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winckler · 12 days
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HARUKA IGAWA, TOKYO SONATA (2008)
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winckler · 15 days
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A White, White Day (2019)-  Hlynur Pálmason
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winckler · 24 days
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Noomi Rapace (Lamb, 2021)
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winckler · 2 months
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Park Ji-Min, RETOUR À SÉOUL, Davy Chou
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winckler · 3 months
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Juno Temple, Fargo S05
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winckler · 4 months
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აპრილი (1961)
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winckler · 8 months
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winckler · 8 months
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Gli alberi sembrano identici che vedo dalla finestra. Ma non è vero. Uno grandissimo si spezzò e ora non ricordiamo più che grande parete verde era. Altri hanno un male. La terra non respira abbastanza. Le siepi fanno appena in tempo a metter fuori foglie nuove che agosto le strozza di polvere e ottobre di fumo. La storia del giardino e della città non interessa. Non abbiamo tempo per disegnare le foglie e gli insetti o sedere alla luce candida lunghe ore a lavorare. Gli alberi sembrano identici, la specie pare fedele. E sono invece portati via molto lontano. Nemmeno un grido, nemmeno un sibilo ne arriva. Non è il caso di disperarsene, figlia mia, ma di saperlo mentre insieme guardiamo gli alberi e tu impari chi è tuo padre.
— Franco Fortini, Gli alberi
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winckler · 9 months
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John Coltrane, NYC, May 6, 1965
photo: Chuck Stewart
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winckler · 9 months
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È proprio questo il punto. Il mondo intero sta diventando come Lafayette Street, che è la via di New York più brutta e allo stesso tempo bella che ci sia. In un certo senso fa piacere trovare quello che ci si aspettava di trovare. È come se i posti in cui si va riuscissero ad avere la stessa passività delle persone. Si limitano a far mostra di sé con tanto di cattedrali e deserti. Anche la passività è bella. Di questi tempi uno si prende quello che gli si dà e se tutto diventa brutto allora l’unico rimedio è dirsi che è bello, quanto è bello, bellissimo. E magari alla fine lo diventa anche.
— Don DeLillo, Great Jones Street
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winckler · 10 months
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Jane B. par Agnès V. (Agnès Varda, 1988)
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winckler · 10 months
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Fu il ramarro e non tu smunta formica a udire le sirene
Chi lo vide Ulisse? forse l’occhio del polipo attratto dalla luna
ma fauna d’acqua ne udì la chiglia per sentito dire.
— Goffredo Parise
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winckler · 10 months
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Ti affligge la verità
di molti luoghi comuni, invecchi di luoghi comuni lodando la verità.
Come un qualunque bambino che lecca il proprio gelato credi che il mondo sia grande un metro quadrato.
— Tito Balestra
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winckler · 10 months
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winckler · 10 months
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Come un cordoglio ho lasciato l'estate sulle curve e mare e deserto è il domani senza più stagioni
Europa Europa che mi guardi scendere inerme e assorto in un mio esile mito tra le schiere dei bruti sono un tuo figlio in fuga che non sa nemico se non la propria tristezza o qualche rediviva tenerezza di laghi di fronde dietro i passi perduti, sono vestito di polvere e sole vado a dannarmi e insabbiarmi per anni.
— Vittorio Sereni, da Italiano in Grecia, 1947
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winckler · 1 year
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Amore, oggi il tuo nome al mio labbro è sfuggito come al piede l'ultimo gradino… Ora è sparsa l'acqua della vita e tutta la lunga scala è da ricominciare. T'ho barattato, amore, con parole. ti riconoscerò dall'immortale silenzio.
Moriremo lontani. Sarà molto se poserò la guancia nel tuo palmo a Capodanno; se nel mio la traccia contemplerai di un’altra migrazione. Dell’anima ben poco sappiamo. Berrà forse dai bacini delle concave notti senza passi, poserà sotto aeree piantagioni germinate di sassi… O signore e fratello! ma di noi sopra una sola teca di cristallo popoli studiosi scriveranno forse, tra mille inverni: “Nessun vincolo univa questi morti nella necropoli deserta”.
Ora che capovolta è la clessidra, che l’avvenire, questo caldo sole, già mi sorge alle spalle, con gli uccelli ritornerò senza dolore a Bellosguardo: là posai la gola su verdi ghigliottine di cancelli e di un eterno rosa vibravano le mani, denudate di fiori. Oscillante tra il fuoco degli uliveti, brillava Ottobre antico, nuovo amore. Muta, affilavo il cuore al taglio di impensabili aquiloni (già prossimi, già nostri, già lontani): aeree bare, tumuli nevosi del mio domani giovane, del sole.
È rimasta laggiù, calda, la vita, l’aria colore dei miei occhi, il tempo che bruciavano in fondo ad ogni vento mani vive, cercandomi… Rimasta è la carezza che non trovo più se non tra due sonni, l’infinita mia sapienza in frantumi. E tu parola che tramutavi il sangue in lacrime. Nemmeno porto un viso con me, già trapassato in altro viso come spera nel vino e consumato negli accesi silenzi… Torno sola… tra due sonni laggiù, vedo l’ulivo roseo sugli orci colmi d’acqua e luna del lungo inverno. Torno a te che geli nella mia lieve tunica di fuoco.
Ahi che la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, ha tutto divorato di questo volto rivolto a voi! La bocca sola pura prega ancora voi: di pregare ancora perché la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, non divori la bocca e la preghiera…
— Cristina Campo, da La tigre assenza
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winckler · 1 year
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Una stagionaccia di tumescenti avvoltoi, svignate le mogli per mancanza di cibarie di scandali di orgasmi e d’altre storie, toccherà dimenticare con indifferenza, e con sentita espressione, i campi spremuti dagli amici intimi, i terreni recinti, i verdi trapezi con i lampi pomeridiani, i tiepidi screzi della primavera nazionale dietro i terrapieni, e le fontane occulte del sapere grano a grano le similitudini dei fiori dei venti dei trafeli nei luoghi non segnati, e le settimane che nei chiasmi risorge la carne unanime-inanime nei chiasmi e massacrare il gallo forbito tra i brughi lombardi il gesto che trafughi alla notte il sangue fresco gli alberi e le alte quote degli astri vanitosi, e la polare che valica i sentieri delle ascisse, e risospingere proprio così contro i drastici orizzonti frantumati dai tamburi i candidi fantasmi e sfogliare le direzioni ortogonali e nelle vuote sfere annusare le ferraglie tra le rose paniche e il sentore di rugiada dai poderi avversi e il crudo raziocinio delle millesime angolature divelte nel guizzo delle trote, le cuspidi sonore degli shrapnell e il cielo nudo lento delle azalee, vero che tu vedevi nel liquore dell’atlantico con gli occhi della vita intera, e concepivi le termiche metafore e le ipotesi grandi ottemperare alle medesime cause influenti delle maree, e delle volte climatiche che accadono nello sperma degli squali bianchi? quindi in un impeto unanime bevemmo in coro gli insiemi, e uno per uno il soffio amato della sola inquietudine che rapinava l’ombra e decimava i fatui semi delle consuetudini verbali, i risplendenti rameggi dell’uranio e il vero ulivo d’oro nella più cheta tenebra del quarzo, e il fiume vivo delle arterie che risale il lume-lavoro degli scheletri.
— Emilio Villa, Le parole
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