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#Pulizia del cloud
tecnowiz · 23 days
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Come rendere più veloce un vecchio telefono Android
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Hai mai notato che il tuo vecchio telefono Android inizia a rallentare col passare del tempo? È un problema comune che molti utenti incontrano, ma non preoccuparti, perché abbiamo la soluzione per te. Quindi, continua a leggere per scoprire come rendere più veloce il tuo vecchio telefono Android.
Scopri come rendere più veloce il tuo vecchio telefono Android: segui i nostri consigli e ottimizza le prestazioni del tuo dispositivo per un'esperienza fluida e senza intoppi
Avere un telefono che funziona in modo efficiente è essenziale. Tuttavia, con il passare del tempo, anche i migliori dispositivi possono iniziare a rallentare. Se ti trovi a chiederti come rendere più veloce un vecchio telefono, non sei solo. Fortunatamente, ci sono diversi trucchi per velocizzare un vecchio telefono e consigli per far andare più veloce un telefono Android che possono aiutarti a migliorare le prestazioni del tuo dispositivo.
Perché i telefoni diventano lenti?
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Con l’accumulo di app, aggiornamenti, foto e altri file, il tuo telefono Android può iniziare a mostrare segni di stanchezza. Le applicazioni in esecuzione in background, la cache piena e la memoria insufficiente sono solo alcune delle cause che possono ridurre la velocità del tuo telefono. Ma non temere, ci sono soluzioni semplici e pratiche per riportare il tuo fedele compagno alla sua velocità originale.
Trucchi per velocizzare un vecchio telefono Android
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Ecco alcuni trucchi che puoi usare per rendere più veloce il tuo vecchio telefono Android: Ottimizzare lo Spazio di Archiviazione Uno dei modi più efficaci per rendere più veloce un vecchio telefono è liberare spazio di archiviazione. Disinstalla le app che non usi più e cancella i file inutili. Utilizza le funzioni di pulizia del dispositivo integrate o scarica applicazioni per ottimizzare le prestazioni di un telefono che possono aiutarti a rimuovere file spazzatura e cache inutilizzata. Puoi iniziare eliminando le applicazioni che non usi più. Vai alle impostazioni del tuo telefono, apri la sezione "Applicazioni" o "Gestisci applicazioni" e disinstalla quelle che occupano troppo spazio. Inoltre, puoi trasferire le tue foto e video su un servizio di cloud storage come Google Foto o Dropbox per liberare spazio sul tuo dispositivo. Disabilitare le applicazioni inutilizzate Oltre a disinstallare le applicazioni che non usi più, puoi anche disabilitare quelle preinstallate che non ti interessano. Molti produttori di telefoni Android includono una serie di app preinstallate che spesso non vengono utilizzate dagli utenti. Queste app possono consumare risorse del sistema e rallentare il telefono. Vai alle impostazioni del telefono, quindi alla sezione "Applicazioni" o "Gestisci applicazioni". Scorri l'elenco delle app e disabilita quelle che non utilizzi. Questo permetterà al tuo telefono di liberare risorse e migliorare le prestazioni complessive. Gestire le Applicazioni in Background Le app che continuano a funzionare in background possono consumare risorse preziose. Vai alle impostazioni del tuo telefono e limita o disattiva le app in background. Questo non solo velocizzerà il tuo telefono, ma potrebbe anche migliorare la durata della batteria. Aggiornamenti del Sistema e delle App Mantenere il sistema operativo e le app aggiornate è cruciale. Gli aggiornamenti spesso includono miglioramenti delle prestazioni che possono far andare più veloce un telefono Android. Tuttavia, se il tuo dispositivo è molto vecchio, considera se gli ultimi aggiornamenti sono adatti, poiché a volte possono richiedere più risorse. Ottimizzare le impostazioni Le impostazioni del tuo telefono Android offrono diverse opzioni che possono influenzare le prestazioni del dispositivo. Ecco alcuni consigli per ottimizzare le impostazioni e rendere più veloce il tuo vecchio telefono: Riduci la durata dello schermo. Imposta il timeout dello schermo su un periodo più breve, in modo che il dispositivo si spenga più rapidamente quando non viene utilizzato. Questo aiuterà a risparmiare energia e a preservare la durata della batteria. Disabilita le animazioni. Le animazioni possono sembrare belle, ma possono rallentare il telefono. Vai alle impostazioni dello sviluppatore (per accedervi, tocca ripetutamente il numero di build del tuo telefono nelle impostazioni "Informazioni sul telefono" o "Informazioni sul dispositivo") e riduci la velocità delle animazioni o disabilitala del tutto. Riavvio Regolare Un semplice riavvio può fare miracoli per la velocità del tuo telefono. Spegnere e riaccendere il dispositivo può chiudere processi inutili e liberare memoria.
Utilizza applicazioni per ottimizzare le prestazioni
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Esistono diverse applicazioni disponibili sul Play Store che possono aiutarti ad ottimizzare le prestazioni del tuo vecchio telefono Android. Ecco alcune delle migliori applicazioni che puoi provare: Ecco alcune app che sono state segnalate come utili per ottimizzare le prestazioni di un telefono Android: - Advanced Task Manager: Questa app aiuta a gestire e terminare le applicazioni che non sono necessarie, liberando così risorse del sistema. - Assistant for Android: Un’app semplice ma completa che offre una varietà di strumenti per migliorare le prestazioni del tuo dispositivo. - Greenify: Questa app è nota per la sua capacità di ibernare le applicazioni che consumano molte risorse quando non sono attivamente utilizzate. - SD Maid: SD Maid è un'app completa per la pulizia del telefono che può aiutarti a liberare spazio di archiviazione, eliminare file temporanei e disinstallare app inutilizzate. - CCleaner: CCleaner è un'altra app popolare per la pulizia del telefono che offre funzionalità simili a SD Maid. - AVG Cleaner: AVG Cleaner è un'app di pulizia e ottimizzazione del telefono da parte di AVG, una nota azienda di sicurezza informatica. - Avast Cleanup: Questa app offre una suite completa di strumenti per ottimizzare il tuo dispositivo, tra cui la rimozione di file spazzatura, la pulizia della cache, il risparmio energetico e il potenziamento della RAM. - The Cleaner: Un'app leggera e facile da usare che si concentra sulla rimozione di file spazzatura, cache e app inutili per liberare spazio di archiviazione e migliorare le prestazioni. - 360 Security: Un'altra suite di sicurezza completa che include funzionalità di ottimizzazione come la pulizia dei file spazzatura, l'antivirus e il risparmio energetico. Queste applicazioni possono essere un ottimo punto di partenza per chi cerca di rendere più veloce un vecchio telefono. Ricorda di leggere le recensioni e le descrizioni delle app sul Play Store per assicurarti che soddisfino le tue esigenze specifiche.
Conclusione
Speriamo che questi suggerimenti ti siano utili nel rendere più veloce il tuo vecchio telefono Android. Con un po' di attenzione e cura, puoi ottenere prestazioni migliori e prolungare la vita del tuo dispositivo. Non è necessario acquistare un nuovo telefono quando puoi ottimizzare quello che hai già!
Note finali
E siamo arrivati alle note finali di questa guida. Come rendere più veloce un vecchio telefono Android. Ma prima di salutare volevo informarti che mi trovi anche sui Social Network, Per entrarci clicca sulle icone appropriate che trovi nella Home di questo blog, inoltre se la guida ti è piaciuta condividila pure attraverso i pulsanti social di Facebook, Twitter, Pinterest, Tumblr e Instagram per far conoscere il blog anche ai tuoi amici, ecco con questo è tutto Wiz ti saluta. Read the full article
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enkeynetwork · 1 year
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marikabi · 4 years
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Lavorare.  Agilmente è meglio
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Il lavoro ai tempi del contagio potrebbe vivere una totale rivoluzione.
Se il confinamento domestico e la distanza sociale ‘per decreto’ continueranno ancora per un bel po’ (sicuramente verrà prorogato oltre il 3 aprile) tutto il sistema produttivo e quello amministrativo pubblico verranno messi alla prova e posti davanti ad un auspicabile cambiamento, anzi stravolgimento che magari comprenda pure il taglio drastico alla burocrazia.
Grazie all’imposizione dello smart working come ordinarietà, attraverso la digitalizzazione completa delle procedure (specialmente nella Pubblica Amministrazione) il Paese avrà l’opportunità di snellire con la pialla la burocrazia cartacea, oltre ad attivare una migliore protezione dei procedimenti dagli errori, riducendo sensibilmente la discrezionalità e quindi la corruzione.
Le tre declinazioni di un lavoro 4.0, attualmente, sono le seguenti: il telelavoro, lo smart working e il co-working (utilizzo in comune di spazi attrezzati, un co-housing ma di scopo).
Di telelavoro se ne parla da decenni. Funziona che si lavora da casa. Molti call centerhanno postazioni casalinghe. In realtà, come lo smart working, è stato finora poco utilizzato, per colpa del digital divide che rende disomogenea e lacunosa la rete dati italiana, ma non solo per questo grave gap geo-tecnologico.
Se ci pensate, anche il vecchio cottimo manifatturiero si reggeva sul telelavoro: mi installavo il telaio/la macchina per cucire/la macchina per maglieria/la overlock a casa e producevo anche più che in fabbrica.
Lo smart working è l’ultima figata. Si tratta di una sorta di telelavoro, ma molto più chic. Si lavora - se organizzato bene - quantitativamente in misura maggiore, raggiungendo finanche migliori risultati a prescindere dal tempo dedicato. Ovviamente, meglio utilizzi il tempo, più ne liberi per te, sei più contento e diventi anche più creativo, in un circolo virtuoso che farebbe bene agli individui e alle aziende/amministrazioni: dipendenti più sereni, contesto lavorativo migliore, oltre alla maggiore produttività e alla migliore qualità, come già detto.
È un modo per voler bene al proprio lavoro. Ovviamente, non tutti i lavori sono adatti allo smart working, ma buona parte sì.
Nella P.A., l’introduzione - pressoché teorica - dello SW risale all’aprile 2015, col Governo Renzi, di cui era Ministro alla Funzione Pubblica Marianna Madia.
Il ‘lavoro agile’ (tradotto in italiano) che fu immaginato cinque anni fa per la pubblica amministrazione italica sarebbe stato suddiviso tra tempo in-house (aziendale) e tempo da lavorare altrove, non importa dove. Le ore totali lavorate devono comunque essere quelle contrattuali (36 per la maggior parte del pubblico impiego). Non si può fare straordinario e non si ha diritto al buono pasto, ma solo nei giorni in SW.
Sarebbe, nei fatti, un grande aiuto per dipendenti con carichi famigliari e di accudimento notevoli, in particolare per le donne (sulle quali da decenni lo smantellamento del welfare state ha caricato il fardello dell’assistenza e della cura), oltre che la miglior forma di distanziamento sociale negli ambienti di lavoro, in questi tempi bui da contagio pandemico per COVID-19. Inoltre, roba non da poco, le amministrazioni risparmiano: pulizia, elettricità, buoni pasto, spazio, liti&conflitti (il che non è davvero da sottovalutare!), sovraffollamento, chiacchiere, pettegolezzi.
Grazie ai decreti d’emergenza varati agli inizi di questo mese, lo smart working - particolarmente per la P.A. - è la regola, come ha dichiarato il Premier Conte. Okay, siamo partiti, con grande handicap indubbiamente, ma abbiamo attivato l’ingranaggio. Manteniamolo in funzione.
Finora, il ‘lavoro agile’ non ha avuto grandi fortune principalmente per via della smania del controllo (come ha anche confermato Milena Gabanelli in un suo recente DataRoom), della coercizione e del taylorismo/fordismo da parte dei capi/dirigenti, attitudini inestirpabili da tutti i nostri luoghi di lavoro, pubblici e privati. Il problema risiede ovviamente in chi organizza il lavoro, perché ci sono tutti gli strumenti da remoto per far ben operare tutti: dal desktop virtuale alle videochiamate anche di gruppo, dai dispositivi a ’uomo morto’, firma digitale, webinar, classi virtuali. Potremmo condire il tutto con qualche incentivo sulla qualità/quantità di lavoro portato a termine et voila la revolution!
Il mancato decollo dello SW - oltre alle carenze strumentali ed infrastrutturali - è dovuto alle inestirpabili cattive attitudini della dirigenza - pubblica e privata - incompatibili con l’auspicabile rivoluzione organizzativa: tutte le difficoltà tecnologiche sono superabili, ma la cazzimma (talvolta la perfidia, ahimè) dei capi, quella no.
Ho letto una cosa molto intelligente di Roberto Cotroneo, il quale, tra le altre riflessioni, ha dedicato (come pure il sociologo De Masi) speranzose parole alla questione: “Per una ossessione del controllo idiota abbiamo dissuaso ogni forma di smartworking. Più della metà dei lavori che si fanno in azienda possono diventare telelavoro. Devono. Anche per la nostra salute. L’unico piccolissimo vantaggio di questo disastro è che l’aria è più pulita. Lo smartworking deve essere obbligatorio. A cominciare dal settore pubblico. Se qualcuno non ha voglia di produrre non lo farà né in un ufficio e neppure a casa sua. Ma a casa sua si noterà di più. Per questo si deve stare in Parlamento. Perché queste sono leggi urgenti. E c’è bisogno di cominciare a lavorare.”
Ben venga lo smart working, anzi “Viva lo smart working!, tuttavia tantissimi dirigenti vogliono rimanere spocchiosi e comandosi a tutte le latitudini. Lessi tempo fa un editoriale sul Time, a firma di Kristin Van Ogtrop (direttrice di Real Simple, periodico dello stesso gruppo editoriale), nel quale ella si ostinava a ribadire che al lavoro i dirigenti devono fare i dirigenti e i sottoposti devono stare zitti e muti: nessuna confidenza, nessuna parità, collaborazione sì ma sempre e solo nell’ambito della piramide gerarchica. Di seguaci di tale orientamento ne son piene le aziende e le amministrazioni pubbliche, borboniche, papaline, sabaude o teresiane (le macro regioni di humus organizzativo del lavoro in Italia) che siano.
In Italia persiste una classe dirigente vanesia e arrogante, nonché spessissimo inesorabilmente raccomandata, circostanza che non rileverebbe se i raccomandati fossero bra­­vi. (Diciamocela tutta, in Italia anche i bravi necessitano di essere raccomandati, perché non se li fila nessuno. Questo è uno dei motivi della fuga dei cervelli all’Estero.)
(Ma una volta non esisteva il sindacato? Già, una volta. Per mille e mille motivi esogeni ed endogeni - o meglio per motivi endogeni che hanno scatenato reazioni esogene - il sindacato italiano è depotenziato. Sono, tuttavia, molto contenta che la saggia decisione di avviare fattualmente lo SW sia stata governativa. Il decreto ’Cura Italia’ predispone fondi per l’ammodernamento telematico della P.A.)
L’unica regola che emerge dalla lettura delle esperienze aziendali non high-tech e di quelle amministrative sullo smart working è l’obbligo del buon senso (da parte dei lavoratori) e fiducia (da parte del management), di cui certamente non bisogna approfittare. È una questione di coscienza individuale, che, però, si può educare, ovvero convogliare sui giusti binari.
Personalmente, lavoro sempre in modalità smart da quando faccio la giornalista. Da pochissimo - e grazie ai DPCM per l’emergenza - ho iniziato lo smart working anche per la mia fondamentalissima attività ordinaria di pubblico dipendente e devo onestamente ammettere che mi si è aperto un mondo.
A cominciare dal fatto che la mia postazione domestica è molto più ergonomica e ho a disposizione tutto il caffè che mi serve per carburare. Mentre mi dedico, posso ascoltare musica, nonché attuare le prescritte pause da videoterminale attenuando lo stress, ciò non di meno mi sono scoperta eccessivamente rigorosa e professionale, a causa della maggiore responsabilità individuale di ciò che faccio. Cloud, teamviever, instant-messaging, firma digitale, video-chiamate: tutte risorse formidabili per un ponderoso switch procedurale nella pubblica amministrazione. Si può fare.
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Nota del traduttore
Translator’s note 
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English below
Ho tradotto Sottovoce in un posto meraviglioso, da fiaba, da non crederci.
Un po' come i disegni che ti fanno fare all'asilo. Disegna un paesaggio felice. E io facevo una casetta di legno, un fiume, quattro abeti, una nuvola, un cervo (un cilindro orizzontale con dei rami in testa e le zampe come matite, bruttino).
Ero in Canada, in una residenza per traduttori all'interno di un parco naturale. Tu stai lì e traduci, non devi pensare ad altro. Diventi un animaletto che mangia, dorme, cammina nei boschi e traduce. Non devi pensare a cose mondane come pulire, riordinare, fare la spesa, cucinare... e ogni due giorni c'è una tavola rotonda sulla traduzione. Sei con venti traduttori e parli quasi sempre di parole. Poi fai le passeggiate per pulirti la testa nel verde, nei verdi. Sono dei verdi che non avevo mai visto prima, o forse sì, nei ramarri o in certe rane, nei serpenti d'acqua, nelle piume delle anatre. Sono verdi di animali.
Nel verde ci sono sempre i cervi che non hanno paura degli umani e sembrano il cuore di un diorama, ci sono gli alci che assomigliano ai cavalli, ci sono i cani della prateria ciccioni e curiosi che corrono sempre e poi si alzano dritti sulle zampe dietro per guardarti meglio. Sei lì che cammini in un bosco e fai sempre piano, un po' perché il bosco è silenzioso, con il tappeto di aghi e la moquette di muschio, un po' perché è così bello che sembra fragile e in effetti lo è, un po' perché speri di vedere un orso. Ti dicono di far rumore per allontanarli, ma io facevo sempre piano perché volevo vederlo, l'orso. Però  non l'ho visto lo stesso, purtroppo.
Ogni tanto spunta un animale e tu pensi, oh. E non trovi parole. Rimani lì con il battito che accelera e sorridi come se avessi visto la Madonna. Invece gli animali sono veri, hanno il pelo folto e i denti che sembrano sorriderti e gli occhi che ti fissano e quindi sono molto più magici della Madonna. D'altronde, Emily Dickinson diceva che sono migliori degli esseri umani 'perché sanno, ma non dicono'.
Questo paradiso è durato tre settimane. E in mezzo a quelle giornate piene di parole e di oh e ah davanti agli animaletti, per quattro giorni, come da programma, mi ha raggiunto Sarah Manguso. I traduttori selezionati hanno il privilegio di far invitare l'autore su cui stanno lavorando. Tombola.
In questi piccoli quadri che compongono Sottovoce ci sono un po' di cervi, e dei posti nel verde, oltre a case, scuole, ospedali. Io non sapevo dove si svolgessero queste scene, Manguso non lo dice quasi mai. Ma ero certa che quando c'erano i cervi erano residenze per scrittori, e ho capito d'istinto di dover mantenere il mistero. Tradurre Vergogna è stato tutto un levare. E un lavoro complicato per custodire il mistero.
Quando ho conosciuto Sarah ero stupita perché me l'ero immaginata minuta e nervosa. Invece è una donna molto alta e solida, sorridente, con gli occhi verdi, enormi. Penso abbia una laurea in guardare. La sera stessa ci siamo messe a parlare di case, non so bene perché, e io le ho fatto vedere una foto della mia casa spoglia e le ho detto che non tengo le cose e anzi ho imparato da Andanza a conservare un po' più di oggetti e lei ha detto 'Oh. Che sogno. Anch'io amo le case spoglie.' Era stupefatta all'idea che avessi imparato qualcosa da lei. Insomma ci siamo piaciute subito. In quei quattro giorni abbiamo passato tutti i pomeriggi a lavorare su piccole cose da limare e ridurre, a sfrondare, a parlare per capire, e per decidere cosa levare ancora. “Ancora. Leviamo anche questo. No questa frase non va neanche in inglese, togliamola del tutto. È più bello in italiano, più pulito. Così rimane la parola pura” e ci veniva da ridere, eravamo quasi euforiche per tutta quella pulizia. Un po' come fare ordine in casa, cosa che piace a entrambe. E poi durante le passeggiate nei boschi e sul fiume e abbiamo incontrato gli animali e siamo rimaste senza parole insieme, che è una cosa speciale. Prima che partisse le ho spiegato il gioco dei riccioli dei soffioni che facevo sempre da piccola e pensavo fosse famoso in tutto il mondo (la megalomania di chi è nato in provincia), invece non lo conosceva. Prendi un gambo, lo giri al contrario tenendo la corolla, lo dividi in quattro e poi con l'indice spingi in basso creando quattro ciocche. Poi riempi una ciotola d'acqua e ci butti dentro il gambo e in qualche minuto le ciocche diventano ricci compatti, serrati. E lei mi ha fatto un complimento indimenticabile che fa anche un po' ridere. Mi ha detto “Sono rapita da ogni parola che dici sulle mie parole. E poi riesci a rendere interessante anche un soffione.”
Questo libro ha poche parole, ma sono tutte scelte, pulite, lucidate tante volte, e da due persone insieme, scrittrice e traduttrice. E poi ancora levigate in redazione. Rimane una cosa compatta e magica come un ricciolo di soffione che ti fa, spero, ammutolire dalla bellezza. Come quando cammini piano nella foresta sperando di vedere un orso, e non lo vedi ma sei felice lo stesso.
I translated Hard to Admit, Harder to Escape in a wonderful place, a fairy tale, almost surreal.
A bit like the drawings they ask you to do in kindergarten. Draw a happy landscape. And I used to draw a little wooden house, a river, four fir trees, a cloud, a deer (a horizontal cylinder with branches on its head and legs like pencils, quite ugly).
I was in a translators' residency in the middle of a national park in Alberta, Canada. You are invited for three weeks and all you have to do is work on your project, without having to think about anything else. You become like a little animal that eats, sleeps, walks in the woods and translates. You don't have to bother about worldly things like cleaning, tidying up, shopping, cooking ... and every two days there's a round table. You are with twenty translators and you basically always talk about words. Then you go for long walks to clear your head in the green, in the greens. Greens I had never seen before, or maybe yes, on lizards or certain frogs, on snakes, the feathers of ducks. Animal greens.
In the green there are deer which are not afraid of humans and they are the heart of a diorama. There are elks that resemble horses, there are prairie dogs, chubby and curious and always running, apart from when they stop all of a sudden and get up straight on their hind legs to stare at you. You take long walks in the woods, silent and careful, partly because the forest is quiet, with carpets of needles and rugs of moss, partly because it  seems fragile and in fact it is, and also because you hope to see a bear. Everyone tells you to be loud and make noise in order to drive them away, but I never listened because I so wanted to see the bear. But alas, despite all my careful steps I didn't.
From time to time a creature appears and you are like, oh. And you don't find the words. You stay still with your heart racing, smiling as if you had seen the Madonna. But the animals are real, they have thick hair and teeth that seem to grin and eyes that stare at you and therefore they are much more magical than the Madonna. After all, Emily Dickinson said  (about dogs, but still)  they are better than human beings 'because they know, but  do not tell'.
So I lived in this paradise for three weeks. And in the midst of those days full of words and of oh and ah in front of animals small and big, Sarah Manguso joined me for four days. Selected translators have the privilege of inviting the author they are working on. Bingo. In the tiny paintings that make up Hard to Admit, Harder to Escape there are deer and places in the green, as well as houses, schools, hospitals. I did not know where these scenes took place, Manguso hardly ever specifies it. But I was sure that when deer were mentioned, they were in writers' residences and I knew instinctively that I had to keep the mystery. Translating Hard to Admit, Harder to Escape was all a levare, removing, subtracting. And it was an uncanny  job to keep the mystery in the translation. When I met Sarah I was surprised because I imagined her petite and nervous. Instead she is a very tall and strong woman, smiling, with huge green eyes. I reckon she has a degree in looking. The same evening we started talking about houses, I do not know why, and I showed her a picture of my very spare flat. I told her that I tend to discard memories and  things and that I learned while translating Andanza/Ongoingness to keep a little more. She said 'Oh. That's a dream. I love bare spaces too." She was amazed at the idea that I had learned something from her. We instantly liked each other. In those four days we spent every afternoon working on small things to be polished and cut, we pruned, we discussed and decided what else to eliminate. She kept saying:"Yes. We should also chop this. No, this sentence doesn't even work in English, so take it out completely. It's more beautiful in Italian, cleaner. Pure words only" and we giggled a lot, elated by all that cleaning. A bit like tidying up home, something which we both like. And then during our walks in the woods and along the river we met the animals and we were speechless together, which is a very special thing. Before she left I explained the game with dandelions that I always played when I was a kid, sure it was famous all over the world - the megalomania of country dwellers. She did not know it. You take a stem, turn it upside down holding the corolla, divide it into four and then with the index finger you push down creating four curls. Then you fill a bowl with water and throw them in and a few minutes later the curly stems become tight, compact locks. And Sarah came up with  an unforgettable compliment that also made me laugh. She told me something like "I am enchanted by every word you say about my words. You manage to turn even a dandelion into something fascinating!" This book has very few words, but they are all chosen, cleaned, polished many times, and by two people together, writer and translator. And then smoothed again by the editor and me, hopefully producing something as compact and magical as a dandelion that leaves you speechless for its beauty. Like when you move slowly and quietly in the forest hoping to see a bear, and you do not see it but you're happy anyway.
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tmnotizie · 4 years
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MACERATA – #maceratatornafuori è la parola d’ordine scelta dal Comune di Macerata per uscire gradualmente dall’emergenza epidemiologica da Covid 19 e ripristinare, per quanto possibile nella cosiddetta fase 2, la regolare vita lavorativa pur se con le restrizioni previste dalla serie di atti varata dal Consiglio dei Ministri legata al contenimento della pandemia.
Oggi il sindaco Romano Carancini e l’assessore alle Attività produttive Paola Casoni hanno illustrato nel corso di una videoconferenza stampa, effettuata mediante la piattaforma telematica Zoom Cloud Meetings, un piano di misure straordinarie che prevede agevolazioni e incentivi per facilitare la ripresa e il rilancio delle attività commerciali e sostenere il loro futuro sviluppo economico.
“Macerata torna fuori. E sicura. Proprio dalla salute parto – ha detto il sindaco Romano Carancini –  dalla Macerata seria e prudente, consapevole che non ha sconfitto definitivamente il virus ma lo ha solo distaccato. Per questo torniamo fuori portando con noi i tre comportamenti fondamentali: rispettiamo la distanza, indossiamo la mascherina, non facciamo assembramenti.
Sono invece quattro i sensi spontanei, quasi istintivi che hanno ispirato #maceratatornafuori, nell’impegno a ricominciare al fianco delle attività del commercio della nostra città. La semplificazione, la sperimentazione, la gratuità e lo spazio sono state le chiavi per le riaperture.
Semplifichiamo. Subito spazi maggiori all’aperto, già da lunedì 18, con una semplice PEC per tutti gli operatori già titolari di spazio pubblico e anche per chi non lo ha mai avuto.  Nessuna pratica, nessuna istruttoria, solo rispetto dei criteri che abbiamo dato”.
“Sperimentiamo – ha detto ancora il sindaco -. Amministrazione  pronta e aperta a consentire l’uso anche di spazi inediti.  E corso Cavour sperimenterà all’aperto piccole isole per i locali. “Saremo gratuiti”. Sospesi gli affitti,  la Tosap anche per chi oggi non gode di questo beneficio, la Tari per le attività costrette alla chiusura, l’imposta comunale sulla pubblicità.
Prima ora, parcheggio gratuito in Piazza Vittorio Veneto. E ancora parcheggi gratis per residenti del centro storico attorno alle mura.
Spaziamo. Si, ci allarghiamo negli spazi pubblici per dare opportunità alle attività di offrire aree sicure alle persone. Conferma della apertura della ZTL nelle finestre giornaliere 10/14 e 18/22 fino al 31 ottobre. #maceratatornafuori vuole accompagnare la ripresa delle attività – ha concluso Carancini- , spera di favorirla, crede che, seppur questo è il momento più difficile per il settore delle imprese commerciali, ci sono le condizioni per rialzarci. #maceratatornafuori.”
“L’emergenza del Coronavirus ha stravolto le nostre vite da un giorno all’altro, abbiamo dovuto improvvisamente rinunciare alle nostre abitudini e chiuderci in casa. Finalmente arriva il momento tanto atteso, quello di uscire, riappropriarci del gusto dello stare insieme e dell’incontrarci –  ha affermato l’assessore alle Attività produttive Paola Casoni – saremo ancora a lungo accompagnati da concetti come distanziamento sociale, mascherine, protocolli di sicurezza, che in questi due mesi sono diventate parte del nostro linguaggio comune.
Ma non rinunceremo alla bellezza di vedere ancora una volta la nostra città così come siamo abituati a conoscerla soprattutto nella bella stagione, piena di locali all’aperto, tante occasioni di socializzazione. Per questo è importante essere tutti pronti fin dal primo momento a ripartire. Abbiamo quindi ragionato su quelle che potessero essere le possibilità dell’Amministrazione di portare aiuto e semplificazione alle attività commerciali, per permettere loro di essere immediatamente pronte e operative.
Nasce così l’idea di concedere immediatamente lo spazio pubblico con semplice richiesta PEC, operativa già dall’immediato momento della ripartenza. Un segnale di fiducia verso i locali della nostra città, a cui diamo possibilità di decidere in autonomia come gestire lo spazio che richiederanno in tutte le aree pedonali, ZTL, marciapiedi.”
Il piano fa seguito ai protocolli di sicurezza sanitaria per i settori del turismo, del commercio e dei servizi socio-sanitari approvati l’11 maggio scorso dalla Regione Marche che prevedono per la nuova fase di gestione dell’emergenza una serie di prescrizioni tra cui il rafforzamento di misure di prevenzione e protezione e di rispetto di distanze interpersonali minime.
Protocolli che si tradurranno in una diversa modalità di lavoro e gestione della clientela, che dovrà tener conto di limitazioni, necessità di spazi più ampi da reperirsi anche all’esterno dei locali commerciali, costi aggiuntivi per la pulizia e la prevenzione, differenti modalità di servizio.
Il piano dell’Amministrazione, oggetto anche di confronto con le principali associazioni di categoria del settore quali Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, e CNA, affianca gli interventi di sostegno varati dal governo nazionale e regionale e interessa varie tematiche di competenza comunale, come tributi, occupazioni di suolo pubblico, ZTL e mobilità.
TARIFFE – TASSE – TRIBUTI
L’Amministrazione comunale, per quanto di propria competenza, intende esentare o sospendere, in relazione alle possibilità amministrative, i tributi di propria competenza che riguardano  l’ampliamento degli spazi esterni ai locali commerciali, in particolare TOSAP e TARI.
TOSAP
Fino al 31 dicembre 2020 è già in vigore l’esenzione al pagamento della TOSAP e dell’Imposta comunale sulla pubblicità, limitatamente alle insegne pubblicitarie, per le attività commerciali e di produzione di beni e servizi con sede legale o operativa nei comuni del cratere (comma 997 art. 1 L.145/2018, integrato dal D.L. n. 32 del 18/04/2019 convertito con L. 55 del 14/06/2019 e dal Decreto Interministeriale 14 agosto 2019).
Per le attività commerciali e di produzione di beni e servizi che non usufruiscono di questa esenzione, come le attività intraprese dopo il 1 gennaio 2019 o con sede legale fuori dal cratere, per esempio diverse attività ambulanti, verrà applicata l’estensione della sospensione TOSAP permanente e Imposta Comunale sulla Pubblicità, per le rate scadenti, fino al 30 settembre 2020, con pagamento nel 2021;
In ogni caso, le Occupazioni di Suolo Pubblico (da qui in avanti OSP) temporanee verranno esentate dal pagamento della TOSAP fino al 31 ottobre 2020.
Per i soggetti sottoposti a rateizzazioni di rientro per mancati versamenti anni precedenti: con il decreto Cura Italia (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) sono sospese le rateizzazioni fino al 31 maggio 2020. In assenza di ulteriori provvedimenti normativi nazionali, entro il 30 giugno le rate sospese dovranno essere pagate in un’unica soluzione. Per ovviare a questa problematica, la sospensione delle rateizzazioni verrà posticipata al 30 settembre 2020, riprendendo poi con il pagamento delle singole rate, i cui termini di dilazionamento verranno fatti slittare temporalmente in avanti.
Concessione delle OSP per il solo periodo emergenziale, e comunque fino al 31 ottobre 2020, anche a coloro che non risultano in regola con i pagamenti TOSAP, TARI, IMU degli anni precedenti, derogando le prescrizioni del regolamento vigente.
 TARI
Prevista l’esenzione del pagamento della TARI per le attività commerciali e di produzione di beni o servizi sottoposte a provvedimento di chiusura per l’intera durata del periodo di serrata. L’esenzione avverrà su domanda dell’interessato (mediante autocertificazione del periodo di chiusura) e il corrispettivo verrà scalato dal pagamento della seconda rata TARI o, per chi effettua il pagamento alla prima scadenza in un’unica soluzione, il corrispettivo verrà rimborsato o compensato con la Tari dell’anno successivo.
Sospensione dell’importo TARI relativo alle aree di occupazione del suolo pubblico concesse per il periodo 18 maggio 2020 -31 ottobre 2020. Il pagamento verrà dilazionato all’annualità successiva.
 OCCUPAZIONI SUOLO PUBBLICO
MODALITÀ SEMPLIFICATA PER LA RICHIESTA DI OSP
Per consentire alle attività commerciali, in particolare ai pubblici esercizi, di favorire la ripresa dell’attività lavorativa già da lunedì 18 maggio, se questa data verrà confermata dai provvedimenti nazionali e regionali come possibilità per l’apertura di tutti i locali commerciali, si propone una modalità semplificata per la richiesta delle occupazioni di suolo pubblico, che permette in una “condizione emergenziale” come quella in atto di superare le tempistiche di gestione procedimentale previste dal Regolamento per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
La procedura ordinaria di concessione di autorizzazioni per OSP, infatti, non garantirebbe tempi sufficienti ad autorizzare le numerose occupazioni presumibilmente richieste fin dal primo giorno di riapertura, con il rischio di ostacolare la riapertura degli esercizi in condizioni di sicurezza per gli utenti.
Per questo verrà emessa un’ordinanza che, superando in via emergenziale il  regolamento, renderà possibile richiedere immediatamente, attraverso l’invio di una PEC all’indirizzo [email protected] l’ampliamento di OSP esistenti fino a un massimo del 20% della superficie già occupata o nuove OSP fino a un massimo di 25 mq. L’invio della PEC è sufficiente per dare l’avvio all’occupazione, senza attendere l’autorizzazione di conferma e senza l’imposta di bollo. Le occupazioni saranno inoltre esenti da TOSAP e TARI.
Viene estesa alle attività artigianali e agli esercizi commerciali non alimentari, la possibilità di occupare porzioni di suolo pubblico con la medesima modalità, ai fini del posizionamento di arredi al servizio della clientela in conformità con la tipologia di attività svolta, in ogni caso con il divieto di vendita su area pubblica e con l’obbligo di mantenimento dell’area in condizioni di pulizia e decoro.
Il procedimento è valido esclusivamente su aree pedonali, ZTL e/o marciapiedi.  Per occupazioni di suolo pubblico su strada carrabile o aree di sosta per auto (a pagamento, riservate ai residenti in centro storico, riservate ai disabili, riservate ad operazioni di carico e scarico), così come per le occupazioni di maggiori dimensioni o permanenti, resta in vigore la procedura ordinaria.
Allo stesso modo, la richiesta di metrature maggiori sarà comunque possibile ma dovrà seguire le vie ordinarie, eventualmente in maniera semplificata se previsto da specifici provvedimenti normativi. Si cercherà in ogni caso di giungere quanto più celermente possibile alla conclusione delle pratiche.
Sarà possibile ricorrere a tale modalità “emergenziale” – solo invio di PEC, senza attesa di autorizzazione di conferma – fino al 15 giugno 2020, data dopo la quale verranno accettate solo domande per via ordinaria, eventualmente in maniera semplificata qualora previsto da specifici provvedimenti normativi.
La comunicazione via PEC dovrà essere effettuata utilizzando esclusivamente l’apposito modello reperibile nella sezione SUAP del portale istituzionale del Comune www.comune.macerata.it , allegando obbligatoriamente la planimetria quotata e in scala redatta anche non firmata da un tecnico abilitato entro i seguenti limiti e condizioni:
i titolari di un’occupazione possono con tale modalità occupare il 20% in più della superficie attualmente autorizzata e comunque fino ad un massimo di 25 mq esclusivamente su aree pedonali, ZTL e/o marciapiedi;
chi non è attualmente titolare di occupazione può occupare area pubblica fino ad un massimo di 25 mq esclusivamente su aree pedonali, ZTL e/o marciapiedi;
l’occupazione deve essere realizzata con materiali facilmente e prontamente amovibili (per esempio tavoli, ombrelloni, sedie);
l’occupazione dello spazio pubblico deve avvenire rispettando le norme di sicurezza e senza creare ostacolo al passaggio delle persone e dei mezzi di sicurezza, mantenendo in ogni caso uno spazio per il libero transito dei pedoni di almeno 1,50 ml;
resta vietata la collocazione di manufatti davanti all’ingresso o alle vetrine di attività economiche limitrofe, salvo consenso scritto del titolare dell’attività stessa, da allegare alla comunicazione;
in caso di impossibilità di occupazione del tratto davanti all’esercizio commerciale sarà possibile chiedere anche di occupare una zona vicina al proprio locale anche in deroga alle previsioni dell’art. 32, comma 4, lett.a), del Regolamento per la disciplina delle attività di somministrazione di alimenti e bevande in relazione sia alla distanza tra l’ingresso dell’esercizio e l’area che si intende occupare (attualmente fissata in 30 m di percorso pedonale), sia al raggio massimo dall’ingresso dell’esercizio dell’area da occupare (attualmente ricompresa entro un raggio di 60 m), purché nel rispetto delle condizioni igienico sanitarie vigenti;
chi occupa un’area sede del mercato settimanale, il mercoledì dovrà far trovare l’area sgombra da ogni materiale e idonea alla collocazione dei banchi di vendita;
chi ha già prodotto una richiesta per l’occupazione di suolo pubblico che non sia ancora stata rilasciata può avvalersi della facoltà proposta per realizzare immediatamente l’occupazione alle condizioni ed entro i limiti indicati;
obbligo di procedere all’immediata rimozione dell’occupazione in caso di successiva comunicazione da parte del Comune del mancato rispetto delle condizioni sopraindicate e delle prescrizioni del Regolamento comunale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ovvero di motivi ostativi rilevati dal Comando di Polizia Locale in relazione alla sicurezza e alla viabilità;
le aree dovranno essere mantenute in condizioni costanti di pulizia e decoro, con particolare riguardo a evitare l’abbandono di materiali monouso di servizio ai pasti (per esempio tovagliette, tovaglioli e così via), la cui rimozione dopo l’utilizzo dovrà essere costantemente controllata dal gestore dell’esercizio.
ULTERIORI PROVVEDIMENTI PER LE OCCUPAZIONI DI SUOLO PUBBLICO IN VIA ORDINARIA
GRATUITÀ DELL’OSP
Esenzione della Tassa di occupazione di suolo pubblico per il periodo compreso tra il 18 maggio 2020 e il 31 ottobre 2020, o comunque per tutta la durata del periodo di vigenza delle disposizioni governative che ne disciplineranno le modalità di riapertura con limitazioni a tutela della salute pubblica;
Sospensione della TARI riguardante le superfici di OSP per il periodo compreso tra il 18 maggio 2020 e il 31 ottobre 2020, o comunque per tutta la durata del periodo di vigenza delle disposizioni governative che ne disciplineranno le modalità di riapertura con limitazioni a tutela della salute pubblica, salvo provvedimenti governativi di esenzione della medesima.
 DEROGHE AI REGOLAMENTI
Si stabilisce anche per le OSP in via ordinaria, concesse fino al 31 ottobre 2020, che in caso di impossibilità di occupazione del tratto davanti all’esercizio commerciale sarà possibile chiedere di occupare una zona vicina al proprio locale anche in deroga a quanto pfrevisto del Regolamento per la disciplina delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, in relazione sia alla distanza tra l’ingresso dell’esercizio e l’area che si intende occupare (attualmente fissata in 30 m di percorso pedonale), sia al raggio massimo dall’ingresso dell’esercizio dell’area da occupare (attualmente ricompresa entro un raggio di 60 m), purché nel rispetto delle condizioni igienico sanitarie vigenti;
Si precisa che le richieste sono accolte per quanto possibile in relazione alla mobilità negli spazi pubblici alla sicurezza stradale e a eventuali ragioni di pubblico interesse. Per i casi di domande concorrenti per una stessa area si rimanda a quanto previsto dall’art. 32, comma 5, del Regolamento per la disciplina delle attività di somministrazione di alimenti e bevande.
MOBILITÀ E PARCHEGGI
Confermati gli orari di apertura della ZTL nel centro storico attualmente vigenti: tutti i giorni dalle 10:00 alle 14:00 e dalle 18:00 alle 22:00;
Modifica della modalità di gestione del parcheggio in piazza Vittorio Veneto: prevista la gratuità per la sosta di un’ora, successivamente 1€/ora con sosta limitata a massimo 2 ore;
Modifiche alla viabilità in corso Cavour: per permettere ai pubblici esercizi presenti prevalentemente sul lato sinistro di corso Cavour di usufruire di un maggior spazio pubblico, il transito in corso Cavour verrà limitato alle sole due corsie di destra. I parcheggi presenti sul lato sinistro verranno disposti a spina di pesce e raggruppati in modo da liberare aree pedonali da utilizzare ai fini delle OSP dei pubblici esercizi.
 ORARI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI
Proposta orario 8 – 22 anche per le attività non di somministrazione, per favorire l’afflusso della clientela senza causare assembramento di persone, con possibilità di estensione anche nei giorni festivi
 RIFIUTI SPECIALI
L’Amministrazione comunale si impegna a prendere ogni provvedimento utile per favorire, in collaborazione con Cosmari, il corretto ed efficiente smaltimento dei presidi di protezione e dei confezionamenti monouso al fine di minimizzarne l’impatto ambientale ed economico.
MERCATO SETTIMANALE
A seguito degli specifici protocolli di sicurezza per il commercio su area pubblica approvati dalla Regione Marche, sentite in merito anche le associazioni di categoria rappresentanti del settore ambulante, sono state analizzate le possibili problematiche relative allo svolgimento dei mercati comunali, in particolare quello del mercoledì del centro storico.
Per salvaguardare le attività del commercio su aree pubbliche il mercato cittadino continuerà a essere effettuato nella sua tradizionale collocazione del centro storico.
Verranno effettuate modifiche alla sola collocazione dei banchi alimentari, presenti in numero limitato nel mercato del mercoledì, per i quali il protocollo di sicurezza prevede la necessaria separazione dai non alimentari. Saranno comunque cercate soluzioni il quanto più possibile adeguate alle esigenze degli ambulanti interessati.
Per incrementare ulteriormente la sicurezza, l’obbligo di indossare la mascherina, già previsto dai protocolli di sicurezza approvati dalla Regione Marche per gli ambulanti e per gli utenti delle bancarelle, verrà esteso con apposito provvedimento a tutti coloro che il mercoledì mattina transiteranno nelle aree interessate dal mercato.
Come ulteriore misura precauzionale, si prevedono percorsi pedonali con senso obbligato per le piazze principali in cui viene svolto il mercato: piazza della Libertà, piazza Cesare Battisti, e piazza Mazzini (limitatamente all’area davanti al Catasto dove i banchi sono disposti su tre tronconi).
Nel sito www.comune.macerata.it/coronavirus sono disponibili tutti i protocolli approvati dalla regione con le norme previste per ciascuna categoria relativamente alla sicurezza nei luoghi di lavoro, al distanziamento e su come svolgere l’attività, nonché le ordinanze sindacali e le agevolazioni i tema di ripresa delle attività economiche.
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yeschanneltech · 4 years
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Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
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Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Cambiano le esigenze It delle aziende e i modi per fruire di tecnologia. Se da un lato i rivenditori It devono anticipare la domanda e procurarsi le adeguate soluzioni per i loro clienti, dall’altro i distributori come stanno rispondendo?
Questi ultimi sono stati spesso attaccati per essere ancora troppo ‘box mover’, restii al cambiamento voluto e dovuto all’arrivo del cloud, per esempio. Quindi, è possibile pensare a un nuovo modello di distributore It?
BB Tech Group ha provato a dare una risposta: ha convocato al Centro Congressi di Bergamo rivenditori, clienti, prospect, in una sorta di Business day, annunciando il modello As a Service.
Giampaolo Bombo e alcuni ospiti
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
“Le soluzioni di cui necessitano i rivenditori devono garantire qualità, sicurezza, flessibilità, velocità ed economicità. Per questo – afferma Giampaolo Bombo, amministratore delegato di BB Tech Group – il modello di business del distributore deve essere coerente con questa richiesta e orientarsi verso l’obiettivo di ‘ti fornisco solo quello che ti serve oggi con un occhio al futuro, ossia con soluzioni che in un futuro potranno essere implementate’. In pratica il concetto dell’as a service”.
Le tendenze che sono fornite dalle principali società di analisi del mercato parlano appunto di una tendenza verso l’as a service: dai device ai servizi, dal software alle infrastrutture segno che il canale sta puntando verso quella rivoluzione digitale tanto osannata e chiede nuove competenze e offerte innovative.
Francesco Amorosa
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Il cloud, già, sebbene in generale la percezione è positiva, ci sono differenze a seconda che si parli di grandi aziende, più sciolte nel trattare questi temi, di contro le piccole sono ancora scettiche. Quindi, si chiede Francesco Amorosa, amministratore delegato di AFA Systems, come cogliere la prossima evoluzione della tecnologia, quando l’informatica è ancora considerata un costo? Come far fronte all’avanzata dell’innovazione? “Innovazione porta complessità – dice Amorosa- va presa a piccole dosi. Ma cosa spinge a questa riluttanza? Mancanza di visibilità, difficoltà nell’offerta, user experience…”.
Per questo, Amorosa, porta in campo le piattaforme MajorNet che permettono di realizzare i tipici servizi del cloud, accompagnati da una user experience e non richiedono al cliente un team It interno. E il canale? Amorosa sostiene che per mettere d’accordo Pmi e cloud ci voglia “spazio per soluzioni innovative, fornitori che devono lavorare in semplicità e adottino soluzioni as a service, solo a canone”.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Paolo Parabelli
Un concetto quasi ‘sartoriale’ che non passa inosservato anche in casa Rosenberger OSI. Come ha sottolineato Paolo Parabelli, sales manager Italia, che si chiede come sarà il Data center del futuro? “In Italia il numero di data center di grandi dimensioni è limitato, dato il contesto economico fatto da Pmi le quali hanno un proprio mini data center”.
Parabelli si sofferma sul concetto di pulizia del data center come fattore di risparmio. “Sembra strano ma la procedura di pulizia di un impianto in fibra spesso non viene eseguita al fine di ridurre i tempi di installazione e quindi riduzione dei costi. In realtà – spiega – l’80% dei problemi su impianti a fibre ottiche è causato proprio dalla mancanza di pulizia”.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Romano Zanforlin
Cosa può spingere al cambiamento? La community, l’aggregazione, la condivisione di idee, lo studio e il senso del dovere. Una testimonianza che in apparenza sembra essere lontana dal contesto di distribuzione as a service, ma la testimonianza di Romano Zanforlin, direttore marketing e commerciale di Atalanta Bergamasca Calcio, ha dato alcuni spunti di riflessione.
Il nuovo stadio, in primis, rifatto secondo i dettami appena citati, un luogo di responsabilizzazione: “Sono state tolte le reti che non permettevano al pubblico di lanciare oggetti in campo, per i quali una squadra viene multata e sono diminuite le multe”, spiega Zanforlin.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Maura Frusone
Un legame forte con il territorio ha fatto si che la squadra ‘piccolo Club’ potesse competere ai massimi livelli con realtà più importanti e ricche. Insomma, un gioco di squadra che deve servire anche alle aziende It che spesso si sentono escluse d grandi colossi. Infine non può mancare la sicurezza laddove ci parli di cloud.
Maura Frusone, Head of Smb di Kaspersky, ha dato alcuni utili consigli. “Se consideriamo che nelle Pmi, il 50% delle volte gli incidenti capitano per errore umano, involontario, vi dico: investite di più sulle persone, aumentate i budget dedicati e investire per ripensare i processi di sicurezza It”.
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roscioschouhart · 5 years
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Il 2 maggio, Konami annuncia a sorpresa l’arrivo di una versione rimasterizzata di Blades of Time, titolo hack and slash che ha avuto un discreto successo qualche anno fa.
A occuparsi di questa remastered è la stessa Gaijin Entertainment, software house russa che nel 2012 realizzò il titolo per Konami. Blades of Time è un adventure/action game di stampo hack and slash, il gioco è il seguito spirituale di X-Blades, un gioco che fece divertire un bel po’ di videogiocatori nel 2009 su console di vecchia generazione (ma conquistò più fortuna su PC qualche anno dopo) grazie alle sue meccaniche action e ad Ayumi, sensuale “biondona” armata di doppie pistole e vestita con un “armatura” non proprio funzionale.
Partiamo da qui, ovvero da Ayumi. Stesso nome, stesso colore di capelli, stesso fisico, stessa “armatura”. Ayumi è un’attraente cacciatrice di tesori di Dragonland, un antico luogo pieno zeppo di strane creature, paesaggi mozzafiato e enormi tesori che aspettano soltanto voi per essere scoperti.
Lo stampo hack and slash del gioco, proprio come per alcuni capisaldi del genere che conosciamo bene (Bayonetta e Darksiders), offre al videogiocatore un’azione assai movimentata sin dai primi minuti di gioco. Ayumi percorrerà l’intera avventura attraverso livelli lineari in cui eliminerà ondate di nemici grazie alle sue due spade e al fucile che userà come arma secondaria. Nel corso del gioco, la bella cacciatrice di taglie sarà assistita da una misteriosa entità che le offrirà interessanti attacchi speciali (e abilità uniche come quella di manipolare il tempo) in cambio delle anime dei nemici abbattuti. Si, sembra di leggere una spiegazione di uno dei tanti titoli hack and slash. Livelli lineari, armi bianche, attacchi speciali da sbloccare e, ovviamente, tanti tesori da scoprire. In fondo, il format che definisce il genere è questo, e Blades of Time lo esegue anche molto bene.
Le due frecce della bussola vi porteranno all’obiettivo e al tesoro del livello.. ehi state guardando la bussola vero?
Tutto fa pensare ad un “però” in arrivo. Infatti è così. Blades of Time è un’interessante sorpresa del genere hack and slash su Nintendo Switch se non fosse che i ragazzi di Gaijin Entertainment avrebbero dovuto “limare” un po’ meglio i vecchi problemi noti e ottimizzare il tutto una volta per tutte. Iniziamo col dire che la versione nostrana del gioco è un port di quella per PC, una versione più aggiornata e corretta dei numerosi problemi che affliggevano il gioco. Su Nintendo Switch alcuni di questi problemi risorgono, uno su tutti quello della telecamera. Come per tutti i giochi del genere, ruotare la telecamera può essere anche un’azione facoltativa se la stessa è ben bilanciata e da il giusto feedback. In questo caso no. Durante i primi minuti di gioco abbiamo lottato più con la telecamera che contro i nemici. Come se fossimo un vecchio lupo di mare sbronzo, in balia di una tempesta, che da prua deve arrivare in cabina. Arrr. Ballava un po’ tutto, poi, misteriosamente, la telecamera ha deciso di collaborare. Pensiamo si sia trattato di un bug iniziale ma comunque vi consigliamo di non ruotare la telecamera più del dovuto.
La fluidità d’azione per un titolo hack and slash è fondamentale. Qui, in Blades of Time, ogni tanto manca. In alcuni frangenti abbiamo riscontrato i classici cali di frame-rate, per lo più quando utilizzavamo combo e mosse speciali durante i combattimenti. Le altre azioni e abilità di Ayumi sono fluide e ben calibrate, scivolate e attacchi aerei compresi.
I ragazzi di Gaijin Entertainment hanno comunque fatto un ottimo lavoro nell’adattare un gioco vecchio di 7 anni su Nintendo Switch. Infatti, il team di sviluppo ha giustamente sfruttato anche il rumble HD della console e il Touch-screen se giocato in modalità portatile. Disponibile anche la modalità Rivolta a cui non siamo riusciti a giocare a causa di continui errori all’avvio. In questa modalità dovrebbe essere possibile giocare a partite in Co-op e Scontro in un massimo di 2 giocatori.
Blades of Time resuscita dal games cemetery e si presenta ai videogiocatori di Nintendo Switch semplicemente togliendosi la terra dalle spalle. Sarebbe servita una pulizia totale invece. Lo ripetiamo eh, il gioco non è male, segue il format del genere alla lettera e si fa giocare, nel suo piccolo, con tranquillità (a patto di sopportare il problema del “lupo di mare sbronzo”). Il fatto è un altro, i gamers su Nintendo Switch sono abituati a giochi di tutt’altro spessore tecnico e artistico. L’abbiamo sempre pensato e continueremo a dirlo, noi qui (videogiocatori Switch) siamo privilegiati.
Consigliamo comunque Blades of Time agli amanti del genere.
Blades of Time è disponibile in only digital sul Nintendo Switch eShop dal 14 maggio 2019 al prezzo di € 19.99 per 2.8 GB di spazio su console o microSD. Il gioco è localizzato in italiano sia nei testi che nell’audio, compatibile con il Cloud dei dati di salvataggio e con il Pro Controller.
Pro:
Ayumi, uno dei pochi motivi che potrebbe farvi provare il gioco
Un hack and slash semplice ma ben eseguito
Graficamente non male
Tantissime mosse in combattimento
Contro:
Ancora troppi errori
Telecamera da horror
Controlli non proprio alla mano
Qualche calo di frame
La modalità Rivolta è un mistero
Dov’è la trama?
LINK UTILI:
Sito web Blades of Time
Scheda gioco su Nintendo.it
Blades of Time – Recensione Il 2 maggio, Konami annuncia a sorpresa l’arrivo di una versione rimasterizzata di Blades of Time…
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levysoft · 6 years
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"Non c'è l'italiano? Skaffale!!!". Siamo sinceri: quante volte abbiamo avuto modo di imbatterci in giocatori che professano questo mantra? La questione della localizzazione dei videogiochi del resto è da molto tempo dibattuta ed è foriera di diverse scuole di pensiero, accomunate però da specifici aspetti che ne sono alla base: quanto è importante l'adattamento linguistico nei videogame? Quanto può influire sul mercato la presenza (o la mancanza) della traduzione e del doppiaggio in italiano di un gioco? La risposta a queste domande non è di immediata percezione. Dietro al processo di localizzazione si cela infatti un'intera industria a questo scopo preposta, a livello mondiale, con centinaia di attori (da intendersi in questa accezione come tutte le figure professionali coinvolte, tra le quali rientrano anche gli attori/doppiatori che danno la voce ai vari personaggi) in gioco: project managers, sound engineers, traduttori, revisori, doppiatori, responsabili audio, direttori del doppiaggio, tester linguistici e funzionali sono solo alcuni dei ruoli che partecipano al processo di adattamento linguistico di un prodotto videoludico. Lo scopo di questo articolo non è però quello di approfondire la questione della localizzazione in sé: chi scrive si propone invece di esaminare il processo produttivo dietro alla game localization. Andremo quindi ad osservare quali sono e come funzionano i meccanismi e le procedure dietro le quinte dell'adattamento linguistico di un videogioco e quali problematiche possono comunemente colpire lo sviluppo del progetto durante le varie fasi che lo compongono.
Dietro le quinte della localizzazione
Prima di tutto, è opportuno definire il concetto di "localizzazione": Bert Esselink, docente olandese nonché uno dei maggiori esperti mondiali del campo negli ultimi due decenni, la definisce come "l'adattamento di un prodotto al fine di renderlo appropriato culturalmente e linguisticamente al target locale dove questo verrà utilizzato e distribuito". È interessante notare l'utilizzo del termine locale, che identifica sia il concetto di lingua che quello di nazione/popolazione: a una determinata "macro lingua" (lo spagnolo, per esempio) possono infatti corrispondere svariati target locali (lo spagnolo parlato in Spagna è diverso da quello messicano, a sua volta differente dal colombiano, e così via), di cui la localizzazione dovrà assolutamente tener conto e rispettare per raggiungere il suo scopo principale, quello di rendere l'esperienza di gioco fruibile ed esente da possibili incomprensioni linguistico-culturali.
Analizzando un qualsiasi videogioco, esistono varie tipologie di contenuti localizzabili: il testo rappresentato dalla UI, ossia tutte le scritte che appaiono su schermo al giocatore (menù, istruzioni, comandi, opzioni, informazioni di lore, eccetera) il copione (formato da sceneggiatura e dialoghi), il manuale, il packaging e tutti quei contenuti non in-game ma comunque ad esso legati, quali il marketing, il sito web, le pagine ufficiali dei social, i comunicati stampa, i trailer, le grafiche. Sarà ovviamente il publisher a stabilire nelle fasi iniziali del progetto quali tra tutti questi elementi andranno localizzati e in quali lingue. Nell'assoluta maggioranza dei casi, i publisher si affidano ad agenzie di localizzazione professionali specializzate proprio nel settore videoludico, che possano annoverare tra le loro risorse non solo i CAT Tools (Computer Assisted Translation, ovvero quei software professionali utilizzati dai traduttori) di ultima generazione basati su server cloud-based, ma anche degli studi di registrazioni adeguati e capaci di soddisfare gli altissimi requisiti tecnici richiesti dagli sviluppatori, sia software sia hardware, e che abbiano accesso ad un pool di attori/doppiatori (rigorosamente professionisti del settore) sufficientemente ampio e variegato da poter gestire diversi progetti contemporaneamente. Soprattutto per quanto riguarda i publisher più grandi con svariati franchise in lavorazione, è inoltre cruciale mantenere una costanza terminologica con i capitoli precedenti, ulteriore ragione che sottolinea quanto sia fondamentale per un traduttore avere accesso a delle memorie di traduzione sempre aggiornate. Lo stesso vale per il doppiaggio: a meno di specifiche scelte del publisher o clamorosi fallimenti (chi non si ricorda del tragicomico caso di Terrence Kyne/Dario Argento nel primo Dead Space?) la reiterazione di un franchise prevede sempre, dove possibile, il riutilizzo dello stesso pool di attori per i personaggi ricorrenti dai giochi precedenti.
Il processo di adattamento
Ma come avviene esattamente la localizzazione? Qual è l'iter produttivo del progetto? Il primo passo consiste nell'assegnazione formale dell'incarico da parte del cliente (leggasi, publisher) all'agenzia fornitrice del servizio, previa accettazione di un preventivo basato principalmente sul numero di parole che compongono il gioco, sia da tradurre che da doppiare. Se le prime hanno una tariffa fissa (calcolata per parola), in fase di doppiaggio, senza dubbio la più complessa da gestire, i costi sono destinati inesorabilmente a crescere, dal momento che entrano in campo molti fattori, il più determinante dei quali è costituito dal constraint, concetto sul quale torneremo tra poco. Anche le figure coinvolte sono esponenzialmente più numerose: al doppiaggio lavorano attori, responsabili audio, fonici, direttori del doppiaggio, adattatori e svariate altre personalità.
È opportuno specificare che la localizzazione avviene parallelamente allo sviluppo del gioco stesso, ciò significa che molte volte gli asset (copioni, video e voci di riferimento) forniti alle agenzie, quando disponibili, sono temporanei o incompleti, in quanto ancora in lavorazione, e spesso soggetti a continui aggiornamenti, tutti fattori che influiscono pesantemente sulla qualità finale dell'adattamento stesso. Dopo aver effettuato un'analisi preliminare dei materiali a disposizione (biografie dei personaggi, trama, descrizione delle modalità di gioco), il project manager, l'unica figura a interfacciarsi direttamente col cliente, allestisce il suo team, solitamente formato da un traduttore e un revisore dedicati al progetto, possibilmente specializzati nella traduzione del genere al quale l'opera in questione appartiene. Oltre a fornire una macro-gestione del progetto e risolvere i molti problemi e inghippi che ne conseguono, tra i compiti del PM rientra anche finalizzare le traduzioni e consegnarle al cliente, decidendo se accettare o meno gli eventuali cambiamenti proposti dal revisore. In caso il progetto preveda anche il doppiaggio, i copioni di gioco, dopo essere anch'essi passati attraverso il processo di traduzione, revisione, finalizzazione e ulteriore revisione da parte del publisher stesso, vengono consegnati al responsabile audio, una ruolo di grande importanza nell'ottica del progetto: starà a lui infatti esaminare le voci originali e proporre al cliente un casting sulla base della sua perfetta conoscenza degli attori che compongono il pool. Età, timbrica vocalica, capacità di adattare la voce alle parti da interpretare e varie personalità sono solamente alcune delle peculiarità e degli elementi di cui il responsabile audio deve tenere conto per poter proporre la voce adatta a un determinato personaggio.
La faccenda diventa ancora più complicata coi cosiddetti double cast, ossia quei casi in cui, nel cast della lingua originale, a un solo doppiatore vengono assegnati più comprimari, solitamente minori: non è scontato infatti che la distribuzione degli attori originali tra i personaggi del gioco possa essere rispecchiata al 100% in italiano, fattore che dipende in toto dalla malleabilità e versatilità dei doppiatori stessi, che per quanto abili potrebbero non avere nelle loro corde vocali la stessa timbrica necessaria a doppiare entrambi i membri del cast. In questi casi, il responsabile audio dovrà sfruttare al meglio le sue conoscenze artistiche e creative e proporre una distribuzione alternativa, non rispecchiante il copione originale e pertanto molto più difficile da gestire. Una volta che il casting viene approvato ufficialmente dal cliente, si procede al doppiaggio: l'attore entra nello studio di registrazione completamente insonorizzato (qualsiasi rumore esterno potrebbe compromettere la qualità e la pulizia delle registrazioni) e recita le battute. Dall'altra parte dello studio lavorano altre due figure che potremmo definire come la mente e il braccio: il direttore artistico, che dirige e guida l'interpretazione dell'attore, e un tecnico audio, che ha invece il compito di preparare su specifici software le sessioni di doppiaggio da utilizzare poi in studio. A registrazioni ultimate si passa alla fase di post-produzione, durante la quale il tecnico audio si occupa di riascoltare tutti i file per debuggarli (ripulirli da eventuali sporcature vocali) e, dove richiesto, applicare effetti speciali. Parallelamente, un'altra persona riascolta le battute per controllare che corrispondano a come appaiono nel copione scritto e segnalare eventuali modifiche effettuate durante le sessioni di doppiaggio.
La struttura del copione
Ma come è strutturato un copione videoludico? Sebbene ogni publisher sia libero di adottare un suo formato, nella quasi totalità dei casi è composto da un foglio Excel, in cui le varie colonne contengono le più svariate informazioni: oltre alle battute stesse, sia in lingua originale che in quella di destinazione, troviamo il nome del file di ogni battuta (solitamente a ogni linea di dialogo corrisponde un singolo file audio), il personaggio che la recita, la scena in cui appare, informazioni contestuali (il livello, missione o modalità in cui viene recitata), l'intensità, le specifiche audio, la provenienza (filmato o in-game ) e tantissime altre informazioni.
Nessun copione può però prescindere dall'informazione in assoluto più importante in sede di registrazione, ovvero il cosiddetto constraint: i principali sono quattro, in base ai quali la complessità, le tempistiche e di conseguenza i costi del doppiaggio subiscono enormi variazioni. Uno dei tanti parametri che il PM inserisce nel preventivo è il conteggio, effettuato grazie ad appositi tool, di quante battute vadano registrate per ogni singolo constraint, a seconda del quale il numero delle ore di doppiaggio preventivate cambia drasticamente. È innanzitutto il traduttore che dovrà tener conto di questo parametro, in modo tale da adeguare la sua traduzione al constraint richiesto. Se infatti una battuta in free constraint non prevede restrizioni temporali e concede al doppiatore libertà pressoché totale, una battuta in time constraint dovrà rispettare la lunghezza temporale del parlato originale, solitamente con un margine di tolleranza di +/-10%. Ancora più limitante è il sound synch, che obbliga anche al rispetto delle pause all'interno delle frasi: il traduttore dovrà quindi adeguare la sua traduzione per rispettare non solo la lunghezza, ma anche la struttura grammaticale della battuta originale. Un gioco da ragazzi in confronto al lip synch, che presuppone che la battuta tradotta venga adattata al movimento delle labbra del personaggio parlante nell'originale, proprio come accade nella cinematografia: quest'ultimo constraint caratterizza quasi solamente i filmati ed è il più raro, dal momento che il suo impatto sui costi di doppiaggio è estremamente elevato.
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saggiosguardo · 6 years
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Cambio ai piani alti in Microsoft: Terry Myerson lascia, Windows affidato a Scott Guthrie e Rajesh Jha
Si sono ormai conclusi i lavori di sviluppo sul prossimo aggiornamento major di Windows 10, denominato (con non molta fantasia) Spring Creators Update, e l'arrivo per il grande pubblico è ormai questione di pochi giorni. La primavera porta però con sé anche il momento delle pulizie per molti, con Microsoft che non fa eccezione. Per la verità, non si tratta di una vera e propria pulizia, bensì di una separazione consensuale dovuta anche ai progressivi mutamenti delle strategie. Terry Myerson lascia l'incarico di leader della divisione Windows, iniziando la transizione verso l'uscita dall'azienda di Redmond dopo oltre 21 anni di servizio.
Benché rimanga un elemento importante per Microsoft, Windows non è più il suo fulcro, in un contesto multipiattaforma dov'è sempre più crescente il contributo del cloud, con l'ecosistema Azure al centro dell'iniziativa. Non stupisce pertanto che un componente del nuovo duo de facto che prenderà le redini del futuro di Windows, Scott Guthrie, arrivi proprio da quella divisione. Arrivato in Microsoft nel 1997 come Myerson, è una figura molto tecnica che ha contribuito attivamente alla crescita di numerosi prodotti noti, tra cui Visual Studio e SQL Server. Guthrie non abbandonerà l'incarico attuale, ma anzi lo espanderà dato che supervisionerà lo sviluppo di Windows nelle sue fondamenta inserendole in un contesto comprendente oltre al cloud anche l'intelligenza artificiale. La parte più strettamente consumer del sistema operativo, che include l'interfaccia grafica, le app integrate e i servizi, sarà invece affidata a Rajesh Jha, di provenienza Office. Veterano di ancor più lungo corso in Microsoft rispetto a Guthrie, essendo entrato nel 1990, anche nel caso di Jha si tratterà di un'estensione delle responsabilità intraprese sinora.
La creazione di due nuove divisioni generali, "Cloud + AI" ed "Experience and Devices", ha comportato anche alcune modifiche ad altre figure esecutive. In particolare, si segnala il nuovo ruolo di Panos Panay, che da leader della divisione Surface diventerà Chief Product Officer comprendendo anche altri dispositivi hardware Microsoft, tra cui Hololens. Resterà al di fuori del suo raggio d'azione la sola Xbox, che continuerà ad essere affidata a Phil Spencer. Come ogni cambiamento dirigenziale di alto livello, occorrerà del tempo affinché si vedano pubblicamente degli effetti tangibili. I primi segnali della nuova rotta sono attesi alla conferenza per sviluppatori BUILD 2018, che si terrà a Seattle dal 7 al 9 maggio prossimi.
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osatechgroup-blog · 6 years
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5 modi per aumentare le prestazioni del tuo smartphone Android
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5 modi per aumentare le prestazioni del tuo smartphone Android
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Pulizia automatica
I dispositivi Android possono impostare la pulizia automatica della cartella dei download per rimuovere costantemente tutti i file indesiderati che vengono generati dal sistema o dalle applicazioni. Il modo per farlo varia a seconda della marca, ma di solito basta entrare in una delle cartelle o nelle impostazioni di configurazione dei file e cercare l’opzione di pulizia automatica.
Esistono anche applicazioni come Clean Master o ES Disk Analyzer che funzionano come file manager e consentono di eliminare quegli elementi indesiderati che occupano spazio. Il primo fornisce un riepilogo della quantità di memoria occupata e della RAM che è in uso. Clean master possiede un antivirus per rilevare file sospetti e reti Wi-Fi sconosciute, oltre a un “netturbino” delle di notifiche e un’opzione per eliminare i file WhatsApp direttamente dallo strumento. Disk Analyzer consente invece di ridurre le dimensioni delle foto, mostrare file duplicati e svuotare la cache.
Utilizzare i servizi ‘cloud’
Il download di file ed elementi multimediali – come foto e video – sul cloud è un’ottima opzione per liberare spazio. Puoi sincronizzare il device con programmi come Dropbox, Google Drive o OneDrive. In quest’ultimo caso, è sufficiente collegare il dispositivo al computer in cui è installato lo strumento e verrà visualizzato un avviso per aggiungere automaticamente foto e video.
Anche Google Foto offre la possibilità di automatizzare il processo. Basta inserire le impostazioni e abilitare “Backup e sincronizzazione”. L’opzione “Sblocca memoria sul dispositivo” ti permetterà di cancellare tutti i file che hanno già avuto un backup.
Cancellare la cache
Se hai già eseguito il backup delle informazioni per ogni applicazione, svuotare la cache può essere una buona alternativa. Tuttavia, non è consigliabile farlo frequentemente perché le informazioni potrebbero andare perse. Per farlo, vai su Impostazioni e poi su Applicazioni. Da lì puoi inserire ciascuna delle applicazioni ed eliminare la cache.
Forzare la chiusura delle app
Ci sono alcune applicazioni che acquisiscono informazioni dalla rete: foto, video, notizie, ecc. E che, quindi, influenzano direttamente il consumo della batteria, i dati e, a seconda della configurazione, lo spazio di memoria riservato all’utente. Tuttavia, ci sono applicazioni chiave che non dovrebbero essere chiuse, come ad esempio le notifiche e-mail o WhatsApp. Non ha senso, infatti, forzare la chiusura delle applicazioni che vengono utilizzate di frequente, perché quando le si apre diventa di nuovo un modo per consumare memoria.
Pulizia WhatsApp
WhatsApp è l’app di comunicazione più utilizzata. Senza che ce ne rendiamo conto, l’utente accumula video, foto, meme e file audio ogni giorno e queste finiscono per occupare troppo spazio sui dispositivi.
Innanzitutto, si consiglia di disabilitare il download automatico dei file. Per farlo, vai su Impostazioni e disattiva l’opzione sia nei dati mobili che nella rete wifi. Nella configurazione puoi anche pulire i file di ogni chat. Devi scegliere l’opzione “Uso di archiviazione” e apparirà l’elenco di tutte le conversazioni. Quando apri ogni chat, fai clic su “Gestisci messaggi” e puoi eliminare i contenuti di ciascuna categoria.
Ci sono anche applicazioni come Cleaner per WhatsApp che ti permettono di svuotare i dati generati dall’uso di questo servizio di messaggistica.
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iphone-maniaci · 7 years
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iCloud conservava i dati della cronologia di Safari, anche se cancellati
Nella giornata di ieri, la società russa Elcomsoft ha annunciato che il proprio software di analisi forense Phone Breaker era in grado di recuperare i dati della cronologia  di Safari relativi a più di un anno di navigazione, che venivano salvati su iCloud anche quando l’utente aveva eseguito la pulizia della cronologia. La piattaforma cloud della mela conservava nome del sito, link e data di…
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yeschanneltech · 4 years
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Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
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Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Cambiano le esigenze It delle aziende e i modi per fruire di tecnologia. Se da un lato i rivenditori It devono anticipare la domanda e procurarsi le adeguate soluzioni per i loro clienti, dall’altro i distributori come stanno rispondendo?
Questi ultimi sono stati spesso attaccati per essere ancora troppo ‘box mover’, restii al cambiamento voluto e dovuto all’arrivo del cloud, per esempio. Quindi, è possibile pensare a un nuovo modello di distributore It?
BB Tech Group ha provato a dare una risposta: ha convocato al Centro Congressi di Bergamo rivenditori, clienti, prospect, in una sorta di Business day, annunciando il modello As a Service.
Giampaolo Bombo e alcuni ospiti
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
“Le soluzioni di cui necessitano i rivenditori devono garantire qualità, sicurezza, flessibilità, velocità ed economicità. Per questo – afferma Giampaolo Bombo, amministratore delegato di BB Tech Group – il modello di business del distributore deve essere coerente con questa richiesta e orientarsi verso l’obiettivo di ‘ti fornisco solo quello che ti serve oggi con un occhio al futuro, ossia con soluzioni che in un futuro potranno essere implementate’. In pratica il concetto dell’as a service”.
Le tendenze che sono fornite dalle principali società di analisi del mercato parlano appunto di una tendenza verso l’as a service: dai device ai servizi, dal software alle infrastrutture segno che il canale sta puntando verso quella rivoluzione digitale tanto osannata e chiede nuove competenze e offerte innovative.
Francesco Amorosa
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Il cloud, già, sebbene in generale la percezione è positiva, ci sono differenze a seconda che si parli di grandi aziende, più sciolte nel trattare questi temi, di contro le piccole sono ancora scettiche. Quindi, si chiede Francesco Amorosa, amministratore delegato di AFA Systems, come cogliere la prossima evoluzione della tecnologia, quando l’informatica è ancora considerata un costo? Come far fronte all’avanzata dell’innovazione? “Innovazione porta complessità – dice Amorosa- va presa a piccole dosi. Ma cosa spinge a questa riluttanza? Mancanza di visibilità, difficoltà nell’offerta, user experience…”.
Per questo, Amorosa, porta in campo le piattaforme MajorNet che permettono di realizzare i tipici servizi del cloud, accompagnati da una user experience e non richiedono al cliente un team It interno. E il canale? Amorosa sostiene che per mettere d’accordo Pmi e cloud ci voglia “spazio per soluzioni innovative, fornitori che devono lavorare in semplicità e adottino soluzioni as a service, solo a canone”.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Paolo Parabelli
Un concetto quasi ‘sartoriale’ che non passa inosservato anche in casa Rosenberger OSI. Come ha sottolineato Paolo Parabelli, sales manager Italia, che si chiede come sarà il Data center del futuro? “In Italia il numero di data center di grandi dimensioni è limitato, dato il contesto economico fatto da Pmi le quali hanno un proprio mini data center”.
Parabelli si sofferma sul concetto di pulizia del data center come fattore di risparmio. “Sembra strano ma la procedura di pulizia di un impianto in fibra spesso non viene eseguita al fine di ridurre i tempi di installazione e quindi riduzione dei costi. In realtà – spiega – l’80% dei problemi su impianti a fibre ottiche è causato proprio dalla mancanza di pulizia”.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Romano Zanforlin
Cosa può spingere al cambiamento? La community, l’aggregazione, la condivisione di idee, lo studio e il senso del dovere. Una testimonianza che in apparenza sembra essere lontana dal contesto di distribuzione as a service, ma la testimonianza di Romano Zanforlin, direttore marketing e commerciale di Atalanta Bergamasca Calcio, ha dato alcuni spunti di riflessione.
Il nuovo stadio, in primis, rifatto secondo i dettami appena citati, un luogo di responsabilizzazione: “Sono state tolte le reti che non permettevano al pubblico di lanciare oggetti in campo, per i quali una squadra viene multata e sono diminuite le multe”, spiega Zanforlin.
Cambiano le esigenze e i modelli distributivi. La ricetta BB Tech Group
Maura Frusone
Un legame forte con il territorio ha fatto si che la squadra ‘piccolo Club’ potesse competere ai massimi livelli con realtà più importanti e ricche. Insomma, un gioco di squadra che deve servire anche alle aziende It che spesso si sentono escluse d grandi colossi. Infine non può mancare la sicurezza laddove ci parli di cloud.
Maura Frusone, Head of Smb di Kaspersky, ha dato alcuni utili consigli. “Se consideriamo che nelle Pmi, il 50% delle volte gli incidenti capitano per errore umano, involontario, vi dico: investite di più sulle persone, aumentate i budget dedicati e investire per ripensare i processi di sicurezza It”.
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saggiosguardo · 6 years
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SSD dentro o fuori? Meglio la prima! Breve racconto di un intervento su iMac 27" 2012
Ho comprato un iMac. Non il 5K del 2017 la cui recensione ancora latita (pardon!) ma un vecchio 27" Late 2012. Mi serviva una postazione comoda nell'angolo studio che ho in salotto, dove spesso lavora mia moglie e ogni tanto mi appoggio anche io, magari per le cose più rapide o per stare in un ambiente più conviviale. C'era stato un 21,5" del 2011 lì per molti anni e mi andava bene, anche se la mancanza dell'USB 3 si sentiva e alla fine l'ho sostituito anche per avere uno schermo più grande. Ho comprato questo 27" usato a 899€ da Juice, con un quad-core a 3,4GHz (i7-3770), GPU NVIDIA GTX 675MX da 1GB, 1TB HDD e 8GB di RAM. Con una spesa di 60€ ho aggiunto altri 8GB (quindi 16GB totali) e pensavo di andar via così... ma chi volevo prendere in giro? Uso SSD su tutti i miei computer dal 2010 (e potete immaginare quanti ne siano "passati" di qui in 7 anni), neanche mi ricordavo che aspetto avesse una barra di caricamento. Sì, ok, faccio un po' lo spiritoso adesso, ma i dischi meccanici per il sistema operativo di un computer sono roba preistorica.
Gli utenti più freschi forse non lo sanno, ma nel 2010 ho persino modificato il motto del sito in +SSD -GHz per combattere l'ignoranza e, soprattutto, la resistenza che gli "utenti da forum" mi opponevano continuamente. In articoli come perché tutti dovrebbero avere un SSD ho provato a spiegare il senso di quello "slogan" ma le risposte erano spesso di questo tipo:
Chissà se oggi quelle svariate decine di persone che mi attaccavano in ogni recensione di SSD oggi li usano o vanno ancora a carbone. C'erano anche SaggiUtenti a non capire bene perché un disco allo stato solido cambiasse così radicalmente l'esperienza d'uso, ma la maggior parte di loro alla fine si è fidata, ha fatto "il salto" e si è dovuta ricredere. Non si tratta di un vantaggio che influisce sulla capacità di calcolo, questo è chiaro, ma i computer non sono più dei semplici "calcolatori". Ogni operazione che eseguiamo viene tradotta fino all'essenza del bit ed ogni informazione deve essere memorizzata. Gli Hard Disk meccanici erano ormai diventati il collo di bottiglia da anni, per cui sia la lettura/scrittura di dati statici che la cache di sistema e delle app, erano lentissime e vanificano le prestazioni di CPU e RAM. Oggi la situazione è più bilanciata grazie agli SSD e direi che sono persino più importanti loro nell'esperienza d'uso di un utente medio rispetto ad uno step in più nel processore. Figurarsi per il professionista. Comunque, ormai so che non devo più convincere nessuno per fortuna, ma ci sono altre battaglie da combattere come quella contro i problemi dell'attuale implementazione dell'USB-C.
Ritornando all'iMac, la mia prima soluzione è stata quella di installare il sistema operativo su un SSD che avevo già in redazione, collegato via USB 3.0 tramite un case da 2,5" compatibile UASP. Le prestazioni con i vari benchmark erano ottime, dopotutto si trattava di un 850 Pro da 512GB, eppure il computer non mi convinceva pienamente. Il miglioramento rispetto l'HDD meccanico è stato massiccio, ma sapevo che quell'iMac doveva andare meglio. Notavo ogni tanto dei piccoli freeze, lentezze eccessive nel cambio utente o per accedere alle preferenze, cose che non dovevano esistere. Dopotutto si tratta sì di una macchina del 2012 con CPU Intel di terza generazione (siamo all'ottava), ma i test chiariscono che un buon i7 quad-core del tempo sa ancora difendersi.
Ho quindi deciso di installare un SSD interno, cosa che da questo modello in poi è stata resa molto semplice da Apple. È infatti disponibile sulla scheda logica uno slot dedicato ad un disco di tipo "blade", usato per le configurazioni personalizzate in fase d'ordine, sia con Fusion Drive che SSD puro. Se avete dubbi sul fatto che il vostro iMac abbia o meno lo slot, la cosa più facile è cercarlo sul sito iFixit e verificare che vi sia la guida apposita. Ovviamente si sarebbe anche potuto metterlo diversamente, volendo anche al posto del disco meccanico con un adattatore, ma questa soluzione è decisamente più pulita e consente di mantenerli entrambi.
Su questo specifico esemplare venivano usati dischi M.2 su controller SATA, per cui non vi è il vantaggio della super velocità ottenibile con i più recenti NVMe/PCIe ma si è "limitati" ai 6Gbit/s. Il problema, però, è che Apple non usa un connettore standard. Per giunta nel catalogo di OWC o Transcend (i produttori più attivi per dischi solidi destinati ai Mac), non è affatto facile capire se vi sia un prodotto compatibile con gli iMac. Alla fine ho optato per una soluzione diversa ed ho comprato un SSD originale Apple venduto usato su Ebay. Devo ammettere di aver avuto molto fortuna in questo, perché l'ho pagato meno di 150€, ma ne appaiono spesso in rete e non è così difficile fare un buon affare. Mi sono accontentato di 256GB, tanto tutti i dati aggiuntivi, comprese le directory dei servizi cloud che uso e che sono sempre più pesanti, possono benissimo risiedere nell'HDD. Per l'operazione sono serviti un po' di cacciaviti "speciali" che avevo già in redazione, una ventosa, un cuscino del divano (?) e altre due cose: le strisce adesive di sostituzione e un arnese strambo che serve per rimuovere le vecchie prima di aprirlo. Quest'ultimo non è proprio necessario ma è pratico grazie alla rotella che gira ed è utile che la sua dimensione sia calibrata per non rompere nulla all'interno. È tutta roba che si trova anche su Amazon o Ebay piuttosto facilmente, ma anche iFixit ha ormai uno store Europeo. Sapete che di computer ne ho smontati, compresi moltissimi iMac, ma nessuno da quando li hanno resi così sottili. Preferivo molto di più i vecchi magneti a questa soluzione con adesivi usa e getta, ma non ne ho aperti solo perché non ne ho usato nessuno successivo al 2011 fino a poco tempo fa. Comunque l'operazione sembrava abbastanza semplice, ma iFixit la segnala come difficile e con tante avvertenze in rosso che ti fanno passare la voglia di sperimentare. Non a me, ovviamente.
Con la collaborazione del mio amico Pietro, che da poco aveva fatto un'operazione analoga sul suo iMac 27 del 2013, ci abbiamo messo davvero poco, contando anche una buona mezz'ora di pulizia visto che all'interno c'era così tanta polvere che non potete immaginare. Comunque le avvertenze di iFixit nella guida sono state d'aiuto, anche se decisamente troppo allarmistiche. Dopo un paio d'ore ero già pronto ad utilizzare il nuovo/vecchio iMac, notando subito la netta differenza. Finalmente il computer va come deve andare e non ha più quei saltuari tentennamenti che avevo visto col disco via USB 3.0. Devo dire, però, che in passato mi è capitato di usare sistemi operativi installati esternamente senza apprezzare queste incertezze, per cui il dubbio che sia "colpa" del controller USB di questo specifico modello ce l'ho, ma in tutti casi la soluzione del disco interno è decisamente più pulita e pratica. Faccio un'ultima precisazione per un'altra delle piccole battaglie che porto avanti da tempo: no al Fusion Drive. Si poteva creare in un attimo avendo questi componenti e poteva anche essere adatto ad un computer non primario, ma è proprio il principio che non mi piace e non accetto. Un disco ibrido del genere aggiunge della complessità inutile, non a caso non supporta ancora APFS, raddoppia la possibilità di rottura, moltiplica anche il pericolo di danneggiamento logico dei dati e non può offrire le stesse prestazioni. Soprattutto non su quel che ci interessa visto che decide lui come amministrare la cosa. Forse lo potrei consigliare ad un utente alle prime armi, di quelli che non sanno come spostare una cartella, per tutti gli altri il consiglio è diverso: leggere il mio articolo del 2013 dal titolo "perché non uso il Fusion Drive".
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saggiosguardo · 7 years
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Oggi è il giorno di macOS High Sierra, ecco alcuni consigli utili da seguire prima di aggiornare
A distanza di sei giorni dal rilascio di iOS 11, Apple si appresta a distribuire macOS 10.13 High Sierra tramite il Mac App Store. Come abbiamo scritto lo scorso anno, prima di aggiornare un sistema operativo desktop è consigliabile seguire alcune operazioni preliminari, che vi riporto integrate con alcune osservazioni specifiche per il nuovo OS.
Step 1: Compatibilità dei Mac
Ringraziando il cielo, Apple non ha escluso altri Mac dalla lista di compatibilità con il nuovo sistema operativo che, di conseguenza, può essere installato su tutti i computer che già possono eseguire Sierra. Essi sono:
MacBook (fine 2009 o più recente)
MacBook Pro (metà 2010 o più recente)
MacBook Air (fine 2010 o più recente)
Mac mini (metà 2010 o più recente)
iMac (fine 2009 o più recente)
Mac Pro (metà 2010 o più recente)
Per verificare che il nostro computer sia tra i compatibili basta premere su  e dunque su "Informazioni su questo Mac". Se disponiamo di Yosemite, El Capitan o Sierra, la finestra che vedremo sarà molto simile alla seguente:
Il dato che ci occorre guardare è quello evidenziato col rettangolo dai bordi rossi. Qualsiasi indicazione temporale che sia superiore a quella indicata nella lista soprastante per il proprio modello dà il via libera a Sierra.
Se disponiamo di una versione antecedente a Yosemite, però, la schermata sarà diversa e non risulterà subito immediato risalire al proprio modello. In questo caso occorrerà premere sul pulsante "Più informazioni..." o "Informazioni di sistema" per aprire una nuova finestra più dettagliata (si può aprire anche sui sistemi più recenti tramite "Resoconto di sistema"):
Il dato che ci interessa è l'identificatore modello. Andiamo a rintracciarlo nelle liste ufficiali compilate da Apple:
MacBook
MacBook Air
MacBook Pro
iMac
Mac mini
Mac Pro.
L'identificatore ci permetterà così di conoscere la generazione del nostro Mac, verificando dunque con l'elenco dei computer supportati da Sierra. In caso di riscontro positivo, potremo procedere a verificare i requisiti secondari, ossia:
OS X 10.7.5 o successivo
2 GB di memoria
circa 10 GB di spazio libero su disco.
Anche quest'anno, il primo è in particolare da tenere a mente: se si proviene da Snow Leopard, occorrerà effettuare un passaggio intermedio a El Capitan. Entriamo nel Mac App Store e premiamo sul link "OS X El Capitan". Una volta entrati nella pagina di presentazione dedicata, clicchiamo su "Scarica" e una volta completato il download seguiamo le successive istruzioni.
Step 2: Verifica del supporto alle app e alle periferiche in nostro possesso
Mai come quest'anno è opportuno verificare quali software si usino per lavorare con il proprio Mac. Infatti, sia Microsoft che Apple stessa hanno annunciato alcune incompatibilità di High Sierra con le versioni di Office antecedenti alla 2013, di cui non non saranno rilasciati nemmeno più gli aggiornamenti di sicurezza, e con le vecchie distribuzioni dei software professionali di Cupertino, di cui trovate una lista in questo mio articolo. Pare che ci siano problemi con ArubaSign, il software per la firma elettronica di Aruba, che molti di noi usano come il pane. Lo stesso discorso vale per le periferiche: se funzionano già con Sierra non dovrebbero esserci questioni di compatibilità, ma è meglio controllare sul sito del produttore o in forum specializzati se vi sono problemi con High Sierra o se sono già stati approntati i nuovi driver. Accertata l'eventuale compatibilità della nostra configurazione hardware e software, si può passare al terzo step.
Step 3: Rete e batteria
In questo caso vale quanto già scritto dal buon Razziatore lo scorso anno:
macOS High Sierra sarà reso disponibile sul Mac App Store, pertanto occorrerà la connessione ad Internet. La situazione ideale è avere a disposizione una rete Wi-Fi o Ethernet, appoggiata a una linea ADSL (con buone velocità) o fibra. In quasi tutte le situazioni l'abbonamento pattuito col gestore è di tipo flat, con una quota fissa mensile e senza limiti nello scaricamento dei dati. Molto diverso è il discorso se siamo costretti ad appoggiarci a una connessione 4G o 3G. Le velocità nella media saranno più alte, ma dovremo fare i conti col limite massimo di GB previsto dal piano dati. Poiché Sierra richiederà svariati GB per essere scaricata sarà opportuno accertarsi preventivamente sia quanto prevede il nostro piano mensile sia quanto ci rimane prima del suo esaurimento. Avremo inoltre bisogno di un dispositivo in modalità tethering, ovvero il riversamento della connessione 3G/4G attiva in una rete Wi-Fi accessibile da altri prodotti, fungendo così come un modem-router in miniatura. Queste sono le principali procedure per attivarla sulle due principali piattaforme:
iOS: rechiamoci in Impostazioni, entriamo nella sezione Cellulare e attiviamo l'Hotspot Personale. Se non abbiamo ancora impostato una password, inseriamola. Nel caso ve ne fosse una già esistente avremo la possibilità di visualizzarla e volendo modificarla.
Android: il percorso può differire leggermente a seconda del dispositivo e delle personalizzazioni del produttore, ma si tratta spesso di variazioni minori. Entriamo in Impostazioni, nell'area dedicata alle connessioni premiamo su Altro e dunque su Tethering/hotspot portatile. Lì troveremo lo switch per attivare il tethering. Anche qui se non abbiamo già impostato una password è bene farlo e se invece c'è già potremo vederla e/o modificarla.
Dato che i consumi di dati possono essere elevati il suggerimento è di attivare il tethering solo a rilascio avvenuto da parte di Apple. Ancor prima di farlo, però, assicuriamoci che il gestore lo includa nel piano tariffario. Questo è un punto che tocca in particolare chi ha Vodafone, dato che varie sue tariffe non prevedono il tethering senza extra costi. E questi ultimi, una volta applicati, rischierebbero di essere davvero salati, dunque meglio non prendere alla leggera questa verifica.
Oltre alla rete, importante per i Mac portatili è l'aspetto energetico. Non è molto consigliato effettuare l'upgrade senza l'alimentazione da corrente. Qualora però non avessimo proprio scelta, assicuriamoci che il computer disponga di almeno un 70% di carica prima di procedere. Più ce n'è, meglio è. Anche perché ritrovarsi con la batteria a terra nel bel mezzo dell'installazione non è piacevole da gestire successivamente.
Il prossimo passo potrebbe però aiutarci anche per questo: parliamo infatti di backup.
Step 4: Backup
Se lo scorso anno questo paragrafo iniziava con un "Il backup non è importante. Di più.", quest'anno direi che il backup è fondamentale: High Sierra, infatti, segna finalmente il passaggio dal vecchio filesystem HFS+ al nuovo APFS. La procedura di conversione sarà trasparente ed indolore, ma visto che agisce a così basso livello è opportuno salvare tutti i propri dati su un hard disk esterno (o, quanto meno, salvare i documenti più importanti sul cloud con servizi come Dropbox o iCloud Drive). Ovviamente, la procedura di conversione riguarda solo il disco dove viene eseguito il sistema operativo e non inficerà altri dischi collegati.
Per effettuare una copia di sicurezza dei dati, vi riporto quanto già scritto lo scorso anno:
Il metodo più semplice, avendo a disposizione un'unità di archiviazione esterna sufficientemente capiente (niente chiavette USB, quindi) oppure di rete, è Time Machine. Se l'unità è nuova, basterà collegarla che automaticamente il sistema ci proporrà di utilizzarla per effettuare il backup. Nel caso non lo facesse, basterà compiere un'altra procedura altrettanto semplice:
Colleghiamo il disco esterno
Quasi sicuramente avremo l'icona di Time Machine vicina alle altre di stato come Wi-Fi e audio; se così non fosse, dovremo aprire le Preferenze di Sistema (da Launchpad o cercando con Spotlight) e premere su Time Machine
Presumendo di avere l'icona di stato, premiamoci sopra e nel menu selezioniamo "Apri le preferenze di Time Machine..."
Clicchiamo sul pulsante "Seleziona disco..." e nella schermata successiva scegliamo l'unità che abbiamo collegato, confermando tramite "Utilizza il disco"
Chiudiamo la finestra delle preferenze e clicchiamo di nuovo sull'icona di Time Machine, selezionando stavolta "Esegui backup adesso"
Ci vorrà un po' di tempo se è il primo backup che effettuiamo: macOS ci avviserà con una notifica al termine dell'operazione. Potremo dunque procedere all'espulsione del disco trascinandone l'icona sul cestino. Qualora dovessimo ripristinare, per singoli file o cartelle basterà collegare di nuovo l'unità esterna, premere sull'icona di Time Machine e selezionare stavolta "Entra in Time Machine". Nell'interfaccia che comparirà avremo la possibilità di scegliere ciò che intendiamo recuperare. Nel caso invece volessimo ripristinare il backup dell'intero sistema, dovremo farlo dall'area Recovery. Colleghiamo il disco esterno prima di accendere il Mac, poi subito all'avvio teniamo premuti i tasti Cmd e R (o Alt, Cmd e R) finché non compare il logo Apple a schermo. Non è detto che il comando venga sempre recepito, perciò armiamoci di pazienza e riavviamo il computer finché non riusciamo. Nella finestra che seguirà, selezioniamo "Ripristina da backup di Time Machine" e seguiamo le successive istruzioni.
Non abbiamo un'unità di archiviazione adeguata? Se disponiamo di semplici chiavette USB, potremo copiare lì manualmente almeno i file personali tramite il Finder. Lo stesso se scegliamo la via del cloud. In entrambi i casi dovremo comunque fare i conti coi limiti dello spazio disponibile, pertanto verifichiamo quanto andremo a salvare e cerchiamo di stabilire se qualcosa di poco importante può essere sacrificato.
Step 5: Pulizia
Lo scorso anno Razziatore consigliava di utilizzare CleanMyMac 3 (già compatibile con High Sierra) per la pulizia del proprio Mac, in particolar modo per chi non ha abbastanza spazio per l'installazione del nuovo sistema operativo o per eliminare tutti i file che una installazione di un nuovo sistema operativo si lascia dietro. Il consiglio è quello di utilizzare la procedura automatica di pulizia prevista dal software di MacPaw.
Quest'anno, oltre al sempre valido (ma più complesso) Onyx, abbiamo anche una terza via che possiamo seguire: lo strumento di ottimizzazione del disco di macOS Sierra. Esso è accessibile dal menu , Informazioni di sistema, Archivio. Dopo un'analisi del disco (più o meno veloce a seconda della sua grandezza e di quanto è pieno), saranno mostrati una serie di consigli da seguire per liberare prezioso spazio su di esso.
Se, invece, preferiamo procedere con una installazione di High Sierra da zero, formattando totalmente il disco fisso, dobbiamo creare dapprima un disco di boot. Personalmente, preferisco utilizzare una chiavetta USB molto veloce e il software DiskMaker X (già compatibile con High Sierra!) per la creazione di un disco di boot con il quale procedere alle operazioni necessarie per riportare il computer come nuovo, ma in alternativa, se si preferisce cimentarsi con il Terminale, è possibile seguire quanto già scritto lo scorso anno:
Prepariamo innanzitutto l'unità che andremo ad utilizzare come supporto d'installazione, se ancora non l'abbiamo già fatto:
Apriamo Utility Disco, tramite la cartella Altro nel Launchpad oppure cercandola da Spotlight
Colleghiamo l'unità e assicuriamoci che venga riconosciuta dall'utility, comparendo nella barra laterale sulla sinistra
Se abbiamo El Capitan o Sierra, procediamo così: selezioniamo l'unità da inizializzare e premiamo sul pulsante "Inizializza" nella parte a destra. Nella schermata che compare, apriamo il menu a tendina "Formato" e selezioniamo "OS X esteso (journaled)". Diamo un nome al supporto (es. SierraInstaller), dunque premiamo su "Inizializza". A procedura completata, confermiamo con "Fine".
Se abbiamo Yosemite o precedente: selezioniamo l'unità da inizializzare e nella parte a destra apriamo la scheda "Inizializza". Apriamo il menu a tendina "Formato" e selezioniamo "Mac OS Esteso (journaled)". Diamo un nome al supporto (es. SierraInstaller), dunque premiamo su "Inizializza". Attendiamo che si completi la procedura.
Terminato il tutto, chiudiamo Utility Disco e lasciamo collegata l'unità appena inizializzata
Ora rechiamoci sul Mac App Store, apriamo la pagina di presentazione dedicata a Sierra e iniziamo il download. Una volta completato, chiudiamo l'Installer apertosi automaticamente (tramite Monitoraggio Attività, dato che il pulsante di chiusura finestra è disattivato). Apriamo ora il Terminale, tramite la cartella Altro nel Launchpad oppure da Spotlight, e immettiamo il seguente comando:
sudo /Applications/Install\ macOS\ http://ift.tt/2fJR0O7 --volume /Volumes/HighSierraInstaller --applicationpath /Applications/Install\ macOS\ HighSierra.app --nointeraction &&say Done
(Nota: il comando soprastante presume che il nome dato all'unità sia HighSierraInstaller. In caso di altro nome, occorre modificare l'apposita sezione della sintassi soprastante.)
Se il comando è corretto, premiamo il tasto Invio. Inseriamo quando richiesto la nostra password utente e lasciamo che il Terminale completi l'operazione. Una volta che il tutto è stato completato, possiamo chiudere il Terminale e riavviare il Mac in modalità Recovery. Subito all'avvio teniamo premuti i tasti Cmd e R (o Alt, Cmd e R) finché non compare il logo Apple. Nella finestra che seguirà premiamo innanzitutto su "Utilizza Utility Disco per reinizializzare il disco" e formattiamo l'unità principale del Mac; la procedura è molto simile a quella vista sopra per preparare il supporto d'installazione. Completata l'inizializzazione, chiudiamo Utility Disco e una volta tornati nella finestra iniziale premiamo su "Reinstalla macOS", seguendo le successive istruzioni.
Quanto appena descritto non è detto ci occorra farlo. Nella maggioranza dei casi si procederà tramite aggiornamento diretto sul sistema operativo preesistente, senza cancellare i dati. A prescindere da quale sia la strada scelta, se anche questo step è stato considerato procediamo con l'ultimo.
Step 6: Account
Anche in questo caso mi riporto a quanto scritto da Razziatore:
Durante la procedura di aggiornamento ci verrà richiesto d'inserire la password del nostro ID Apple. Facciamo sin da ora mente locale e ricordiamocela; per maggiore sicurezza conviene annotarla. Lo stesso per gli altri principali servizi, la cui richiesta di autenticarsi nuovamente non è da escludersi. Se non ricordiamo le password è meglio già effettuare sin da stasera le rispettive procedure per ripristinarle e inserirne di nuove, rispettando sempre determinati canoni di sicurezza (utilizzare quando possibile combinazioni di lettere maiuscole, minuscole, numeri e caratteri speciali; prediligere altri elementi rispetto a nomi e/o dati di nascita).
Questa è anche l'occasione di abilitare l'autenticazione in due fattori, anche alla luce degli attacchi hacker che si sono palesati in questi giorni e che rendono inutilizzabile il Mac senza pagare un riscatto ai malfattori (o senza l'intervento dell'assistenza Apple). Attivandola è anche possibile abilitare lo sblocco del proprio computer tramite Apple Watch, evitando così di dover inserire la propria password se lo si indossa.
Spero che la guida aggiornata (i cui meriti vanno in larga parte a Razziatore per aver pubblicato lo scorso anno la sua prima stesura) possa esservi di aiuto per l'installazione dell'update odierno. Buon High Sierra a tutti!
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saggiosguardo · 7 years
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iCloud conservava la cronologia di Safari anche dopo averla cancellata
I servizi cloud, se ben utilizzati, sono un valido aiuto quotidiano nel passaggio tra più dispositivi. Un numero sempre maggiore di funzionalità sinora prettamente svolte in locale si sta legando alla nuvola e il trend non accenna a fermarsi. Anche Apple sta effettuando un percorso del genere per la sua piattaforma iCloud, a beneficio degli utenti (almeno quasi) sempre connessi. Certo, qualche eccesso nell'integrazione tra esperienza d'uso locale e cloud sta avvenendo, come dimostra la storia odierna pubblicata da Forbes.
La nota testata raccoglie quanto rinvenuto da Vladimir Katalov, CEO dell'azienda russa Elcomsoft operante nel settore sicurezza. Katalov si è accorto tramite uno dei software prodotti da Elcomsoft, Phone Breaker, che cancellare la cronologia di Safari non comportava la medesima operazione su iCloud come invece sarebbe dovuto accadere (vedasi le prime righe di questo articolo del supporto Apple valido da Yosemite in poi). La lista cancellata dei siti visitati veniva solamente spostata in un'altra area dei database di Cupertino, denominata "tombstone". Una pietra tombale che nella realtà dei fatti tale non si rivelava, permettendo di ripescare anche elementi della cronologia risalenti a oltre un anno prima. Il problema non era nel meccanismo in sé, ritenuto utile quando uno o più dispositivi in possesso dell'utente sono offline e dovranno essere sincronizzati di nuovo alla prima occasione buona, bensì nella durata illimitata della conservazione di questi dati. In altre aree di iCloud, come le note per esempio, il limite prima della rimozione definitiva dai server è già fissato attorno ai 30 giorni.
Ci sono comunque tre buone notizie. La prima è che veniva considerata poco probabile una fuoriuscita di dati: strumenti come Phone Breaker necessitano delle credenziali di iCloud, dunque andrebbe prima compromesso l'account della vittima. La seconda è che già dall'anno scorso Apple aveva modificato il comportamento del servizio online dopo la rimozione della cronologia, rendendo più difficile (ma non impossibile) il recupero da parte di terzi. La terza, infine, è il motivo per cui gran parte di questo post ha tempo verbale al passato: quanto pubblicato da Forbes ha agito come sprono in quel di Cupertino e le liste "tombstone" sono in fase di pulizia, aprendo sia all'introduzione di limiti temporali di conservazione sia a ulteriori metodi protettivi per il periodo transitorio in cui i dati sono ancora presenti sulla piattaforma. Caso risolto, dunque. Se poi alla luce di questa vicenda i più attenti alla propria privacy volessero agire in modo radicale, avranno la possibilità di farlo disattivando la sincronizzazione di Safari dalle impostazioni di iCloud.
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