’Italia. E proprio il palazzo, qui, la fa da padrone. Voluto dal figlio del marchese Cornelio Bentivoglio è stato restaurato e ricostruito, mantenendo intatto tutto il suo splendore, compresi gli affreschi e le sale dei piani nobiliari. La struttura si può visitare, anche con l’ausilio di una guida, e qui sono allestiti il Museo Documentario Antonio Ligabue dedicato al pittore naïf e la Donazione Umberto Tirelli, noto sarto teatrale. Al fianco del palazzo si trova l’antico teatro mentre, al centro del percorso, si può scorgere chiesa di Santa Maria della Neve, terminando poi di nuovo, con la torre civica. Palazzo Bentivoglio. Fonte: iStock Antonio Ligabue, al pittore è dedicato un museo D’origini svizzere, Antonio Ligabue arrivò a Gualtieri nel 1919, quando venne espulso dal suo paese, iniziando una nuova vita, anche lavorativa come bracciante e operaio. Il suo incontro con la pittura avviene proprio qui, nel reggiano, come antidoto contro i disturbi nervosi che lo portavano spesso a farsi ricoverare per le continue ossessioni. La testa di tigre, l’aquila con volpe e gli autoritratti sono alcuni dei suoi dipinti più noti, surreali, che hanno ispirato altri artisti. Qui a Gualtieri, in via Giardino 27, c’è un museo dedicato a Ligabue, allestito in una delle case di Gualtieri dove aveva soggiornato. Tra documenti, riproduzioni, quadri e audiovisivi si può ripercorrere la vita di questo genio d’artista, noto in vita come ‘el matt’, espressione dialettale reggiana che si traduce come “il matto”. Una curiosità: a gennaio 2020 l’attore Elio Germano, che ha interpretato il pittore nel film ‘Volevo nascondermi’, ha ricevuto l’Orso d’Argento al festival di Berlino. Gualtieri. Fonte: 123rf Un teatro recuperato Qui a Gualtieri c’è anche un’altra storia bellissima legata alle arti: quella del teatro sociale di Gualtieri, luogo abbandonato e totalmente recuperato da un gruppo di ragazzi che ha ripreso le attività. Si trova all’interno di Palazzo Bentivoglio e tutta la comunità, abbracciando l’idea dei giovani, ha contribuito al suo grande restauro. Qui oggi si svolgono regolarmente attività. Un giro vicino al Po Chi passa a Gualtieri non può andarsene senza aver visto le campagne. In macchina o in bicicletta, passando antiche cascine agricole e pioppeti, la direzione è una sola: verso il fiume Po. Dal Grande Fiume, poi, si può scegliere di proseguire il giro sulle sponde, nella zona golenale, fare una passeggiata a piedi nell’area protetta del bosco del Caldarèn, o guardare i pescatori disposti lungo le rive. L’acqua qui è la vera protagonista: Gualtieri, infatti, si trova a ridosso della riva destra del Po e della sponda sinistra del torrente Crostolo. Uno spettacolo naturale affascinante che attraversa boschi di salice bianco, cave di sabbia e lanche che rendono il paesaggio unico. Il Po. Fonte: 123rf Gualtieri è un piccolo gioiello in miniatura a ridosso del fiume Po. Famoso per la piazza e per aver ispirato il pittore Ligabue.
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vocidaiborghi · 5 years
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Il Parco Naturale Regionale del fiume Sile comprende un territorio di circa 4.152 ettari e si distribuisce tra ben undici comuni nelle province di Padova, Treviso e Venezia. Il Sile è un fiume di risorgiva più lungo d’Europa e nasce, attraverso le polle di risorgiva, tra Casacorba di Vedelago nel Trevigiano e Torreselle di Piombino Dese in provincia di Padova, dove è possibile osservare il “fontanasso dea coa longa”, la sorgente principale. Le sue foci attualmente fanno da confine tra il Lido di Jesolo e il Litorale del Cavallino. Secoli addietro, invece, il fiume si buttava nelle acque dell’Adriatico a Portegrandi, frazione del Comune di Quarto d’Altino. Nel 1683, il governo della Serenissima nella sua continua lotta contro l’impaludamento della laguna veneta, fece deviare il corso del fiume, attraverso il canale detto Taglio del Sile, immettendolo nel vecchio alveo del fiume Piave, anch’esso deviato ad oriente. Le sue acque sono sostenute in parte da quelle del fiume Piave, che, insinuandosi al di sotto del terreno ghiaioso a nord del Montello, riemergono alla luce del sole, grazie al terreno argilloso impermeabile. Tra le sorgenti e Treviso il corso del fiume caratterizza il paesaggio in un amalgama di polle sorgive, torbiere e zone umide, e boschetti ripariali. Da qui, lo scenario cambia. Le acque del fiume divagano a mare lungo un percorso sinuoso, attraversando località caratteristiche, ville nobiliari, zone umide, ex cave del tutto soggiogate dalla natura in piccoli laghetti, coltivazioni, pioppeti e vaste aree di boscaglia igrofila. Lungo questo tratto – e fino alle foci – le sue sponde sono state alzate nel passato, le “restere”, permettendo il traino delle grosse imbarcazioni fluviali durante la navigazione contro corrente e arginando l’impetuosità delle sue acque. In prossimità del mare, il fiume si divide nei rami del Silone, del Siloncello e il Taglio del Sile.
Il Sile, come tutti i fiumi, è stato e lo è ancora l’elemento fondante delle vicende umane, che si sono susseguite nel corso del tempo lungo il suo corso ancora mutevole, quale ad esempio il suo ruolo di via di collegamento di rilevanza commerciale o di asse di comunicazione tra il mondo lagunare e quello dell’entroterra, a partire dalla lontana età del Bronzo all’era industriale contemporanea. Con la Legge Regionale n. 8 del 28.01.1991, si veniva ad istituire il Parco Naturale Regionale del fiume Sile, con l’obiettivo “di regolamentare, tutelare, valorizzare e rilanciare il territorio e le acque prospicienti il fiume Sile”. L’articolo 2, che indica le finalità istituzionali, definisce tra le altre cose che:
“La tutela, il mantenimento, il restauro e la valorizzazione dell’ambiente naturale, storico, architettonico e paesaggistico considerato nella sua unitarietà, e il recupero delle parti eventualmente alterate” e “la salvaguardia delle specifiche particolarità antropologiche, idrogeologiche, geomorfologiche, vegetazionali e zoologiche”.
La visita di questo parco, libero e gratuito, rappresenta un’esperienza fuori dal comune. Le tante testimonianze storiche sono immerse in un paesaggio ambientale di grande suggestione, dove è possibile, senza alcuna fatica, osservare numerose specie di uccelli selvatici, liberi di volare o di sguazzare tranquillamente lungo le più calme anse o i piccoli rettilinei del fiume; come è possibile incrociare numerosi altri animali, oltre alla pregiata fauna ittica.
A Casier, località del trevigiano bagnata dal Sile, è possibile accertare il particolare amalgama, che si è venuto a creare lungo il fiume. Lasciata l’auto negli appositi parcheggi, posti in prossimità della chiesa parrocchiale, ci si può addentrare senza alcun problema nel percorso lungo Sile, grazie ai tanti cartelli segnalatori, in particolare per chi ama passare il tempo libero all’aria aperta con la bicicletta. D’altra parte, l’utilizzo della bici è uno dei modi migliori per scoprire il percorso del parco.
  Dopo un tratto di strada asfaltata e aver imboccato la “sterrata” alberata,
  che segue il sinuoso corso del fiume, una piccola passeggiata ci porta a scoprire l’ex molino Toso – Stucky, devastato da un incendio il 7 aprile del 2015, facendo naufragare il progetto dell’hotel “Stuckyno”.
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Pochi metri e si giunge ad un ponticello, che immette ad una brevissima sterrata, anch’essa ombreggiata dalla vegetazione circostante.
  Un piccolo cartello avverte che siamo arrivati al “Cimitero dei burci”.
Il burcio era una grossa imbarcazione armata al terzo dal fondo piatto, adibita al trasporto di grossi carichi all’interno della laguna di Venezia e nei fiumi veneti; e poteva misurare mediamente 20 – 35 metri per una larghezza massima di circa 6.30 metri, con pescaggio massimo di due metri. L’anima viva dello scafo era impregnata di pece, di cui il consueto colore nero, mentre la poppa e la prua, con la punta rialzata, erano decorate con immagini, per lo più religiose, dai colori sgargianti.
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In questa ansa del Sile, a causa dell’utilizzo del nuovo trasporto su gomma, vennero abbandonate alcune imbarcazioni, che per decenni avevano solcato le acque del fiume, trasportando il trasportabile. Le recenti rilevazioni hanno contato ben 19 relitti, alcuni dei quali risalenti alle prime decadi del ‘900: 5 burci, 2 burci per l’escavazione, 2 comacine, 3 batei, 3 gabarre, 1 topo, 1 barchetto e, infine, 2 imbarcazioni di difficile classificazione. Tutti questi relitti, in buona parte decomposti, sono diventati l’oggetto di attenzione di una variegata fauna, che ha deciso di dare una seconda vita ai legni, facendone la propria casa.
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    Il cimitero dei burci del Parco Naturale del Sile Il Parco Naturale Regionale del fiume Sile comprende un territorio di circa 4.152 ettari e si distribuisce tra ben undici comuni nelle province di Padova, Treviso e Venezia.
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dtferrando · 6 years
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D. T. FERRANDO, Gino e Pietro Valle per Fantoni, industriali friulani, in “Casabella” n. 884, April 2018, pp. 16-33. ISSN: 0008-7181
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muccamuffa · 7 years
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C’è qualcosa nelle nostre vite singolari, cioè nelle vite che ognuno di noi fa normalmente tutti i giorni, che per sua virtù propria ha il potere di sbalestrare qualsiasi discorso: nei fatti noi, quasi tutti, non siamo altro che delle collezioni ambulanti, una collezione di cose in bilico dove ci sta dentro un po’ di tutto, un po’ di prati, pioppeti, lavori, hobby, nuvole, carriole del nonno, automobili, mamme
Ugo Cornia
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divepelagos · 5 years
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Alba nei pioppeti della #bassaparmense con giusto quel filo di nebbiolina...#sissatrecasali #sunrise #lucecalda #whatitalyis #eyesopentalent https://www.instagram.com/p/BsaYx2QFpjc/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=lydlu9pyy492
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ispirazionezero · 6 years
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BE YOURSELF Pioppeti. Bassa Pianura Friulana
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