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#Cristo si e Fermato a Eboli
casaannabel · 1 year
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randomrichards · 4 months
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CHRIST STOPPED AT EBOLI:
Exiled artist
Forms a bond with small village
Reluctant doctor
youtube
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blogitalianissimo · 3 months
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Letto nelle notifiche un'affermazione giustissima, ovvero che "i soldi destinati al sud andranno al ponte di Messina che nessuno vuole", ed è vero, nessuno vuole quel ponte mangiasoldi.
E il motivo è semplice: Perché è una grandissima presa per il culo. Nel Sud Italia mancano infrastrutture basilari come LE STRADE, I TRENI ecc, una volta che superi il confine Campania/Basilicata devi iniziare a farti la croce, perché l'affermazione "Cristo si è fermato ad Eboli" non è casuale. A noi ce ne sbatte i coglioni di 'sto ponte se per raggiungere Reggio Calabria devi pregare tutti i santi esistenti. Non è normale, ve ne rendete conto?
E vogliamo parlare della Sicilia? Vogliamo parlarne? Regione enorme, ha città ultramegaimportanti come Messina, Catania e Palermo, ma per attraversarla in treno 13 ore, TREDICI.
Inoltre, paradossalmente, il collegamento di traghetti Sicilia/Calabria è una delle cose che funzionano meglio al sud.
Questo ponte serve solo a farsi belli, nascondere la polvere sotto al tappeto, negare il grosso problema d'infrastrutture nel Mezzogiorno.
E se non vi bastasse come prova, sappiate che non esiste un collegamento decente tra Napoli e Bari, e qui sto parlando di 2 regioni messe molto meglio ad infrastrutture rispetto alle altre del sud (chi per posizione geografica favorevole, chi per conformazione del territorio dove è più facile costruire).
Perciò andatevene a cagare voi e questa autonomia di merda leghisti del cazzo.
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ladoratrice · 2 years
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"Questo problema, nel suo triplice aspetto, preesisteva al fascismo; ma il fascismo, pure non parlandone piú, e negandolo, l’ha portato alla sua massima acutezza, perché con lui lo statalismo piccolo-borghese è arrivato alla piú completa affermazione. Noi non possiamo oggi prevedere quali forme politiche si preparino per il futuro: ma in un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le piú estreme e apparentemente rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse piú, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano." (da "Cristo si è fermato a Eboli (Super ET)" di Carlo Levi)
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pettirosso1959 · 5 months
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Se Cristo s'è fermato ad Eboli, a Padova c'è morto.
Padova, la città della Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto, e che ora è diventata l'ultima roccaforte comunista in Veneto.
A Padova, Gesù non c'è più.
E' stato sostituito da Cucù.
Così è stato deciso dal "concilio" delle streghe.
Vale a dire delle insegnanti di una locale scuola elementare, precisamente ad Agna, la Edmondo De Amicis.
E così, nella recita di Natale dei bambini, Gesù non c'è più.
E manco San Giuseppe e la Madonna, gli angeli e compagnia bella.
C'è Cucù, nei canti e nelle poesie.
Un personaggio di fantasia ideato per NON OFFENDERE i bambini musulmani presenti nella scuola (e il loro tolleranti genitori, direi, soprattutto, perché i bambini sono bambini e non si offendono per queste cose, si offendono solo se li tratti una merda).
Ma che bello.
Cucù, è morto Gesù, adesso ci sto io.
Persino a me, che ormai guardo i preti come Peter gli Zombi in Dawn of the Dead, persino a me che, più mi avvicino alla fine e più i precetti religiosi mi suscitano dubbi orribili e paure indescrivibili, persino a me, sempre ormai più agnostico e sfiduciato, questo Gesù inizia a fare una pena sempre più insopportabile e non tanto e non solo per il supplizio della Croce.
Ma per come è stato abbandonato, di nuovo, e tradito dalla Sua stessa Chiesa, dai Suoi stessi credenti, che non hanno più il coraggio di difenderlo e lo abiurano ormai, massa di vigliacchi e venduti.
Cucù, Gesù non c'è quaggiù, così il marocchino non s'offende più.
Ma io, così agnostico ormai da essere quasi ateo, sono nato Cristiano.
Ho ricevuto i sacramenti, conosco il Vangelo, ho nutrito e nutro ancora profonda ammirazione per quell'uomo, figlio di Dio o NON figlio di Dio.
E so benissimo di un Gesù misericordioso ma anche umano, molto umano e pure incazzoso.
Gesù che prende a calci i mercanti del Tempio, che gli urla contro.
E mi ci voglio immedesimare.
E allora mi immagino mentre prendo a calci in culo quelle fottute idiote, quelle STRONZE, cacciandole fuori dal portone della scuola.
E mi immagino mentre gli urlo in faccia i peggiori insulti, mamme e sorelle loro incluse nel pacchetto, le mamme, soprattutto, che l'hanno partorite, mettendo al mondo tali canaglie.
E mi immagino nel mentre prendo a calci, parimenti, qualsiasi stramaledetto straniero che abbia mezza parola da dire.
Ti offendi ? E allora vaffanculo al paese tuo.
Che se vengo in Algeria, in Libia, in Nigeria, in Pakistan, per i figli miei, Cristiani, di certo alle vostre tradizioni e usanze, soprattutto religiose, non rinunciate e se m'offendo mi pestate a sangue e mi schiaffate pure in carcere.
Mi immagino così, insomma, Angelo Vendicatore del Povero Gesù, un angelo dalla pedata e dalla parolaccia facile, che caccia i farisei dalle scuole italiane, e ci godo.
Un Angelo che urla :
" Viva Gesù, vaffanculo Tu, e Cucù" !
Giuseppe Sabatino.
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kritere · 10 months
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In Basilicata ad agosto non transiterà neppure un treno. Cgil: “Il punto più buio da un secolo”
DIRETTA TV 3 Agosto 2023 Tre delle principali linee di collegamento lucane sono bloccate a causa di lavori di ammodernamento, come nel caso delle due tratte che collegano Potenza a Foggia e a Napoli, o per frana, come nel caso riguardante la linea che si collega invece a Taranto. 0 CONDIVISIONI Nel suo capolavoro pubblicato nel 1945 “Cristo si è fermato a Eboli” lo scrittore Carlo Levi –…
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legorurenuca · 2 years
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Il paziente critico libro pdf para
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  por N Valdés — di Cristo si e fermato a Eboli" en Critica Letteraria, n. eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza dove il contadino. Un dialogo a partire, come suggerisce in sostanza il cardinale Martini, dal bene del paziente, al quale dobbiamo guardare tutti con impegno, A pdf copy of this IFU is located at teleflex.com/IFU. For a patient/user/third party Sistemare il paziente nella posizione ritenuta più indicata. Bibliografia Parte 5 - Assistenza Al Paziente Dopo L'Anestesia. Capitolo 70. filesize (49.84k) Bibliografia Parte 6 - Il Paziente Critico Como alternativa, el eBook Kindle está disponible para cualquier è il medico che si trova ad affrontare il paziente critico o potenzialmente tale. El hecho de que la crítica política haya reprochado al estado que sea simultáneamente un En este libro, nos demuestra variopinta situaciones: la locura, Descargue como PDF, TXT o lea en línea desde Scribd Il Massaggio - Collins Edizioni. Taochini Nutrizione Del Paziente Critico. Paoly Palma.5 jul 2022 — Request PDF | On Nov 27, 2017, Botero Carvajal Alejandro published El libro se presenta en cuatro partes junto a un cuerpo de apéndices
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nohokariq · 2 years
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Carlo castronovo pdf
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           Comme l'a remarqué l'économiste Valerio Castronovo, 1960 est pour l'Italie une décrites par Carlo Levi dans Cristo si è fermato a Eboli, publié en 1945, Fotograf: Martin Lehmann EKATERINA SIURINA, sopran CHARLES CASTRONOVO, Paul Kletzki, sir Malcolm Sargent, Kurt Sanderling, Carlo Zecchi, Jean Martinon, ÉQUIPE PEDAGOGIQUE COORDINATEURS: Vincent Castronovo Julien Grenier Lydia 155 / abril 2009 Service de Médecine de la Reproduction Gran Vía Carlos Simonetta Castronovo, Carlo Magno va alla guerra. Le pitture del castello di Cruet e il Medioevo cavalleresco tra Italia e Francia,.PDF Pack. People also downloaded these PDFs V à ce sujet les remarques critiques de C. CASTRONOVO, C. CASTRONOVO, Responsabilità civile, 4e éd.
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unesilefilorosso · 2 years
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“I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue piú l’uomo dalla belva. Ce n’era qualcuno anche a Gagliano, e uscivano nelle notti d’inverno, per trovarsi con i loro fratelli, i lupi veri.–Escono la notte,–mi raccontava la Giulia,–e sono ancora uomini, ma poi diventano lupi e si radunano tutti insieme, con i veri lupi, attorno alla fontana. Bisogna star molto attenti quando ritornano a casa. Quando battono all’uscio la prima volta, la loro moglie non deve aprire. Se aprisse vedrebbe il marito ancora tutto lupo, e quello la divorerebbe, e fuggirebbe per sempre nel bosco. Quando battono per la seconda volta, ancora la donna non deve aprire: lo vedrebbe con il corpo fatto già di uomo, ma con la testa di lupo. Soltanto quando battono all’uscio per la terza volta, si aprirà: perché allora si sono del tutto trasformati, ed è scomparso il lupo e riapparso l’uomo di prima. Non bisogna mai aprire la porta prima che abbiano battuto tre volte. Bisogna aspettare che si siano mutati, che abbiano perso anche lo sguardo feroce del lupo, e anche la memoria di essere stati bestie. Poi, quelli non si ricordano piú di nulla. La doppia natura è talvolta spaventosa e orrenda, come per i licantropi; ma porta con sé, sempre, una attrattiva oscura, e genera il rispetto, come a qualcosa che partecipa della divinità.”
Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi
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...poetico...è la prima cosa che mi viene in mente dopo aver assaporato questo libro...Una profonda riflessione sul problema meridionale fatta di esempi, di descrizioni, di superstizioni... Levi mi ha accompagnato nella sua storia, emozionandomi... Cristo si è fermato a Eboli, i "Cristiani" non esistono nelle campagne della Lucania in giù. Si ha davanti solo dei contadini ignoranti, fin troppo "primitivi" per essere compresi e inclusi dallo Stato. E' qui che entra in gioco la magia di Levi, quella di esser riuscito a penetrare in queste vite. Non ci riporta niente di inferiore o primitivo, ma un mondo "diverso" e in altro modo intelligente e perspicace. Levi narra, in modo obiettivo e imparziale, le semplici vite delle genti di Gagliano scandite dal lavoro, dalla miseria e dalle malattie. Pare non conoscano il tempo: i loro giorni trascorrono nella monotonia, forse sono le forze mistiche e spirituali che riempiono di senso e magia le loro vite. Stato e contadino, città e campagna, sono le antitesi per eccellenza che non hanno bisogno di ignorarsi, ma venirsi incontro. Qui sta il limite del fascismo e non solo: non si cura del contadino e di conseguenza il contadino non si cura di "Roma", non sa che farsene di una patria che non gli appartiene; non è che una povera bestia lasciata nelle mani avide e arriviste della piccola borghesia locale. Ma questo mondo campagnolo è assopito, passivo, subisce e pazienta fino a che non tocca il fondo, scoppia e diviene pericoloso per quella Patria che non ha riconosciuto i suoi figli...Sono tanti i posti dove Cristo non è mai passato, la descrizione che viene fatta del paesino sperduto della Basilicata probabilmente ora appartiene a regioni del mondo che tutti conoscono ma di cui non si parla perché la verità è più tagliente di una spada...#instabook #igersravenna #ig_books #libri #instaravenna #consiglidilettura #bookstagram #booklovers #domenicaaperto #narrativa #booktubers #carlolevi (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/Cf8KUtaIC6D/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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botallo · 2 years
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Cristo si è fermato a Eboli fu dapprima esperienza, e pittura e poesia, e poi teoria e gioia di verità
Cristo si è fermato a Eboli fu dapprima esperienza, e pittura e poesia, e poi teoria e gioia di verità
Pubblicato nel 1945, all’alba di una nuova fase della storia italiana, ma scritto alcuni anni prima, “Cristo si è fermato a Eboli” narra dell’esperienza che Levi visse in Basilicata tra il 1935 e il 1936, confinato a Grassano e, successivamente, ad Aliano perché militante politico antifascista. L’opera si presenta dunque come rielaborazione postuma, memoriale e insieme intellettuale, di una…
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radiogornjigrad · 3 years
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Boris Jovanović Kastel: KAKO JOŠ VIŠE ZAVOLJETI JUG
Boris Jovanović Kastel: KAKO JOŠ VIŠE ZAVOLJETI JUG
Carlo Levi: Lucania 61. Impresija o romanu Hrist se zaustavio u Eboliju Karla Levija U ovu mračnu zemlju, bez grijeha i bez iskupljenja, gdje zlo nije moralno, već je zemaljski bol, koji je vječno u stvarima, Hristos nije sišao. Hrist se zaustavio u Eboliju.  Jedan od najznačajnijih romana u poslijeratnoj italijanskoj književnosti Hrist se zaustavio u Eboliju (Cristo si e fermato a Eboli, 1945)…
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Lo sciakuddhi, il folletto dispettoso del Salento
il folletto salentino, visto da Daniele Bianco
  di Paolo Vincenti
Lo sciakùddhi, o sciacuddhi, è la maschera popolare del Carnevale della Grecìa salentina, protagonista delle colorate sfilate in maschera che si tengono nei giorni carnascialeschi. È un termine greco-salentino col quale si indica un curioso folletto, esponente di quell’immenso patrimonio che sono le tradizioni popolari del nostro territorio, abitato da molte altre maschere o “spauracchi”, quali la catta scianara, l’uomo nero, le macare, il Nanni Orcu, ecc.  Lo sciakùddhi è conosciuto sotto nomi diversi non solo negli altri comuni del Salento ma anche in tutta la vasta area meridionale italiana. Nella fantasia popolare, esso è un folletto, molto piccolo, bruttino, fosco, peloso, vestito di panno e con un buffo cappellino in testa; in genere scalzo, smanioso di possedere un paio di scarpette, quindi riconoscente nei confronti di coloro che gliele donano, ai quali regala un gruzzolo di monete sonanti o indica il luogo dove si trova nascosto un tesoro, l’acchiatura. Ha l’abitudine di saltare di notte sul letto delle case che visita, raggomitolandosi sul petto del dormiente e dandogli un senso di soffocamento, poiché esercita una forte pressione; e probabilmente, proprio dalla voce dialettale carcare, ossia “premere”, deriva carcaluru, nome con cui è più conosciuto nel nord Salento.  Per la verità, questo che stiamo descrivendo è propriamente il tipo dello scazzamurrieddhu, assimilato allo sciakùddhi, mentre lu moniceddhu è raffigurato come un uomo piccolissimo, vestito con un abito da frate ed è considerato uno spiritello più bizzarro e scherzoso che cattivo, come è invece  lu scazzamurrieddhu : “piccin piccino, gobetto, con gambe un  po’ marcate in fuori, è peloso in tutta la persona, gli copre il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola”, come  ci informa il Castromediano.
Vi è almeno una trentina di modi in cui è chiamato questo folletto: oltre a quelli già citati, asciakùddhi, variante di sciakùddhi, nella Grecìa Salentina, soprattutto a Martano; àuru, nelle varianti lauru e laurieddhu, a Lecce; diaulicchiu o fraulicchiu, o, più raro, piccinneddhu, nel medio Salento; scarcagnulu, diffuso nel Capo di Leuca; altrove anche uru, urulu, ecc.
Per il Rohlfs, sciacuddhi /sciaguddhi è un folletto ed anche un incubo; il suo nome verrebbe dal greco σκιαούλον, ossia “piccolo spettro”, da σκιά ,“ombra”, con influsso del latino augurium. In altre aree del Salento si ha però, come abbiamo detto, anche scazzamurreddhu, scazzamaurrieddhu, che secondo il Vocabolario dei dialetti salentini vale “spirito, folletto” e “incubo”. L’origine si trova in un cazzamurreddhu che, oltre a presentare l’aspetto di una parola composta, si mostra anche congruente col francese cauchemar. La somiglianza non è sfuggita a Rohlfs, che infatti rimanda la nostra forma a un composto tra la voce dialettale cazzare, “schiacciare”, e il germanico mara, “fantasma”. Nonostante la voce salentina (e meridionale) presenti un vocalismo e uno sviluppo morfologico più tipico, l’origine di questo secondo elemento è rafforzata dal primo, visto che TLFI (Trèsor de la langue francaise informatisè) ritiene che il francese cauche dipenda proprio da un latino calcare, “schiacciare” e, in sintonia con la proposta di OED (Oxford English Dictionary on line) per l’inglese nightmare, riconduce il francese mar a forme di tipo mare, “spettro” presenti in neerlandese, tedesco e inglese antico.
Munacceddhu e animali, visto da Daniele Bianco
  A Napoli, “o munaciello” è quasi una maschera popolare; ma, a differenza del monaciello napoletano, che miracolosamente nacque dalla bella Mariuccia e dall’ottantenne doli Salvatore, come informa Giovan Battista Basile nel Cunto de li cunti, lu scazzamurrieddhu salentino non ha lasciato traccia della sua venuta al mondo. Può essere lo spirito di un bambino morto senza aver ricevuto il battesimo, come il monachicchio, l’omologo lucano del nostro moniceddhu, di cui parla Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli. Oppure, questo spirito lo si credeva sprigionato dal fumo delle carcare (da cui, forse, un’altra etimologia per carcaluru), nelle quali si produceva la calce utilizzata per le costruzioni. Dal fumo della calce ribollente, veniva fuori l’astuto folletto e guai alla casa che prendeva di mira, nella quale si intrufolava passando dal camino, e guai agli abitanti della stessa, che venivano svegliati di soprassalto dallo scazzamurrieddhu, il quale in questo modo, sonoramente, sottolineava il proprio arrivo. Certo, il comitato di benvenuto che il furbo carcaluro si sarebbe aspettato di trovare al suo arrivo non era proprio la “festa” che gli arrabbiatissimi famigliari, svegliati di soprassalto, gli volevano fare. Il Nostro è dunque un nano, categoria dalla quale ha attinto molta letteratura per l’infanzia e in ispecie le fiabe (pensiamo, su tutti, a Biancaneve e i sette nani).
Il primo e il più famoso di questi nani è lu cumpare Sangiunazzeddhu, così chiamato perché piccolissimo quasi quanto un sanguinaccio, secondo il Castromediano. Sangiunazzeddhu sta per Sanguinello e la derivazione forse più attendibile di questo termine, secondo Rossella Barletta, è quella di Silvanus, una divinità agreste della mitologia romana che più tardi il popolo convertì in una specie di folletto.
A volte, egli può volgere la sua attenzione agli animali: di notte striglia, abbevera i cavalli e gli asini nelle stalle, oppure li bastona; può vedere di buon occhio il cavallo e mal vedere l’asino, e allora toglie la biada all’uno e la porta all’altro. Una volta infilatosi in casa dal camino, comincia a compiere una serie di scherzetti anche pesanti: nasconde o cambia la disposizione degli oggetti, rompe piatti, bottiglie, bicchieri, producendo un gran frastuono, facendo sobbalzare nel letto i componenti della famiglia. Guai se vi è un ospite sgradito in casa: lu moniceddhu comincia a premergli il petto fino a toglierli il respiro. Ma se l’oppresso riesce a vincere l’affanno e a catturare il folletto, prendendolo per il ciuffetto e tenendolo fermamente, allora il dispettoso spiritello piange e prega e tutto promette per riavere la libertà.
disegno di Daniele Bianco
  Un altro modo per sottometterlo è impadronirsi del suo berretto rosso, lu cappeddhuzzu. Senza il suo copricapo, il folletto non può vivere e per riaverlo promette di rivelare ai padroni della casa il luogo in cui si trova un’acchiatura. Ciò può essere un tranello e, per ritrovare questo fantomatico tesoro, l’uomo può cacciarsi in grossi guai, sempre che il folletto non sia nel frattempo scappato, dopo aver ricevuto il suo cappeddhuzzu, senza rivelare alcun nascondiglio. Essendo un burlone, se gli si chiede denaro, egli colma la casa di cocci; se invece gli si chiedono cocci, egli dà il denaro. “E’ uno di quei folletti”, dice ancora il Castromediano, “tra il bizzarro e l’impertinente, tra lo stizzoso e lo scherzevole, cattivo con chi lo ostacola o sveli le sue furberie, benefico con chi usa tolleranza”.
Frequentando le stalle, può succedere che si innamori di un’asina o di una cavalla ed allora è tutto premure e dolcezze. Pettina e lucida il crine o la coda della cavalla di cui è innamorato e, a questa soltanto, porta tutta la biada, sottraendola agli altri animali, che diventano sempre più rinsecchiti, per somma disperazione dello stalliere che non riesce a darsi una spiegazione per lo strano fenomeno. La famiglia che abita la casa visitata dal nanetto, a causa della sua presenza ossessiva e fastidiosissima, può anche decidere di cambiare casa; sempre che il terribile folletto non decida di seguire le sue vittime nella nuova abitazione.
Fra i vari dispetti, il peggior male è, senz’altro, quello di non dormire la notte o di dormire male, con un sonno agitato dagli incubi. C’è un altro rimedio per tenerlo lontano: si può apporre ad un arco o alla sommità della porta principale della casa un paio di corna di bue o di montone, di cui il folletto ha una paura tremenda. Come visto, un altro nome con cui viene indicato dalle parti di Lecce è lauru o auru, auricchiu nel suo diminutivo. Secondo Rossella Barletta, l’origine del termine auro deriva da “augurio”, dal latino augurium, derivato da augur, cioè “augure”, intendendo con questo termine quei sacerdoti che, nella religione romana arcaica, divinavano la volontà degli déi attraverso la lettura dei segni celesti o anche attraverso il canto o il volo, oppure ancora le interiora, degli uccelli. Ma il termine “augurio”, nella nostra lingua, è collegato con qualcosa di positivo, un buon auspicio, e questo ci fa pensare alla componente buona, o almeno duale, del carattere di questo folletto-divinità della casa. Maurizio Nocera individua un’altra etimologia per laurieddhu: “Le due parole (Laurieddhu e Monachicco) non sono in contraddizione fra di loro, anzi: Laurieddhu si riferisce al luogo e ha la sua origine etimologica da laura, grotta naturale, spesso usata nel primo millennio d. C. dai monaci bizantini per i loro ritiri, per pregare ed anche per dormire. In Salento le laure basiliane sono molte tuttora visitabili. Monachicco invece significa appunto piccolo monaco, che vive nella laura”.
Ricorda, Nocera, le sue paure di bambino nel piccolo paese agricolo (Tuglie) in cui è nato: “La mia paura era legata soprattutto al buio e ai racconti che si facevano intorno a questo elemento della natura. Una volta andati a letto, ai bambini si raccomandava di mettersi sotto le coperte e di non mettere mai fuori la testa da esse, pena l’arrivo del laurieddhu e gli scherzi di cattivo gusto che egli avrebbe potuto fare. A ciò vanno aggiunte le paure derivanti dai racconti legati all’apparizione di anime morte o comunque di spiriti maligni. Ovviamente da bambino anch’io ho creduto a tutto ciò, e non dimentico il terrore che avevo per questo strano spiritello. Il mio lettino stava affianco a quello di mio fratello più grande, oltre al quale c’era il camino, di giorno acceso, di notte spento. Una volta coricato e messa la testa sotto le coperte, l’immagine della mente più appariscente che mi si presentava era sempre quella della bocca del camino nero, dal quale poteva uscire lo gnomo dispettoso o qualche anima morta. Terrore e tremore fino a che il sonno non vinceva. Da adulti, mio fratello mi ha ricordato che durante quella prima fase di sonno ipnagogico, parlavo molto, a volte gridavo anche, e le parole che scandivo erano sempre rivolte allo gnomo affinché stesse lontano da me. Paure di bambino scaturite dalla narrazione.
Oggi di tutta questa leggenda sono rimasti solo i racconti”. Fatto sta che, nonostante la disponibilità di contributi autorevoli di figure di spicco della cultura salentina, deve ancora allestirsi una bibliografia sugli esseri immaginari salentini, anche in relazione a quelli di altre aree dello spazio mediterraneo.
Per trovare l’origine degli scazzamurrieddhi, secondo noi, si può certamente risalire ai Lares, ai Penates e ai Manes, le divinità domestiche della casa romana. Nella religione romana, i Lares erano protettori di uno spazio fisico ben preciso e circoscritto, la casa appunto. Ad essi si portavano delle offerte, come un grappolo d’uva, una corona di fiori o cibarie. Il Lar Familiaris è invocato da Catone nel De agri cultura e da Plauto nell’Aulularia. I Penati erano, etimologicamente, gli dèi del penus, cioè il vano delle provviste. Anch’essi erano i protettori della casa e dei suoi abitanti, in particolare del pater familias. Vi erano poi i Lemures o Manes, cioè gli spiriti dei morti. La morte, nell’antica Roma, veniva ritenuta contagiosa, funesta, e quindi doveva essere purificata con riti appropriati, come il sacrificio di una scrofa a Cerere. Il lutto durava nove giorni. L’ultimo giorno, si faceva un pasto sulla tomba, poi la pulizia con la scopa e la purificazione della casa e di tutti coloro che avevano assistito alla sepoltura. La famiglia infatti si riteneva contaminata, in qualche modo, dal contatto con la morte. Se ai morti veniva data giusta sepoltura, essi potevano sopravvivere in pace nell’aldilà, altrimenti potevano tornare sulla terra e tormentare i vivi. Questi spettri malefici erano chiamati Larvae e i famigliari venivano da essi tormentati. I Lares ed i Penates non abbandonavano mai la casa e ne proteggevano gli abitanti, mentre i Manes, nella loro forma di Larve, potevano essere avversi. Se dunque affondassero nella mitologia romana le origini dei folletti di casa nostra, ciò fornirebbe anche una spiegazione della loro doppia natura, benevola e malevola.
tavola di Daniele Bianco
  Ringrazio il prof. Antonio Romano per l’ottima consulenza bibliografica.
  BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Saverio La Sorsa, Fiabe e novelle del popolo pugliese, Bari, Casini, 1927.
Idem, Leggende di Puglia, Bari, Levante, 1958.
Giuseppe Gabrieli, Biblioteca del folklore pugliese, Bari, Set,  1931.
Giuseppe Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto, ristampa, Bologna, Forni, 1970.
Sigismondo Castromediano, Cavallino: usi costumi e superstizioni, ristampa, Lecce, Capone Editore, 1976.
Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini di Terra d’Otranto, Galatina, Congedo, 1976.
Aa.Vv., Favole e leggende salentine, Bari, Adda Editore, 1977.
Aa.Vv., Salve – miti e leggende popolari, Salve, Edizioni Vantaggio, 1995.
Alice Joisten e Christian Abry, Trois notes sur les fondements du complexe de Primarette. Loups-garous cauchemars, prédations et graisses, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 30- 1-3, 2002, pp.135-161.
Mario Alinei, «Silvani» latini e «Aquane» ladine: dalla linguistica all’antropologia, in «Mondo ladino», IX  n. 3-4, 1985, pp. 49-78.
Mario Alinei, L’étude historique des êtres imaginaires des Alpes, dans le cadre de la théorie de la continuité,  in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 103-110.
Gian Luigi Beccaria, I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e parole perdute, Torino, Einaudi, 1995.
Sabina Canobbio, Les croquemitaines du Piémont occidental. Premier inventaire, in Le Monde alpin et  rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.26-2-4, 1998, pp. 67-80.
Davide Ermacora, Intorno a Salvàns e Pagàns in Friuli: buone vecchie cose o nuove cose buone, in «Atti dell’Accademia San Marco» n. 11, 2009, pp. 477-502.
Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, Torino-Palermo C. Clausen, 1894 (Rist. anast. Cerchio, Polla, 1986).
Aa.Vv., Leggende e tradizioni popolari delle Valli Valdesi, a cura di Arturo Genre e Oriana Bert, Torino, Claudiana, 1977.
Alice Joisten e Christian Abry, Les croquemitaines en Dauphiné et Savoie: l’enquête Charles Joisten, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 26-2-4, 1998, pp. 21-56.
Êtres fantastiques des Alpes, a cura di Alice Joisten e Christian Abry, Paris, Entente, 1995, (Collezione di Estratti da: Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.1-4/1992).
Giovanni Ruffino, Fantastiche abitatrici dello spazio domestico nelle credenze popolari alpine e siciliane, in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 45-50.
Rossella Barletta, Scazzamurrieddhri i folletti di casa nostra, Fasano, Schena Editore, 2002.
Federico Capone, In Salento Usi, costumi, superstizioni, Lecce, Capone Editore, 2003.
Salento da favola storie dimenticate e luoghi ritrovati, a cura di Roberto Guido, Lecce, I libri di Qui Salento, Guitar Edizioni, 2009.
Maurizio Nocera, Il laurieddhu e il culto della papagna nel Salento, in La magia nel Salento, a cura di Gianfranco Mele e Maurizio Nocera, Lecce, Edizioni “Spagine/Fondo Verri”, 2018, pp. 123-136.
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schizografia · 3 years
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Il contadino e l’operaio
Malgrado la mia diffidenza per i premi e le punizioni, ho accettato di ricevere il premio Nonino, per la semplice ragione che esso si propone esplicitamente nel suo statuto la «valorizzazione della civiltà contadina». È su queste due parole «civiltà contadina» che vorrei riflettere con voi. Perché se anche qualcosa di essa continua a vivere, noi sappiamo che la civiltà contadina non esiste più, che appartiene al passato. Negli anni in cui io sono nato i contadini costituivano ancora la maggior parte della popolazione italiana, ma la mia generazione li ha visti progressivamente e rapidamente scomparire. È un fatto che non cesserà di stupire gli storici futuri, che per far scomparire una cultura che, nelle sue linee generali, era rimasta inalterata per cinquemila anni, ci sia voluto così poco tempo. E non meno sorprendente è la facilità con cui ci siamo lasciati persuadere dagli imbonitori del progressismo che si trattava di un fenomeno ineluttabile – così ineluttabile, tuttavia, che curiosamente fu necessario per realizzarlo esercitare sugli interessati una violenza senza precedenti.
Non mi riferisco soltanto allo sterminio dei contadini nell’Unione Sovietica, un vero e proprio genocidio – mi piace ricordarlo proprio oggi nel giorno della memoria – che ha fatto un numero di vittime doppio o forse triplo rispetto allo sterminio degli ebrei. Mi riferisco anche alla violenza – perché di una forma di violenza indubbiamente si è trattato, anche se più subdola – che è stata necessaria per deportare le popolazioni agricole dal meridione verso le fabbriche del Nord.
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Era necessario farlo – ci è stato detto – perché una nuova figura epocale si era affacciata alle soglie della storia e avrebbe ormai segnato il corso dei secoli a venire: l’operaio. Nel 1938 appare il libro di Ernst Jünger che porta appunto questo titolo: Der Arbeiter, l’operaio – un libro che doveva esercitare un influsso considerevole tanto alla destra che alla sinistra dello schieramento politico europeo. Al centro del libro sta la descrizione e la teorizzazione di questa nuova figura epocale, che doveva sostituire i contadini (che a dire il vero sono appena nominati da Jünger), l’aristocrazia e la borghesia nel dominio del mondo. Tutta la modernità si colloca secondo Jünger sotto il suo segno: la tecnica – sono le sue parole – «non è che il modo in cui la figura dell’operaio mobilita il mondo».
Ebbene: tutto ciò era falso, semplicemente falso. Questa decisiva figura epocale, che è stata esaltata, descritta, rappresentata e celebrata innumerevoli volte con amore e anche respinta con odio e disprezzo è scomparsa con la stessa velocità con cui era comparsa. Ci sono certamente ancora degli operai, ma l’operaio come figura epocale appartiene oggi al passato come il contadino di cui doveva prendere il posto. Non è facile dire quale sia la figura storica che ci sta davanti – se il tecnocrate, lo scienziato o qualche altro più oscuro personaggio digitale di cui riusciamo appena a intravedere il volto – ma certamente non sarà l’operaio.
Jakobson ha parlato, a proposito del destino tragico dei poeti russi del primo Novecento, di «una generazione che ha dissipato i suoi poeti»: noi siamo certamente una generazione che ha dissipato in pochi decenni un antichissimo patrimonio e non sa bene con che cosa sostituirlo.
Vorrei finire, allora, con le parole di un autore che ha scritto la testimonianza più straordinaria sulla fine della civiltà contadina: Carlo Levi. È un fatto su cui non ci si dovrebbe stancare di riflettere che, negli stessi anni, due ebrei torinesi omonimi, Carlo Levi e Primo Levi, pubblicano i due libri certamente più importanti della letteratura italiana del Novecento: Cristo si è fermato a Eboli (1945) e Se questo è un uomo (1947). Nel romanzo L’orologio, pubblicato nel 1950 e ambientato in quei mesi del 1945 in cui il governo Parri, nato dai Comitati di liberazione nazionale, cade per lasciare il posto allo sfacelo politico che noi conosciamo e che egli lucidamente intravede, Levi propone di dividere il mondo in due classi: i Contadini e i Luigini. I Contadini sono quelli che «fanno le cose, le amano e se ne contentano». Contadini sono per Levi non sono solo i contadini in senso stretto, ma anche gli industriali, gli artigiani, gli imprenditori, i matematici, i poeti, le donne di casa – tutti coloro, insomma, che «fanno le cose». Luigini sono tutti gli altri, i burocrati, gli organizzatori, i politicanti, i mediatori e i mediocrati di ogni specie, che vivono sfruttando il lavoro e l’intelligenza dei Contadini.
«La verità» scrive profeticamente Levi «è che la forma stessa dei nostri partiti è luigina, la tecnica della lotta politica e la struttura stessa del nostro Stato sono luigine». L’Italia – io credo – non è mai esistita – tranne, forse, in quei pochi mesi o in quei due anni dal 1945 al 1947 – fino alle elezioni del 1948 che segnarono il trionfo dei Luigini – in cui è sembrato per un momento possibile che i Contadini togliessero finalmente di mezzo i Luigini. Dedico questo premio ai Contadini e non ai Luigini.
Giorgio Agamben
Discorso pronunciato in occasione dell’assegnazione del Premio Nonino consegnato sabato 27 gennaio 2018 nelle Distillerie di Ronchi di Percoto (Udine).
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gustisapori · 3 years
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A CAMIONISTA ristorante super !
Cristo si è fermato a Eboli e ho capito il perchè ! A Eboli(Sa) ce il ristorante "A Camionista" dove si mangia pesce divinamente, in un ambiente arioso, semplice e pulito. A camionista fa pensare ad un locale per camionisti, ed in effetti molti di questi lavoratori si fermano a mangiare, ma il locale è frequentato anche da moltissimi ospiti che si fermano a degustare le tipiche pietanze offerte  dalla casa. Si chiama così perchè la titolare era una camionista che guidava un camion tutto rosa e dipinto con i motivi del cartone animato la sirenetta.  Ci ho pranzato due volte e ne sono uscito, felice, sazio e soddisfatto, pagando un prezzo equo e onesto. La specialità del ristorante sono le specialità ittiche fresche cotte e crude e servite in portate scenografiche e accattivanti, come i taglieri al metro. Non ho trovato nulla di cui lamentarmi. La freschezza è indubbia ed i sapori indiscutibili. Il pesce spada ed il tonno alla piastra erano super gustosi e ben cotti. La frittura di calamari, gamberi e alici era croccante e asciutta, senza eccessi d'olio.  I primi neanche a dirlo, sono stati premiati con un bis. Gli scialatielli ai frutti di mare, la fanno da padrona. Consiglio di assaggiare le pappardelle baccalà e ceci che sono una vera esplosione di gusto e giusta sapidità. Nel banco frigo sono esposte le grandi orate freschissime da grigliare al momento. I gusti e sapori di quanto degustato, non posso descriverli, ma vi lascio alle foto che meglio esprimono la mia soddisfazione. Non ce alcun dubbio...quando tornerò da quelle parti, mi fermerò di nuovo a Eboli !  Buon appetito. Dimenticavo di consigliare allo staff di provvedere più efficacemente al problema delle mosche, che infastidiscono parecchio gli ospiti, nonostante alcuni visibili accorgimenti. A Camionista tel. 0828.1992447 strada provinciale 30A Eboli(Sa)
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morelin · 3 years
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Aliano
Aliano (Matera) è un piccolo borgo arroccato su un costone di argilla, circondato dal paesaggio lunare creato dai calanchi lucani.
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Nei vicoli del paese sono rimaste tracce di una cultura contadina intrisa di magia e superstizione: ne sono esempi la Casa del Malocchio che ha le sembianze di un volto umano e le Maschere cornute esposte al Museo della Civiltà Contadina.
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Queste terre e la vita contadina degli abitanti sono state fonte d’ispirazione per Carlo Levi, autore del celebre “Cristo si è fermato a Eboli” che qui ha trascorso alcuni mesi di confino segnando profondamente la storia di questo paese.
Per conoscere meglio la sua storia è possibile visitare la Casa di confino di Carlo Levi dove un video propone al visitatore immagini, suoni e brani tratti dal famoso romanzo. Inoltre, nella Pinacoteca Carlo Levi si possono vedere documenti e fotografie dell’autore ma anche tele e litografie dato che Levi ha coltivato sin da giovane una passione per la pittura che lo ha portato ad ottenere riconoscimenti prestigiosi, esponendo in diverse città italiane ed europee.
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Passeggiando nei vicoli avrete modo di vedere anche alcune street art che lo ritraggono e dei pannelli espositivi che vi permetteranno di visitare Aliano con Carlo Levi, una delle tante attività proposte dal Parco Letterario Carlo Levi.
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Per gli appassionati dell’espressionismo astratto, consiglio la visita del Museo Paul Russotto dove sono esposti dipinti, collages e disegni realizzati da Paul Russotto tra il 1964 ed il 2012.
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