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#buono-romano
soupy-harry · 2 years
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Clint Eastwood and Romano Puppo on set of The Good, the Bad and the Ugly, 1966 [X]
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diceriadelluntore · 2 months
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Pagine Golose
In polipo: pipere, liquamine, lasere inferes - Apicio, De Re Coquinaria, 9.5.1
Traduzione: Per il polpo: pepe, liquamen, laser e servi
De Re Coquinaria di Apicio è il primo grande libro sul cibo della nostra cultura occidentale: è solo in parte riassumibile in un ricettario perchè assomiglia più ad un indiretto atlante del gusto dell'Impero Romano (il libro, su cui ci sono le consuete dispute filologiche, risale al I secolo D.C., al culmine della potenza Imperiale romana). Nella ricetta del polpo, Apicio consiglia quindi di condirlo con il pepe (spezia le cui quantità di commerci nel corso della Storia fanno venire le vertigini), il liquamen, che è una variante del famoso garum, e il laser: non era una diavoleria di una primitiva cucina molecolare, ma un ingrediente ottenuto dalla resina estratta dalla radice del silfio, una pianta che cresceva esclusivamente sulle coste prossime alla città di Cirene in Libia. In età romana, tanto era richiesto il laser che la continua e non regolata raccolta del silfio ne provocò l’estinzione. Plinio ci dice che l’ultima pianta venne regalata all’imperatore Nerone e si dovette ripiegare su una sostanza analoga, anche se non identica all’originale, ricavabile da una pianta simile al silfio: l’asafoetida o assa fetida. Il nome, diremmo, non promette nulla di buono e infatti la presenza di zolfo rende il prodotto particolarmente maleodorante, almeno prima della cottura. Il laser originario, come il succedaneo da assa fetida, avevano notevoli proprietà medicinali riconosciute da sempre.
Piccola curiosità leggendaria: i semi hanno una forma particolare, che assomiglia al geroglifico egizio utilizzato per indicare il concetto del cuore (ỉb):
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da cui alcuni speculano si sia arrivato all'immagine del cuoricino.
Questa storia l'ho ritrovata in un foglietto in un altro libro stupendo che parla di cibo, Buono da Mangiare di Marvin Harris, dove il famoso antropologo si chiede e cerca di spiegare, per esempio, perchè in certe zone si mangia la carne di maiale e in altre no. E c'è una lista di libri legati al cibo (alcuni non li posseggo nemmeno, probabilmente era anche una lista di desideri) che lascio qui, divisi nelle sue sezioni con annessa piccola spiegazione:
Claude Levi-Strauss, Il Crudo e il Cotto; Marvin Harris Buono Da Mangiare e Cannibali e Re; Massimo Montanari, Il Cibo come Cultura
Il cibo dei giallisti: Manuel Vázquez Montalbán, Ricette Immorali. Camilleri scelse Montalbano come cognome del suo indimenticabile commissario proprio in onore del suo amico scrittore catalano, ed entrambi condividono la passione, critica e viscerale, per il cibo, tra le ricette della tradizione siciliana o quella catalana di Pepe Carvalho. Ma la passione del cibo è presenta in tutta la giallistica europea, dalle colazioni che la signora Hudson fa a Sherlock Holmes e al Dottor Watson, oppure ai pranzetti dei bistrot del Commissario Maigret annaffiati di Calvados. Al contrario, raramente i personaggi degli hard boiled americani hanno un buon rapporto con il cibo, se non con l'alcool con cui si accompagnano, spesso, sin dalle prime ore del mattino.
Antony Bourdain, Kitchen Confidential
José Manuel Fajardo, Il Sapore Perfetto
Redcliffe N. Salaman, Storia Sociale Della Patata
Nel 1903 Salaman fu nominato direttore dell'Istituto patologico del London Hospital, ma nel 1904 si ammalò di tubercolosi e dovette smettere di esercitare la professione medica e trascorrere sei mesi in un sanatorio svizzero. Gli ci vollero più di due anni per riprendersi completamente dalla malattia. Acquistò una casa a Barley, nell'Hertfordshire e, poiché non poteva tornare a praticare la medicina, iniziò a sperimentare una nuova scienza emergente, la genetica sotto la guida del suo amico William Bateson. Dopo diversi esperimenti falliti con una serie di animali e dopo aver chiesto consiglio al suo giardiniere, Salaman iniziò a sperimentare con le patate. Iniziando per caso, notò dapprima le caratteristiche recessive e dominanti delle varietà che incrociava (come aveva notato Mendel con i piselli), poi attraverso vari incroci fu il primo a creare ibridi di patate, che notò essere resistenti a numerose malattie, tra cui la peronospora della patata, che fu la causa principale della grande carestia che colpì l'Irlanda tra il 1845 e il 1849, decimandone la popolazione. Lo studio di Salaman, che spazia dall’antropologia all’archeologia alla storia agraria, incrocia molteplici campi dell’esperienza storica: ricostruisce i caratteri originari dei sistemi agrari dei vari paesi, riporta in luce la profonda commistione degli interessi agrari con quelli politici, restituisce scorci della vita materiale dei ceti più poveri; riconduce infine l’analisi dei comportamenti alimentari alle forme dell’immaginario collettivo."Un monumento insuperato di erudizione e di simpatia umana” (Eric Hobsbawm).
Se vi va, si potrebbe allungare la lista con tutti i contributi sul rapporto cibo\libri che vi vengono in mente, così da creare una piccola biblioteca al riguardo! Aspetto le segnalazioni!
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daimonclub · 2 months
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Breve storia della lingua latina
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Breve storia lingua latina Breve storia della lingua latina, un articolo che ripercorre le vicende della lingua latina dal primo periodo al latino moderno, con alcune citazioni illuminanti, collegamenti e materiali utili. Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto 'sonoro' potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino. Giovannino Guareschi (1908-1968) Lo studentucolo che sa un po' di latino e di storia, l'avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio. Antonio Gramsci La lingua latina così esatta, così regolata e definita, ha nondimeno moltissime frasi ec. che per la stessa natura loro, e del linguaggio latino, sono di significato così vago, che a determinarlo, e renderlo preciso non basta qualsivoglia scienza di latino, e non avrebbe bastato l'esser nato latino, perocch'elle son vaghe per se medesime, e quella tal frase e la vaghezza della significazione sono per essenza loro inseparabili, né quella può sussistere senza questa. Giacomo Leopardi Sia in greco sia in latino, fino a Tertulliano, il significato che si dava al termine persona (che è l'equivalente del greco prosopon) era quello di "maschera" oppure di volto. Battista Mondin Il testo rappresenta il latino di oggi. È attraverso il testo che comunicano le élite (come voi, che state leggendo questo libro). Per le masse, invece, la maggioranza delle informazioni viene raccolta attraverso altre forme mediatiche: TV, film, musica e video musicali. Lawrence Lessig Escludete il Latino ed il Greco dalla vostra scuola e confinerete i vostri alunni entro angusti interessi limitati alla loro generazione e a quella immediatamente precedente, tagliando fuori tanti secoli d'esperienza quasi che la razza umana fosse venuta al mondo nel 1500. Thomas Arnold
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Breve storia del latino Loquendum ut vulgus, Sentiendum ut Sapientes. Parliamo come il volgo e ragionimao come i sapienti. Omnia vincit amor, et nos cedamus amori. L'amore vince ogni cosa; cediamo all'amore. Virgilio Dum inter homines sumus, colamus humanitatem. Finché siamo tra gli esseri umani, cerchiamo di essere umani. Seneca Acceptissima semper munera sunt, auctor quae pretiosa facit. Doni sempre assai ben accetti, è il donatore che li rende preziosi. Ovidio Si vis amari, ama. Se vuoi essere amato, ama. Seneca Amicitiae nostrae memoriam spero sempiternam fore. Spero che il ricordo della nostra amicizia sia eterno. Cicerone Ad turpia virum bonum nulla spes invitat. Nessuna aspettativa può indurre un uomo buono a commettere il male. Seneca Aequam memento rebus in arduis servare mentem. Ricorda quando il percorso della vita è ripido per mantenere la mente calma. Orazio Acclinis falsis animus meliora recusat. La mente intenta alle false apparenze rifiuta di ammettere cose migliori. Orazio Ubi concordia, ibi Victoria. Dove c’è unità, c’è vittoria. Publius Syrus Semper inops quicumque cupit. Chi desidera è sempre povero. Claudian
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Sintesi lingua latina La lingua latina era l'idioma dell'antica Roma e del vicino territorio del Lazio. Con la diffusione del potere romano il latino fu diffuso in ogni parte del mondo antico conosciuto e divenne la lingua dominante dell'Europa occidentale. Era la lingua degli studiosi e della diplomazia fino al XVIII secolo e della liturgia cattolica romana fino alla fine del XX secolo. La lingua latina non era originaria dell'Italia ma fu portata nella penisola italiana in epoca preistorica da popolazioni italiche emigrate dal nord. Il latino è un membro della sottofamiglia italica delle lingue indoeuropee; tra le lingue indoeuropee non italiche, è strettamente imparentato soprattutto con il sanscrito e il greco e con le sottofamiglie germaniche e celtiche. In Italia, il latino era originariamente il dialetto della regione intorno a Roma. All'interno delle lingue italiche il latino, il falisco e altri dialetti formavano un gruppo latino distinto dalle altre lingue italiche, come l'osco e l'umbro. Le prime iscrizioni latine sopravvivono dal VI secolo aC; i testi più antichi chiaramente in latino romano risalgono principalmente al III secolo a.C. Il latino fu influenzato dai dialetti celtici nell'Italia settentrionale, dalla lingua etrusca non indoeuropea nell'Italia centrale e dal greco, parlato nell'Italia meridionale già nell'VIII secolo a.C. Sotto l'influenza della lingua greca e della sua letteratura, tradotta per la prima volta in latino nella seconda metà del III secolo a.C., il latino si sviluppò gradualmente fino a diventare una grande lingua letteraria. Latino letterario antico La lingua letteraria latina può essere divisa in quattro periodi, corrispondenti in generale ai periodi della letteratura latina. Il primo periodo (240-70 a.C.). Questo periodo comprende gli scritti di Ennio, Plauto e Terenzio. L'epoca d'oro (70 a.C.-14 d.C.). Questo periodo è famoso per le opere in prosa di Giulio Cesare, Cicerone e Livio e per la poesia di Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio e Ovidio. Durante questo periodo, sia nella prosa che nella poesia, la lingua latina si sviluppò in un mezzo di espressione altamente artistico e raggiunse la sua massima ricchezza e flessibilità. L'età dell'argento (14-130). Questo periodo è caratterizzato da una ricerca sia per l'elaborazione retorica e l'ornamento sia per l'espressione concisa ed epigrammatica, qualità queste ultime riscontrabili soprattutto nelle opere del filosofo e drammaturgo Seneca e in quelle dello storico Tacito.
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Breve storia della lingua latina Il periodo tardo latino Questo periodo, che va dal II secolo al VI secolo d.C. (636 circa), comprende la patristica latina dei Padri della Chiesa. Durante il periodo tardo latino le tribù barbare invasori introdussero nella lingua numerose forme e idiomi stranieri; questo latino corrotto era chiamato lingua Romana e si distingueva dalla lingua Latina, la lingua classica coltivata dai dotti. Latino parlato antico Il linguaggio colloquiale dei romani colti appare nelle opere di vari scrittori, in particolare nelle commedie di Plauto e Terenzio, nelle lettere di Cicerone, nelle Satire ed Epistole di Orazio e nel Satyricon di Petronio Arbitro. È caratterizzato dalla libertà di sintassi, dalla presenza di numerose interiezioni e dall'uso frequente di parole greche. Questo linguaggio colloquiale della buona società (sermo cotidianus) non va confuso con il sermo plebeius, la lingua delle classi non istruite, che mostra un maggiore disprezzo per la sintassi, un amore per le parole nuove e una ricerca della semplicità, soprattutto nelle parole ordine. Il sermo plebeius è noto come latino volgare, termine che talvolta include il sermo cotidianus dei romani più colti. Le lingue romanze si svilupparono non dalla lingua latina letteraria ma dal sermo plebeius del periodo tardo latino, quando era conosciuto anche come lingua Romana. Ad esempio, equus ("cavallo") cadde in disuso, e caballus ("nag", "cavallo da soma") fornì le parole romanze per cavallo (cheval, caballo); allo stesso modo, la parola romanza per testa (tête, testa) non deriva dal latino caput, ma da una parola gergale latina per testa (testa), letteralmente “pentola”. Latino medievale Il latino era la lingua delle lettere nell'Europa occidentale nel Medioevo. Il latino di questo periodo è chiamato latino medievale o latino basso. Anche per il popolo in generale il latino continuò ad essere una lingua viva, perché la chiesa forniva un'enorme massa di letteratura ecclesiastica sia in prosa che in poesia. La lingua, tuttavia, ha subito molti cambiamenti. La sintassi fu ulteriormente semplificata, nuove parole furono adottate da varie fonti e vennero all'esistenza nuovi significati; tuttavia, il latino cambiò molto meno durante questo periodo rispetto al francese o all'inglese. Nuovo latino o latino moderno Nei secoli XV e XVI nacque il Nuovo latino, chiamato anche latino moderno. Gli scrittori del Rinascimento produssero una nuova e brillante letteratura latina che imitava da vicino gli scrittori classici latini e in particolare Cicerone. Quasi tutti i libri importanti, scientifici, filosofici e religiosi, furono scritti in latino in questo periodo, comprese le opere dello studioso olandese Desiderius Erasmus, del filosofo inglese Francis Bacon e del fisico inglese Isaac Newton, e il latino era il mezzo di comunicazione. rapporti diplomatici tra le nazioni europee. Solo alla fine del XVII secolo il latino cessò di essere una lingua internazionale. Durante i secoli XVIII e XIX, tuttavia, rimase la lingua degli studiosi classici, e anche nel XX secolo i trattati accademici sono talvolta composti in latino. La Chiesa cattolica romana utilizza ancora il latino come lingua dei suoi documenti ufficiali. Nell'insegnamento moderno del latino sono stati accettati diversi metodi di pronuncia. Il metodo continentale si basa sulla pronuncia delle lingue europee moderne, la principale pronuncia continentale oggi è quella usata dalla chiesa cattolica romana, che favorisce una pronuncia simile a quella italiana. Nel metodo inglese, le parole latine vengono pronunciate come in inglese, ma ogni sillaba viene pronunciata separatamente.
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Modernità del latino Il metodo romano è una ricostruzione congetturale della pronuncia latina del periodo ciceroniano. Questo metodo è in uso nelle scuole e nelle università sia negli Stati Uniti che all'estero. I nomi propri, tuttavia, quando menzionati fuori dal loro contesto latino, vengono ancora pronunciati secondo i principi che governano la lingua del particolare paese; quindi, la pronuncia del nome Cicerone sarebbe in Germania Tsítsero, in Italia Chíchero, in Spagna Thíthero, in Francia Siséro, in Inghilterra Sísero. Il latino nell'antichità ha meno flessibilità e grazia del greco; il suo vocabolario era più limitato ed era meno capace di esprimere idee astratte. I romani si resero conto dei limiti della loro lingua e presero in prestito molte parole dai greci. Il latino, rigoroso nella sintassi e pesante nella dizione, ha vigore e precisione e si è rivelato nel corso dei secoli un mirabile veicolo per l'espressione di un pensiero serio. La sua sopravvivenza è stata duplice: non solo il latino letterario stesso è rimasto in uso fino ai giorni nostri, ma sopravvive anche nelle lingue romanze, che rappresentano l'evoluzione moderna del latino volgare; L'italiano, in particolare, può essere descritto come latino moderno (lingue romanze). L'inglese ha preso ampiamente in prestito dal latino, sia direttamente che indirettamente attraverso il francese. La lingua latina è significativa non solo per la sua letteratura, ma anche perché lo studio del suo sviluppo fornisce informazioni sulla storia della lingua in generale e in particolare sull'origine e lo sviluppo di alcune delle principali lingue dell'Europa moderna. Dal XVII secolo in poi, ma soprattutto durante il XVIII secolo, quando i modelli romani furono copiati in prosa e poesia, gli scrittori usarono parole o costruzioni grammaticali che avevano origine dal latino e che davano un'impressione del latino in inglese. Le parole di derivazione latina sono comunemente più lunghe e di significato più astratto rispetto alle loro controparti anglosassoni: ad es. visione (lat.) = vista (O.E.). In generale la dizione latina, quindi, sarà più astratta e suscettibile di essere polisillabica. La frase periodica è un tentativo di imitare la sintassi latina, lasciando il verbo principale fino alla fine della frase. Due prosatori del XVIII secolo appassionati di latinismo sono il dottor Johnson e Gibbon. Milton è famoso anche per le sue costruzioni latine in Paradise Lost (1667), come in "Him the Almighty Power/ Hurled headlong" che distorce il normale ordine inglese soggetto-verbo-oggetto in oggetto-soggetto-verbo. E per finire eccovi alcune tra le parole latine più famose che usiamo abitualmente tutti i giorni: Alter Ego/Bonus/Bonus/malus/Campus/Curriculum Vitae/Deficit/Et cetera/Ex Equo/Extra/Gratis/Idem/Incipit/In Extremis/Factotum/Junior/Lapsus/Monitor/Post Scriptum/Referendum/Sponsor/Super/Una Tantum/Tabula Rasa/Tutor/Vice Versa/Video/Virus. You can also read: Frasi e citazioni latine Proverbi e detti latini English, Greek and Latin Latin influence in the English language Latin and the English language Latin phrases in English Learn more visiting these useful websites: https://www.latin-english.com   Latin English Dictionary https://www.etymonline.com     Online Etymology Dictionary You can download the following books on Latin at this page: Latin Language: Bennett, Charles E.: New Latin Grammar; D’Oogle, Benjamin L.: Latin for beginners; Wine, women and songs. Medieval Latin Student’s Songs, including translation and commentary by John Addington Symonds. Read the full article
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alonewolfr · 3 months
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La vita è come un fico d’India: bello, buono, dolce, ma pieno di spine.
|| Romano Battaglia
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mazza-italo · 1 year
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tappa n 9
Tappa n 9   Ampilochia    Mesopotamon
Distanza: 108 km   tempo totale  6ore 56 min     ascesa  716 m
Giornata molto piacevole di bici, tempo buono con poco vento pomeridiano, strade generalmente buone, salite pedalabili.
Pensavo di fare il primo giorno di riposo a Amfilochia, bel albergo, bella cittadia, ma a causa del lungo ponte, non avevano ulteriore disponibilità e quindi sono ripartito.
Giornata senza molta storia, quasi sempre al interno, passando per la città di Arca, nel antico Ambracia, nel tempo del regno di Pirro, con ancora delle fortificazioni e, soprattutto, il ponte romano.
Molti falsopiani e alla fine delle belle salite sulla montagna a picco sul mare.
Sono alloggiato in mezzo alla campagna: per il giorno di riposo non mi fermerò sicuramente qui: vado in Albania sperando in miglior sorte.
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newhetaliafan · 2 years
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Opinion on the Delicious Tomato song?
I think it's a great song! It's really upbeat and catchy! I especially love the little parts with the high pitched music. Also Romano's got a good voice that works well with the music. When I looked at the English lyrics, there was one part that actually made me feel bad for tomato obsessed bastard. "I may not be useful with chores and brother may be better with art and trade and sometimes I may be as dumb as a bird but I...but I...CHIGIII!" Although I do have a few small problems. As much as I love hearing Romano sing Buono Tomato, it gets repetitive for me. The first time I heard this, Romano's scream scared the hell outta me. Now I expect it, but it still annoys me. I still really love the song, so I'm giving it a 9/10.
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raffaeleitlodeo · 2 years
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Il nostro George Floyd italiano...ma come si possono accostare due storie tanto differenti dove l'unico elemento in comune è il colore della pelle? Come se per dimostrare l'esistenza di un problema di discriminazione in Italia, si debba tirare in ballo il nome del morto più famoso, che è un po' quello che succede quando si fanno i concerti per le feste di Paese e per attirare gente da fuori, si mette in scaletta quell'unico nome buono, in mezzo a un mare di signori nessuno, morti ammazzati già da tempo, ma accuratamente dimenticati dai media. Ma glielo vogliamo dire a Riotta e a Giannini, che l'Italia, in quanto a violenza razziale e coloniale, non ha nulla da invidiare agli altri Paesi Occidentali? E che non c'è bisogno di queste contorsioni da ginnasti del benaltrismo, per parlare di quello che succede in Italia? A volte ho l'impressione di vivere in un mondo popolato da avvoltoi, che appollaiati sul trespolo più alto della società, aspettano che qualcuno ci faccia fuori per affrontare l'argomento quando, basterebbe studiare un po'. Aprire un libro di storia. 
E  magari, visto che si è giornalisti bianchi, ricordare che nel 2008 a Castel Volturno, il clan camorrista dei Casalesi spedì un commando di assassini che a Ischitella - una frazione di Castel Volturno - massacrò 7 ragazzi. Tutti giovani. Tutti neri. Tutti africani e soprattutto innocenti, come dimostrò il processo - al contrario di quello che dissero molti giornalisti subito dopo l'accaduto - che quei bravi ragazzi erano del tutto estranei alle dinamiche della malavita locale. Ma non è finita qui. Nel 2018, esattamente dieci anni più tardi, a Macerata Luca Traini, un terrorista dichiaratamente fascista e legato agli ambienti leghisti, sparò all’impazzata su sei ragazzi africani, urlando "viva l’Italia" con tanto di saluto romano poco prima di essere arrestato. In mezzo a queste due stragi, sia prima del 2008 che dopo il 2018, ci sono stati un numero spaventoso di aggressioni e di omicidi dove il movente razziale era molto più chiaro e palese di quanto non lo sia questa dolorosa vicenda. 
In Italia un uomo nero che muore strangolato è INDECOROSO. Allontana i turisti. Rovina l'immagine del Centro Storico. Interrompe la quiete pubblica. Fa perdere soldi ai commercianti. Ed è un problema di sicurezza per i bianchi ricchi, anche se a morire poi è  un nero povero. Lo dice Marchetti, membro a quota Lega della Camera dei deputati, in una dichiarazione pubblicata poche ore dopo la morte del povero Alika Ogorchukwu. Qualcuno riprende la notizia definendola uno "scivolone", un "commento inappropriato" ma di base Marchetti dichiara che la differenza tra cento m*rde di cane lasciata tutte insieme nello stesso momento sul marciapiede del Centro di Civitanova Marche, e un uomo nero povero e disabile che viene strangolato, praticamente, non esiste. Il Centro Storico di Civitanova Marche è la vera vittima di questo vile attacco mortale, compiuto da un uomo di cui più volte si sottolinea in maniera del tutto manipolatoria e classista, che è del Sud Italia, che è un operaio emigrato e che ha problemi psichiatrici (il reietto perfetto per la Stampa italiana). Ed ecco che l'immagine degradante di questi due Sud del Mondo - il Salernitano e il Nigeriano - si scontrano nel cuore della quieta ricchezza nordica. 
Volete vedere vedere veramente il razzismo? Non cercatelo nella testa di Filippo Ferlazzo. Tanto non otterremo mai la verità. Guardate piuttosto alle parole utilizzate dai media per raccontare Alika. Osservate l'anatomia delle menzogne e della disinformazione, spacciate per verità, come la ricostruzione che voleva un Alika molestatore di donne bianche. Storia di un razzismo e di un sessismo becero, del tutto inventata dai giornali e smentita fortemente sia dalla compagna di Ferlazzo, che dallo stesso assassino reo confesso. Guardate agli immaginari del poveraccio, dello straccione africano e disabile disumanizzato in favore di una narrazione paternalistica che lo voleva in cerca di questa poetica fuga verso la felicità in un Paese europeo. E osservate la ferocia con la quale il suo nome e la sua morte assurda, sono stati sfruttati, sia da Destra che da Sinistra, per parlare delle Elezioni. 
Esseri umani ridotti a boccette d'olio destinate ad oleare gli ingranaggi di questa oscena, crudele campagna elettorale dove ti dicono che se non voti il PD dai il Paese a Giorgia Meloni, quando è stato Minniti, ministro degli interni mai ripudiato o buttato a calci in culo fuori dal Partito Democratico per lo scempio delle carceri libiche. Quel razzismo lì va guardato. E quello esiste ed è a piede libero sempre. E continuerà a non subire alcun processo né condanna, anche quando Ferrara Finirà in galera. Abbiamo spedito in prigione Traini, i fratelli Bianchi, Giuseppe Setola, e tutti gli altri, ma intanto, il desiderio di distruzione che li animava, continua a passeggiare libero per strada. 
Che sia il Centro patinato di una ricca città turistica, o un ghetto per braccianti dato alle fiamme per dare una lezione a chi si ribella. Il razzismo è una mina antiuomo sotterrata sotto pochi centimetri di ipocrisia e negazionismo. Basta il passo sbagliato. Ed è un attimo che ti ritrovi morto.
No Alika non può essere il nostro George Floyd italiano. Perché negli ultimi cinquant'anni sono successe così tante cose brutte e oscene in questo Paese, che specchiarsi nei disagi del suprematismo bianco americano, è l'ultima cosa che serve a ‘sto Paese per sentirsi un po' meglio. Ricomponiamo la memoria nera, italiana, immigrata. Perché esiste. E il fatto che persino a sinistra, non si riesca a fare meglio di così, ci fa capire che c'è una frattura, un apartheid della memoria storica del razzismo in Italia. Una dimenticanza strutturale, che necessita sempre di un nuovo morto, e di un altro e di un altro ancora elevato a martire, per convincere gli scettici che in razzismo non sta in queste improvvise esplosioni, ma nell'aria stessa che respiriamo. Che imparassero il loro mestiere prima di sproloquiare sulla vita dei neri che muoiono in questo Paese. La base è conoscere la propria storia. E anche la Storia degli immigrati africani e stranieri uccisi dai razzisti, è STORIA ITALIANA. LA NOSTRA.
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omarfor-orchestra · 2 years
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Non sei buono a fa l'accento romano
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lamilanomagazine · 4 months
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I protagonisti di allora sbarcano a Striscia la Notizia
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I protagonisti di allora sbarcano a Striscia la Notizia Drive In festeggia 40 anni (la prima puntata della mitica trasmissione andò in onda su Italia 1 nel 1983) e per l'occasione torna eccezionalmente in tv. Alcuni dei protagonisti saranno ospiti a Striscia la notizia a partire da lunedì 25 dicembre, dando vita a un inedito crossover tra i due più famosi programmi di Antonio Ricci. I conduttori Ezio Greggio (anche lui star di Drive In) ed Enzo Iacchetti, accoglieranno alcuni interpreti del rivoluzionario varietà degli anni Ottanta e, insieme, faranno rivivere le gag più famose. Da Nino Formicola, il Gaspare del duo Gaspare e Zuzzurro (ospite il 25 dicembre), a Carlo Pistarino (26 dicembre), da Edoardo Romano e Mirko Setaro dei Trettré (27 dicembre) a Francesco Salvi (28 dicembre), fino a Massimo Boldi (30 dicembre), protagonista di Bold Trek, parodia di Star Trek. I festeggiamenti proseguiranno con l'anno nuovo: il 1° gennaio l'ospite d'onore sarà la cassiera del Drive In Carmen Russo, il 5 arriverà la professoressa Olga Durano, mentre il 6 toccherà alla coppia Enrico Beruschi e Margherita Fumero. E tanti altri ancora. Andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, Drive In – recentemente definito in un convegno in Università Cattolica "la trasmissione che ha cambiato la storia della tv" – era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell'epoca, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell'Italia del riflusso, dell'edonismo reaganiano e della Milano da bere. Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Beniamino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Luciano Salce, Lietta Tornabuoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti intellettuali e artisti dell'epoca definirono Drive In «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l'unico programma per cui vale la pena avere la tv». Drive In è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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mchiti · 5 months
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se il manchester united avesse insistito sicuramente alla fine sarebbe andato lì, è pur sempre il manchester united. dubito lo avremmo avuto 🤨
vabbè era ovviamente solo una battuta sulla lingua jfdjds non so comunque non è che lo darei così scontato perché non è che sia una gran situazione lì. poi bon, loro hanno mollato la presa questioni loro ma se vuoi dare per buono quello che anche romano riportava diceva che lui preferiva l'inter ad un certo punto, se poi il man u fosse stato più determinato non so come sarebbe finita ma non è oggettivamente la destinazione dei sogni ora come ora. e non gli avevano garantito quello che voleva, cioè il ruolo da centrale. poi per fortuna stica in ogni caso <3
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personal-reporter · 8 months
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Gragnano Città della Pasta 2023
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Ricco, appassionante, divertente e coinvolgente è il fitto calendario di eventi a tema gastronomico e culturale di Gragnano Città della Pasta, la kermesse organizzata e promossa dal Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano Igp, in scena nella cittadina della Campania dall’8 al 10 settembre 2023.  Giunta alla 21esima edizione, la kermesse gragnanese presenta un calendario di eventi e attività imperdibili, dedicati alla celebrazione della Pasta di Gragnano Igp e al suo ruolo  ella tradizione e nella cultura italiana. Sarà una grande rassegna che promuove l’italianità del gusto, offre un’esperienza culinaria a 360° tra sapori, storia, arte e cultura e riscopre la tradizione e l’evoluzione in cucina di uno dei prodotti italiani più iconici nel mondo come  la pasta. Nei tre giorni di kermesse arriveranno chef stellati e stand food dedicati alla preparazione di ricette legate al territorio ma anche innovative e contemporanee, talk e convegni tematici per approfondire l’importanza della tutela dei prodotti alimentari e promuovere l’italianità nel gusto, visite guidate ai pastifici per scoprire la storia e le fasi di produzione della pasta gragnanese,  live performance e street art per animare l’intera città e coinvolgere il pubblico nel riscoprire la tradizione e l’evoluzione della Pasta di Gragnano Igp. Ma Gragnano Città della Pasta è anche l’occasione per visitare la cittadina campana e scoprire le meraviglie storico-artistiche del territorio circostante nella suggestiva Valle dei Mulini, dove sarà inaugurato il Mulino Lo Monaco il cui restauro è stato realizzato dal Centro di Cultura e Storia di Gragnano e Monti Lattari Alfonso Maria Di Nola con l’importante contributo del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano Igp. Gragnano Città della Pasta vedrà la partecipazione di prestigiosi Consorzi Nazionali (Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana DOP, Consorzio Ricotta di Bufala Campana DOP, Consorzio del Pomodoro San Marzano DOP, Consorzio Tutela Grana Padano DOP, Consorzio per la tutela del Pecorino Romano DOP, Consorzio di Tutela Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp, Aprol Campania Società cooperativa Agricola) che, arrivando da diverse regioni d’Italia, arricchiranno l’evento, portando le loro eccellenze e raccontando con passione e orgoglio tutto il buono della penisola. Read the full article
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crazy-so-na-sega · 8 months
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la vita felice
"La vita felice" è un libro singolare. A prima vista, è un trattato di filosofia stoica, l'equivalente di ciò che oggi chiameremmo "metodo di sviluppo personale". Rivolgendosi al fratello Gallione, sostiene che la vita felice sta tutta nell'esercizio della virtù e nella pace dell'anima che ne deriva. Le sue parole-chiave sono "astensione" "distacco" "quiete". La felicità consiste nel mettersi fuori tiro. Bisogna esercitarsi ogni giorno, ogni ora - in latino questo esercizio si chiama meditatio - per sottrarsi all'influenza degli affetti, non rimpiangere, non sperare, non pensare al futuro, distinguere ciò che dipende da noi da ciò che non dipende da noi, se tuo figlio muore persuadersi che non ci puoi fare niente e che non devi essere triste perché non ce n'è motivo e non ha senso, vedere in ogni momento della vita (soprattutto in quelli che sembrano negativi) un'occasione per esercitare la virtù e, con una costante progressione dalla follia generale alla salute dell'anima (oggi diremmo "dell'io"), raggiungere l'ideale del saggio.
Ci sono una trentina di pagine del genere, in uno stile elevato e misurato, poi, a un certo punto, senza preavviso, la tranquilla posizione filosofica diventa una violentissima arringa pro domo sua. Seneca si innervosisce, perde il controllo, e non c'è nemmeno bisogno di leggere la prefazione o le note a piè di pagina per capire cosa sta succedendo: l'autore si sta difendendo con le unghie e con i denti da una campagna che lo accusa di predicare bene e razzolare male.
I suoi detrattori avevano argomenti validi. Seneca era un cavaliere spagnolo e a Roma aveva fatto una carriera strepitosa - il che la dice lunga sull'integrazione dell'Impero: Seneca era considerato l'incarnazione dell'autentico spirito romano e nessuno avrebbe mai pensato a lui come a uno spagnolo, non più di quanto si penserà a sant'Agostino come a un algerino. Letterato, autore di tragedie di successo, grande divulgatore dello stoicismo, Seneca è stato anche un cortigiano divorato dall'ambizione, sugli altari con Caligola, nella polvere con Claudio, di nuovo sugli altari agli inizi del regno di Nerone. E' stato infine un abile uomo d'affari, che ha sfruttato prebende e conoscenze per diventare una specie di banca privata e accumulare milioni di sesterzi, cioè altrettanti milioni di euro. Sapendo queste cose, e tutti lo sapevano, veniva da ridere davanti ai suoi solenni elogi del distacco, della frugalità e al metodo che consigliava di seguire per fare esercizio di povertà: una volta la settimana mangiare pane duro e dormire per terra.
Che cosa risponde Seneca per difendersi da quei sarcasmi che ormai fomentavano un complotto contro di lui? Innanzitutto che non ha mai detto di aver raggiunto la saggezza ma soltanto che cerca di arrivarci, un po' alla volta. Che anche se non si fa tutta la strada, è bello poter indicare agli altri la direzione. Che quando parla della virtù lui non erge se stesso a esempio, e che quando parla dei vizi pensa soprattutto ai suoi. E poi, che cazzo, nessuno ha detto che il saggio deve rifiutare i doni della fortuna. deve sopportare la malattia, se per caso ne viene colpito, ma essere contento se è in buona salute. Non vergognarsi se è gracile e deforme, ma compiacersi se è prestante. Le ricchezze, poi, lo soddisfano come i venti favorevoli soddisfano un marinaio: può farne a meno, ma se ci sono è meglio. Dov'è il problema se mangia in stoviglie d'oro, quando sa che grazie alla meditatio troverebbe buono anche il pranzo servito in una rozza ciotola?
-Emmanuel Carrère - Il Regno
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"è bello poter indicare agli la direzione" ne ha fatta di strada...:-)
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Romano Prodi al funerale del fratello, 'Vittorio dolce e buono'
“Non è un periodo bello. In quattro mesi due fratelli e la moglie. Però c’è un grande affetto tra di noi e dagli amici e dai cittadini per Vittorio”. Così Romano Prodi davanti alla chiesa di Sant’Anna in via Siepelunga a Bologna, poco prima dell’arrivo del feretro del fratello Vittorio, morto dopo una lunga malattia.  Ai funerali sono presenti tra le tante autorità cittadine anche i ministri…
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alonewolfr · 3 months
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La vita è come un fico d’India: bello, buono, dolce, ma pieno di spine.
|| Romano Battaglia
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ladyofink · 1 year
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Per la serie commento la saga di Dressrosa di One Piece in italiano perché non posso farlo sull'app del passero blu:
-"Non far finta di essertene dimenticato" PORCO DI QUEL CLERO INIZIAMO MALE
-Oddio io non lo chiamerei un risentimento senza senso
-"ho vissuto con il solo scopo di realizzare il sogno di quel'uomo" DITE IL NOME DI CORAZON PORCO DI QUEL CLERO CHE FA MENO MALE COSÌ (o forse no, NON LO SO)
-brook esaurito come me con il fatto che non posso usare il mio thread sull'app del passero
-cosí immagino gli imperatori del periodo romano
-IL POVERO KANJURO STO PAIO DI COGLIONI
-che ship però violet e sanji
-ricordo i dude bros si sono scannati per questa cosa che lui ha chiamato zoro vicecapitano
-"chissà perché sta piangendo" è uno stan kin non farti domande
-ogni puntata che passa mi ricorda che Bartolomeo è come me se dovessi incontrare i bangtan
-rebecca vita mia
-rufy: rebecca sa usare l'ambizione della percezione
i gladiatori: ???
-boh bartolomeo c'è una croce secondo te che cosa è
-FANATICO DEL KUNG FU STO MORENDO
-NON LUI CHE CHIEDE SCUSA IN QUEL MODO
-BASTARDO?? DICONO LE PAROLACCE???
-purtroppo molto importante per me che rufy non considera rebecca cattiva perché è stata gentile con lui
-SOLIDAREITÀ FEMMINILE VAI COSÌ
-GLADIATRICE DIVERTENTE STO MORENDO
-potete fare booo quanto volete ma intanto è riuscita a sconfiggere un tizio più grande di lei senza nemmeno fargli male
-PORCO IL CLERO IO NON MI RICORDO CHE FACESSERO VEDERE IL SUO PAESE
-barto se io avessi davanti seokjin
-BARTO LETTERALMENTE IO SE DOVESSI AVERE DAVANTI NAMJOON COME SE VIVESSI DENTRO UNO SHOJO
-MA GIÀ ADESSO SI SCOPRE
-ECCOLA KOALA
-CAZZO NON HO AVUTO IL TEMPO DI SENTIRE LA VOCE
-comunque che bella la scena con i soldati che si inginocchiano
-Trebol muori
-ah già che il padre di dofla sfanculizza tutto perché lui buono
-CON QUESTI POVERI INSETTI
-"sono colui che non è riuscito a proteggere la mamma di rebecca" E PORCO MONDO
-MA GIÀ ADESSO SI SCOPRE???
-LA PROSSIMA SETTIMANA DI GIÀ IL FLASHBACK FI QUELLO CHE È SUCCESSO???
per oggi ho finito mi spiace che vi siate dovuti sorbire i miei scleri fuori contesto <3 se tutto va bene dovrebbe essere solo per oggi ma è probabile che ci rivedremo la prossima settimana
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tiseguiro · 1 year
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Che cosa crede la Chiesa? Una introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica: proporre l’unità e la perenne novità della fede
dell’allora cardinal Joseph Ratzinger
Il testo che mettiamo a disposizione on-line è la trascrizione della riflessione tenuta dall’allora cardinal Joseph Ratzinger, durante il Sinodo Romano, il 18 gennaio 1993, per presentare il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il testo è apparso sui Quaderni-Nuova Serie del Sinodo Romano, n.2, dal titolo La fede della Chiesa di Roma, Vicariato di Roma, 1993, pagg.67-73.
Il Centro culturale Gli scritti 12.11.2006
Permettetemi di iniziare con un episodio verificatosi nei primi tempi dopo il Concilio. Il Concilio aveva aperto per la Chiesa e la teologia ampie prospettive di dialogo, soprattutto con la sua Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ma anche con i Decreti sull'ecumenismo, sulla missione, sulle religioni non cristiane, sulla libertà religiosa. Nuovi temi si aprivano, e nuovi metodi divenivano necessari. Per un teologo, che voleva essere all’altezza dei tempi e aveva un concetto giusto della sua missione, appariva come ovvio, innanzitutto lasciare per un momento da parte i vecchi temi e dedicarsi con tutte le energie ai nuovi problemi, che da ogni parte si ponevano.
In quell’epoca io avevo inviato un piccolo lavoro ad Hans Urs von Balthasar, il quale come sempre mi ringraziò immediatamente con un cartoncino ed al ringraziamento aggiunse una frase pregnante che per me divenne indimenticabile: non presupporre, ma proporre la fede. Fu un imperativo che mi colpì. L’ampio spaziare in nuovi campi era buono e necessario, ma solo a partire dal presupposto che esso stesso traesse origine dalla luce centrale della fede e da questa luce fosse sostenuto. La fede non ha permanenza di per se stessa. Non la si può mai semplicemente presupporre come una cosa già in se conclusa. Deve continuamente essere rivissuta. E poiché è un atto, che abbraccia tutte le dimensioni della nostra esistenza, deve anche essere sempre ripensata e sempre di nuovo testimoniata.
Perciò i grandi temi della fede - Dio, Cristo, Spirito Santo, Grazia e peccato, Sacramenti e Chiesa, morte e vita eterna - non sono mai temi vecchi. Sono sempre i temi, che ci colpiscono più nel profondo. Devono sempre rimanere centro dell’annuncio e quindi anche centro nel pensiero teologico.
I Vescovi del Sinodo del 1985 con la loro richiesta di un catechismo comune di tutta la Chiesa hanno avvertito esattamente ciò che Balthasar aveva allora espresso in parole nei miei confronti. L’esperienza pastorale aveva mostrato loro che tutte le molteplici nuove attività pastorali perdono il loro terreno portante, se non sono irradiamento e applicazione del messaggio della fede. La fede non può essere pre-supposta, essa deve essere pro-posta. Per questo c’è il nuovo Catechismo. Esso vuole pro-porre la fede con la sua pienezza e la sua ricchezza, ma anche nella sua unità e semplicità.
Che cosa crede la Chiesa? Questa domanda include le altre: chi crede? E come credere? Il Catechismo ha trattato entrambe le due domande fondamentali, la domanda del “che cosa” e quella del “chi” della fede, come un’unità interiore. Detto in altre parole: illustra l’atto della fede ed il contenuto della fede nella loro inseparabilità. Ciò suona forse un po’ astratto: cerchiamo di sviluppare un poco che cosa si intende con questo.
Si ritrova nelle confessioni di fede tanto la formula “io credo” come l'altra “noi crediamo”. Parliamo della fede della Chiesa, e parliamo del carattere personale della fede, e infine parliamo della fede come di un dono di Dio, come di un “atto teologale”, secondo un’espressione oggi corrente nella teologia. Che cosa significa tutto questo?
La fede è un orientamento della nostra esistenza nel suo insieme. È una decisione di fondo, che ha effetti in tutti gli ambiti della nostra esistenza. La fede non è un processo solo intellettuale, né solo di volontà, né solo emozionale, è tutto questo insieme. È un atto di tutto l’io, di tutta la persona nella sua unità raccolta insieme. In questo senso viene designato dalla Bibbia come un atto del “cuore” (Rom10,9). È un atto altamente personale. Ma proprio perché è il nostro io, afferma in un passo Sant’Agostino, laddove l’essere umano come un tutto è in gioco, egli supera se stesso; un atto di tutto l’io è nello stesso tempo anche sempre un divenire aperti per gli altri, un atto dell'essere con.
Ancor più: non può realizzarsi senza che noi tocchiamo il nostro fondamento più profondo, il Dio vivente, che è presente nella profondità della nostra esistenza e la sostiene. Laddove è in gioco l'essere umano come un tutto, insieme con l’io è in gioco il noi ed il tu del totalmente altro, il tu di Dio. Ciò significa però anche che in un tale atto viene superato l’ambito dell'agire puramente personale. L’essere umano come essere creato è nel suo più profondo non solo azione, ma sempre anche passione, non solo essere donante, ma essere accogliente.
Il Catechismo esprime questo così: Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l'esistenza (166). San Paolo ha espresso questo carattere radicale della fede nella descrizione della sua esperienza di conversione e di battesimo con la formula: io vivo, ma non più io... (Gal2,20). La fede è uno scomparire del semplice io e così un risorgere del vero io, un divenire se stessi attraverso il liberarsi del semplice io nella comunione con Dio, che è mediata attraverso la comunione con Cristo.
Abbiamo cercato finora di analizzare con il Catechismo “chi” crede, quindi di individuare la struttura dell’atto di fede. Ma in tal modo si è già venuto delineando il contenuto essenziale della fede. La fede cristiana è nella sua essenza incontro con il Dio vivente. Dio è il vero ed ultimo contenuto della nostra fede. In questo senso il contenuto della fede è molto semplice: io credo in Dio. Ma la realtà più semplice è sempre anche la realtà più profonda e che tutto abbraccia.
Possiamo credere in Dio, perché Dio ci tocca, perché egli é in noi e perché egli anche dall’esterno si avvicina a noi. Possiamo credere in lui, perché esiste colui che egli ha mandato: “Egli ha visto il Padre (Gv6,46)”, dice il Catechismo; egli “è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare” (151). Potremmo dire che la fede è partecipazione allo sguardo di Gesù. Nella fede Egli ci permette di vedere insieme con lui, ciò che egli ha visto. In questa affermazione la divinità di Gesù Cristo è inclusa, così come la sua umanità. A motivo del fatto che egli è il Figlio, egli vede continuamente il Padre. A motivo del fatto che egli è uomo, noi possiamo guardare insieme con lui. A motivo del fatto che egli è entrambe le cose allo stesso tempo, Dio e uomo, egli non è mai una persona del passato e non è mai soltanto nell’eternità, sottratto ad ogni tempo, ma è sempre al centro del tempo, sempre vivo, sempre presente.
In tal modo però si tocca anche allo stesso tempo il mistero trinitario. Il Signore diviene presente per noi attraverso lo Spirito Santo. Ascoltiamo di nuovo il Catechismo: “Non si può credere in Gesù Cristo se non si ha parte del suo Spirito ... Dio solo conosce pienamente Dio. Noi crediamo nello Spirito Santo, perché è Dio” (152).
Se si considera bene l’atto di fede, si sviluppano in conformità con esso come da se stessi i singoli contenuti. Dio diviene per noi concreto in Cristo. Così da una parte diviene riconoscibile il mistero trinitario, dall’altra diviene visibile che egli stesso si è inserito nella storia fino al punto che il Figlio è divenuto uomo e dal Padre ci manda lo Spirito. Nell’incarnazione tuttavia è contenuto anche il mistero della Chiesa, poiché Cristo in realtà è venuto per “radunare in unità i dispersi figli di Dio” (Gv11,52). Il noi della Chiesa è la nuova, ampia comunità, nella quale ci attira (cfr. Gv12,32). Così la Chiesa è contenuta nell’inizio stesso dell’atto di fede. La Chiesa non è un’istituzione, che sopraggiunge alla fede dall’esterno e crea una cornice organizzativa per attività comuni dei fedeli; essa appartiene allo stesso atto di fede. L’ “io credo” è sempre anche un “noi crediamo”. Dice il Catechismo a questo proposito: “Io credo: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire: ‘Io credo’, ‘Noi crediamo’ ” (167).
Avevamo precedentemente constatato che l’analisi dell’atto di fede ci rivela anche immediatamente il suo contenuto essenziale: la fede risponde al Dio trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo. Possiamo ora aggiungere che nello stesso atto di fede è contenuta anche l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, il suo mistero umano-divino e quindi tutta la storia della salvezza; si rende ora evidente che il Popolo di Dio, la Chiesa, come portatrice umana della storia della salvezza è presente nell’atto di fede stesso. Non sarebbe difficile dimostrare similmente come siano sviluppi dell’unico atto fondamentale dell’incontro con il Dio vivente anche gli altri contenuti della fede. Infatti la relazione con Dio proprio per la sua natura ha a che fare con la vita eterna. E supera necessariamente l’ambito puramente antropologico. Dio è veramente Dio solo se è il Signore di tutte le cose. Così creazione, storia della salvezza, vita eterna sono temi che fluiscono immediatamente dal problema di Dio. Se parliamo della storia di Dio con l’umanità, si tocca con questo anche il problema del peccato e della grazia. È toccato il problema di come noi incontriamo Dio, quindi il problema della liturgia, dei sacramenti, della preghiera, della morale.
Ma non vorrei ora sviluppare tutto questo nei particolari; ciò che mi stava a cuore era propriamente la considerazione dell’interiore unità della fede, che non è un cumulo di proposizioni, ma un semplice intenso atto, nella cui semplicità è contenuta tutta la profondità ed ampiezza dell’essere. Chi parla di Dio, parla del tutto; impara a distinguere l’essenziale da ciò che non è essenziale, e scopre qualcosa della logica interiore e dell’unità di tutto il reale, anche se sempre solo in frammenti e per enigma (1Cor13,12), finché la fede sarà fede e non diverrà visione.
Per concludere vorrei ancora soltanto toccare l’altra questione, che abbiamo incontrato all'inizio delle nostre riflessioni: quella che riguarda il come della fede. In Paolo si trova in proposito una parola singolare, che ci potrà aiutare. Egli dice che la fede è un’obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento, alla quale siamo stati consegnati (Rom6,17). Si esprime qui in fondo il carattere sacramentale dell’atto di fede, l’intimo legame fra confessione di fede e sacramento. È propria della fede una “forma di insegnamento”, dice l’apostolo. Non la inventiamo noi. Non ci viene come un’idea dal di dentro di noi, ma come una parola dal di fuori di noi.
È in certo qual modo parola dalla parola, noi veniamo “consegnati” a questa parola, che indica nuove vie al nostro pensiero e dà forma alla nostra vita. Questo “essere consegnati” ad una parola che ci precede si realizza attraverso la simbologia di morte dell’immersione nell’acqua. Ciò ricorda la frase precedentemente citata, “Io vivo, ma non più io”; ricorda che nell’atto della fede si compiono morte e rinnovamento dell’io. La simbologia di morte del battesimo unisce questo nostro rinnovamento alla morte ed alla resurrezione di Gesù Cristo.
Questo essere consegnati alla parola che ci ammaestra è un essere consegnati a Cristo. Non possiamo accogliere la sua parola come una teoria, come si apprendono ad esempio formule matematiche e opinioni filosofiche. La possiamo apprendere solo nella misura in cui accettiamo la comunione di destino con lui, e questa la possiamo attingere solo laddove egli stesso si è legato permanentemente con gli uomini in una comunione di destino: nella Chiesa. Usando il suo linguaggio chiamiamo questo processo dell'essere consegnati “sacramento”. L’atto di fede non è pensabile senza il sacramento.
A partire di qui possiamo però capire la costruzione letteraria concreta del Catechismo. Fede, così abbiamo udito, è essere consegnati ad una forma di insegnamento. In un altro passo Paolo chiama questa forma di insegnamento professione di fede (cfr. Rom10,9). Qui emerge un altro aspetto dell’evento della fede: la fede, che come parola viene a noi, deve diventare di nuovo parola anche presso di noi stessi, in quanto nello stesso tempo si esprime la nostra vita. Credere significa sempre anche confessare. La fede non è privata, ma è pubblica e comunitaria. Da parola diviene innanzitutto concezione, ma deve anche continuamente da concezione diventare parola ed azione.
Il Catechismo indica le diverse forme di confessione della fede, che ci sono nella Chiesa: professioni di fede battesimali, professioni di fede formulate da Concili, professioni di fede formulate da Papi (192). Ciascuna di queste professioni di fede ha il suo significato specifico. Ma l’archetipo della professione di fede, sul quale tutti gli altri si fondano è la professione di fede battesimale. Laddove si tratta della catechesi, cioè dell’introduzione alla fede e alla vita nella comunione di fede della Chiesa, si deve partire dalla professione di fede battesimale. Ciò avviene fin dai tempi apostolici e doveva pertanto essere anche la strada del Catechismo. Esso svolge la fede a partire dalla professione di fede battesimale. Appare così chiaramente in quale maniera vuole insegnare la fede: catechesi è catecumenato. Non è una semplice lezione di religione, ma il processo del donarsi e del lasciarsi donare alla parola della fede, nella comunione di destino con Gesù Cristo.
È proprio della catechesi l’itinerario interiore a Dio. Sant’Ireneo dice in un passo, a questo proposito, che noi dobbiamo abituarci a Dio, come Dio si è abituato a noi, agli uomini nell'incarnazione. Dobbiamo familiarizzarci con lo stile di Dio, così da imparare a portare in noi la sua presenza. Con un’espressione teologica: deve essere liberata in noi l’immagine di Dio, ciò che ci fa capaci di comunione di vita con lui. La tradizione paragona questo con l’azione dello scultore, che stacca dalla pietra con lo scalpello pezzo dopo pezzo, in modo che divenga visibile la forma da lui intuita. La catechesi dovrebbe anche essere sempre un processo del genere di assimilazione a Dio, poiché in realtà noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza.
“Se l’occhio non fosse solare, non potrebbe riconoscere il sole”, ha scritto Goethe a commento di un detto di Plotino. Il processo della conoscenza è un processo di assimilazione, un processo vitale. Il noi, il che cosa ed il come della fede sono strettamente legati. In tal modo diventa ora visibile anche la dimensione morale dell'atto di fede: esso implica uno stile di esistenza umana, che non produciamo da noi stessi, ma che apprendiamo lentamente attraverso l’immersione del nostro essere immersi nel battesimo, nel quale continuamente Dio agisce in noi e nuovamente ci attira a sé. La morale fa parte del Cristianesimo, ma questa morale è sempre parte del processo sacramentale del divenire cristiano, nel quale noi non siamo soltanto attori, ma sempre, anzi, addirittura in primo luogo ricettori, in una ricezione, che significa trasformazione.
Non è quindi per mania di archeologismo che il Catechismo sviluppa il contenuto della fede a partire dalla professione di fede battesimale della Chiesa di Roma, dal cosiddetto Simbolo apostolico. In esso si manifesta piuttosto la vera natura dell’atto di fede e così la vera natura della catechesi come un esercitarsi ad esistere con Dio.
Così, appare anche che il Catechismo è totalmente determinato dal principio della gerarchia delle verità, come la ha intesa il Vaticano secondo. Infatti il Simbolo è innanzitutto, come abbiamo visto, professione di fede nel Dio trino, che si sviluppa dalla formula battesimale ed è ad essa legata.
Tutte le “verità della fede” sono sviluppi dell’unica verità, che noi scopriamo in esse come la perla preziosa, per la quale merita dare tutta la vita. Si tratta di Dio. Solo egli può essere la perla, per la quale noi vendiamo tutto il resto. Dio solo basta. Chi trova Dio, ha trovato tutto. Ma noi lo possiamo trovare solo perché egli prima ci ha cercato e ci ha trovato. Egli è in primo luogo colui che agisce e, per questo la fede in Dio è inseparabile dal mistero dell’incarnazione, dalla Chiesa, dal sacramento.
Tutto ciò che viene detto nella catechesi è sviluppo dell’unica verità, che è Dio stesso – l’amore che muove il sole e l'altre stelle (Dante, Paradiso XXXIII,145).
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