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#Quotidiano Repubblica
pettirosso1959 · 4 months
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Finalmente la resa dei conti è arrivata. Poi toccherà all'Unità ed al Fatto Quotidiano.
Patrizia Cesaretti: Se fossero giornalisti invece che lecchini, camperebbero meglio.
Maria Stella Maltoni: Questo perché i pescivendoli non hanno più comprato Repubblica per incartare il pesce.
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CAOS A LA REPUBBLICA: "LA NAVE AFFONDA I CONTI VANNO MALE. QUAL' È LA LINEA EDITORIALE’’.
Libero 05/01/24
Non c’è pace a Repubblica. Dopo il durissimo comunicato di metà dicembre coi 5 giorni di sciopero paventati, il 2024 si apre con una mail esplosiva del Comitato di redazione (Cdr) a tutti i giornalisti della testata.
La sintesi è che la direzione e la proprietà si sono allontanate dall’identità del giornale.
Nel 2020 gli Elkann, proprietari di Repubblica, hanno venduto il Tirreno, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara.
Nel 2021 si sono liberati di MicroMega.
Nel 2022 la vendita dell’Espresso.
Poi, nel 2023, la cessione di 6 testate del Nord-Est (Corriere delle Alpi, Il Piccolo, Messaggero Veneto, La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova e La Tribuna di Treviso).
Pochi giorni prima di quel comunicato, il fondatore, De Benedetti, aveva a sua volta picchiato duro contro gli Elkann, accusandoli di aver distrutto il quotidiano.
IL CDR: «L’ANNO CHE SI CHIUDE È STATO SOFFERTO E DIFFICILE, ASSAI DELUDENTE PER TUTTI NOI.
IL NOSTRO GIORNALE CONTINUA A PERDERE COPIE,
ABBONAMENTI E NON RIESCE A TROVARE UNA STRADA NEL DIGITALE. E QUESTO, A NOSTRO AVVISO
PER LA MANCANZA DI UNA CHIARA STRATEGIA DI INVESTIMENTI, MARKETIG, OBIETTIVI, COLLOCAZIONE NEL PANORAMA EDITORIALE.
NONOSTANTE GLI SFORZI TITANICI DI TUTTI NOI.
La difesa dell’identità di Repubblica (ciò che sembra importare solo a noi giornalisti che amiamo questo quotidiano e il lavoro che facciamo)
ci ha impegnato in un anno che ha segnato la per noi traumatica disgregazione di quello che era il più importante gruppo editoriale del nostro Paese,
smembrato e dismesso da un editore il cui progetto resta per noi incomprensibile, oltre che frutto di preoccupazione».
La redazione, si legge sempre nel comunicato, attende dal direttore Maurizio Molinari il nuovo piano editoriale:
«Come sappiamo nel futuro prossimo ci sono ancora tagli, riduzione del perimetro giornalistico, mortificazione di competenze e professionalità (...)
il 2024 si preannuncia un anno di dura battaglia a difesa del nostro posto di lavoro, del nostro nome (...) dovremo affrontarlo insieme.
perché da questa caduta rovinosa non si salva nessuno.
Vedere Repubblica che viene abbandonata come una nave che affonda è motivo di particolare amarezza».
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gregor-samsung · 1 month
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" 1999. La Nato inizia a violare i patti invitando e inglobando Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, anche se la Russia in ginocchio non rappresenta alcuna minaccia. Mosca protesta, ma non ha la forza di reagire. È la prima applicazione delle teorie dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, e dei “neocon” della destra americana sull’esigenza di circondare, assediare, provocare e dissanguare la Russia costringendola a un riarmo sempre più costoso, a una reazione armata e a una definitiva sconfitta militare. La seconda mossa della Nato è attaccare il principale alleato dei russi in Europa: la Serbia di Slobodan Miloševic, bombardata per 11 settimane senza alcun mandato dell’Onu. Incredibilmente l’Occidente si schiera con i separatisti albanesi del Kosovo, in gran parte musulmani, che con il loro “esercito di liberazione” – la famigerata Uck – compiono da anni stragi e attentati terroristici contro la minoranza serba e vogliono staccarsi da Belgrado. Ma si finge di non vederli, mentre parte la propaganda Usa sulla “pulizia etnica” e le “fosse comuni” serbe, in parte vere (come quelle kosovare) e in parte inscenate dai Servizi americani per far fallire i negoziati di Rambouillet (Parigi). Così il 24 marzo la Nato, Italia inclusa, inizia a bombardare Belgrado e altri centri della Serbia e del Kosovo, anche e soprattutto su obiettivi civili. Bilancio di quei 78 giorni di attacchi ininterrotti: tra i 1.200 e i 2.500 morti, quasi tutti civili, e un fiume di profughi. Ma la Nato non la chiama guerra, bensì “operazione di ingerenza umanitaria”.
Eltsin telefona a Clinton: “È inaccettabile: è il primo segnale di cosa potrebbe accadere se la Nato arrivasse ai confini della Russia. Le fiamme della guerra potrebbero bruciare per tutta l’Europa”. Ma neppure stavolta ha la forza per reagire: è vecchio e malato, e le sue folli liberalizzazioni suggerite dal Fmi hanno messo la Russia in ginocchio. Però Eltsin scatena la seconda guerra in Cecenia contro i ribelli separatisti e islamisti. Poi nomina premier il direttore del Servizio segreto Fsb (l’ex Kgb), Vladimir Putin, che a fine anno lo sostituirà anche come presidente. E in dieci anni riconquisterà la Cecenia con massacri, devastazioni indicibili e decine di migliaia di morti su entrambi i fronti. Intanto avvierà il riscatto economico e strategico della Russia, ma a prezzo di un regime sempre più autoritario e repressivo. "
Marco Travaglio, Scemi di Guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un Paese pacifista preso in ostaggio dai NoPax, PaperFIRST (Il Fatto Quotidiano), febbraio 2023¹ [Libro elettronico].
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curiositasmundi · 2 months
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Cosa ne sarà di Julian Assange? In queste ore l’Alta corte di Londra sta decidendo e potrebbe anche accogliere richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti. In questo caso potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere, accusato di aver sottratto documenti attinenti alla sicurezza nazionale e di aver messo in pericolo la vita di migliaia di soldati impegnati in Afghanistan e in Iraq. Tesi smentita persino dal relatore Onu sulle torture e i diritti umani, Nils Melzer, nel suo Storia di una persecuzione. Mai come in queste ore bisogna continuare a vigilare e a tenere accesi i riflettori. La vera accusa contro Assange riguarda la sua attività di giornalista che ha rivelato i trucchi e le bugie usate dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per provocare guerre, torture, commercio delle armi. Lo hanno accusato di essere una spia, ma di questo non c’è traccia nei capi di imputazione, allo stesso modo sono naufragate le accuse “prefabbricate” di stupro e violenza sessuale. Sono persino arrivati negare la sua attività pubblicistica. Peccato che Assange abbia ottenuto tale riconoscimento anche dalla Federazione mondiale dei giornalisti, dal sindacato europeo, da oltre 20 associazioni europee, dall’Ordine e dalla Federazione della stampa, dalla associazione Articolo 21. Peccato che persino i giornali che lo hanno attaccato si siano recati in ginocchio a supplicare di avere documenti da lui rintracciati. Peccato che la stessa Corte europea abbia sancito che un giornalista abbia il diritto, anzi il dovere, di pubblicare qualsiasi notizia, comunque ottenuta, che abbia i requisiti del pubblico interesse e della rilevanza sociale. Sfidiamo chiunque a dimostrate che i documenti rivelati non avessero questi requisiti. Quelle contro Assange sono accuse politiche. Vogliono colpirne per diffidarne cento, per ammonire preventivamente chiunque avesse voglia di cimentarsi con il giornalismo di inchiesta e di ficcare il naso nelle guerre, nel commercio delle armi, nei rapporti indicibili tra gruppi terroristici e Stati. Provate a pensare cosa potrebbe saltare fuori da una indagine, simile a quelle condotte da Assange, applicata ai conflitti in atto, in Ucraina, nella striscia di Gaza, nello Yemen, nella repubblica democratica del Congo, in Birmania… Non vogliono “oscurare” solo Assange, ma vogliono soffocare quello che resta del giornalismo di inchiesta, diventato il vero nemico dei regimi, delle oligarchie delle mafie, di quanti hanno bisogno del buio per rubare e uccidere. Vogliono colpire anche il diritto dei cittadini ad essere informati perché quello che Assange ha rivelato ha clamorosamente ha confermato le ragioni di quei milioni di donne e di uomini che, in tutto il mondo, avevano protestato contestando proprio menzogne, bugie, dossier prefabbricati, finti arsenali. Forse questo è il vero motivo di tanto accanimento. Vogliono punire Assange per punire chi ancora si oppone e a guerre e terrore. Per questo abbiamo il dovere di continuare a vigliare, per impedire che i giudici di Londra possano decidere all’improvviso e spedirlo, seduta stante, negli Stati Uniti. Non sarebbe la sua sconfitta, ma la nostra sconfitta, anche di quei giornalisti che, senza nulla sapere e nulla leggere, continuano a sparare alle sue spalle.
Beppe Giulietti –via: il fatto quotidiano
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abr · 7 months
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Questo articolo ha seguito il normale processo di peer review ed è stato pubblicato nel gennaio del 2022. Ha suscitato un certo interesse, tutto regolare, sin quando poi nel settembre dello stesso anno (...) un certo giornalista di un quotidiano, il Guardian (la Repubblica inglese, ndr) evidentemente si è sentito particolarmente toccato da quanto sostenuto.
Il giornalista ha scritto un articolo sul giornale dopo aver intervistato alcuni esperti climatici internazionali noti per avere delle posizioni particolarmente catastrofiste al riguardo, che si sono scandalizzati per quanto letto nell’articolo e hanno detto “no, questo dovrebbe essere ritirato”.  
L’editore della rivista si è sentito in dovere di fare una verifica del nostro articolo alquanto strana e insolita. Di solito infatti un articolo scientifico che ha passato il processo di peer review, può essere sicuramente messo in discussione ma i ricercatori che non concordano ne scrivono uno che a sua volta deve essere sottoposto a peer review. A quel punto si può iniziare un confronto sulle tesi, sulle ipotesi, sulle referenze e questa è la procedura normale.
 Questo non è avvenuto, non hanno mai scritto un articolo scientifico di confutazione ma l’editore si è sentito in dovere di elencarci tre punti che erano in disaccordo con l’ultimo report dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change, un organo delle Nazioni Unite, ndr) Noi abbiamo scritto un addendum mostrando che in realtà questi tre punti sono assolutamente in accordo con quanto da noi sostenuto.
Dopodiché l'editore ha fatto partire una ulteriore peer review su quanto già rivisto e pubblicato (mai successo prima), dove un reviewer era d’accordo, l’altro reviewer no. Il disaccordo ha dato gli elementi all’editor per chiamare in causa un terzo auditor che ha espresso parere negativo e quindi c’è stata la ritrattazione dell'editor, non degli autori.
Conclusioni troppo scomode: "an unconvenient truth", nemesi ricadente sul Padre di tutti i Catastrofisti moderni, Al Gore il Grande Perdente.
RICORDA UN CERTO PROCESSO A GALILEO, INCLUSO L' "EPPUR SI MUOVE" FINALE.
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maurosempre · 3 days
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Un morto sul lavoro ogni sei ore. Ma nessuno si indigna - la Repubblica
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toscanoirriverente · 2 months
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L’episodio della Federico II di Napoli è solo l’ultimo anello di una catena di violenze contro gli ebrei in tutto il mondo. Solo chi è in malafede, o peggio, può sostenere di non vederci razzismo
Vale la pena di aggiungere qualcosa sulla vicenda napoletana di Maurizio Molinari. Non saprei dire, infatti (faccio finta di non saperlo dire), se sia stata pura trascuratezza o franca malafede a confezionare il negazionismo imbastito sul caso delle squadracce universitarie che hanno impedito di parlare al direttore di Repubblica: ma di questo si tratta, netto e ripugnante negazionismo, quando da quei ranghi di teppismo squadrista e dal milieu che in qualche modo li giustifica viene la teoria che no, Molinari non è stato contestato perché è ebreo, ma per le sue posizioni e per la linea che avrebbe imposto al quotidiano che dirige.
Lasciamo pur perdere il fatto che su quel giornale – che evidentemente il mazziere medio della Federico II di Napoli non legge – trovano spazio idee e argomenti di un oltranzismo anti-israeliano e antisionista che non dispiacerebbero a certi rettori dell’inappropriatezza antisemita depending on the context, né ancora alle figliole che nei dintorni del Ghetto strillano “Fuori i sionisti da Roma”. Queste sono considerazioni di aderenza fattuale perfino noiose.
Il punto è l’altro. È che a giustificazione delle leggi razziali non si diceva che gli ebrei erano sotto-uomini: si diceva che erano responsabili di una cospirazione. A caricare gli ebrei sui vagoni piombati non era la spiegazione che si trattava dei discendenti delle scimmie e dei maiali: era la teoria che con le loro pratiche di dominio soggiogavano il mondo, come oggi insegna la consulente delle Nazioni Unite assoldata dal Segretario Generale secondo cui il 7 ottobre non viene dal nulla.
Chiamato a rendere conto del gesto, il nazista che contrassegnava l’azienda del giudeo non diceva che il proprietario era un ratto che portava malattie: diceva che quei commerci strangolavano il popolo tedesco. Il professore che ordinava in due file i propri studenti, ingiungendo che sputassero in faccia al compagno ebreo che passava in mezzo, non spiegava che il bambino era di una razza inferiore: spiegava che apparteneva al popolo che ha ucciso Gesù Cristo.
È tremendo non capire che ciò che è successo a Napoli l’altro giorno e, soprattutto, quel che non isolatamente se ne è detto, è esattamente lo stesso. Non ne è un vagheggiamento abbozzato, un conato di similitudine, un riflesso tenue: è esattamente lo stesso. E soltanto una disperante imbecillità o, appunto, una sconfinata malafede può insistere sul fatto che dopotutto, per quanto spiacevole e deplorevole, la violenza di cui è stato destinatario questa volta Maurizio Molinari si è risolta in una conferenza annullata. Che è come dire che la devastazione del negozio di un ebreo dopotutto si risolve in qualche vetro rotto.
Io sono sicuro che alcuni (pochi, pochissimi) stanno capendo quel che succede. Capiscano che devono fare qualcosa. A cominciare dal presidente della Repubblica che telefona a Molinari e rivolge un monito a quelli che non lasciano parlare “chi la pensa diversamente”. Il mostro non si sconfigge facendo finta che non ci sia.
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Lunedì 22 Gennaio 2024 alle ore 20.30 il GdL "Chiave di Lettura", presso i locali della Biblioteca San Valentino, si incontrerà per discutere insieme del libro di Carmelo Samonà “Fratelli”.
"Fratelli" venne pubblicato nel 1978 e diventò subito un caso editoriale. L'autore, noto ispanista, era alla sua prima prova narrativa e le 30.000 copie della tiratura andarono immediatamente esaurite mentre critici come Giorgio Manganelli, Natalia Ginzburg, Alfredo Giuliani lo accolsero come un capolavoro.
"Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della città, con un fratello ammalato". In una vasta casa di una città imprecisata vivono due fratelli. È il più grande a raccontare, l'altro è affetto da disturbi che riguardano "l'attività del pensiero" che non vengono comunque mai precisati, il ricovero in ospedale, predisposto da anni, "sembra di là da venire". Il rapporto tra i due è tormentato, la comunicazione è difficile, fatta di poche parole, di molti sguardi, silenzi, contatti fisici - il fratello maggiore accudisce l'infermo, lo lava, lo veste, lo segue da una stanza all'altra del grande appartamento, semivuoto di mobili, colmo comunque di ricordi, "arnesi dall'uso incerto" che "interrompono, di tanto in tanto, la sequenza dei vuoti", residui di una intimità familiare ormai perduta.
Carmelo Samonà (1926 – 1990) è stato un ispanista e scrittore italiano. Proveniente dalla famiglia aristocratica siciliana Samonà, era figlio dell'architetto Giuseppe Samonà. Si stabilì a Roma nel 1936 e si laureò in lettere, alla Sapienza, nel 1948. Dal 1961 insegnò letteratura spagnola all'Università "La Sapienza" di Roma al Magistero, e dal 1978 a Lettere, dedicandosi in particolare a quella del Seicento. Come ispanista, si ricorda, fra le altre, l'opera La letteratura spagnola dal Cid ai Re Cattolici (con Alberto Varvaro, 1972). Nel 1973 promosse la costituzione dell’Associazione ispanisti italiani. Dal 1976 collaborò con il quotidiano la Repubblica con articoli sulla letteratura moderna spagnola e ispanoamericana. Accademico dei Lincei dal 1987, ottenne il premio Juan Carlos dell'Accademia spagnola (1984).
Viene ricordato anche come scrittore (il suo esordio nel 1978), in particolare per due romanzi di successo, pubblicati da Einaudi: “Fratelli” (prima opera, parzialmente autobiografica) e “Il custode” (1983). “Fratelli” racconta il rapporto della voce narrante con il fratello affetto da una malattia mentale (nella realtà, si tratta del rapporto di Samonà con il figlio); è stato vincitore del Premio Mondello e finalista del Premio Strega nel 1978, finalista nel 1985 al Premio Bergamo e vincitore nel 2002 del Premio Pozzale Luigi Russo. Oltre ai due romanzi, Samonà scrisse il racconto Casa Landau (Garzanti, 1990) e il testo teatrale “Ultimo seminario”.
Contattateci all'indirizzo mail: [email protected] oppure all'indirizzo, sempre mail, [email protected] e riceverete, in prossimità dell’incontro, il link di riferimento. Vi aspettiamo per confrontarci insieme su questa lettura e scoprire un romanzo basato su una storia vera che non lascerà per nulla indifferenti, non mancate!!!
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ma-come-mai · 1 year
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Splendido pezzo, anti-conformista e coraggioso su Sanremo, scritto da Tomaso Montanari per Il Fatto Quotidiano.
"" L’inquietante sensazione è che il marketing di Sanremo si sia mangiato proprio tutto: perfino il presidente della Repubblica, voluto e acquisito al Festival dall’onnipotente manager di Amadeus e Benigni, in una indecorosa “privatizzazione” della massima magistratura repubblicana, all’insaputa degli organi di governo del servizio (già) pubblico.
Del resto, la forza di Sanremo è questa: essere sempre, nel bene e nel male, lo specchio fedele dello stato delle cose. Ed è innegabile che l’imbarazzante rappresentazione della nostra eterna società di corte, col sovrano benedicente in persona e l’aedo osannante, sia stata terribilmente efficace: proprio perché capace di raccontarci per come siamo veramente, al di là delle intenzioni dei protagonisti. Per la stessa ragione, il preteso inno d’amore di Roberto Benigni è stato così imbarazzante: perché la Costituzione è tutto tranne che uno strumento di celebrazione del potere costituito. La Carta – diceva Piero Calamandrei – “è una polemica contro il presente, contro la società. Perché quando l’articolo 3 vi dice ‘È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana’ riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare”.
Ebbene, la retorica fluviale di un Benigni autoridottosi a cantore dello stato delle cose è esattamente il contrario di queste parole acuminate: la Costituzione viene depotenziata, messa al guinzaglio, normalizzata. Diventa un bel sogno, del tutto inconferente con una realtà che, anno dopo anno, la contraddice sempre più profondamente. Bisognerebbe ricordare, allora, che la Costituzione è “sorella” di chi si batte davvero per farla rispettare e attuare: non di chi assiste inerte a questa deriva, rimanendo al potere da decenni. Altrimenti nulla rimane della “rivoluzione promessa” che, sempre secondo Calamandrei, vi è racchiusa: la Carta diventa un soprammobile trasmesso per via ereditaria, un innocuo sedativo utile ad addormentare del tutto le coscienze.
L’apice dell’ipocrisia si è toccato nel passaggio sulla prima parte del primo comma dell’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”. “Il verso di una poesia, una scultura”, l’ha definita Benigni, esaltandone “la forza, la bellezza, la perentorietà”, e concludendo che “se questo articolo lo avessero adottato le altre Costituzioni del mondo non esisterebbe più la guerra sulla faccia della Terra”. Fosse stato presente un bambino, uno di quelli capaci di dire che il re è nudo, avrebbe potuto urlare che non basterebbe affatto che altri Paesi adottassero questo articolo: lo dovrebbero poi anche attuare! Perché se lo facessero con la stessa coerenza dell’Italia, allora le guerre sarebbero ben lungi dallo scomparire.
Un anno fa, al tempo dei primi invii di armi all’Ucraina aggredita dalle truppe di Putin, i costituzionalisti si divisero tra chi riteneva quell’aiuto compatibile con l’articolo 11 e chi invece riteneva che fossimo fuori dalla Costituzione. Tutti, però, concordavano che se quell’invio non fosse stato immediatamente accompagnato da una forte azione diplomatica allora si sarebbe configurata la situazione di una risoluzione di una controversia internazionale solo attraverso l’uso della forza. Che è esattamente ciò che la Costituzione vieta: ed è anche esattamente ciò che, purtroppo, è poi puntualmente successo. Ci possono essere ben pochi dubbi, oggi, sul fatto che il continuo invio di armi, e la nostra partecipazione a un fronte occidentale che prolunga la guerra come mezzo per contrastare l’influenza di Russia e Cina, sia contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione. Appare chiaro che l’Italia non sta lavorando per la pace, ma per la “vittoria” contro Putin: ciò che la Costituzione ci proibisce di fare! La guerra, insomma, non la stiamo affatto ripudiando: come dimostra a usura la presenza di un esponente di spicco dell’industria delle armi al ministero della Difesa.
Non è la prima volta che accade, purtroppo. Nel 1999 il primo governo D’Alema (di cui Sergio Mattarella era vicepresidente del Consiglio; per poi passare alla Difesa nel secondo dicastero D’Alema) partecipò a una guerra illegittima sia per la Carta dell’Onu sia per la nostra Costituzione. Non c’è da stupirsi: la logica del potere non è la logica della Costituzione. Quel che invece deve stupirci, e indignarci, è l’ipocrisia con cui un artista si piega al servo encomio e alla propaganda che tutto questo vorrebbe nascondere. “L’arte e la scienza sono libere”, dice la Costituzione: ma se sono gli artisti a consegnarsi a una servitù volontaria, allora per l’ennesima volta quelle parole rimangono inerti.
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heresiae · 1 year
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La preside era stata insignita del titolo di cavaliere della repubblica. Ad aggravare il quadro, come emerge dal provvedimento cautelare firmato dal gip di Palermo, la preside Lo Verde ha sempre “alimentato la propria immagine pubblica di promotrice della legalità nonostante il quotidiano agire illegale e la costante attenzione ai risvolti economici della sua azione amministrativa, di fatto abbandonando l’esercizio del suo ruolo tipizzato di controllo e di gestione finalizzato al buon andamento dell’istituto comprensivo Giovanni Falcone”
qualcuno mi aiuti a bestemmiare perché io non credo di averne abbastanza da lanciare
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veritanascoste · 9 months
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TRAFFICI DI BAMBINI, Similmente come agnelli da macello!!!
Mostruosi traffici di bambini rapiti e sottratti alle loro famiglie per diventare giocattoli di carne e ossa nelle mani di spregevoli esseri MalViventi senza scrupoli. Pedofilia, traffico di organi e ANDRENOCROMO e per riti satanici.
Anche L’Italia non è risparmiata da questi crimini contro i bambini.
” In Italia calcolando solo i dati delle denunce effettuate dall’anno 2004 fino a marzo 2007, si scopre che i minori scomparsi e non ancora ritrovati sono ben 3.399.
Alcuni minori scomparsi saranno tristemente destinati al traffico di organi, come macabri pezzi di ricambio. Le stime in merito sono a dir poco raccapriccianti e ci presentano una vera e propria tabella dei prezzi … 50.000 euro un neonato, 30.000 un fegato, 15.000 le cornee … L’Italia secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, è un luogo di grande passaggio per la compravendita di organi, tanto che è stato presentato un dossier in merito al Viminale. Pier Luigi Vigna, Procuratore Nazionale Antimafia … ha denunciato che nel solo 2004 sono state circa 30.000 le vittime del traffico di esseri umani.”
E l’Italia è attiva anche nell’import dall’estero:
“L’Italia è denunciata da René Bridel, rappresentante nell’Onu dell’Associazione Internazionale Giuristi per la Difesa della Democrazia, dal quotidiano “La Nacion” di Buenos Aires, da “O Globo” di Rio de Janeiro e da la “La Repubblica” di Lima: il nostro Paese viene definito come il maggior importatore di bimbi brasiliani, come il più importante compratore … Léon Schwartzenberg, eurodeputato, ha affermato che : “Dal 1988 al 1992 quattromila bambini brasiliani hanno lasciato la loro terra per l’Italia.
Il motivo ufficiale è sempre l’adozione, ma di questi piccoli in cerca di famiglia ne sono stati ritrovati vivi solo mille.
Pertanto!!!
FATE MOLTA ATTENZIONE AI VOSTRI FIGLI E NIPOTI, NON FIDATEVI DI NESSUNO E NON LASCIATELI MAI DALLA VOSTRA VIGILE PRESENZA
😢 😢 😢 😢 😭😭😭😭
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bicheco · 1 year
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Capirai.
La Repubblica, il quotidiano della razza padrona, come la definiva Pannella.
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crazy-so-na-sega · 8 months
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La cosiddetta Carriera Alias
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La Carriera Alias è stata di recente introdotta in alcune scuole della penisola, ma in modo surrettizio e strumentale, creando divisioni, imbarazzi e polemiche senza fine. Tutte cose di cui la scuola non ha alcun bisogno, arrivando sino al punto di imporla agli studenti, a volte minorenni e facilmente manipolabili da parte di adulti senza scrupoli.
Si tratta in sintesi della possibilità data allo studente con “dubbi di genere” o “in transizione” di scegliersi il proprio nome di elezione, all’interno del plesso scolastico frequentato, in sostituzione di quello legale e legittimo. Il quale viene giudicato non più consono con il proprio rivendicato (o sbandierato) “orientamento sessuale”.
Così lo studente Mario Rossi, di anni 16, potrebbe decidere autonomamente il prossimo anno di farsi chiamare Jessica da compagni, docenti, preside e personale amministrativo della scuola. E guai a coloro che non volessero ottemperare e desiderassero continuare a seguire la carta di identità: sarebbero come minimo giudicati moralisti, legalisti e antiquati, e se il ministero non interviene presto, rischierebbero una sanzione.
Ora, i fautori della scuola aperta e libera, senza regole (che non siano le loro), chiedono e auspicano sanzioni e multe per una coraggiosa docente dell’istituto comprensivo Vivaldi di Ostia che, sul proprio profilo Facebook ha, con la libertà che la Costituzione offre a tutti i cittadini, criticato la deriva della Carriera Alias e dell’identità di genere.
La docente, come riporta il quotidiano Repubblica, ha osato criticare il cambiamento di nome, in «Uno dei primissimi istituti comprensivi d’Italia dove è stata attivata la carriera alias», come avrebbe dichiarato la preside Federica Alessandra Inches. La quale, allertata da alcuni genitori che hanno scoperto il post, ha difeso la Carriera Alias, assicurando di aver «immediatamente condannato» il post social dell’insegnante.
Ma cosa diceva dunque il post all’origine delle polemiche? Una libera opinione che inizia così: «Pare, sembra, che a dodici anni ormai gli stessi [studenti], considerati dal ministero dell’Istruzione come dei bimbi dell’asilo, siano abbastanza grandi da poter esercitare il loro diritto di cambiare sesso».
Riflessione assolutamente legittima e perfino banale, a meno che al Vivaldi di Ostia non ritengano davvero che a 12 anni sia possibile “orientarsi” sessualmente come meglio si crede e obbligare gli adulti a seguire i propri dubbi di adolescenti. E dopo “pericolosissimi” emoticon e smile che ridono, la docente parla di «tutta quella roba sull’identità di genere, quella m…a lì».
Non ci piace la scurrilità e certi termini andrebbero evitati sempre, ma ci sembra inaccettabile la presa di posizione della preside che avrebbe detto, visibilmente scioccata dal post: «Sono senza parole, chiederò assolutamente spiegazioni alla docente». Ipotizzando perfino «un richiamo scritto o una sanzione».
Ma per cosa? Per il turpiloquio o per lesa maestà Gender? Neppure sulla propria pagina Facebook si può criticare ciò che andrebbe criticato – e vietato – in primis dal Ministero dell’Istruzione e del Merito?
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sotto silenzio cambiano il mondo. E riga.
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Alessia Randazzo , responsabile legale de La Maddalena, clinica in cui Matteo Messina Denaro si stava curando, scrive un post rivolto direttamente all'ex boss di Cosa Nostra.
La volgarità, l'insinuazione, l'illazione sono state le scorciatoie più imboccate in queste ore quando invece le responsabilità e le risposte sono scritte tutte nella cartella clinica della Repubblica Italiana.
Per la quale - mi pare evidente - non c'è schema di terapia che possa condurre a guarigione.
Ci sono persone che da oltre vent'anni escono di casa ogni mattina per servire e non per apparire e che con il loro lavoro hanno dimostrato concretamente che il miglior medico in Sicilia non è più l'aereo.
Non è la prima, né sarà l'ultima volta che saremo chiamati a pagare un prezzo per i nostri sforzi, per quel peso quotidiano che ci opprime l'anima ma che abbiamo imparato a trasformare in abbraccio.
Le spalle oramai si sono fatte larghe.
Un giorno qualunque, i riflettori si posano un'altra volta su questo arcobaleno orgoglioso e un istante dopo, ignari di come si sta al mondo, gli elefanti dei giudizi sommari gli riversano addosso giacimenti di cattiveria liquida.
Scegliere la strada più faticosa e meno illuminata è il rischio che si corre quando nella vita si sceglie consapevolmente di evitare qualsiasi scorciatoia.
La dignità, si sa, costa fatica ed è in questa fatica che, insieme a tanti, anch'io io ho trovato il senso della mia vita.
Al signor Andrea Bonafede avrei da dire una sola cosa: se, facendoti prestare una vita che non meriti, nel cammino della malattia ti fossi specchiato in ognuno dei tuoi errori, adesso parla, fallo ora che sai che non manca molto al momento in cui quel bambino e tutti gli altri te li ritroverai davanti.
dalla pagina fb di Giovanna Botteri
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abr · 1 year
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Quando si scrive che “la Repubblica è di chi paga le tasse” forse bisognerebbe avere il coraggio di aggiungere, ad esempio, che la Repubblica è “del Nord” che paga due terzi delle tasse italiane. O che la Repubblica è di quel 13 per cento di italiani che da soli assicurano il 60 per cento del gettito Irpef.
via https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/politica/se-la-repubblica-e-di-chi-paga-le-tasse-allora-e-di-chi-produce-ricchezza/
Ad affermarlo si fa peccato mortaleeeee, non è coesivoooo ...
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toscanoirriverente · 2 years
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Le bufale delle procure inquinano la campagna per i referendum sulla giustizia
Dice il procuratore di Trieste (copio dal Fatto Quotidiano online le sue dichiarazioni): “Gli arrestati dovrebbero essere messi in libertà con tante scuse del popolo italiano: questa è la norma che si intende abrogare. Le misure cautelari cadrebbero tutte per reati come il traffico di droga, a prescindere dalle quantità mostruose, se non vengono eseguiti in violenza alla persone, e quindi ricadrebbero nell’alveo abrogativo del referendum”. Se il 12 giugno vincessero i sì, infatti – spiega Il Fatto – diventerebbe impossibile disporre qualsiasi misura cautelare – non soltanto il carcere – motivandola con il rischio che l’indagato, o imputato, commetta di nuovo il reato di cui è accusato, o altri simili, “se questi non implicano l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale”. Non è così. Vogliamo andare a vedere come sarà davvero legge dopo l’abrogazione di una parte del punto C dell’articolo n. 274 del decreto del Presidente della Repubblica n.447 del settembre 88? Dice testualmente il nuovo articolo 274: “Le misure cautelari sono disposte quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o da suoi precedenti penali, sussiste il concreto (e attuale) pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata”. Capito? Il Procuratore si è dimenticato di scrivere nella sua dichiarazione quelle quattro paroline: “delitti di criminalità organizzata”. Se il Procuratore ha fatto arrestare 38 persone per traffico internazionale di droga, non c’è dubbio che si tratta di un’accusa di criminalità organizzata. Quindi la sua tesi, secondo la quale il referendum impedirebbe gli arresti, è una fake.
https://www.ilriformista.it/le-bufale-delle-procure-inquinano-la-campagna-per-i-referendum-sulla-giustizia-304196/
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alessandro54-plus · 3 days
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Un morto sul lavoro ogni sei ore. Ma nessuno si indigna
articolo di Stefano Massini: https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/01/news/massini_primo_maggio_festa_lavoratori-422780371/?ref=RHLF-BG-P6-S1-T1 Le parole che seguono non le leggerete mai su Repubblica né su alcun altro quotidiano. Perché incredibilmente accettiamo, non ci indigna, non ci scandalizza, l’ipotesi di concludere il turno di lavoro in un obitorio
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