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#raccolte di poesie italiane
giovithunder · 1 year
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Recensione di "Ti sfido ad amarmi" di Aurora Felici
“Non mi sentirò mai più bella se non sarai tu a guardarmi” L’amore non è sempre una cosa semplice. A essere onesti, forse non lo è quasi mai. Per questo, è importante leggere testi come “Ti sfido ad amarmi” di Aurora Felici, che ringrazio per essersi fidata di me e della mia capacità critica. Ti sfido ad amarmi è una raccolta di poesie che descrive i lati oscuri (e non solo) dell’amore. Nei suoi…
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Ora tutti fan di Caproni ma quanti riescono a dire il nome di 3 dei suoi album?
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carmenvicinanza · 2 years
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Gioconda Belli
https://www.unadonnalgiorno.it/parinoush-saniee/
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“Non c’è niente di più potente al mondo di una donna. Ecco perché ci perseguitano. Avanti!”
Gioconda Belli, scrittrice, giornalista e attivista nicaraguense.
Nei suoi libri esplora le vicissitudini politiche del suo paese e la lotta sandinista, il femminismo e l’emancipazione della donna, il rapporto tra l’America precolombiana e l’attuale Sud America. È anche autrice di diverse raccolte di poesie.
È nata a Managua, il 9 dicembre 1948 da una famiglia borghese di origini italiane che le ha consentito di perfezionare i suoi studi all’estero. Dopo la specializzazione in giornalismo a Filadelfia, è tornata in patria. Dal 1970 ha cominciato a pubblicare le sue poesie su diverse riviste letterarie del suo paese, ottenendo i primi riconoscimenti in ambito nazionale.
Nello stesso anno è entrata a far parte del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, di cui curava le relazioni internazionali.
Nel 1974 pubblica la sua prima raccolta di poesie Sobre la grama, cui fa seguito, nel 1978, Línea de fuego con cui vince il prestigioso premio Casa de las Américas che la consacra a livello internazionale.
Esiliata dal regime di Somoza va in Costa Rica nel 1976, continuando, a distanza, a sostenere la guerriglia, organizzava la rete dei rifugiati, lavorava a una rivista filosandinista e girava l’Europa per raccogliere fondi.
Tornata in Nicaragua, dopo la vittoria del Fronte, ha diretto la televisione di stato e occupato varie cariche all’interno del governo rivoluzionario, fino al 1994, quando ha lasciato la politica attiva per divergenze con il partito.
In concomitanza all’impegno politico, continuava il suo amore per la scrittura. Il grande successo è arrivato con il primo romanzo, La donna abitata, del 1988, tradotto in 14 lingue, ha venduto oltre un milione di copie. Nel libro, in parte autobiografico, leggenda e realtà si mescolano armonicamente attraverso la storia di due donne, vissute in epoche diverse, un’india che combatte contro i conquistadores e una donna moderna che vive sotto una feroce dittatura centroamericana, le cui vite si incontrano magicamente nell’amore e nella guerriglia.
Successivamente ha scritto numerosi altri romanzi, molti dei quali tradotti in varie lingue che le hanno fatto vincere diversi premi letterari. Il paese sotto la pelle è la sua autobiografia dell’epoca sandinista. Ha pubblicato anche libri per ragazzi e fiabe. Collabora con diversi giornali e riviste tra cui i quotidiani El Nuevo Diario e The Guardian.
Dal 1990 Gioconda Belli vive a Santa Monica, in California.
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#bibliotecasanvalentino
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ (a darci l'idea è stata @misstortellino con il suo progetto #indiebooks). La casa editrice di questo mese è: @rinaedizioni Buona lettura a tutti!
𝕋𝕚𝕡𝕚 𝕓𝕚𝕫𝕫𝕒𝕣𝕣𝕚 di Amalia Guglielminetti.
La raccolta di racconti “Tipi bizzarri” di Amalia Guglielminetti è il primo volume pubblicato dalla Rina Edizioni nella collana Libertarie, dedicata a riscoprire le opere delle scrittrici italiane vissute a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento e cadute, del tutto o in parte, nell’oblio. Le autrici selezionate sono donne particolari, anticonformiste, indipendenti e dallo spirito indomito. La stessa Guglielminetti amava definirsi “quella che va sola” e i suoi racconti non sono affatto dalla parte delle donne, anzi, mettono in evidenza i difetti del gentil sesso con un’ironia sferzante, che tende a ridicolizzare sia “la morale conformista che l’anticonformismo di maniera” come sottolinea Silvio Raffo nella prefazione al volume. Nei racconti non c’è alcun lieto fine, l’amore è irraggiungibile o ingannevole, i personaggi non sono né buoni né cattivi poiché sono i protagonisti della “commedia umana”.
Analizziamo alcuni dei racconti nel dettaglio: 📷"Tipi bizzarri", dal quale la raccolta prende nome, racconta le vicende della giovane, sedicente pittrice Edmea Serrani, che giudica degni della propria attenzione sentimentale solo i tipi bizzarri dai quali, però, riceverà cocenti delusioni, lasciandosi scappare l’unico uomo davvero innamorato di lei. 📷"Il sacro anello indù": per poter sfoggiare un anello ricevuto in dono dall’amante, Marcella Melac si serve di uno stratagemma che le si ritorcerà contro. 📷"La preda": il nobile e ingenuo conte Federico si lascia abbindolare da una giovane che egli ritiene pura e casta e che scoprirà, invece, essere molto “navigata”. 📷"La moglie timida": Olimpia, moglie innamorata e dimessa dell’avvocato Doria, scopre casualmente il tradimento del marito e si vendica a suo modo.
COSA MI È PIACIUTO Ho apprezzato molto le atmosfere e le descrizioni dei luoghi in cui i racconti sono ambientati, ville e appartamenti della nobiltà e dell’alta borghesia italiana dell’inizio del XX secolo.
COSA NON MI È PIACIUTO Spesso le raccolte di racconti mi lasciano con l’amaro in bocca e questa non fa eccezione: la narrazione, nel finale, viene spesso tranciata di netto; già dai primi paragrafi, se non addirittura dal titolo, ho indovinato il successivo svolgimento dei racconti; i personaggi sono quasi sempre sgradevoli, perché troppo ingenui, o troppo cinici e la lingua è estremamente ricercata tanto da risultare, a volte, poco comprensibile ad un lettore del XXI secolo.
L’AUTRICE Amalia Guglielminetti iniziò la sua carriera letteraria nel 1901, pubblicando poesie sul supplemento domenicale della “Gazzetta del Popolo”. Tra le sue raccolte poetiche ebbe notevole successo “Le vergini folli”. Ebbe una vita sentimentale piuttosto burrascosa. Tentò la carriera giornalistica a Roma con scarso successo e morì di setticemia nel 1941.
LA CASA EDITRICE Rina Edizioni nasce a Roma nel 2018 con l’intento di recuperare testi scritti da autrici italiane dimenticate nel tempo e di pubblicare opere di autrici straniere poco note in Italia.
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La “strana bottega” del poeta libraio
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Passeggiando per Trieste in una mattina d’autunno del 1919, Umberto Poli, in arte Umberto Saba, si fermò a osservare una bottega che non aveva mai notato prima: si chiamava “Libreria Antica e Moderna” e, nonostante occupasse alcune vetrine di un bel palazzo in una delle strade più vivaci della città, aveva in sé qualcosa di triste, tanto da sembrare al giovane poeta un “antro oscuro”, un luogo dove mai avrebbe desiderato trascorrere la propria esistenza. Tuttavia, forse per ironia della sorte, pochi giorni dopo Saba rilevava quella libreria dal precedente proprietario, Giuseppe Mayländer, investendovi il lascito ereditario ricevuto alla morte della zia Regina. L’acquistò pensando di svuotarne i locali e rivendere l’immobile, ma poi, ammaliato dall’insolita sensazione di pace che gli infondevano quei libri antichi, cambiò idea.  Consigliato dalla moglie Lina, e con l’aiuto di amici e soci come Giorgio Fano, Guido Voghera, Alberto Stock e il suo aiutante Carlo Cerne (il “Carletto” menzionato in tante poesie), giorno dopo giorno Saba divenne un vero libraio e trovò in quello stesso “antro oscuro” non solo una dignitosa fonte di guadagno ma anche un luogo sicuro in cui rifugiarsi dal mondo esterno.
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Cominciò allora a muovere i primi passi nella bibliofilia, imparando a orientarsi tra incunaboli ed edizioni aldine grazie alla guida di alcuni esperti antiquari, finché quella del libraio non divenne a tutti gli effetti un’attività che lo impegnava a tempo pieno: numerosi sono i cataloghi di vendita preparati e pubblicati dallo stesso Saba; ricorrenti sono i riferimenti alla “bottega” e ai suoi avventori nelle raccolte delle poesie che ricevettero la prima edizione proprio con i tipi della libreria, come “Cose leggere e vaganti” e “Il Canzoniere” (1921). 
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Presso le nostre biblioteche, di queste raccolte potete trovare edizioni successive alla prima: 1-U. Saba, Il canzoniere. 1900-1945, Roma, Einaudi, 1945; 2- U. Saba, Cose leggere e vaganti. L’amorosa spina, Milano, Mondadori, 1952 (I poeti dello “Specchio”).
Tra gli intellettuali che frequentavano la libreria c’era anche Bruno Pincherle, il medico pediatra triestino, collezionista e dilettante stendhaliano di cui ormai molti di voi avranno sentito parlare nei nostri post.  Pincherle incontrò Saba tra gli scaffali straripanti della “Libreria Antica e Moderna”: accomunati da una grande passione per la letteratura, entrambi provenienti da famiglie di religione ebraica ma entrambi lontani da ogni conformismo di tipo religioso, politico o sociale, Saba e Pincherle strinsero presto un’amicizia sincera, un legame che rimase ben saldo nonostante gli eventi e che li accompagnò fino alla fine.
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Umberto e Linuccia Saba a Bruno Pincherle. Cartolina illustrata da Chianciano, 27.08.1952 [MSS RSP 337]
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Umberto Saba a Bruno Pincherle. Cartolina, 27.02.1957 [MSS RSP 338]
Se Pincherle spesso confortava il poeta con le sue consulenze mediche, Saba contraccambiava aiutandolo nelle sue ricerche antiquarie. Fu grazie anche al suo aiuto, infatti, che Pincherle riuscì a raccogliere una straordinaria collezione di libri antichi e moderni che vertevano intorno all’amato Stendhal: edizioni settecentesche di guide delle più belle città italiane, testi di storia, opere di filosofia e di critica letteraria, edizioni in lingue diverse delle opere dello scrittore francese, ma anche manoscritti, carteggi e cimeli scovati sulle bancarelle degli antiquari, costituiscono ancora oggi il nucleo di una raccolta che non passò mai inosservata. Nel settembre del 1950, per esempio, al medico triestino fu chiesto di prestare alcuni dei suoi preziosi volumi alla mostra che si sarebbe tenuta durante le Giornate Stendhaliane di Parma, insieme a opere e manoscritti che provenivano dalle principali biblioteche europee. E ancora una volta fu il Saba libraio ad aiutare l’amico Pincherle, redigendo e firmando la perizia dei volumi da assicurare durante il periodo della mostra.
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U. Saba, Perizia di un manoscritto e di dieci opere a stampa di Stendhal di proprietà di Bruno Pincherle. 7 settembre 1950. [MSS RSP 299]
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1-Giornate Stendhaliane. Catalogo della mostra. Parma Settembre -Ottobre 1950, a cura di Angelo Ciavarella e Virginio Marchi, Parma 1950; 2-N. Franchi Poliaghi, Saba scrisse a Pincherle: "Tu mi hai fatto capire Stendhal". Lo scrittore francese nella raccolta dello studioso triestino (in "Gazzetta di Parma", 8 ottobre 1968, p. 3 [MSS RSP 746] 
Circa un mese fa, il 25 agosto, ricorrevano i 60 anni dalla scomparsa di Umberto Saba. Nel 2007 la Biblioteca Sormani lo ricordava con una mostra e un catalogo che mettevano in luce i periodici nei quali il poeta aveva scritto e pubblicato…questa volta, invece, vi lasciamo una sola immagine, un disegno di Bruno Pincherle tratto dalla biografia curata da Miriam Coen, che ci riporta nell’intimità della “Libreria Antica e Moderna”, con il dilettante studioso e il poeta libraio intenti a scovare rarità letterarie tra gli scaffali straripanti di volumi.  
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untitled42566 · 4 years
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A Fano primo incontro di Passaggi di Natale: Il silenzio azzurro di Silvia Vecchini e Sualzo
La scrittrice per ragazzi e uno dei maestri del fumetto italiano presentano il loro ultimo libro alla Mediateca Montanari mercoledì 4 dicembre, alle 18.30
FANO – Definiti nell’ambiente editoriale la coppia d’oro del fumetto, Silvia Vecchini e Antonio “Sualzo” Vincenti, marito e moglie nella vita, sono due artisti dalle esistenze ordinariamente straordinarie. Scrittrice lei, illustratore lui, da anni si occupano di catechesi dei bambini e dei ragazzi e di letteratura per l’infanzia.
“Nel silenzio azzurro. Preghiere dal Mondo” (Editoriale San Paolo), è il loro ultimo libro che verrà presentato nel primo dei cinque appuntamenti della terza stagione di Passaggi di Natale, lo spin off invernale del Festival della Saggistica Passaggi, mercoledì 4 dicembre alla Mediateca Montanari Memo di Fano alle 18.30 in un incontro condotto da Valeria Patregnani, direttrice del Sistema Bibliotecario fanese.
Un po’ libro, un po’ graphic novel, scritto per ragazzi ma perfetto per gli adulti, il libro è un’antologia di preghiere dal mondo con bellissime illustrazioni che nascono dal lavoro sulla dimensione spirituale del bambino che la Vecchini ha intrapreso prima nei suoi studi universitari e poi sul campo, attraverso corsi nelle librerie e, da quest’anno, nella veste di insegnante di religione nelle scuole primarie.
Silvia Vecchini, classe 1975, ha iniziato progettando materiali didattici per musei, nel 1999 ha pubblicato il suo primo libro di poesie che ha vinto il premio Diego Valeri come opera prima, ha curato progetti editoriali, collane e testi scolastici per diverse case editrici.
Dal 2000 scrive per bambini e ragazzi libri tattili, storie illustrate per i più piccoli, prime letture, libri che raccontano opere d’arte, romanzi per ragazzi, raccolte di poesie e fumetti. Circa quindici anni fa Silvia e suo marito hanno deciso di cominciare a lavorare insieme. Sualzo – nome d’arte che deriva dal termine con cui i pescatori del Trasimeno, dove la coppia vive, chiamano lo svasso maggiore, un uccello palustre a cui i locali attribuiscono doti magiche – è autore e illustratore per le maggiori case editrici italiane e negli ultimi anni si è occupato anche di formazione sul fumetto per studenti e insegnanti con seminari, workshop e convegni. Insieme a Silvia Vecchini è autore tra l’altro di “Fiato sospeso” (Tunué) che ha vinto il premio Boscarato e il premio Orbil Balloon nel 2013 come miglior fumetto per bambini e ragazzi.
Passaggi di Natale è ideato e diretto da Giovanni Belfiori e promosso da Passaggi Cultura, con il patrocinio e contributo degli assessorati del Comune di Fano agli Eventi e Sviluppo Turistico, alla Cultura, alle Biblioteche, col sostegno di Enoteca Biagioli, Osteria Il Chiostro, Pietrelli Porte, Been Concept Store, Pasta Montagna, in collaborazione con Librerie Coop e Università di Camerino; media partner nazionale La Lettura, media partner locale Radio Fano, partner tecnici Fondazione Teatro della Fortuna, Casarredo e Agenzia Comunica.
Prossimi appuntamenti di Passaggi di Natale:
– “Fano – Passaggi in Città” (Passaggi Cultura – Grafiche Ripesi Editore), a cura di Ippolita Bonci Del Bene, mercoledì 11 dicembre, Memo ore 18.30.
– Monica Guerritore autrice di “Quel che so di lei. Donne prigioniere di amori straordinari” (Longanesi), venerdì 13 dicembre, Teatro della Fortuna ore 18.30.
– Valentina Dallari autrice di “Non mi sono mai piaciuta” (Piemme), lunedì 16 dicembre, Memo ore 18.30.
– Carmine Abate autore di “L’albero della Fortuna” (Aboca Edizioni), sabato 21 dicembre, Memo ore 18.30.
www.passaggifestival.it
  A Fano primo incontro di Passaggi di Natale: Il silenzio azzurro di Silvia Vecchini e Sualzo A Fano primo incontro di Passaggi di Natale: Il silenzio azzurro di Silvia Vecchini e Sualzo…
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tmnotizie · 4 years
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FANO – Definiti nell’ambiente editoriale la coppia d’oro del fumetto, Silvia Vecchini e Antonio “Sualzo” Vincenti, marito e moglie nella vita, sono due artisti dalle esistenze ordinariamente straordinarie. Scrittrice lei, illustratore lui, da anni si occupano di catechesi dei bambini e dei ragazzi e di letteratura per l’infanzia.
“Nel silenzio azzurro. Preghiere dal Mondo” (Editoriale San Paolo), è il loro ultimo libro che verrà presentato nel primo dei cinque appuntamenti della terza stagione di Passaggi di Natale, lo spin off invernale del Festival della Saggistica Passaggi, mercoledì 4 dicembre alla Mediateca Montanari Memo di Fano alle 18.30 in un incontro condotto da Valeria Patregnani, direttrice del Sistema Bibliotecario fanese.
Un po’ libro, un po’ graphic novel, scritto per ragazzi ma perfetto per gli adulti, il libro è un’antologia di preghiere dal mondo con bellissime illustrazioni che nascono dal lavoro sulla dimensione spirituale del bambino che la Vecchini ha intrapreso prima nei suoi studi universitari e poi sul campo, attraverso corsi nelle librerie e, da quest’anno, nella veste di insegnante di religione nelle scuole primarie.
Silvia Vecchini, classe 1975, ha iniziato progettando materiali didattici per musei, nel 1999 ha pubblicato il suo primo libro di poesie che ha vinto il premio Diego Valeri come opera prima, ha curato progetti editoriali, collane e testi scolastici per diverse case editrici. Dal 2000 scrive per bambini e ragazzi libri tattili, storie illustrate per i più piccoli, prime letture, libri che raccontano opere d’arte, romanzi per ragazzi, raccolte di poesie e fumetti.
Circa quindici anni fa Silvia e suo marito hanno deciso di cominciare a lavorare insieme. Sualzo – nome d’arte che deriva dal termine con cui i pescatori del Trasimeno, dove la coppia vive, chiamano lo svasso maggiore, un uccello palustre a cui i locali attribuiscono doti magiche – è autore e illustratore per le maggiori case editrici italiane e negli ultimi anni si è occupato anche di formazione sul fumetto per studenti e insegnanti con seminari, workshop e convegni.
Insieme a Silvia Vecchini è autore tra l’altro di “Fiato sospeso” (Tunué) che ha vinto il premio Boscarato e il premio Orbil Balloon nel 2013 come miglior fumetto per bambini e ragazzi.
Passaggi di Natale è ideato e diretto da Giovanni Belfiori e promosso da Passaggi Cultura, con il patrocinio e contributo degli assessorati del Comune di Fano agli Eventi e Sviluppo Turistico, alla Cultura, alle Biblioteche, col sostegno di Enoteca Biagioli, Osteria Il Chiostro, Pietrelli Porte, Been Concept Store, Pasta Montagna, in collaborazione con Librerie Coop e Università di Camerino; media partner nazionale La Lettura, media partner locale Radio Fano, partner tecnici Fondazione Teatro della Fortuna, Casarredo e Agenzia Comunica.
Prossimi appuntamenti di Passaggi di Natale:
– “Fano – Passaggi in Città” (Passaggi Cultura – Grafiche Ripesi Editore), a cura di Ippolita Bonci Del Bene, mercoledì 11 dicembre, Memo ore 18.30.
– Monica Guerritore autrice di “Quel che so di lei. Donne prigioniere di amori straordinari” (Longanesi), venerdì 13 dicembre, Teatro della Fortuna ore 18.30.
– Valentina Dallari autrice di “Non mi sono mai piaciuta” (Piemme), lunedì 16 dicembre, Memo ore 18.30.
– Carmine Abate autore di “L’albero della Fortuna” (Aboca Edizioni), sabato 21 dicembre, Memo ore 18.30.
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calabriawebtvcom · 6 years
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Oggi è la Giornata Mondiale del Caffè
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Oggi è la Giornata Mondiale del Caffè
La tazzina perfetta si celebra a ritmo di poesia. In occasione della Giornata Mondiale del Caffè di lunedì 1° ottobre, il caffè viennese dei poeti Julius Meinl ci invita a lasciare in tasca per qualche minuto il nostro smartphone, e a riscoprire l’autenticità degli incontri offline con l’aiuto di carta e penna. Si chiama infatti “Meet with a Poem” l’iniziativa che per l’intera giornata terrà banco in numerose caffetterie italiane Julius Meinl, segnalate sul portale ufficiale del marchio: gli amici che decideranno di dedicarsi reciprocamente un verso o una poesia riceveranno in cambio un caffè in omaggio, mentre chi è solo potrà lasciare un caffè e un verso “sospeso” regalando il tutto a un fortunato sconosciuto.
Le 10 poesie più belle raccolte in questo modo saranno poi trasformate in canzoni. Ma non solo: per chi vive nei dintorni di Milano, Firenze e Verona sarà possibile candidarsi anche per un esclusivo Poetry Party a base di musica live, postando il proprio componimento in anteprima sui social con gli hashtag #MeetWithAPoem e #PoetryForChange. Gli autori dei cinque versi più emozionanti riceveranno così un invito per due persone per partecipare a un esclusivo evento del “Meet with Poem” tour nella propria città.
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groennuuk · 7 years
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Raccolta di margherita, Margarita García Alonso, poesia, editor/ Traduzione Diego Dal Medico, (Italian Edition) Edizioni Saltilibro, 2017
Margarita García Alonso, poetessa, scrittrice, giornalista, artista visiva cubana, vive dal 1992 in Francia. Autrice di quattordici raccolte di poesia e di due romanzi. Traduzione: Diego Dal Medico, editor italiano a Venezia.
Margarita García Alonso è una poetessa di luce che costruisce i testi in base all’impatto visivo delle parole. La sua opera interroga le cause originarie della provocazione, dell'intensità e della bellezza contemporanea: un valido motivo per leggere le poesie di Margarita, pubblicate per la prima volta in Italia.Ci auguriamo che con questo libro inizi la traduzione integrale del suo proficuo ed eccellente lavoro.
Margarita García Alonso è nata a Matanzas, Cuba. Dal 1992 vive in Normandia, Francia. Ha pubblicato le raccolte di versi: 'Sustos de muchacha', (Edizioni Vigía, 1988); 'Cuaderno del Moro', (Edizioni Letras Cubanas, 1990); 'Maldicionario', 'Mar de la Mancha', 'La aguja en la manzana', 'La costurera de Malasaña', 'Cuaderno de la herborista', 'El centeno que corta el aire', 'Breviario de margaritas', 'Cuaderno de la vieja negra' e 'Zupia', (Edizioni Hoy no he visto el paraíso); ‘El centeno que corta el aire”, (Edizioni Betania, 2013).
Autrice di romanzi: 'Amarar', (2012) e 'La pasión de la reina era más grande que el cuadro' (2014). Ha illustrato il primo libro di José Lezama Lima: “Lezamillos habitados". Ha anche scritto opere per i bambini: 'Garganta', 'Señorita No y señora sí'. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari e come pittrice. A Cuba è stata direttrice del settimanale culturale "Yurumi" ed editrice della Casa de las Americas. Ha fondato e diretto dal 2009 le Edizioni Hoy no he visto el paraíso.
Edizioni Saltilibro. Traduzione: Diego Dal Medico, editor italiano a Venezia
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pangeanews · 4 years
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Arthur Rimbaud, il poeta che superò se stesso fino ad annientarsi
Anzi tutto, il fuoco. Ovunque. Un incendio. “Il poeta è veramente ladro di fuoco”, scrive Arthur Rimbaud, è il 15 maggio 1871, all’amico Paul Demeny. Proprio a lui, neanche un mese dopo, il 10 giugno, chiederà di verificare nel fuoco i versi che gli ha consegnato, “bruci, lo voglio… bruci tutti i versi che fui abbastanza stupido da darle”. L’opera va raffinata nel fuoco: da Virgilio a Kafka, transitando per Rimbaud, ignifugo alla vecchiaia, è lì l’ogiva dell’enigma. Il creatore vuole infuocare la creazione: gli sopravvivrà? Le ustioni della Stagione all’inferno, le braci, i bagliori e le comete delle Illuminazioni: Rimbaud, un incendio, incenerisce la grammatica per forgiare l’inaudito (“l’opera non risponde a una tipologia fissa né trova riscontri nei modelli letterari del tempo” è scritto di Une saison en enfer; opera “quasi senza retorica e senza legami” di “un poeta del tutto indipendente” sono le Illuminations secondo Jules Laforgue). Un certo disinteresse verso la fama, la sfiducia nei posteri, una insicura violenza, la violazione di ogni gineceo letterario, l’insoddisfazione, sono caratteri poetici distintivi di Rimbaud. Egli guarda alla letteratura – anche alla propria – e vede stagioni aride, campi bruciati, estasi disseccate. Rimbaud è l’estate, lo sfinimento, lo sfogo della fenice. “Non godette di fama durante la sua attività letteraria… perché si disinteressava del suo lavoro, avendo più volte superato o rinnegato alcune fasi del proprio percorso”; “L’insoddisfazione è al cuore del lavoro poetico di Rimbaud, e forse della sua stessa vita. Nasce dalla difficoltà di raggiungere obbiettivi troppo esigenti, ma anche dai continui mutamenti di questi ultimi. Essa è conseguenza di un costante bisogno di superarsi, e di misurarsi con le proprie forze”, scrive Olivier Bivort, professore di Letteratura francese a “Ca’ Foscari”, che ha curato l’edizione delle Opere di Rimbaud appena edita da Marsilio (la traduzione è di Ornella Tajani). Continua ad avere una urgenza primordiale, Rimbaud, tocca la cruna della fame, queste Opere sono una torcia per torchiare le resistenze della nostra anima (“Sul pendio della scarpata gli angeli fanno roteare le vesti di lana fra i pascoli d’acciaio e di smeraldo”). D’altronde, il fuoco non chiede, accade – e non condivide la biliosa distanza tra alba e tramonto, lega le cose, frantumandole. Il formato di questa edizione è perfetto, la dedizione accuratissima: potete stiparlo nella giacca e andare alla conquista del mondo, per perdervi e ritrovarti, chissà dove. (d.b.)
Domanda preliminare. Mi riassuma in cosa consiste la ‘novità’ di questa edizione delle Opere di Rimbaud, e la necessità di una ritraduzione. 
L’ultima edizione italiana delle opere risale al 1992, ed è esaurita (tra l’altro non era del tutto originale: si trattava della traduzione/adattamento delle opere complete per la “Bibliothèque de la Pléiade” francese, a cura di Antoine Adam, risalente al 1972). Le edizioni delle opere “complete” (nessuna, tranne la ‘Pléiade’ Einaudi è realmente completa) disponibili nel catalogo italiano sono ancora più datate: Margoni (Feltrinelli) è del 1963, Bona (Einaudi) del 1973, Grange Fiori (Mondadori) del 1975, Bellezza (Garzanti) del 1983… Passati quaranta anni e più, non solo è cambiata la struttura dell’opera, ma anche le prospettive critiche che la animano. Diamo oggi al lettore italiano la possibilità di leggere tutte le poesie di Rimbaud (compresi i versi latini, i pastiches o i versi «osceni», una parte importante della corrispondenza, ma anche gli ultimi testi scoperti recentemente (Il sogno di Bismarck, la lettera a Andrieu), per la prima volta presentati in Italia. Rispetto ai commenti delle edizioni precedenti, generalmente fondati su due edizioni francesi di riferimento (quella di Suzanne Bernard del 1960, quella di Adam del 1972), il nostro lavoro prende in conto gli ultimi sviluppi critici, particolarmente vivi dagli anni Novanta in poi, ma senza imporre una griglia interpretativa preconcetta: abbiamo cercato di dare strumenti di lettura atti a favorire la comprensione dei testi, proponendo una lettura articolata di ogni componimento, confrontando i testi nell’ambito dell’opera complessiva e evitando forzature ermeneutiche di tipo biografica/simbolica/psicanalitica ecc. Il testo rimane sempre al centro del nostro commento. La nostra edizione fornisce anche tutte le garanzie filologiche legate a un’opera rimasta quasi interamente manoscritta: il testo di ogni componimento è stato verificato sui manoscritti e una breve (ma completa) descrizione di tutte le versioni esistenti, corredata dall’indicazione dei facsimile disponibili, è posta a capo di ogni commento. Infine, abbiamo scelto di strutturare l’opera seguendo un criterio cronologico, onde evitare forzature nell’aggregare i componimenti secondo immaginarie “raccolte” mai previste dall’autore, come si è verificato in alcune edizioni francesi recenti. Per quante numerose, le traduzioni italiane esistenti sono fortemente legate al periodo storico al quale appartengono, e risentono di un’impostazione linguistica propria del linguaggio poetico italiano (e non solo della versificazione, qualora le poesie vengono adattate alle forme metriche italiane): abbiamo voluto dare voce a Rimbaud in italiano, conservando i tratti formali che ne costituiscono l’originalità in francese (senza piegarli all’uso comune italiano): laddove Rimbaud risultasse prosaico, tecnico o addirittura volgare, laddove la sua sintassi risultasse ellittica o al limite della grammaticalità, ci è sembrato giusto che il lettore italiano né cogliesse la singolarità. Il risultato è un Rimbaud rinfrescato, le cui innovazioni appaiono chiaramente nella traduzione (vedi la Nota alla traduzione di Ornella Tajani).
Nella sua introduzione sottolinea l’“orfanità primordiale”, l’eterna rincorsa nel gorgo della vita, “l’insoddisfazione… al cuore del lavoro poetico di Rimbaud”. Pare che Rimbaud scriva annientando. Qual è il carattere prioritario dell’opera di Rimbaud e quale la poesia che, a rileggerla, la ha entusiasmata, con rinnovata forza?
Non mi pare ci sia un “carattere primordiale” nell’opera di R: è così diversificata, così rapida nel ricostruirsi mesi dopo mesi… Ho voluto insistere sul fatto che è portata da una forza singolare per cui il poeta tende costantemente a superare se stesso e a distinguersi dai modelli del suo tempo (si potrebbe riassumere con la formula della lettera del “Veggente”: “la poésie sera en avant”); d’altro canto, questo sforzo immane cozza contro l’insoddisfazione e il sentimento del fallimento, proprio a chi non si arrende mai, non si accontenta mai: ne risulta una poesia in tensione, sempre in procinto di disfarsi, di annientarsi (tranne nei primi versi, forse, quando il ragazzo si esalta ancora davanti alle sue creazioni). È la via seria della letteratura, quella, dell’ostacolo e del rifiuto del proprio compiacimento; impresa non sopportabile a lungo, di cui, forse, l’esaurimento. Per quanto mi riguarda (ma non ha evidentemente nessuna importanza dal punto di vista critico), mi meraviglio sempre leggendo i versi del 1872.
La poesia di Rimbaud, l’insurrezione parigina del marzo 1871: quanto nell’opera del poeta influisce l’utopia, la ‘politica’, il desiderio di una società nuova, da raccontare con una poesia ‘altra’?
Di carattere ribelle e indipendente, R ha trovato negli ideali della Comune una possibile risposta al proprio desiderio (o impulso) di cambiamento sociale e umano: ricordiamo il contesto familiare e provinciale in cui è cresciuto, cattolico e borghese, oggetto di un suo rigetto permanente. Che poi la possibilità di una poesia “nuova” si sia sviluppata in un clima di grande mutamento politico, è in gran parte vero (vedi le lettere del veggente, datate proprio maggio 1871), ma non ne farei una diretta conseguenza: egli non si è dato alla letteratura militante, e la sua azione si fonda soprattutto su un rifiuto dell’ordine (di qualsiasi ordine), e su aspirazioni idealistiche di armonia universale. Non è un filosofo, non è un ideologo, non è un sociologo: è un poeta assoluto (l’aggettivo è di Verlaine) che sogna di toccare le corde essenziali del desiderio, e di sperimentare in prima persona tutte le vie d’accesso alla perfezione, compresa quella rivoluzionaria.
Mi colpisce sempre un aspetto: i poeti che hanno fondato la lirica del proprio e dei tempi a venire, non hanno pubblicato, o sono stati indifferenti alla fama. Penso a Friedrich Hölderlin, a Emily Dickinson, a Rimbaud, che chiede all’amico Paul Demeny di ardere i versi che gli ha donato. Sembra la Storia neghi la voce al poeta. Quanto è stato importante Verlaine perché di Rimbaud restasse memoria? 
Non è azzardato affermare che, senza Verlaine, la nostra conoscenza dell’opera di Rimbaud sarebbe molto limitata. Non solo perché Verlaine conservava numerosi componimenti di Rimbaud, sia autografi sia copiati, ma perché egli si adoperò per salvaguardare la memoria dell’amico, raccogliendo testi sparsi, e curandone le prime edizioni: le Illuminations nel 1886, le Poésies complètes nel 1895. Basti pensare che la poesia più celebre di Rimbaud, Le Bateau ivre, ci è giunta solo grazie a una copia fatta da Verlaine nel 1871; basti ricordare che l’autore dei Poètes maudits era stato il depositario del manoscritto delle Illuminations, o che la Saison en enfer fu ristampata nel 1886 proprio grazie alla copia che Rimbaud, nel 1873, gli aveva dedicata. Ma Verlaine fu anche il primo “critico” di Rimbaud, contribuendo non poco a fissare l’immagine del genio adolescente che imperversa tutt’ora. Malgrado i diverbi e i colpi di rivoltella, il ricordo degli anni passati assieme e l’impareggiabile qualità degli scritti di Rimbaud hanno spinto Verlaine a difenderne e a promuoverne l’opera, intervenendo a più riprese nella stampa per correggere errori, denunziare falsi o pubblicare versi appena riscoperti.
Comincia l’introduzione citando Papini che esalta Rimbaud: d’altronde Soffici, nel 1911, scrive la biografia del poeta francese. Che ruolo ha avuto Rimbaud nella poesia italiana, che pure non ha avuto ‘un Rimbaud’?
Forse si potrebbe riconoscere in Campana un Rimbaud italiano, anche se, a parer mio, non ha molto senso ricercare equivalenti nazionali nel campo dell’arte. Ciononostante, c’è stato molto presto un interesse per Rimbaud (e per i cosiddetti poeti simbolisti francesi) in Italia: si pensi all’azione di Vittorio Pica, già a metà degli anni 1880: è a Pica, ad esempio, che si deve il primo commento a Voyelles! Ma è una voce isolata: la polemica antidecadente che si manifesta in Italia ha dalla sua parte importanti critici come Arturo Graf, che condanna ad esempio la “vacuità” della poesia francese. Due mi sembrano i principali motivi che spiegano il manifestarsi tardivo di una modernità poetica pari a quella francese in Italia: da una parte, il fatto che la poesia italiana sia stata molto più a lungo di quella francese ligia ai dettami normativi: solo con d’Annunzio e Pascoli si vedono i segnali di una certa autonomia formale. D’altra parte, la volontà di costituire una letteratura nazionale e civilmente responsabile dopo il Risorgimento ha probabilmente frenato in Italia la costituzione di una poesia fortemente individualistica come quella francese. Sicché la ricezione italiana “positiva” dell’opera di Rimbaud risulta assai tardiva: è frutto delle avanguardie storiche e in particolare degli scrittori fiorentini operanti nella “Voce” e in “Lacerba” alla vigilia della prima guerra mondiale. Aggiungiamo che, dal punto di vista critico poi, l’impronta di Croce (ostile al simbolismo e all’idea di poesia “pura”) ostacolerà in Italia la pratica di una tale poesia.
“Io è un Altro”; “sfasamento di tutti i sensi”: come dobbiamo intendere le ‘regole’ poetiche di Rimbaud? L’interpretazione ha dato esiti disparati: dalla lettura di un Bonnefoy a quella di Patti Smith a quella dei ‘maledetti’ della domenica. Intendo: la leggenda di Rimbaud, a tratti, ha vampirizzato Rimbaud. 
Le affermazioni di R sulla poesia in generale e sulla sua in particolare vanno esaminate nel contesto in cui vengono fatte, e non utilizzate à tort et à travers come formule passe-partout: il nostro ha il dono e il piacere della formula, è evidente, ma il suo è un itinerario così stringente e così mutevole che esse hanno un significato limitato e si riferiscono a principi le cui applicazioni vanno verificate puntualmente nei testi: non si può ignorare, ad esempio, che il programma delle “lettere del veggente” sia interamente prospettico, o che i giudizi espressi in “Alchimie du verbe” siano, invece, tutti rivolti a una situazione passata. Nel 2013, è stato organizzato a Venezia un convegno proprio su quell’argomento (Rimbaud poéticien, Classiques Garnier, 2015). Quanto all’impatto della “leggenda”, penso sia inevitabile: dura da decenni (vedi l’indispensabile libro di Etiemble: Le Mythe de Rimbaud, già nel 1954!) e non accenna a diminuire: la nostra è un’epoca di icone, di “influencer” ma, per fortuna, Patti Smith non è Chiara Ferragni!
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tmnotizie · 5 years
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SAN BENEDETTO – Sabato 17 novembre 2018, alle ore 10, presso l’Auditorium “G. Tebaldini” si terrà il XIX Festival Internazionale della Poesia, promosso dal Circolo Riviera delle Palme di San Benedetto del Tronto. E’ il primo appuntamento della nuova edizione del Festival che culminerà nell’estate 2019 e avrà per tema “L’infinito”.
Saranno presenti importanti autori nazionali e internazionali, che interverranno sul tema con testi editi, inediti e appositamente composti per l’occasione: Davide Rondoni (poeta), Moira Egan (poetessa), Damiano Abeni (traduttore), Rossella Frollà (critica e poetessa), Nicola Bultrini (poeta e saggista).
Interverranno il Presidente del Circolo Riviera delle Palme, il poeta Leo Bollettini, il sindaco Pasqualino Piunti, l’assessore alla Cultura Annalisa Ruggieri ed il presidente del FAI Regione Marche Alessandra Stipa. Saranno presenti autorità locali e rappresentanti di istituzioni, associazioni, scuole e imprese del territorio.
Coordinerà e presenterà l’evento il nuovo direttore artistico del Festival, il poeta Claudio Damiani, accompagnato dall’attrice Marina Benedetto.
Il tema scelto fa riferimento alla famosa poesia di Leopardi l’infinito, di cui ricorre tra poco il bicentenario della composizione ma anche al concetto di “infinito” in generale e nelle sue varie declinazioni scientifiche, filosofiche ecc.
Con l’occasione verrà presentato il Certamen, gara di poesia (anch’essa sul tema dell’infinito) rivolta agli studenti e ai cittadini del territorio nazionale ma anche di autori stranieri, che culminerà a dine estate 2019 con la lettura pubblica dei testi selezionati e la premiazione del vincitore.
Tra la prima tappa (17 novembre 2018) e l’ultima (settembre 2019) si prevedono tappe intermedie, eventi di poesia, riflessioni e approfondimenti sul tema, a cura del Circolo Riviera delle Palme e di altre associazioni e istituzioni. Nelle scuole del territorio saranno avviati progetti specifici di laboratorio poetico che guideranno gli studenti nella produzione dei testi destinati al Certamen. Oltre ai giovani, l’iniziativa è destinata anche a adulti e anziani, e a questo riguardo verrà coinvolta anche l’Università della Terza Età di Ascoli Piceno.
Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Rignano Flaminio nei pressi di Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi,  2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì, Premio Elena Violani Landi), Cieli celesti (Fazi, 2016, Premio Tirinnanzi).
Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010  (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum). Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Tra i volumi curati: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000).  E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e, nel 2013, di  Viva, una rivista in carne e ossa. Suoi testi sono stati letti in pubblico da attori come Nanni Moretti e Piera Degli Esposti, e tradotti in varie lingue. Ha pubblicato i saggi La difficile facilità.
Appunti per un laboratorio di poesia, Lantana Editore, 2016, L’era nuova. Pascoli e i poeti di oggi, Liber Aria Edizioni, 2017 (con Andrea Gareffi) e recentemente, con Arnaldo Colasanti, La vita comune. Poesie e commenti, Melville Edizioni, 2018.
Davide Rondoni è nato a Forlì nel 1964. Tra i suoi libri di poesia: La frontiera delle ginestre (1985), O les invalides (1988), A rialzare i capi pioventi (1991), Nel tempo delle cose cieche (1995), Il bar del tempo(1999), Avrebbe amato chiunque (2003), Compianto, vita (2004), oltre a numerose altre opere in versi per la scena o dedicate ad opere d’arte, come Il veleno, l’arte (2005), Vorticosa, dipinta (2006) e Dalle linee della mano (2007). Ha tradotto I fiori del male di Baudelaire (1995) e Una stagione all’inferno di Rimbaud (1997). Per la saggistica letteraria e di intervento: Non una vita soltanto (2001), La parola accesa (2006), Il fuoco della poesia (2008). Ha curato diverse antologie ed è autore di testi teatrali e di programmi televisivi.
Editorialista di alcuni quotidiani, opinionista di Avvenire, è stato critico letterario nel supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore. Saltuariamente pubblica sul Corriere della Sera. Dirige le collane di poesia di Marietti e Il Saggiatore, la rivista «clanDestino» e il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna.
Moira Egan è nata a Baltimora (USA). Suoi lavori sono apparsi in molte riviste statunitensi e internazionali, e in diverse antologie, tra cui Best American Poetry 2008, e in traduzione su Nuovi Argomenti, Poesia, e Lo Straniero. I suoi libri sono HotFlash Sonnets (Passager Books, 2013); Spin (Entasis, 2010); Bar Napkin Sonnets (The Ledge, 2009); La Seta della cravatta/TheSilk of the Tie (Edizioni l’Obliquo, 2009); e Cleave (WWPH,  2004).Con Italic peQuod ha pubblicato Strange Botany / Botanica arcana (2014) e Olfactorium (2018). Con Damiano Abeni ha pubblicato numerosi libri di traduzioni in Italia (tra gli autori ricordiamo John Ashbery, Aimee Bender, Lawrence Ferlinghetti, John Barth, Anthony Hecht, Mark Strand). Sue traduzioni da poeti italiani, realizzate a quattro mani con Abeni, sono pubblicate su numerose riviste negli USA e alcune sono raccolte nello FSG Book of 20th Century Italian Poetry (2012) e nel volume di Patrizia Cavalli My Poems Will Not Change the World (FSG, 2013).
Moira Egan ha ricevuto fellowship da prestigiose istituzioni quali la Mid Atlantic Arts Foundation; il Virginia Center for the Creative Arts; il St. James Cavalier Centre for Creativity a Malta; il Civitella Ranieri Center; la Rockefeller Foundation, Bellagio Center; la James Merrill House.
Damiano Abeni è nato a Brescia nel 1956. Ha pubblicato un centinaio di libri tradotti dall’inglese, la maggior parte dei quali dedicati a poeti nord-americani quali Mark Strand, John Ashbery, Charles Simic, Elizabeth Bishop e, tra i più recenti, a Charles Wright, Ben Lerner, Moira Egan, Frank Bidart e Anthony Hecht. Collabora con diverse case editrici e riviste letterarie. È tra i redattori di “Nuovi Argomenti” e della rivista online “Le Parole e Le Cose”. Ha ricevuto una fellowship del Liguria Study Center for the Arts nd Humanities (Bogliasco Foundation, 2008) e una delle Rockfeller Foundation Fellowship (Bellagio, 2010).
Nel 2009 è stato Director’s Guest presso il Civitella Ranieri Center. È cittadino onorario per meriti culturali di Tucson, Arizona, e di Baltimore, Maryland. Recentemente, parte di sé ha pubblicato “from the dairy of jonas & job, inc., pigfarmers” [ikonaLiber, Roma, 2017], tradotto a fronte in italiano da un’altra parte di sé.
Rossella Frollà è nata nelle Marche a San Benedetto del Tronto, dove vive. Si è laureata presso l’Università Carlo Bo di Urbino. Animata da grande curiosità intellettuale vive molteplici esperienze lavorative giovanili nel settore della ricerca sociale e della comunicazione prima di approdare alla critica letteraria e alla poesia. Nel 2012 pubblica con Interlinea Il Segno della parola, Poeti italiani contemporanei e si afferma come nome nuovo nel panorama della critica letteraria.
Sempre nello stesso anno riceve il premio Alpi Apuane per la poesia inedita. Nel 2015 pubblica con Interlinea  la sua prima opera poetica Violaine  e nel 2017 Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria. Oggi fa della poesia la sua nuova frontiera di impegno umano e culturale. Scrive per Pelagos e altre riviste letterarie on-line.
Nicola Bultrini è nato nel 1965 a Civitanova Marche, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato le raccolte di versi La specie dominante (Aragno 2014), La coda dell’occhio (Marietti 2011),  I fatti salienti (Nordpress 2017), Occidente della sera (nell’VIII Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea – Marcos y Marcos 2004). Scrive per il quotidiano Il Tempo e collabora con altre testate (tra cui la rivista Poesia).
È presente nell’antologia Sulla scia dei piovaschi poeti italiani tra due millenni (Archinto 2015). Come studioso della Prima Guerra Mondiale ha pubblicato vari saggi, tra cui La grande guerra nel cinema (Nordpress 2008), Pianto di pietra – la grande guerra di Giuseppe Ungaretti (Nordpress 2007), Gli ultimi – i sopravvissuti ancora in vita raccontano la grande guerra (Nordpress 2005). Da anni è ideatore e animatore di eventi culturali.
Marina Benedetto è nata a Roma, si è diplomata a Parigi presso la scuola d’arte drammatica Théâtre Ecole du Passage e ha conseguito la License in Etudes Théâtrales presso l’Università Sorbonne Nouvelle – Paris III. Come attrice ha recitato a teatro in Francia e in Italia con numerosi registi tra i quali Gil Galliot, Eloi Recoing, Grégoire Ingold, Jean-Claude Fall, Lisa Wurmser, Alessandro Marinuzzi; al cinema ha interpretato piccoli ruoli con Francesca Comencini,Giancarlo Bocchi, Mario Martone, Paolo Franchi; in televisione con Betta Lodoli, Claudio Casale. Lavora come acting coach e dialogue coach al cinema, occupandosi di attori italiani e stranieri tra i quali Valerio Mastandrea, Elio Germano, Juliette Binoche, Fanny Ardant, Barbora Bobulova, Anne Parillaud, Ksenja Rappoport, Emmanuelle Devos.
Insegnante di dizione e recitazione, ha tenuto numerosi laboratori di formazione dell’attore. Ha doppiato e/o diretto il doppiaggio d’innumerevoli programmi televisivi per Canal Plus, di cui ha preparato l’adattamento dal  francese all’italiano. Ha curato il sottotitolaggio di documentari, film, e di pièces teatrali per la regia di Peter Brook e Irina Brook. Appassionata di poesia ha tradotto dal francese e dallo spagnolo vari autori (tra questi Claribel Alegría e Aurélia Lassaque) e ha recitato in numerose letture pubbliche.
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pangeanews · 6 years
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“Mi sento avulso dalla mia generazione e dal mio tempo”: sulla poesia di Carlo Tosetti
Con questa intervista Gabriele Galloni prosegue per “Pangea” la rubrica “Sentinelle”, un regesto della poesia italiana contemporanea, che spesso va cercata nei luoghi ignoti. Il tentativo è quello di far parlare i poeti del proprio lavoro, di esporne le ispirazioni.
*
Carlo Tosetti (Milano, 1969), vive a Brivio (LC). Ha pubblicato le raccolte: Le stelle intorno ad Halley (LibroItaliano, 2000), Mus Norvegicus (Aletti, 2004), Wunderkammer (Pietre Vive, 2016). Suoi scritti e recensioni sono presenti sulle maggiori riviste letterie italiane. Collabora con Poetarum Silva.
Wunderkammer (Pietre Vive, 2016). Camera delle meraviglie, appunto. Ma anche luogo di ribrezzo, talvolta, e di orrore. Raccontaci il libro. Il concepimento, l’evoluzione, il percorso.
Il libro non è nato sulla base di un preciso progetto. Nel 2004, deluso dall’ambiente della poesia, mi ero “ritirato”. Lo virgoletto, perché non ero certo famoso e nessuno, tranne il sottoscritto, se ne accorse (questa precisazione sembra una parodia di Wilcock). Non ho mai smesso, però, di scrivere e dieci anni dopo, dietro insistenza di un caro amico, ho raccolto le poesie ritenute migliori per cercare di farle pubblicare. Fondamentale è stato l’ottimo lavoro dell’editore (Antonio Lillo). Io disponevo di una sequenza di poesie, le quali, seppur accodate in un ordine coerente, risultavano lontanissime dal gusto imperante, il che, lecitamente, per un editore non è una buona premessa… Debbo a lui l’intuizione della Wunderkammer quale struttura del libro e sua è anche la richiesta di inserire delle brevi prose, per alleggerire la lettura. Si è rivelato un incontro fortunato, il nostro, e per entrambi… credo! Così, con qualche timore, il libro è stato pubblicato ed è andato bene; sono soddisfatto. Non ho vinto alcun premio (questa è una questione delicata da trattare), ma molte sono state le recensioni positive e le reazioni entusiastiche. Insomma, seppur da una posizione defilata, credo di essere stato apprezzato, malgrado la proposta non sia digeribile per tutti. Le poesie, quindi, sono nate senza un fine preciso, se non quello di rappresentare immagini in modo ritmico e musicale; una mia personale ricerca; un mio diletto. Dalle reazioni al mio libro (pare che o si ami o si odi), ho capito molto rapidamente che l’arte vive il paradosso dell’omologazione. Lo sguardo dell’uomo, che dovrebbe spaziare, è invece limitato, costretto in alcuni scenari collaudati e graditi ai più. Il nostro tempo è prepotentemente contrassegnato da una sorta di “pensiero unico”, ciò è l’effetto del mostro che aveva intravisto Pasolini, senza tuttavia poter dare un nome al fenomeno. Ora è tutto facilmente comprensibile, in quanto il Golem che chiamiamo mercato, dotato di vita propria, richiede palati omologati. Osservato Wunderkammer con questo approccio, l’orrore di alcune poesie emerge per contrasto con ciò che tratta la poesia, abitualmente: le folaghe venivano cacciate e consumate. Il nàrvalo è fonte proteica e di vitamina per i popoli dei ghiacci. I grilli catturati a Firenze sono parte delle nostre tradizioni. Il disastro ferroviario di Balvano è un fatto accaduto. Queste immagini sono trattate come tali, senza alcun giudizio, cercando di svellere i fatti dal loro contesto e dare loro la piena dignità che spetta ad un evento, in quanto accaduto. Perciò il rotolare del mondo è anche morte e sofferenza… ma può essere osservato freddamente come una sequenza di fatti. Da questo punto di vista, l’idea di trattare le poesie come oggetti catalogati in una Wunderkammer, ne ha esaltato la peculiarità, rendendo ancora più palpabile questa caratteristica della mia poetica, inoltre il matrimonio è così ben riuscito, che il libro ha una certa solidità… È più pesante del peso della sola carta (nel bene e nel male). Ultimo aspetto importante: la copertina e le illustrazioni sono state realizzate da due bravissimi illustratori: ALE + ALE. L’aderenza ai testi del loro lavoro è totale: una rara sinergia.
I maestri vanno uccisi. Sei d’accordo con questa affermazione? E quali sono state – o sono ancora oggi – le tue guide di sentiero?
I grandi personaggi dell’arte (salvo rarissime eccezioni) hanno stravolto le regole, dopo averle assimilate e seguite fedelmente. Sono convinto che questa sia la via per tracciare il proprio (e nuovo) sentiero. I maestri, quindi, non vanno uccisi; dovrebbero morire, com’è nella natura delle cose. Talvolta faticano a spirare: pensa all’esercito di seguaci e imitatori di Milo De Angelis, per esempio. La domanda è: l’eternazione di un maestro, di un modello poetico, è colpa da attribuire al maestro o ai seguaci? Probabilmente è da suddividere equamente… Va precisato, a riguardo di Angelis, che la sua dirompente opera prima (Somiglianze) del 1976, si colloca in un periodo storico “in cui dominava il ricatto politico (falsamente politico) dello schierarsi dalla parte giusta e del porre la propria scrittura al servizio di una classe o un’idea”. Sono parole dello stesso Milo. Nel 1976, sulla bacheca dell’Università Statale di Milano appare un cartello: Cerchiamo qualcuno che ami la poesia. Sempre lui, Opera sua. Allora, ciò che si dovrebbe rubare ai maestri è la cieca passione, che quasi rasenta l’ingenuità, oltre alle finezze tecniche. Il motore, perciò, che sospinga lo scrittore ad addentrarsi armato di machete nella foresta delle lettere e del mondo, per aprirsi un proprio sentiero. Allo stesso modo, il maestro dovrebbe “morire in sé”, spronando al nuovo… Tanto più che le sue opere parleranno in eterno in sua vece. Queste, ovviamente, sono soltanto mie opinioni, dedotte dalla mia personale esperienza in poesia. Per quanto concerne il sottoscritto, credo di subire il fascino imperituro di Borges e Montale (per quest’ultimo, uso dire che “è Dio”).
Sei anche un fine critico letterario; come concili questo con la tua ricerca personale? Influisce in qualche modo?
Io non sono un critico letterario; tempo fa, delle persone che stimo mi hanno invitato a scrivere delle recensioni, ritenendo che io ne avessi le capacità (lo preciso, perché fui molto timoroso e riluttante di fronte alla proposta). Accettai, anche per misurarmi con me stesso e… andò bene. Continuo però a non definirmi come tale. Tra l’altro, non sarebbe corretto nei confronti di chi ha un percorso di studi specialistici e che – senza alcun dubbio – ha una preparazione molto più vasta e approfondita della mia. Andando oltre, devo riconoscere che l’esperienza è nutriente: leggo molta poesia e senza fossilizzarmi su di un genere preciso. È inevitabile che queste letture siano sorgenti di cambiamento e ispirazione; la poetica di Wunderkammer è ora uno splendido ricordo, ma attiene al passato.
E con la tua generazione? Che rapporti hai?
Sia poeticamente, che umanamente, mi sento avulso dalla mia generazione e dal mio tempo. Tieni conto che ho 49 anni, per cui posso considerare la mia generazione come paradigmatica, oggi: è succeduta alle precedenti e giunta a vivere il ‘proprio’ tempo. Maturi anagraficamente per reggere il peso delle responsabilità, per prendere possesso dei luoghi di potere. Né troppo giovani e bisognosi di esperienza, né troppo vetusti e acciaccati, giunti alla resa dei conti e della vita. Per quanto concerne la poesia, come in parte ho già risposto, non sono affascinato da quella che viene definita ‘contemporaneità’, innalzandola a unico e utile canone estetico. Sono soffocato da una opprimente omogeneità poetica, che non si manifesta soltanto nei temi trattati, ma anche graficamente. Ho la forte sensazione che la forma di una poesia (forma intesa come disposizione dei versi e impaginazione) sia parlante e permetta l’incasellamento in una macrocategoria. Nello stesso tempo, per quanto sia paradossale, noto che la forma rigida del passato, il canone, entro schemi prestabiliti ci ha donato capolavori intramontabili. Prendiamo ad esempio il sonetto: Dante, Shakespeare, Rilke. Tre ere differenti, uno schema comune (seppur con differenti sfumature): ci hanno lasciato pagine ricchissime e mai inattuali. In definitiva, penso che non sia la libertà dagli schemi ad essere creativa. Sia ben chiaro: io non scrivo secondo il canone, ma non distolgo mai lo sguardo da esso.
Inoltre, illustri poeti viventi cercano di spingere la produzione verso la trattazione di temi sociali, affermando che la poesia debba avere la funzione di sensibilizzare e ridestare gli animi. Io non osteggio questa possibilità, al contrario considero le lettere per ciò che sono sempre state, cioè anche sorgente di coscienza, di evoluzione e rivoluzione. Si sta trattando, però, di arte ed ogni imposizione tematica e stilistica ha come affetto l’impastoiarla.
Che l’autore sia libero di scrivere ciò che sente. I temi di attualità vengono trattati da sempre e sempre verranno affrontati, ma evitiamo di condizionare la rotta. In ultimo, non me ne vogliate, è indubitabile che conformarsi ad una concezione di poesia apra delle porte. Io, per esempio, sono consapevole del fatto che alcuni nomi nella giuria di un premio precludano ogni mia possibilità… So che in alcune e seguite manifestazioni non vengo invitato, perché non scrivo ciò che si vorrebbe, ma sono libero di essere ciò che sono, almeno in poesia. È la croce e la delizia di non sostentarsi con l’arte. L’atto artistico deve soddisfare anzitutto l’autore. Da questo punto di vista, potremmo definire l’arte una masturbazione e masturbarsi su commissione ha dei limiti oggettivi. Umanamente, il rapporto con la mia generazione è ancor peggio. Le mie passioni, i miei interessi, nulla hanno a che vedere con quelli dei miei coetanei. Sempre per una questione anagrafica, posso accusare i cinquantenni (anno più, anno meno) come corresponsabili dello sfacelo politico, morale e sociale del nostro paese. Quello che vedo e sento… Il razzismo che monta, ma viene maldestramente negato, la distruzione sistematica di una istruzione umanistica, la conseguente insensibilità e ignoranza dilagante, l’incommensurabile bassezza e volgarità diffusa, il dominio incontrastabile della rete sul mondo reale, tutto vede come attori principali le mie generazioni, che hanno venduto (letteralmente) anima e corpo alla carriera. Anche io occupo una buona posizione dal punto di vista professionale, ma costantemente esigendo dal ‘me stesso uomo’ molto più che uno stipendio soddisfacente. Frequento pochissime persone e non vedo come possa andare diversamente…
Progetti in corso e in divenire?
Negli ultimi tempi sto lavorando a un poema, che spero vedrà la luce nel 2019. È un racconto di fantasia che ha attecchito sul substrato dei miei ricordi. Lo dichiaro subito e apertamente: senza una precisa volontà, è una prova concreta del mio pensiero riguardo alla poesia. È un racconto fantastico, lontanissimo dalla quotidianità. Non ci sono messaggi politici o sociali, l’ambientazione storica non è ben definita, la vicenda narrata è impossibile e irreale… Per ovvi motivi preferisco non dire altro, ma ti regalo una breve anticipazione. Sto anche lavorando ad una raccolta, della quale alcune poesie sono già state pubblicate sul mio blog. Sono poesie per le sei donne importanti, a oggi, della mia vita, fra le quali non possono mancare mia madre e mia nonna. È un periodo, per me, di cambiamento. A fatica mi sto liberando dallo stile che mi ha accompagnato per anni e che ha dato alla luce Wunderkammer. Vedremo cosa mi riserverà il futuro. Alcuni estratti dal mio futuro poema:
La crepa separò il muro alle spalle del letto nuziale, ch’è maestro, ma lo fece quanto taglia un burro ammollato per carni la coltèlla, come nuota l’acqua fredda il salmerino, a guisa del comune, lieto, perforare i nugoli l’uccello.
Quindi abile solcò della sala da pranzo la parete e percorse, (compì nulla d’ardito, per sentieri conosciuti), fra i cotti bruniti le linee già incrinate d’anni d’incursioni e fu – l’atrio passato – che irosa lei strappò come carta la ringhiera e discese nella strada.
Eccola, fiera, fende lieve l’asfalto, snello brigantino privo d’immagine, che lascia divelto a poppa il mare di bitume, ricorda un taglio, una ferita e non v’è modo, né moto ondoso che richiuda la strada scarnata dalla crepa, che infila la rotta per fuggire.
Imbocca il fabbricone, scoscesa la strada, toponimo diffuso, che al borgo più basso conduce, attenta dilania filando lungo la mura di destra, (di macine il suono del digrignare compagna lo sventrare, spartito di nota battente, archetto all’adamante).
L'articolo “Mi sento avulso dalla mia generazione e dal mio tempo”: sulla poesia di Carlo Tosetti proviene da Pangea.
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pangeanews · 6 years
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“La poesia è un canto infinito che scappa dalle finestre”: da un Venezuela disperato, dialogo con Antonio Nazzaro
Forse la natura del poeta è il viaggio. Il vagabondare è connaturato alle sue ossa, che hanno la consistenza astuta e austera dei versi. Antonio Nazzaro sta in uno dei luoghi più difficili della terra. Il Venezuela. Quel luogo che vediamo di sfuggita dai tiggì, che rigurgita un dolore ancora irraccontato, irredento. Violenza, fame, potere cannibale, umanità sbandata. Nazzaro è di Torino, ha praticato per L’Ora e La Stampa, poi, poeticamente, è volato in Messico e ha messo casa nel Latino America. Perché? Una disposizione alla vita – che pulsa, urlata, a Sud – certo. Ma anche una predilezione per gli umiliati e gli offesi. Luoghi, quelli, a Sud – direbbe lui – dove la poesia non è gioco di ricami intellettuali, un florilegio di stucchi, ma materia dotata di ustione. Poesia come atto. Come canto scagliato. Come rivolta. Solo una terra scandita dal dolore, forse, sa qual è il nitore della poesia, la sua consonante necessità. Già promotore del Centro Cultural Tina Modotti di Caracas, contattiamo Nazzaro in partenza. Una ostinata e imperterrita partenza. In Venezuela non si può più stare, “abbiamo perso pezzi di umanità e ci vorranno anni per recuperarli”, ci dice lui. Nazzaro è poeta atipico. Pur noto – sue poesie sono raccolte, con uno scritto di Salvatore Ritrovato, nell’ultimo Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea 5, edito da Raffaelli, 2017 – si rifiuta, sosta nel pudore, preferisce scandire le poesie nella foresta digitale, con voracità anticonformista. “Quando si è immigrati/ non è dove arrivi quello che conta/ ma scoprire che la terra che tocchi/ migra/ al solo sfiorarla”, scrive, in un pensiero che rivendica libertà. La terra si sposta con noi, alleata alle suole, avventata nel vento. La cosa più anticonformista dell’atipico Nazzaro è la generosità. Nazzaro è il gran traduttore dei poeti italiani oggi nel Sudamerica. Ne ha tradotti a decine. Perché è giusto. Spesso non li conosce neanche. Grandina meraviglia nelle terre australi. La belleza salvará al mund, è scritto in calce al centro culturale che gestisce. La bellezza salverà il mondo. Lo abbiamo detto troppe volte. Parola che non si usura. Ed è bello ripeterlo.
Partiamo dal Venezuela. Come ti sei trovato lì? E soprattutto, come vivi lì, ora? Dall’Italia si sentono notizie drammatiche.
Sono un emigrante di nascita e ogni paese in cui ho vissuto mi ha sempre dato una opportunità e il Venezuela in questo è stato davvero generoso. La situazione attuale è drammatica a tal punto che ho deciso di lasciare quella che pensavo la mia ultima casa, per cercarne una nuova in una nazione sempre del Sud America. Non amo molto la politica ma quello che posso dire di questi ultimi anni è che abbiamo perso pezzi di umanità e ci vorranno anni per recuperarli.
La poesia. Quando è nata in te, secondo quale impulso, perché?
La mia prima poesia la conserva mia madre come prova che ho fatto le elementari. Era dedicata a mio nonno e ai partigiani. La poesia per me non è un impulso ma la mia forma di dialogare su quello che vedo. Quando scrivo una poesia alla fine mi domando sempre se è una bella fotografia. Ma la poesia è qualcosa di più grande e le cose scrivo e attraverso la pagina fb e il sito web del Centro Culturale Tina Modotti credo si faccia evidente. Nel senso che lì traduco moltissime poesie italiane e latinoamericane, senza conoscere quasi mai gli autori, ma portando la poesia a quello che è la sua ermeneutica: un territorio dove rinunciare a sé per lasciare spazio all’altro. Quasi un atto di generosità. La poesia è un canto o sguardo infinito che scappa dalle finestre.
Che differenze ci sono tra la poesia italiana e quella latinoamericana? La poesia ‘civile’, ‘d’impegno’ ha ancora un senso, un valore?
La poesia italiana è così chiusa nel volere essere una costruzione della parola che si fa assoluta quasi quanto incomprensibile e spesso incapace di trasmettere vita ma solo una riflessione in ripiegamento su di sé. La poesia latina esprime una volontà di vita di sentire di lasciarsi andare e allo stesso tempo è presente nella quotidianità sia per i temi che affronta sia perché, a differenza dell’italiana, vive con la gente non pensa nella gente. La poesia in America Latina ha ancora valori rivoluzionari, di strumento per combattere il potere. Basta ricordarsi le immagini dei funerali del grande scrittore cileno Pedro Lemebel con migliaia di persone a rendere omaggio allo scrittore al comunista al gay all’indigeno mapuche. La poesia in America del Sud ha anche tutta la forza vitale della tradizione indigena orale e scritta che continua a influenzare anche il più accademico dei poeti latini. La poesia civile non è una poesia a parte. Non può esistere poesia d’amore senza poesia civile. Anzi, oggi che la poesia grazie ai media trova molto più spazio deve assumersi la responsabilità di essere sempre ribelle e di testimoniare la realtà. Inoltre la poesia è un registro linguistico con cui si può e si deve fare informazione/testimonianza, non per niente spesso molti degli articoli che scrivo per il giornale digitale AlgaNews finiscono con una poesia. E, anche se non ho ancora voluto pubblicare un libro di poesie, nel mio libro: Appunti dal Venezuela, 2017 vivere nelle proteste, sia la poesia che la prosa poetica sono usati per raccontare la cronaca puntuale degli avvenimenti. La poesia deve essere linguaggio da giornale e non solo da libri stampati nella loro maggioranza secondo le disponibilità economiche dell’autore.
Quali sono stati i tuoi maestri di poesia? Che clima culturale si respira in latinoamerica?
Della prima parte di quest’andare: Dante, Leopardi, Campana, Penna, Pasolini e poi gli americani di Pavese e della Pivano e gli inevitabili francesi; poi attraversato l’oceano Alvaro Mutis, Mario Benedetti, Juan Gélman, Jaime Sabines, Susana Thenon, e tanti altri. Non so quanto siano maestri di poesia ma sono gli autori con cui mi piace farmi compagnia. Il Latino America è un mondo in fermento culturale sempre anche durante i momenti in cui si spengono i diritti democratici proprio perché occupa uno spazio della quotidianità a sua volta legata a un modello di sopravvivenza che la converte in una lotta continua contro il sopruso. Il clima culturale è quello di una lotta senza pausa verso un bene che deve essere di carne e parola.
Ora, a cosa stai lavorando?
Ho appena finito di tradurre una Antologia della poesia svizzera di lingua italiana curata dal poeta Fabiano Alborghetti che sarà pubblicata dalla casa editrice cilena RIL, grazie a un progetto del ministero della cultura Svizzero. Il libro sarà in vendita in Cile e Spagna. Poi se riesco a mettere insieme un po’ di poesie mie in spagnolo potrei cedere all’idea di pubblicare un libro di poesie. Nel frattempo con Edicola Ediciones casa editrice cilena, dopo la pubblicazione della Notte di Campana da me tradotta, stiamo vagliando un nuovo progetto. Inoltre se come spero mi verrà confermato dovrei partecipare al Festival di poesia dell’Avana dove darò delle conferenze su Dante e la Commedia. In ultimo sto preparando un articolo sulla fotografia, grande amore della mia vita, di Vittorio Catti per la rivista FuoriAsse.
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pangeanews · 6 years
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Ho pubblicato 3.300 poeti, senza mai ricevere un centesimo da questo Paese impoetico: dialogo con Crocetti, l’uomo che ha messo il poeta in prima pagina
Due momenti sono esemplari. 1972, Samo, Grecia. Nicola Crocetti (nella fotografia di Fabrizio Annibali), milanese nato a Patrasso, ha 32 anni ed è al cospetto di Ghiannis Ritsos, tra i massimi poeti del secolo scorso e di sempre, ai domiciliari perché avversario del regime ‘dei colonnelli’. Crocetti volta dall’Italia per incontrare l’icona della poesia che combatte e non soccombe, per conoscere il poeta assoluto. Nove anni dopo, nel 1981, quando Crocetti fonda ‘la Crocetti’, il libro inaugurale sarà Erotica, raccolta di poesie d’amore che Ritsos dona all’amico. Il secondo momento, è intimo e epico insieme. Crocetti e il poeta, Ritsos, che ha l’odore dell’eroe, viaggiano lungo l’Italia, da Catania a Milano, da Taormina a Venezia e Firenze. Ne nasce un libro di Poesie italiane, una specie di folgorante diario lirico, dal titolo Trasfusione e pubblicato da Einaudi con una nota partecipe di Vittorio Sereni, “si può dire che scrive vivendo e camminando, che il suo respiro è la scrittura”, scrive l’italiano del greco, con toni di gioia e un tozzo d’invidia. Crocetti, in quel viaggio, compiuto nel 1976, è il cronista del genio, la sua traduzione dal greco il regesto del gesto lirico in sé.
Nicola Crocetti insieme a Ghiannis Ritsos
Crocetti avverte, nella quotidiana pratica della poesia di Ritsos, in grado di scrivere diverse poesie al giorno, dallo sguardo selvaggiamente lirico, l’avvenimento stesso della poesia. Si consolida lì l’amicizia tra l’editore dei poeti e uno tra i poeti più grandi – Sereni lo avvicina all’intensità di un Thomas S. Eliot. Uomo votato, gettato nella poesia, senza civetterie – anzi, è risaputa la sua ritrosia – Crocetti compie il gesto rivoluzionario, ne abbiamo già scritto, 30 anni fa, dando alla poesia italiana uno spazio ‘pubblico’ e di pregio, la rivista Poesia. Non una rivista ‘d’accademia’, ma per tutti, creata come un tabloid, con quell’idea geniale, dal 1991, di dedicare la copertina intera al volto del poeta (il primo fu Giorgio Caproni), come a dire ‘il poeta in prima pagina’, qualcosa di assurdo per i canoni dell’informazione – il poeta non è un vip, non è una star, non è uno ‘di cui si parla’ – di eccezionale. Per sua natura, la rivista non è l’editore, spietato nelle scelte degli autori da pubblicare; è uno spazio più accogliente, un ring dove tutti possono farsi le ossa liriche. In effetti, Crocetti, attraverso Poesia, ha dato spazio, tra Premi Nobel e poeti occasionali, tra poeti sempiterni e poeti per un attimo, a 3.300 autori, e ne è fiero. Con tutta la gente che scrive, potremo fondare un partito politico, riscrivere poeticamente la Costituzione – in endecasillabi – e prendere il Parlamento: al posto di legiferare, leggiamo versi. Ovviamente, non di sola poesia vive l’uomo: per mandare avanti editrice e magazine Crocetti ha speso denari ed energie. In questo Paese dei balocchi i danarosi pensano di comprarsi l’eternità con una squadra di calcio o finanziando un quotidiano, dimenticando che solo la parola poetica ti permette di battere al fotofinish la morte.
Intanto. Qual è stato l’istante, l’incanto, l’avvenimento che 30 anni fa ti ha convinto di fare ciò che hai fatto: la più autorevole (e diffusa) rivista di poesia d’Europa?
“L’idea era nella mia mente da molti anni, ma non avevo i soldi. Nel 1987 amico poeta che ci credeva mi offrì una piccola somma, e l’anno dopo partii con 20.000 copie. Tre anni dopo avevo raggiunto la tiratura di 50.000 copie”.
Nell’editoriale che festeggia il numero 100 di Poesia, siamo nel 1996, scrivi: “Poesia tocca i cento, ma è come fosse all’inizio. Il suo cantiere è colmo di pensieri, di progetti, di scommesse”. Ora, 30 anni dopo, è come il primo? Cosa è cambiato da quella furia poetica? C’è ancora? Ti auguri altri 30 di questi anni?
Gennaio 1988: il primo numero di Poesia
“La ‘furia poetica’ c’è ancora, perché il mondo trabocca di poesia. Ma questo riguarda soprattutto quelli che la ‘praticano’, cioè che la scrivono (e sono milioni nel mondo), e quelli che la amano con passione (e sono molti meno). Tra questi non ci sono i politici né gli uomini ricchi e potenti, gli unici che potrebbero fare qualcosa per diffonderla, ma se ne disinteressano, quando non la deridono. Mi auguro che Poesia duri altri trent’anni e più, ma senza di me. Primo perché io ho un’età, secondo perché sono esausto. Fare questa rivista per trent’anni, senza mezzi economici, solo con i proventi delle vendite e degli abbonamenti, è stata la fatica più grande della mia vita, e per me non è uno sforzo replicabile. Ho bussato a tutte le porte chiedendo un po’ di soldi, ma è stata una questua umiliante e infruttuosa. I miei amici americani mi dicono: se tu fossi qui, ti coprirebbero d’oro. E credo che lo intendano letteralmente. L’equivalente americano di Poesia, Poetry di Chicago, nel 2002 ricevette una donazione di 100 milioni di dollari. Poesia non ha mai avuto un ghello dalle cosiddette istituzioni (per la verità, da cinque o sei anni prendiamo i rimborsi per la carta: spiccioli), e qualche donazione insufficiente da due o tre persone. Evidentemente non sono un buon imprenditore, visto che ci sono molti piccoli editori che hanno ricevuto centinaia di migliaia di euro. Ma, come dice Kavafis, ‘più avanti – in una società perfetta – apparirà di certo qualcun altro – che mi somigli e agisca da uomo libero’”.
Chi sono gli autori che sei più felice di aver scoperto e pubblicato su Poesia? Chi è il poeta – al di là dell’immenso Ritsos, a cui ti lega un rapporto di affetti e di lettere assoluto – che ti ha insegnato, stupito, conquistato di più?
Gennaio 2018: 30 anni di Poesia, numero 333
“Hai detto bene, l’immenso Ritsos. Uno dei maggiori poeti del Novecento, che ha avuto la ‘sfortuna’ di scrivere in greco, una lingua parlata da una decina di milioni di persone nel mondo. Dico ‘sfortuna’ per modo di dire, perché il greco è una lingua magica, meravigliosa. È parlata ininterrottamente da 2500 anni, è l’erede diretta e diletta di Omero, di Saffo, dei maggiori poeti e filosofi della civiltà occidentale, e fa parte del Dna di tutti i popoli civili del mondo. Essendo il greco la mia lingua madre, i poeti greci contemporanei sono quelli con cui ho avuto un rapporto di affetti e di lettere assoluto. Ma non voglio far torto agli altri 3.300 poeti che ho pubblicato su Poesia. Tra quelli che più mi hanno insegnato, stupito, conquistato, ci sono Derek Walcott, Seamus Heaney, Yves Bonnefoy e molti altri. Tra gli italiani Alda Merini, persona eccentrica, ma poeta fino al midollo, e Pierluigi Cappello, uno dei pochi giovani che ha avuto il successo che meritava”.
Inutile nascondere che i piccoli editori di poesia, meravigliosamente tenaci, come te, hanno attraversato e attraversano un momento difficile. Cosa bisognerebbe fare per non rischiare, ogni anno, la chiusura, la fine? Come si fa a sopravvivere?
“Non attraversano ‘momenti’, ma ore, giorni, mesi, anni, vite intere difficili. Almeno in questo sventurato Paese, dove della poesia, come si diceva, non interessa nulla a nessun politico o potente. Perché i più sono miseramente incolti. E anche miopi. Perché pensa cos’hanno ottenuto i mecenati del Rinascimento con pochi spiccioli: si sono guadagnati l’immortalità. Cosa bisognerebbe fare? Il Nobel Iosif Brodskji diceva che bisognerebbe far trovare nei comodini di tutti gli alberghi, assieme alla Bibbia, un libro di poesia. A qualcuno concilierebbe il sonno, ma per molti sarebbe una scoperta folgorante”.
Dal tuo punto di vista privilegiato, generoso e severo insieme, ti chiedo in che stato è, oggi, la poesia italiana. Esistono grandi opere? Sono annientate dall’assenza della critica e dall’autoreferenzialità del pubblico? Dove si cerca, oggi, la buona poesia, in che canali circola? Nel sottobosco dei libri autoprodotti, nella clandestinità dei micro editori, nelle riviste?
“La buona poesia esiste, e si trova. Si trova nelle raccolte pubblicate da una miriade di piccoli editori, che la cercano come Diogene il Cinico, di giorno con una lanterna, cercava l’uomo, e che la pubblicano con passione e sacrifici. Si trova nelle molte riviste a circolazione limitata. E si trova, anche se mescolata a tonnellate di spazzatura, in quello sconfinato oceano che è il web.
Viviamo in un’epoca confusa e difficile, più di altre del passato. Ma che più di ogni altra del passato offre occasioni e opportunità. Occorre frugare, scegliere, farsi guidare dai consigli dei pochi critici affidabili e dei pochissimi maestri rimasti. E prima di scrivere, leggere molto”.
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