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#errori morali moderni
ilghila · 2 years
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Scrosati cita Sgreccia: attenzione alla mentalità morale collettivistica!
Oggi esistono due aspetti che partono entrambi da un errore di fondo che va chiarito. Il primo aspetto: “[Oggi] siamo in un contesto dove c’è all’origine un duplice crimine: l’aborto e la vivisezione del bambino. E questo regge un sistema – di preparazione di farmaci, di ricerca e quant’altro – che è diventata la normalità e questo sdogana di fatto il principio secondo il quale alcuni possono…
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La Madonna al veggente Cornacchiola: visioni e profezie sulla Chiesa
La dimensione profetica è notevolmente accentuata nel messaggio delle Tre Fontane. Come in altre apparizioni moderne la Beata Vergine Maria ha rivolto il suo sguardo materno preoccupato e sofferto alla situazione del mondo e della Chiesa indicando realtà future gravi e dolorose, conseguenza implacabile del rifiuto di Dio e della guerra alle sue Leggi e ai suoi Comandamenti di vita.
Il messaggio-segreto delle Fontane mette in guardia la Chiesa ed il mondo da quello scatenamento del principe delle tenebre che, proprio nel XX secolo, sarebbe stato eccezionalmente attivo. Quando si affronta questo tema è quasi diventata tradizione riportare la famosissima visione che ebbe Leone XIII il 13 Ottobre 1884: «Il Pontefice ricevette una visione che riguardava il futuro della Chiesa, un periodo di circa cento anni in avanti quando il potere di Satana avrebbe raggiunto il suo culmine. Di questo episodio sono note diverse versioni; in quella più comunemente accettata si dice che Leone XIII avrebbe sentito due voci: una dolce e gentile, l’altra roca e aspra. Gli parve che queste voci provenissero da vicino al tabernacolo. Subito comprese che la voce dolce e gentile era quella di Nostro Signore mentre quella roca e aspra era di Satana. In questo dialogo Satana affermava con orgoglio di poter distruggere la Chiesa, ma per fare questo chiedeva più tempo e più potere. Nostro Signore acconsentì alla richiesta e gli chiese di quanto tempo e di quanto potere avesse bisogno. Satana rispose che aveva bisogno di 75 o 100 anni e un maggior potere su coloro che si fossero messi al suo servizio. Nostro Signore accordò a Satana il tempo e il potere che chiedeva, dandogli piena libertà di disporne come voleva. Leone XIII rimase così scosso da questa esperienza che scrisse una preghiera in onore di San Michele per la protezione della Chiesa»[1]. Visione profetica, questa, che fa luce sulle “diavolerie” di satana per quella misteriosa ma reale “maggiore libertà” di attaccare il mondo e la Chiesa stessa. Come in altri messaggi mariani moderni (Fatima, Akita, Amsterdam, Itapiranga, Anguera, ecc.) anche qui, alle Tre Fontane, le rivelazioni parlano in larga parte di una sofferenza, uno sconvolgimento ed una persecuzione che provengono dall’interno più che dall’esterno della Chiesa. Tutto ciò è messo in luce attraverso la visione simbolica di una talare abbandonata di un drappo nero (simboli di quella defezione di massa di cui sarebbe stato protagonista il clero del postconcilio) e di una croce spezzata (simbolo della persecuzione e dell’oltraggio recato alla Chiesa di Cristo dai nemici della stessa Chiesa). Riflette opportunamente il padre Angelo Tentori, dei Servi di Maria (†2014): «“La Chiesa sarà perseguitata, spezzata”. Nessuna novità, ma forse la Madonna accennava a un altro tipo di persecuzione: quella che viene non tanto dal di fuori quanto dall'interno, da chi si professa cattolico ma non lo è, da chi all'interno della Chiesa si ribella e pretende di seguire un cammino suo, diverso dagli insegnamenti di Cristo proposti attraverso la Chiesa. E il peggio è che contrabbanda i propri errori come autentico Vangelo, ingannando molte anime, portandole sulla strada della perdizione. Sono questi i persecutori peggiori della Chiesa, che apparentemente rimangono nell'ovile ma come lupi camuffati da pecore possono sbranare più facilmente le anime»[2]. Quella croce spezzata ha un significato profondo. Interessante notare la relazione intercorrente tra questa profezia e quella di Rue du Bac, quando la Vergine Immacolata preannunciava che la croce sarebbe stata disprezzata. Nell’immagine profetica delle Tre Fontane vi è un crescendo di drammaticità. Quella croce già disprezzata è detto ora che sarà spezzata: si tratta dell’oltraggio e del disprezzo di cui saranno fatti oggetto Cristo e la sua Chiesa che muovono da una ribellione “in progress” dell’uomo contro il suo Creatore e Salvatore. Sia lecito ora riflettere che, se l’immagine della croce spezzata è associata alla defezione del clero simboleggiata dal drappo nero e dalla talare, gli oltraggi maggiori, le sofferenze e persecuzioni più grandi potrebbero essere proprio quelle che provengono dall’interno della Chiesa, quelle che costituivano la preoccupazione maggiore della Vergine della Rivelazione. La croce, così, sarebbe spezzata principalmente a causa dell’azione demolitrice in atto dentro la Chiesa del Signore. La riflessione ha una sua coerenza e un certo riscontro nei tragici eventi che si susseguirono in maniera clamorosa nel secondo cinquantennio del XX° secolo e che si andava ad aprire a pochi anni di distanza dalla mariofania romana. Esiste, tra l’altro, un dato impressionante che non può essere dimenticato in relazione alla talare piegata vista da Cornacchiola: «Negli anni settanta-ottanta circa quarantamila sacerdoti abbandonarono l’abito: una cifra enorme, uno smarrimento che la Chiesa mai aveva vissuto in precedenza e che non può essere spiegato dal punto di vista sociologico ma soltanto dal punto di vista spirituale. Già trent’anni prima alle Tre Fontane, la Madonna aveva mostrato tale crisi con quei segni: il drappo nero e la talare, per indicare il suo dolore a causa dei sacerdoti che si sarebbero spretati e la croce spezzata per sottolineare il rinnegamento di Cristo provocato da questo tradimento di massa»[3]. A sostegno di questa connessione tra croce spezzata e defezione del clero postconcilare, è interessante una testimonianza di don Attilio Negrisolo (un sacerdote di Padova figlio spirituale di Padre Pio) che in un sua catechesi sul messaggio di Fatima riferiva (secondo alcune testimonianze da lui stesso raccolte) che uno dei punti più gravi del Terzo Segreto di Fatima sarebbe quello della defezione del clero, dagli anni ’60 in poi. Solo Paolo VI ha firmato qualcosa come 23.000 dispense dal sacerdozio ai sacerdoti per sposarsi. Dopo di lui il fenomeno continuò anche se con minore intensità [4]. A questo proposito è interessante una glossa di Herman B. Kramer al passo dell’Apocalisse in cui san Giovanni parla di un terzo delle stelle del firmamento precipitate nell’abisso dalla coda del dragone infernale [5]. Secondo questa interessante interpretazione esegetica, quel simbolico terzo delle stelle indicherebbe «un terzo del clero», che «seguirà il dragone». Per suo mezzo satana sarà in grado di introdurre nella Chiesa «l’uso di morali non cristiane, false dottrine, compromessi con l’errore, o l’obbedienza ai governi civili in violazione della propria coscienza». Inoltre «il significato simbolico della coda del dragone potrebbe rivelare che quella parte del clero pronta all’apostasia avrà il controllo delle posizioni più influenti all’interno della Chiesa, avendole ottenute per mezzo dell’ipocrisia, della falsità e dell’adulazione». Questo clero pervertito dal nemico includerà quelli «che si rifiutano di predicare la verità o di ammonire i peccatori dando il buon esempio, ma che piuttosto cercano la popolarità, incuranti di ciò che li circonda e schiavi del rispetto umano», coloro «che si preoccupano solo dei propri interessi e non combattono le pratiche malvagie che avvengono nella Chiesa» ed i vescovi «che tormentano i bravi sacerdoti che osano dire la verità» [6]. * * * Tutto quanto affermato finora non si discosta da quanto effettivamente la messaggera celeste rivelò al suo interlocutore, ormai vinto dalla sua materna grazia. Dell'enigmatica visione di cui ci stiamo occupando, infatti, la Vergine della Rivelazione fornì al veggente un'ampia e dettagliata spiegazione così da lui sintetizzata: «La Vergine mi parla di quello che avviene nel mondo, quello che succede, quello che deve succedere nell'avvenire; come va la Chiesa, come va la vera fede; che gli uomini non crederanno più..., tante cose che si stanno avverando adesso. Ma molte cose si dovranno avverare...». E queste sono le parti salienti di quanto la Vergine SS. dettagliò circa la futura crisi della Chiesa e della società, simbolizzate nella visione della talare, del drappo e della croce: «“Momenti duri si preparano per voi, e prima che la Russia si converta, e lasci la via dell’ateismo, si scatenerà una tremenda e grave persecuzione. Pregate, si può fermare (…). Accostatevi al Cuore di Gesù mio Figlio, consacratevi al Cuore d’una Madre che sanguina, sempre in senso mistico, continuamente per voi, osannate all’Iddio che è fra voi, allontanatevi dalle false cose del mondo: vani spettacoli, stampe d’oscenità, amuleti di ogni specie, falsità e altri mali, vanità e spiritismo, sono cose che il demonio del male adopererà per la persecuzione delle creature d’Iddio; le potenze malefiche opereranno nei vostri cuori, e Satana è sciolto, da promessa divina, per un periodo di tempo: accenderà fra gli uomini il fuoco della protesta, per la santificazione dei santi. Figli! Siate forti, resistete all’assalto infernale, non temete, io sarò con voi, col mio Cuore di Madre, per dare coraggio al vostro, e lenire le vostre pene e le vostre ferite tremende che verranno nel tempo stabilito dai piani dell’economia divina. La Chiesa tutta subirà una tremenda prova, per pulire il carname che si è infiltrato tra i ministri, specie fra gli Ordini della povertà: prova morale, prova spirituale. Per il tempo indicato nei libri celesti, sacerdoti e fedeli saranno messi in una svolta pericolosa nel mondo dei perduti, che si scaglierà con qualunque mezzo all’assalto: false ideologie e teologie! (…). Sono tempi terribili per tutti, la fede e la carità rimarranno intatte se vi attenete a quel che vi dico; sono momenti di prova per tutti voi, state saldi nella Rocca eterna dell’Iddio vivente, io vi mostrerò il sentiero, dal quale esce vittorioso il santo per il Regno divino, che si stabilirà sulla Terra nel giorno della vittoria: amore, amore e amore (…). Vi saranno giorni di dolori e di lutti. Dalla parte d’oriente un popolo forte, ma lontano da Dio, sferrerà un attacco tremendo, e spezzerà le cose più sante e sacre, quando gli sarà dato di farlo. Abbiate unito al timore: amore e fede, amore e fede; tutto per far risplendere i santi come astri nel Cielo. Pregate molto e vi saranno alleggeriti la persecuzione e il dolore (…). Il mondo entrerà in un’altra guerra, più spietata delle precedenti; maggiormente sarà colpita la Rocca eterna (…). L’ira di satana non è più mantenuta; lo spirito di Dio si ritira dalla terra, la Chiesa sarà lasciata vedova, ecco il drappo talare funebre, sarà lasciata in balìa del mondo. L’oscurità della coscienza, il male che aumenta, vi testimonieranno il momento giunto della catastrofe finale; si scatena l’ira in tutta la Terra, la libertà satanica, permessa, farà strage in ogni luogo. Momento di sconforto e smarrimento sarà sopra voi; unitevi nell’amore di Dio (…). Vedrete uomini guidati da Satana fare una lega unitaria per combattere ogni forma religiosa; la colpita maggiormente sarà la Chiesa del Cristo, per nettarla dalle sozzure che vi sono dentro: commercio usureggiante e politica, contro Roma! Nel finale, molti saranno convertiti per le molte preghiere e per il ritorno all’amore di tutti, e per potenti manifestazioni divine (…). Poi l’Agnello mostrerà la sua vittoria eterna, con le Potenze divine, distruggerà il male col bene, la carne con lo spirito, l’odio con l’amore! La Santità del Padre (il Papa, ndr.) regnante nel trono dell’amore divino soffrirà a morte, per un poco, di qualche cosa, breve, che, sotto il suo regnare, avverrà. Altri pochi ancora regneranno sul trono: l’ultimo, un santo, amerà i suoi nemici; mostrandolo, formando l’unità d’amore, vedrà la vittoria dell’agnello (…). I sacerdoti, pure essendo nella bolgia infernale, sono a me cari; saranno calpestati e trucidati, ecco la croce rotta vicino alla talare dello spogliamento esteriore sacerdotale(si fa riferimento ad una visione che la Madonna aveva mostrato a Bruno durante l’apparizione, ndr.) e in questo tempo i sacerdoti mostrino d’essere miei figli veramente; vivendo nella purità, lontano dal mondo, non fumino, siano più retti, seguano la via del Calvario (…). Fortificatevi, preparandovi alla battaglia della fede, non siate pigri nelle cose di Dio, vedrete tempi che gli uomini faranno meglio la volontà della carne che quella di Dio; essi continuamente vengono trascinati nel fango e nel baratro della perdizione volontaria. La giustizia di Dio si farà sentire presto sulla Terra; fate penitenze. Solo i santi che sono fra voi, negli eremi e nei conventi e in ogni luogo, mantengono l’ira distruggitrice della giustizia divina. Il momento è terribile. Di quel giorno che viene, le vergini e i vergini, chiunque serve Dio in spirito e non secondo la carne, si addossano parte delle piaghe, che, presto, scenderanno sulla Terra, lasciando ancora il tempo ai peccatori, affinché si ravvedano e si mettano con tutta la vita loro sotto il manto mio, per essere salvati (…)». * * * Ritornando a quel «non si crederà più» a cui il Cornacchiola faceva riferimento... è diventato ormai un dato di fatto, una drammatica evidenza che ha preoccupato, fino all'affanno, gli ultimi Pontefici. Fu lo stesso papa Paolo VI - non certo un antirivoluzionario ed anzi un fautore dello "spirito del Concilio" - a dover riconoscere vero la fine dell'ufficio e della vita: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia»[7]. Da parte sua il papa Benedetto XVI, all’approssimarsi dell’anno della Fede da lui indetto (AD 2012), incalzò sul punto della crisi della fede a più riprese: «Benedetto XVI è ritornato più volte sul tema della fede. Nei suoi auguri natalizi alla Curia romana ha detto: “Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all'incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”. Alla stessa stregua durante il suo viaggio in Germania aveva osservato: “Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l'annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Non saranno le tattiche a salvarci, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo”»[8]. In conclusione, vorrei ricordare quelle profetiche parole dello stesso Benedetto XVI durante l’omelia del 2 ottobre 2005 in cui, preoccupato, rifletteva giustamente così sulla parabola dei vignaioli omicidi: «Il Signore, nell’Antico come nel Nuovo Testamento, annuncia alla vigna infedele il giudizio (…). La minaccia di giudizio riguarda anche noi, la Chiesa in Europa, l’Europa e l’Occidente in generale. Con questo Vangelo il Signore grida anche nelle nostre orecchie le parole che nell’Apocalisse rivolse alla Chiesa di Efeso: “Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto” (2,5). Anche a noi può essere tolta la luce, e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo al Signore: “Aiutaci a convertirci! Dona a tutti noi la grazia di un vero rinnovamento! Non permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra fede…”»[9]. Note: [1] profezie3m.altervista.org/ptm_c31e.htm%20Leone%20XIII: « “San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, contro la malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”. Il Pontefice dispose che questa preghiera fosse detta alla fine di ogni Messa. Questa disposizione venne seguita fino agli anni ‘60, quando, con la riforma della Messa attuata dal Concilio Vaticano II (196265), la preghiera venne definitivamente soppressa dalla liturgia ». [2] Padre A. M. Tentori, La Bella Signora delle Tre Fontane, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, p. 97. [3] Padre L. Fanzaga-S. Gaeta, La Firma di Maria, Sugarco, Milano 2005, p. 119. [4] Reperibile presso l’indirizzo: www.parrocchiasanmichele.eu. Il sacerdote padovano aggiungeva, a questa affermazione, un fatto interessantissimo e sconosciuto ai più. Il 10 Luglio 1977, l’allora patriarca di Venezia Albino Luciani andò a Coimbra, fatto chiamare da suor Lucia. La santa veggente gli consegnò un messaggio per l’allora pontefice Paolo VI, messaggio che lei aveva ricevuto da Gesù in persona e Questi voleva che arrivasse al Papa. In questo messaggio c’erano due punti. Nel primo Gesù sottolineava la necessità di una riforma morale della Chiesa. Il secondo punto era di una certa drammaticità: il Signore diceva alla santa veggente che non sarebbe finita la sofferenza del mondo se non fosse cessato il peccato dei preti. Il popolo di Dio ed il mondo intero, infatti, è sconvolto, tuttora, dalla confusione, dallo scandalo e dal peccato di sacerdoti, vescovi e religiosi. [5] Non si tratta di un'interpretazione nuova. Nel linguaggio della Bibbia, “stelle del cielo” sono coloro che dal cielo illuminano la via agli altri, affinché anche questi vi giungano. Il passaggio dell'Apocalisse giovannea che abbiamo citato, è stato interpretato comunemente nei commentari Cattolici come un terzo del clero – ovvero cardinali, vescovi e sacerdoti – che decade dal proprio stato consacrato e che passa dalla parte del demonio. Questi uomini di Chiesa stanno minando le fondamenta della Fede Cattolica e mettendo a serio rischio la salvezza eterna di tante anime con i loro insegnamenti ed i loro comportamenti fuorvianti. [6] Herman B. Kramer, The Book of Destiny (prima edizione 1955, ristampato da TAN Books and Publishers, Inc., Rockford, Illinois, 1975), pp. 279-284, riportato in Padre Paul Kramer, La Battaglia Finale del Diavolo, Good Counsel Publications (seconda edizione), Buffalo 2011, pp. 134-135 (fatima.org/…/The-Devils-Fina…). [7] J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, Milano 1985, p. 21. [8] Mons. R. Fisichella, La grandezza del Credere. Verso l’anno della fede indetto da Benedetto XVI in L’Osservatore Romano, 1/8/2012. [9] Benedetto XVI, Omelia 2.10.2005: w2.vatican.va/content/benedict xvi/it/homilies/2005/documents/hf_benxvi_hom_20051002_opening-synod-bishops.html. * * * Per saperne di più su queste apparizioni e messaggi consulta l'Album da me creato: La Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane
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pangeanews · 4 years
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Enrico Vanzina, lo scrittore che ricorda “un po’ Chandler, un po’ Simenon”, anzi, no, pare Proust…
«Questo è un gran bel romanzo scritto da un vero scrittore con un tocco neochandleriano di freschissima malinconia» (Antonio D’Orrico, Sette-Corriere della Sera, 2013).
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Ebbene sì, non lo nascondiamo. Dopo esserci imbattuti in quell’enorme pagliacciata che è l’ultimo romanzo di Walter Veltroni – Assassinio a Villa Borghese, il “giallo” pretestuoso e farlocco pubblicato da Marsilio, inzeppato di tutto e tenuto insieme col niente – ci siamo chiesti cosa può aver portato l’ex-sindaco di Roma a una scelta tanto stupida, quale stimolo può averlo mosso, considerando che nella sua produzione romanzesca non ha usato quasi mai farina del suo sacco, preferendo appoggiarsi a idee e stilemi altrui: perfino il suo inefficace slogan elettorale “Si può fare” venne copiato da “Yes we can” di Barack Obama. Insomma, abbiamo cercato di capire quale fosse l’anello di congiunzione fra la sua già scadente produzione romanzesca e il deragliamento finale.
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Abbiamo dunque guardato al mondo del scinema, come si dice a Roma, in particolare a quello trash, e non è stato difficile trovare il bandolo. Mentre il Sole 24 Ore usò il sistema ‘follow the money’ per scoprire l’identità della misteriosa Elena Ferrante, noi abbiamo usato il più semplice ‘follow the jockey’: seguire le bravate dell’indomito bj del Corriere della Sera Antonio D’Orrico – ormai divenuto un compagno di viaggio – che nel 2013 osannò Il gigante sfregiato, romanzo d’esordio del cineasta romano Enrico Vanzina, edito da Newton Compton.
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Già la copertina del libro offre le coordinate in tre fasce gialle, per facilitare i recensori: “Dalla borghesia romana ai bassifondi della capitale”; “Un po’ Chandler un po’ Simenon”; “Il giallo incontra la commedia all’italiana”. Ecco servito il metodo abile, sfacciato, distruttivo, dove bastano queste poche indicazioni per poter ottenere gli articoli quasi senza dover leggere il libro. L’editore lo sa bene, e per farsi strada ha imparato a innovare usando gli strumenti moderni del fascettismo selvaggio, che standardizzano l’offerta e appiattiscono la risposta di chi dovrebbe valutare. Peccato che, così facendo, ha anche avvelenato i pozzi, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. Poi, con un pezzo grosso come Enrico Vanzina è sufficiente che il book-jockey D’Orrico lanci su Sette il “gran bel romanzo scritto da un vero scrittore con un tocco neochandleriano di freschissima malinconia”, che tutto il resto passa in secondo piano, a cominciare dalla trama, una slegatura di trovate improbabili e abborracciate dove la coerenza è solo un’eventualità.
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Max Mariani, ex-avvocato della Roma che conta, già dotato di Porsche e casa nei quartieri alti, poi caduto in disgrazia come detective privato, si occupa dell’ex-rugbista sfregiato Sandrone che cerca di sfuggire a una donna senza scrupoli decisa a farlo fuori; ma è proprio quella bionda a offrire al protagonista un lauto compenso per ritrovare il gigante. Qui basta l’incipit per darne subito le indicazioni programmatiche: “La prima volta che incontrai Sandrone era un pomeriggio come tanti, uno di quelli in cui sarebbe potuto accadere di tutto. O invece niente”.
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Ecco la chiave che deve aver deliziato Antonio D’Orrico: come si ricorderà, quando nel 2010 pubblicò il suo unico romanzo, il risvolto di copertina lo definì autore de “la più discussa, discutibile, indiscussa e indiscutibile rubrica letteraria italiana”: una giravolta fra gli opposti quasi demenziale, che spianava la strada alla fungibilità di ogni cosa, dove fra questo e quello, fra il sopra e il sotto non c’è più differenza. Un trucco che funziona sempre, e che il romanzo di Vanzina ripropone quasi identico nel finale: “Ci fissiamo per una frazione di secondo. Un secondo nel quale c’era tutto quello che c’era stato tra noi. Molto. Ma anche nulla”.
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Non ridiamo, perché la cosa è seria. Lasciando da parte l’incompatibilità fra “ci fissiamo” e “una frazione di secondo”, concetti praticamente opposti, qui è la formula “ma anche” il sofisma principe: quello che non ha risparmiato nemmeno la politica di Walter Veltroni, offrendo lo spunto alle memorabili imitazioni televisive che lo perculavano. Non sappiamo se l’editor di questo libro sapesse quello che faceva; probabilmente le regole d’ingaggio erano di riprodurre frasi che suonassero bene, che creassero un’atmosfera sufficientemente ricalcata sui cliché, indipendentemente dalla combinazione delle parole. Al punto da ottenere veri e propri nonsense: “Malgrado i capelli incolti e lunghi, aveva comunque un viso pulito, somaticamente leale” (p. 10); “Ho amici che si contano sulle dita di una mano mozza” (p. 14); “Era un vecchio poliziotto disilluso, ma ancora in grado di distinguere i bersagli del suo cinismo stanziale” (p. 33); “Lo vidi arrivare in via Gioberti con aria dinoccolata” (p. 39); “Giuliani mi fissò con l’essenza etimologica della sorpresa stampata in faccia” (p. 135).
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Gli interrogativi s’inseguono. Cos’è la lealtà somatica? E il cinismo stanziale? L’aria può essere dinoccolata? La sorpresa può avere un’essenza etimologica? Tutte domande che andrebbero rivolte anche al bj D’Orrico, a cominciare dal suo tocco neochandleriano di freschissima malinconia: che odore ha la malinconia quando è freschissima? E quando prende il tocco neochandleriano come diventa? Queste sono le questioni più ardue, a cui si aggiungono le similitudini imbarazzanti che Enrico Vanzina sparge senza risparmio e senza pietà, un po’ come le citazioni che Veltroni semina a casaccio nei suoi libri:
“Sandrone, al contrario, sembrava avermela raccontata giusta. Dritta come la piega di un pantalone uscito da una tintoria”
“Lo fissai con un sorriso freddo come un ghiacciolo”
“La bionda mi lanciò uno sguardo gelido come avrebbe dovuto essere quella vodka”
“Entrò Giuliani, tarchiato come un boccale di birra”
“La lista di quelli che ha spedito al pronto soccorso è fitta come due pagine di versetti del Corano”
“Era visibilmente moscio, come una pianta da interni abbandonata in salone durante le vacanze”
“Li feci ingabbiare come scimpanzé allo zoo”
“Gli lanciai uno sguardo affilato come una lama”
“Combaciavano come le valve di una stessa cozza”
“La città pareva caduta già in catalessi, vuota come una bottiglia di Veuve Cliquot sul banco di un night all’ora di chiusura”
“Ronfava tranquillo, un rombo simile al motore di un vecchio battello fluviale dell’Amazzonia”
“Trovare il 439 non fu facile come mandare giù una pillola per il mal di testa”
“Era spaventata come una bambina al Luna Park, nella casa delle streghe”
“Quel nome mi rimbombò nelle tempie come un tuono”
“Nel furgone calò un gelo da inverno finlandese”
“Lugubre come un quadro espressionista tedesco”
“Uscii dalla Questura di via Genova leggero come un petalo di mandorlo”
“Vivevo dannatamente solo, in una casa lercia e solitaria come un calzino spaiato”
“Mi preparai un caffè nero come la pece”
“E mi concentrai di nuovo sul caso nudo e crudo. Era come una forma di groviera: piena di buchi”
“Mi stampò un bacio sulle labbra. Leggero come un fraseggio di Mozart”
“Lei mi lanciò uno sguardo affilato come una rasoiata”
“Fatma Sorrise. Un sorriso malinconico come un giorno di nebbia”
“Sfoderò un altro sorriso triste come un fado”.
*
A questo punto, quasi rintronati dal bombardamento, ci siamo ri-domandati se l’editor abbia davvero avuto un ruolo nella sistemazione del testo, perché certi errori grossolani fanno pensare di no: “Dopo la lunga estate torrida che aveva avvolto per mesi la città, l’arrivo di quelle folate di vento freddo ti facevano già rimpiangere l’umidità afosa di agosto”; “Nuvoloni carichi di brutti presagi scorrevano come ombre cinesi sotto al coperchio del cielo”. Eppure, una chiamata in correità si legge a pagina 245: “Ringrazio Olimpia Ellero, la quale, con la sua intelligenza e la sua tenace competenza, mi ha suggerito semplificazioni narrative ed efficaci soluzioni di sintassi”.
* Efficaci soluzioni di sintassi: preferiamo non commentare. Questo romanzo, naturalmente, ha aperto una serie: l’editore Newton Compton sa battere il ferro, sa sparare le copertine, sa occupare le librerie con la sua roba. E quando il garbage viene prodotto da nomi importanti, può succedere che su Sette Antonio D’Orrico perda puerilmente la testa. Infatti, se il primo romanzo del filone “noir” di Enrico Vanzina era neochandleriano, con quello pubblicato un paio d’anni fa da Mondadori, La sera a Roma, il book-jockey va ben oltre: “Un intrigo complicato ma raccontato in maniera invidiabilmente scorrevole. La prosa di Vanzina si colora di toni quasi proustiani quando narra le tortuose faccende della nobiltà nera romana, in cui spicca un prodigioso marchese rock napoletano che rimpiange l’eleganza di un mondo perduto. I nobili di Vanzina sono un esercito di fantasmi invischiato nella melassa dei pettegolezzi mondani. E qui Proust lascia il posto a un altro grande scrittore francese: «Mi tornarono in mente il visconte di Valmont e il perfido ritratto della nobiltà francese che aveva fatto Laclos nelle Relazioni pericolose». È la seconda puntata che dedico a La sera a Roma. Lo faccio perché è un libro d’eccezione e trovo meraviglioso che questo libro fuori dall’ordinario sia stato scritto da uno degli inventori dei cinepanettoni”.
*
Vediamo dunque come inizia questo libro d’eccezione: “Avevo trascorso l’intera giornata con in testa una vecchia frasetta spiritosa di Leo Longanesi: «Vissero infelici perché costava meno»… A circa settant’anni dalla sua prima pubblicazione, quella spigolatura raffinata ora risuonava maledettamente vera. Anch’io vivevo con sempre meno. La crisi economica stava azzannando il Paese e tutti erano più o meno infelici. Non solo per questioni di soldi. Si erano aggiunte questioni morali, il decadimento dei valori fondanti della convivenza civile, la mancanza di prospettive. Insomma, uno scenario lugubre, da basso impero”.
*
Quella spigolatura raffinata, il decadimento dei valori fondanti, e – soprattutto – la citazione d’alto rango che apre tutto: siamo deliziati. E non basta. “Arrivai a piazza di Spagna, turbato da queste malinconiche riflessioni. Restai qualche attimo a fissare le vetrine di Babington’s, una tea room che coniuga il raffinato gusto inglese per quella bevanda a un arredamento elegante ma alla mano, più vicino al gusto romano. Il nome britannico del locale ricorda ai suoi sofisticati clienti che Roma fu amata non solo dal romantico Stendhal e dal tumultuoso genio di Goethe, ma anche da quel gruppo di poeti inglesi – Byron, Shelley, Keats – che di Roma apprezzavano soprattutto i colori”.
*
Babington’s, Stendhal, Goethe, Byron, Shelley, Keats: siamo sul punto di svenire. Potremmo concludere senza aggiungere altro, salva la presa d’atto del chiaro tentativo di liquefare ogni canone letterario per crearne uno che assorba tutto, che affermi un campo indistinto dove ogni cosa può valere ogni altra, in cui si perdono i significati, in cui il senso della lingua passa in secondo piano e la critica viene silenziata. Si individua un parco lettori e lo si ammaestra con l’arma del d’orrichismo, con i cliché ripetuti e ricopiati, con le citazioni inconsulte e meccaniche, in un’assoluta riproducibilità tecnica senza criterio. Che il Cielo ci aiuti.
Paolo Ferrucci
*In copertina: Enrico Vanzina (la fotografia è tratta da qui)
L'articolo Enrico Vanzina, lo scrittore che ricorda “un po’ Chandler, un po’ Simenon”, anzi, no, pare Proust… proviene da Pangea.
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pangeanews · 4 years
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Pensiero tremendo: dare del razzista a William Faulkner. Ecco perché dobbiamo tenerci stretto lo scrittore che ha raccontato “il cuore umano in conflitto con se stesso”
Per fortuna, siamo europei: conosciamo l’analogia, l’allegoria, la metafora. Sappiamo, cioè, che le cose non sono ciò che sembrano, che il tempo appiana tutto. Ecco, abbiamo il tempo dalla nostra. Per questo – mi auguro – non condanniamo Shakespeare come antisemita a causa di Shylock, non bestemmiamo Dante perché ha conficcato Maometto agli inferi, non aboliamo Cesare, spietato omicida, dalle antologie e godiamo di Caravaggio nonostante l’assassinio. Sappiamo, cioè, che l’etica – mutevole – non può guidare l’estetica, che la forma basta (moralmente) a se stessa, che le sorti della storia (sia lode a Leopardi, scorrettissimo) non sono lineari, progressive, felici. Che l’integrità morale dobbiamo cercarla dentro di noi, eventualmente, non in romanzi scritti decenni fa, con l’ansia di giudicare il prossimo con la falce perbenista. Negli Stati Uniti, invece, non va così. In era di esagitato movimentismo e di statue decapitate (bastasse questo a cancellare l’ignominia), si ridiscute, con ansia da regolamento di conti, il canone. A subire la gogna, ora, è pure William Faulkner, caposaldo della letteratura americana. Il dissidio è pacificare l’uomo (nel 1956, “contro la segregazione obbligatorio come contro l’integrazione obbligatoria” dirà, “Non sanno che il Sud ricomincerà la guerra… Se si dovesse combattere io lo farei per il Mississippi contro gli Stati Uniti, anche se questo significasse andare per le strade a sparare ai negri… Il problema non è razziale. Il 90% dei negri stanno dalla parte dei bianchi, contro quei pochi come me che ritengono importante l’eguaglianza”) con lo scrittore straordinario, Nobel per la letteratura. Il dilemma è ‘sanare’ ed emendare quelle parti, nei romanzi eccelsi di Faulkner, che non suonano bene alle orecchie dei tempi moderni, della politica vigente. Orrore, orrore. Sul punto – cioè, orrore, orrore, su “come leggere Faulkner nel XXI secolo… riconsiderando la sua eredità e la sua vita” – Michael Gorra, esperto di letteratura anglofona (insegna allo Smith College), ha scritto un libro, “The Saddest Words. William Faulkner’s Civil War”, in cui spiega perché non possiamo non leggere Faulkner (evviva!), pur rilevando errori di prospettiva, cadute di stile, sintomi di un razzismo evidente. Mi pare un esercizio inquietante e superficiale. Su “The Atlantic” (la rivista fondata da Ralph Waldo Emerson e Longfellow) una lunga recensione di Drew Gilpin Faust, di cui traduco alcuni brani, cerca di dare, all’americana, un colpo al cerchio e uno alla botte. Insomma, evirare Faulkner oltre che essere una sciocchezza fa sgretolare tutto il canone statunitense; fargli le totò sul culetto bianco è una sciocchezza al cubo. Uno scrittore non deve avere la fedina morale pulita (e chi la timbra, poi?, chi ne decreta la validità?), ma irritare. In effetti, le opinioni di Faulkner, guidate da ubriaco buon senso, scontentarono tutti, neri e bianchi, democratici e repubblicani: nel 1955 scrisse a Else Jonsson, ennesima musa, “Ho paura. Faccio quello che posso. Forse sarò costretto a lasciare il mio stato natale più o meno come gli ebrei hanno dovuto lasciare la Germania sotto Hitler”. Gli erano giunte, in seguito alle sue esternazioni (“se i neri fossero rimasti ‘pazienti e di buon senso’, si sarebbe arrivati a una ‘completa eguaglianza in America’”), minacce di morte. Ora tornano a minacciare Faulkner. Teniamocelo stretto. (d.b.)
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Forse il più potente dei romanzi di Faulkner sulla guerra civile è Assalonne, Assalonne! (1936)… Pensare che questo romanzo sia apparso nello stesso anno di Via col vento è sorprendente. Furono il chiaro di luna e le magnolie, più che il ritratto bruciante della persistente eredità dello schiavismo a catturare il pubblico: fu Margaret Mitchell, non Faulkner, a ottenere il Pulitzer per la narrativa nel 1937. Ma il periodo di “produttività esplosiva” di Faulkner, a partire dal 1929 – tredici libri in tredici anni – conquistarono un diverso tipo di attenzione, grazie alle sue innovazioni formali, allo sperimentalismo, oltre che alla screziata rappresentazione della razza. In un saggio del 1933 Sartre paragonò Faulkner a Proust, e lo scrittore divenne un idolo agli occhi dei giovani intellettuali francesi e dei critici di tutto il mondo. Faulkner non aveva vinto il Pulitzer ma percorreva la strada che lo avrebbe condotto, nel 1949, al Nobel.
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Michael Gorra sottolinea “l’importanza crescente del problema razziale” nei romanzi di Faulkner. Eppure, la storia si evolveva più rapidamente dei pensieri di Faulkner. Mentre il movimento per i diritti civili acquista slancio, dopo la Seconda guerra, Faulkner si impegna in commenti pubblici sempre più espliciti riguardo alle divisioni e alle ingiustizie che lacerano gli Stati Uniti. Come i critici di quegli anni, Gorra deve lottare per venire a patti con le angoscianti opinioni di Faulkner riguardo alla giustizia razziale. Gorra non distoglie lo sguardo dalle preoccupanti dichiarazioni pubbliche di Faulkner, dagli sconcertanti stereotipi, dal pensiero che il suo lavoro letterario sia diventato stridente rispetto al mutare degli atteggiamenti sociali. La posta in gioco è alta. Siamo in un’epoca in cui la reputazione degli scrittori viene ribaltata, le loro opere rimosse dalle liste dei libri da leggere, i capolavori svalutati a causa dell’incapacità di capire ciò che oggi ci appare normale, ovvio. Gorra ricorda i dibattiti intorno all’opera di Joseph Conrad, scaturiti da un saggio di Chinua Achebe del 1977 che definiva lo scrittore un apologeta dell’imperialismo. “Oggi Faulkner è come Conrad allora”, scrive Gorra, certo che i suoi libri abbiano bisogno di un riesame per comprenderli, aggiornando gli errori di valutazione intorno al problema razziale.
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Faulkner, ammette Gorra, “è rimasto un uomo bianco del Sud, legato alle leggi di Jim Crow. Non si è mosso da lì. A volte le sue parole possono – devono – metterci a disagio”. La sua narrativa offre una “visione fin troppo indulgente del paternalismo verso gli schiavi”. I suoi romanzi non rendono le crudeltà fisiche subite dagli schiavi; non includono la rappresentazione di un’asta, di una famiglia separata dalla vendita di schiavi, né la fustigazione. Molti personaggi neri paiono incompleti e incompiuti, nonostante non siano ascrivibili alle caricature tipiche della coeva scrittura bianca del Sud. “L’immagine di Faulkner degli elettori neri come inevitabilmente ignoranti e corruttibili ripete a pappagallo la visione attuale all’epoca dell’infanzia dello scrittore”, scrive Gorra… Tuttavia, Faulkner non è un nostalgico del Vecchio Sud, non glorifica la guerra tra le razze, a differenza di quasi tutti gli scrittori bianchi, ‘sudisti’, del suo tempo.
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Per molti versi, Faulkner era la quintessenza dell’uomo bianco ‘moderato’ del Sud. Condannava la violenza, riconosceva la necessità di porre fine alla segregazione, respingendo ciò che Martin Luther King definiva “la feroce urgenza dell’adesso”. Erano proprio i fallimenti morali dei ‘moderati’ che Martin Luther King attaccava nei suoi scritti. Faulkner sollecitava alla pazienza, ritardando la Storia. Nel 1956 James Baldwin condannò le opinioni di Faulkner, che sperava di concedere ai bianchi del Sud la possibilità di salvarsi, di rivendicare la propria integrità morale. Ma questa salvezza poteva arrivare solo rinviando la giustizia verso i neri americani e questo per Baldwin era inconcepibile.
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Gorra allinea una lista di errori compiuti da Faulkner, misurando i presupposti del nostro tempo rispetto a quelli dello scrittore. Gorra rivendica la grandezza dello scrittore rimproverando l’uomo. “Quando scriveva romanzi, Faulkner si dimostrava migliore di Faulkner”… L’atto di scrivere conferiva a Faulkner una lucidità quasi mistica, eppure questa chiarezza, passando dalla finzione di Oxford e Jefferson alla realtà del Mississippi, era messa in discussione, diventava ambigua.
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Nel discorso di accettazione al Nobel, Faulkner dichiara che l’unica cosa che vale la pena scrivere è “il cuore umano in conflitto con se stesso”. Ha vissuto, scrivendo, quel conflitto. “Lottare dentro una storia, per salvarla in un significato” è la ragione per cui è così utile leggere Faulkner. Lo leggiamo perché ci porta nel cuore oscuro degli Stati Uniti, dentro una vergogna che non siamo riusciti a comprendere. Il passato – su questo Gorra e Faulkner convergono – “non è mai finito”. Certamente, non ancora.
Drew Gilpin Faust
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