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#castel toblino
livesunique · 11 months
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Castel Toblino, Madruzzo, Trento, Italy
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joacomaduro · 10 months
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Castel Toblino, Madruzzo, Trento, Italy
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wgm-beautiful-world · 2 months
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Castello e lago di Castel Toblino, Trentino, ITALIA
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ghassanmk · 2 years
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Lago di Toblino - Toblino See - Toblino lake by Rolf Sigmund Via Flickr: Castel Toblino
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Castel Toblino, Italy.
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sabinerondissime · 1 year
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Castel Toblino, Madruzzo, Trento
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thinkragelive · 9 months
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2023 : Castel On a Lake II [Europe Trip Day 11 Italy]    
Castel Toblino, Lago di Toblino, Italy
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antoncino · 1 year
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Oggi rientro alla normalità dopo 4 giorni magnifici in montagna con un super gruppo. E come facevo a non fermarmi lungo la strada a fotografare Castel Toblino sull’omonimo lago? Da domani torno ai cipressyni, tranquilli! (presso Lago di Toblino) https://www.instagram.com/p/CoNxwJzLMU3/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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mostlyitaly · 7 years
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Castel Toblino (Trentino-Alto Adige, Italy) by Giacomo Cardea
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slintistud · 6 years
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- Lago di Toblino - Valle dei laghi (Trentino)
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colicignolocations · 3 years
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Regione Trentino Alto Adige. Il "Castel Toblino" è un raro esempio di #castello lacustre. Situato nella valle dei Laghi tra #Padergnone e #Sarche nel territorio comunale di #Madruzzo, in provincia di #Trento. La struttura è arroccata su una piccola e protetta #penisola bagnata dall'omonimo #lago. @citta_borghi_luoghi_ditalia #italia #italy (presso Castel Toblino) https://www.instagram.com/p/CSpeGX2swfg/?utm_medium=tumblr
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animafelinasblog · 5 years
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Castel Toblino Trento
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campiglioweb · 4 years
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evergreen . . . . . . #instagarda #instatrentino #instaitalia #trentino #lagodigarda #trentinodavivere #garda #gardasee #gardalake #gardatrentino #igerstrentino #ig_trentinoaltoadige #rivadelgarda #riva #lifegarda #phototag_it #photoGC #ig_trentino #yallerstrentino_altoadige #yallersitalia #yallerstrentino #volgotrentino #volgotrentinoaltoadige #torbole #buongiornotrentino #Trento #trentino #landscape #italia #igersitalia #shotz_of_italy (presso Castel Toblino) https://www.instagram.com/p/CAm5Lo5Dqy5/?igshid=vglzyrfihg3b
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diana-mars22 · 6 years
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Capitolo 6 (Water Stars): Castel Toblino
Suo zio.
Agostino lo fissò scioccato. L’uomo dall’occhio cieco ricambiò la sua occhiata. Il ragazzino si sentì in imbarazzo per il trattamento che fino a quel momento gli aveva riservato. «Mi dispiace. Vi prego di scusarmi per il mio comportamento. Sono desolato».
«Lo capisco.» Disse, ma le sue parole contrastavano con l’occhiata severa che gli lanciava. «Sei sconvolto.» Aggiunse, cercando di dire qualcos’altro. Ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare le parole adatte per offrirgli una consolazione più adeguata.
«Vi fermerete da qualche parte per la notte, zio?» Domandò il ragazzo. Proprio non riusciva a non dargli del tu. Né l’altro disse niente per correggerlo. Agostino si ritrovò a pensare che fosse meglio così. «Certo. Ho fatto un lungo viaggio per giungere fino a qui e sono molto stanco. Non preoccuparti per la mia sistemazione, ho affittato una stanza alla locanda».
Il tredicenne annuì e tacque.
In quel momento le campane suonarono il vespro. «S’è fatto tardi.» Disse Montino e i due Monselice lo guardarono. «Devo recarmi a messa.» Spiegò poi guardò Agostino come a dire: vuoi accompagnarmi? Ma il ragazzino non colse l’invito. Anche Etienne si scusò con il padroncino di casa. «Devo andare. Domani dobbiamo partire, perciò stanotte raccogli le tue cose e aspettami. Verrò a prenderti verso le sette. Ci aspetta un viaggio abbastanza lungo.» Lo avvisò in tono autorevole.
Agostino s’accorse di aver distorto il viso in una smorfia di rabbia ma serrò la bocca. Urlò mentalmente tutti i suoi dinieghi e i motivi per cui sarebbe rimasto. Questa è casa mia, ho degli amici, un lavoro, c’è Montino che può aiutarmi. Ma questo pensiero non lo esternò mai. Né con le parole, e tanto meno con la forza che avrebbe voluto. Allora non si usava che un ragazzino si opponesse a questo modo a un parente. E un parente era pur sempre un parente, gli doveva il rispetto che gli si confaceva. Inoltre a quei tempi certe mancanze di rispetto venivano punite con punizioni corporali. Aveva sentito spesso gli amici lamentarsi delle botte che i genitori gli rifilavano. E lui ne era sempre stato abbastanza intimorito da non osare né disobbedire né sfidarli in tutta la sua vita.
Fece per ribattere «Ma io non ti...» quando intercettò lo sguardo di Montino.
L’unico motivo per cui si limitò ad annuire fu lui. Non voleva fare una scenata di fronte a lui.  
Lasciò che i due uomini si rivestissero e li accompagnò alla porta.
Etienne disse ai due che alloggiava alla locanda. Poi salutò l’amico del fratello un’altra volta dopo aver gettato una lunga occhiata al nipote. Infine si decise ad annuire, impacciato, al ragazzino, voltargli le spalle e andarsene.
Sembrava che conoscesse quella città come le sue tasche.
«Io non voglio andarmene.» Fece Agostino in tono disperato, quando lo zio scomparve tra le vie della città. «Non voglio andare con lui, non so neanche chi è. Non so dove vuole portarmi. Non l’ho mai visto. Per favore, zio Montino, aiutami.» Non l’aveva mai chiamato così prima d’ora e il vecchio amico di famiglia sussultò. Poi lo guardò. Gli prese il viso tra le mani e disse: «Guardami.» Il ragazzino sfilò il viso. Non amava più da un pezzo questi contatti fisici, lo facevano sentire un bambino. Ma lo guardò: «Perché non posso restare con te?» Gli chiese.
«Perché non mi resta molto da vivere. Io sono vecchio, tu sei giovane, devi farti la tua vita. Tuo padre lo sapeva e, prima di morire, ha cercato di darti una sistemazione migliore.» Spiegò l’uomo.
«Ma ho fatto qualcosa di sbagliato? Ho curato male le piante?»
L’amico di famiglia scosse il capo: «No, mio caro, no.» Mormorò con voce dolce per rasserenarlo. In fondo era ancora un bambino sperduto in questo grande mondo, in cerca di rassicurazioni.
«Allora perché non posso restare con te?»
«Perché io non sono tuo parente».
«Ma potresti...» Non ebbe il tempo di finire la frase che l’anziano signore lo anticipò: «No. Guido non ha voluto» ma nel suo tono al ragazzino parve di leggere un accenno di bugia «Ha scomodato suo fratello apposta per te. Non puoi mandarlo via così. Sono le ultime volontà di tuo padre. Non pensi che gli causeresti un grande dispiacere se tu rifiutassi di andare con lui? Dammi retta, è meglio così, e poi io non posso mantenerti in eterno. Ultimamente ce la faccio a malapena a mantenere me stesso.» Pose le sue mani coperte dai guanti sulle spalle. Si era sparsa la voce che l’azienda di Montino fosse in crisi, ma, fino a quel momento, Agostino non ci aveva mai voluto credere. Però quando chiese perché non gliel’avesse detto, il suo interlocutore distolse per un attimo lo sguardo. Poi, quando lo guardò di nuovo, disse: «Non è rimasto niente. Nemmeno i bulbi. Sono stato costretto a mandare via molti miei sinceri e affezionati lavoratori. E credimi, vorrei tanto non doverlo fare, ma anche tu devi andare via. Devi cercare fortuna altrove. Qui a Sirmione non c’è niente per te».
Agostino lo osservava coi suoi occhi verdi sgranati: «Non puoi dire sul serio.» Mormorò.  
«Credimi, vorrei non dirlo...» Ma s’interruppe guardando quelle iridi verdi scure piene di spavento.
«Quindi domani devo andare via.» Ma lo disse con lo stesso tono di una persona che domanda: quindi mi hai venduto al miglior offerente.
«Sì».
«Perché proprio domani? Perché non può farmi aspettare qualche giorno?»
«Perché è un uomo molto impegnato. Capisce che stai male, lo capisce bene, dopotutto era suo fratello...»
«Non parlare di mio padre a quel modo!» Sbottò Agostino. «Ho capito! Ho capito quello che mi vuoi dire! D’accordo! Sono solo un peso, me ne vado!»
«No, aspetta, Agosti...» Ma non fece in tempo a dire altro che il ragazzino aveva sbattuto la porta. Montino provò a bussare e richiamarlo ma si arrese quasi subito e se ne andò.  
Il ragazzino si appoggiò alla porta scaldandosi le mani come meglio poté. In quei pochi minuti passati là fuori non si era neanche accorto della gelida morsa dell’inverno.  Ma ora che era di nuovo in casa la sentiva tutta. Doveva riscaldarla di nuovo per l’ultima volta.
Il cuore gli batteva forte in petto per la rabbia, ma per la prima volta gli occhi erano aridi e senza lacrime, nonostante l’intensità delle sue emozioni. La rabbia soprattutto, ma anche la sensazione di tradimento. Questi sentimenti dentro di lui non erano dissimili da un fuoco ardente che avrebbe voluto sprigionare per distruggere il mondo. Ma non poteva, perciò si limitava a logorarsi e imprecare sonoramente contro le ingiustizie che gli erano capitate. Prima la ragazzina-strega che aveva salvato, poi la chiazza bianca sulla sua chioma, il trasferimento, la morte della mamma, quella di suo padre e ora lo sfratto e un altro trasferimento. Avrebbe mai trovato un luogo dove piantare radici ed essere felice una volta per tutte?  
Quando ebbe ritrovato un po’di serenità si accostò di nuovo alle fiamme e le ravvivò gettandoci qualche ciocco.
Si cucinò la cena e mangiò da solo dopo aver detto la preghiera di rito. Mentre mangiava e borbottava imprecazioni con se stesso, pensò a cosa avrebbe potuto fare il giorno dopo. Avrebbe anche potuto non aprire la porta, avrebbe potuto scacciarlo. Ma Montino era stato chiaro.
E poi chissà cosa diavolo aveva combinato alle loro spalle tutto quel tempo. Chi poteva sapere che costui non avesse venduto la casa a qualcun altro, nel frattempo? Dopotutto quella casa apparteneva a lui. Il ragazzino e la sua famiglia erano stati dei semplici ospiti. No. Decise. Non mi sposterò. Invece con sua grande sorpresa, una volta finito di mangiare e pulito i piatti e le pentole, si mise a fare i bagagli. Riempì un intero baule, meravigliandosi che la sua vita potesse entrare tutta in un cassone.
Poi, una volta pronto, decise di avventurarsi anche nella stanza che fino a pochi mesi prima era appartenuta a suo padre. Essendo una famiglia con un reddito decente, tecnicamente non avevano più né bisogno di dormire sulla paglia, ma in letti veri e senza per forza doverle condividerla. Era stata una tortura per lui, all’inizio, che era abituato a dormire assieme ai genitori. Ma in quei due anni si era abituato. Ma non era niente in confronto alla paura che provava in quel momento.
Non apriva quella porta da quando era morto. Chissà come si era ridotta quella stanza. Alzò una mano per posarla sulla maniglia ma all’ultimo la ritrasse.
Il coraggio gli era venuto meno. Perciò se ne andò, con la faccia distorta in una smorfia di pianto.
Si preparò per la notte e si coricò facendosi come promemoria di mettere in valigia anche le coperte. Alla fine però non resistette più e scoppiò a piangere.
Quando si svegliò al suono del mattutino, il ragazzo si stropicciò gli occhi come un bambino e si alzò. Poi scese in salotto. Prese la teiera sulla brace ardente che aveva lasciato lì da quando era andato a dormire e la portò di sopra dove si riempì una bacinella e la usò per lavarsi. Poi si vestì, fece colazione e si mise a fare le valige. E poi attese. Etienne gli aveva detto che sarebbe giunto a prenderlo di lì a poco. Ma erano già passate delle ore e il campanile segnava già le nove.
Magari chissà, si era scordato di lui. Montino gli aveva parlato e se ne era andato.
Poi, proprio mentre ci stava sperando con tutto se stesso, ecco arrivare una carrozza.  Una di quelle da nobili, cioè chiusa. Non era esattamente un esperto di carrozze, ma quella veronese, ossia una carretta chiusa con un’unica cassa appoggiata sull’asse, recava stendardi nobiliari che non riconobbe. Però, nonostante l’inusuale mezzo di trasporto che si trovò davanti, si accorse che era piuttosto disadorna, rispetto a come le immaginava. Ma sicuramente non poteva essere suo zio, sicuramente era qualcuno che si era perso. Ma restò stupefatto quando quella si fermò davanti a lui. Ancor di più quando il cocchiere fermò il cavallo e si volse verso la carrozza. Ne scese subito lo zio di Agostino. «Spero di non averti fatto aspettare troppo» Si scusò. Poi fece le presentazioni: «Armando, questo è Agostino, Agostino questo è Armando.» L’uomo seduto a cassetta inclinò il capo e salutò il ragazzo con un sorriso. «Verrà a vivere con noi».
Il ragazzino pensò: Forse era questo che intendeva Montino quando mi ha detto che poteva offrirmi un futuro. Già osservava la carrozza stupefatto, non immaginava che lo zio sarebbe arrivato da lui con addirittura una carrozza. «Su, carica le tue cose nella cassa e andiamo.» Ordinò spiccio lo zio.
Il ragazzino eseguì, ma i bagagli più piccoli poté tenerli con sè nella carrozza.        
Il viaggio fu diverso rispetto alla volta scorsa. Non strano, non difficoltoso, solo diverso. Per prima cosa si accorse che lo zio non era un tipo loquace. Dalle poche domande che faceva e dalle molte risposte che elargiva a una domanda sola, poteva sembrare il contrario. Ma dopo averti detto tutto, lui era capace di sprofondare in un silenzio di tomba. Il modo migliore per togliersi di torno gli scocciatori - secondo lui -  era dirgli tutto quello che volevano sapere e poi lavarsene le mani.
E forse considerava il nipote allo stesso modo. Infatti durante tutto il viaggio non aprì mai bocca. Salvo per rispondere alle poche domande che lui gli fece: «Com’era mio padre da giovane?»
Lo zio lo guardò a lungo con l’unico occhio sano e poi disse: «Ti somigliava molto. Era allegro, dove andava lui tutto s’illuminava. Quando tua nonna venne a mancare e il nonno si risposò, fui io a occuparmi di lui».
«Vuoi dire che ho altri parenti oltre a voi?» «Non saprei, la seconda moglie del nonno non riuscì mai a generare un figlio. E io non so se tuo nonno avesse delle amanti da qualche parte. Dovremmo avere dei cugini in Austria o Prussia, non ricordo bene. Li ho visti solo una volta.  Tu dimmi, invece, sei nato con quella chiazza bianca o ti è venuta dopo?» Disse accennando con uno svolazzo della mano alla sua chioma che spuntava da sotto al berretto. Agostino arrossì e distolse lo sguardo, calcandoselo in testa: «Mi è venuta dopo...Un...un brutto spavento».
Lo zio si appoggiò allo sportello con fare annoiato e mormorò: «Capisco.» Ma non disse nient’altro.
Per un considerevole lasso di tempo non si dissero niente. Ognuno perso nei suoi pensieri. Poi Agostino disse: «Voi che lavoro fate?» Proprio non ce la faceva a dargli del tu.
«Io sono maggiordomo di palazzo di una tenuta estiva di un nobile veneziano. Ma forse questo termine è troppo antiquato. Proviamo così: sono il ciambellano di un nobile veneziano.» Rispose lo zio senza guardarlo. Suo padre una volta glielo aveva accennato, quando Agostino, da piccolo, gli aveva posto qualche domanda. Chi veniva investito dell'incarico assumeva un potere pari quasi a quello del proprio signore: ne era il consigliere personale, assisteva alle udienze, ne svolgeva le veci in caso di assenza, di malattia, o di morte - in attesa dell'investitura del successore. Grazie a questa grande libertà di azione, con l'andare del tempo i maggiordomi assunsero un potere via via crescente, sia in ambito politico sia amministrativo, arrivando a occuparsi, in vece del sovrano, di tutte le attività politiche e militari, fino in alcuni casi a sostituire lo stesso Re. O nobile, in questo caso. Al momento i suoi datori di lavoro erano impegnati a Venezia e quindi avevano delegato a lui il compito di occuparsi di tutto. Agostino non immaginava che lo zio ricoprisse una carica tanto elevata e prestigiosa. Non riuscì a togliersi dalla faccia un’espressione ammirata. Normalmente il ragazzino sarebbe stato un tipo curioso, eppure con quel parente da poco conosciuto, non provava quella stessa curiosità che lo portava a fare amicizia. E poi non gli sembrava che fosse granché socievole. Ma forse era solo timidezza. Dopotutto cosa si dice a un parente mai visto e conosciuto?
«E quanto dista da qui a là?»
«Pochi giorni. Montino mi ha detto che hai quattordici anni».
«Li compio quest’estate».
Agostino annuì e poi non si dissero più niente. Si fermarono soltanto la notte in qualche locanda e poi ripartirono.  Soltanto una sera la loro quiete fu quasi minacciata, e cioè quella che dovettero sostare a Bologna per ripararsi da un nubifragio. Presero in affitto due stanze in una locanda del loco. In realtà non era strettamente necessario che passassero da quella città, ma era una delle strade più sicure che avessero potuto percorrere. Non che i pericoli non esistessero anche altrove, ma quella era una delle più controllate e sicure. Al momento della separazione, Etienne da Monselice disse ad Agostino che Giacomo, così si chiamava il cocchiere, avrebbe fatto la guardia. L’uomo, infatti, si era appostato su una sedia tra le due porte delle camere e aveva annuito.  
Agostino restò tutto il tempo alla finestra della sua stanza. Invece lo zio ne approfittò per schiacciare un pisolino e scendere a bere qualcosa di caldo, una volta sveglio. Quella pioggia era così fitta e violenta, e il clima così freddo, che i due viaggiatori non si recarono nemmeno in chiesa per la messa. Ma al ragazzino non dispiacque più di tanto.
Quando il tempo si fu un poco placato, Etienne bussò alla sua porta. Quando il ragazzino gli aprì, gli annunciò di dover recarsi al mercato per comprare delle merci che servivano al castello. E gli domandò se avesse voluto accompagnarlo. Agostino alzò le spalle e disse: «Non vedo perché no. In fondo non ho mai visto questa città».
E quando un uomo di malaffare cercò di rapinarli, lo zio di Agostino, per tutta risposta, lo minacciò con un piccolo scoppietto, modificato, che trasse da sotto il mantello. Gli scoppietti erano la prima arma da fuoco portatile della storia dell'umanità, creata collocando un piccolo cannone o una piccola bombarda alla sommità di un'astile ligneo che permetteva allo "schioppettiere" il trasporto di questo pezzo d’artiglieria di ridotte dimensioni. E che fino a quel momento lo aveva costretto a una posizione alquanto scomoda quando viaggiavano. «Ripetete. Messere.» Fece con un tono serio e lo sguardo minaccioso: «Non ho sentito bene».
Il malvivente impallidì per la paura: «Mi dispiace di avervi importunati. Devo aver sbagliato persona. Scusate, scusate.» Fece il ladro prostrandosi più volte e arretrare prima di darsi alla fuga. Agostino osservò sbigottito lo zio riporre l’arma e guardarlo con aria soddisfatta: «Me lo regalò un vecchio amico quando eravamo nell’esercito francese, molto tempo prima che diventassi maggiordomo. Direttamente dalla Cina. È da lì che vengono, sai? Me lo sono fatto modificare perché mi sento molto più sicuro quando ce l’ho appresso, in viaggio.» Spiegò con nonchalance, come se stesse parlando di tutto, fuorché di un’arma da fuoco. «Normalmente sarebbero lunghi due metri.» Aggiunse poi, come se non fosse chiaro, ed evidentemente non lo era, dato che il giovane non ne aveva mai visto uno. Agostino comprese, da come guardava la sua arma e che riponeva al sicuro, che lo zio amava le armi da fuoco. «Ora che ci penso, bisognerà comprare qualcosa anche a te. Immagino che tu non sia armato, dico bene? Non pretenderai mica che ti salvi la vita tutte le volte, spero.» Fece in tono piccato. «Non ci sarò sempre io a pararti il culo.» Aggiunse brusco. Eppure al ragazzino parve di scorgere una nota di preoccupazione in quelle parole.  
Il ragazzino annuì, arrossendo per la vergogna. «Bene, allora provvederemo anche a questo. Non ti preoccupare. Ma per adesso puoi tranquillamente appoggiarti a me. Avremo tutto il tempo che vogliamo per rimediare a questa tua lacuna».
Si recarono al mercato seguendo le indicazioni che gli vennero fornite da un carrettiere e, dopo aver acquistato la merce che gli serviva, tornarono alla locanda.
La pioggia continuò a imperversare sulle loro teste per tre giorni, rendendo loro impossibile il viaggio e ingrossando i fiumi e altri corsi d’acqua. In compenso Agostino fece uno strano sogno. Sognò di essere sott’acqua,  forse stava facendo il bagno dentro a uno di questi fiumi quando a un tratto qualcosa gli nuotò affianco. Ma tutto quello che riuscì a ricordare fu una ragazza che nuotava assieme a lui. Ma di lei riusciva a scorgerne soltanto la schiena nuda. E poi l’enorme luccio che la inghiottì in un sol boccone. L’unica cosa di lei che restò fuori fu una mano candida, che venne portata via dalla corrente, sulla scia delle squame variopinte di nero, marrone, blu, indaco, viola, azzurro, verde scuro e verde germoglio del pesce che sfrecciò immediatamente via. Il ragazzino boccheggiò mentre riprendeva il contatto con la realtà. Si prese il viso tra le mani: «Era solo un sogno, uno stupidissimo sogno» Si ripeté.
Per la prima volta ebbe la sensazione di essere perseguitato. Doveva essere così, perché altrimenti non si spiegava quella sensazione che provava. Non era solo un incubo. Era come se qualcosa gli stesse dicendo che gli aspettavano giorni ancora più duri di quelli passati. Che si sarebbe cacciato nei guai. Ma non era neanche quello. Si sentiva osservato, come se in quella stanza non fosse solo. Come se il mostro del suo sogno fosse vicino e stesse per raggiungerlo. Non era che liberando quella strega si fosse addossato una maledizione? E che quella chiazza bianca nella sua chioma ne fosse la prova? Si sfregò le braccia per scaldarsi e darsi conforto.  
Proprio in quel momento lo zio bussò alla porta, facendolo sobbalzare: «Agostino?» Il tredicenne sobbalzò. «Agostino?»
«Sì?»
«Io scendo a fare colazione, poi partiamo. Preparati. Agostino?» Domandò di nuovo, non udendo risposta. «Sì, sì. Sta bene.» Rispose e attese che se ne andasse. Poi guardò fuori della finestra. Non era abituato alle finestre di vetro. Il vetro era simbolo di ricchezza, la sua vecchia casa, al massimo aveva le finestre di pergamena. Ma volgere lo sguardo oltre il vetro, per la prima volta lo trovò quasi rassicurante. Perché così poté vedere il cielo azzurro e le tortore che svolazzavano fuori della medesima. E quella visuale bastò per restituirgli il sorriso.      
Poi uscì dal letto.
 Tempo pochi giorni erano già giunti alla mèta: il castello di Toblino.
Il castello si trovava nella Valle dei Laghi. Era una bellissima valle del Trentino sud-occidentale. Appartiene al tratto più settentrionale al bacino dell’Adige, dove il tributario principale è il torrente Vela. Mentre in quello centro meridionale al bacino del Po, per tramite di corsi d’acqua secondari che si gettano nel Sarca. Sembra una valle a U asimmetrica, in parte geologicamente impostata su una sinclinale con piano assiale inclinato. Costituisce un antico alveo dell’Adige che, verso la fine del Pliocene e l’inizio del Quaternario, in corrispondenza della soglia di Terlago transitava dall’anticamente sbarrata Valle dell’Adige verso la depressione del Garda. Modificato il corso dell’Adige per cattura fluviale verso l’attuale percorso, essa è rimasta a nord quale valle relitta e sospesa, dove tra la Paganella e il monte Bondone si affaccia su Trento. Viene chiamata così per via dei numerosi laghi che vi sono. In seguito, e per tutto il Quaternario, è stata interessata da un'evoluzione poligenica venendo modellata da almeno quattro cicli di esarazione glaciale e seguente sovralluvionamento legati alle ultime glaciazioni e relativi periodi interglaciali, come testimoniato da un sistema di terrazzi sospesi riconoscibili a diverse quote.
Di particolare interesse sono le Marocche di Dro, un grandioso sistema di antiche frane postglaciali per crollo e scorrimento, l'ultima delle quali di età storica. Le Marocche di Dro costituiscono, per estensione e volume, il più imponente fenomeno di frana per crollo e scorrimento di materiale lapideo a livello europeo. La valle dei Laghi costituisce grande interesse per la varietà delle specie faunistiche e botaniche, queste ultime spazianti dall'orizzonte vegetazionale submediterraneo a quello subalpino. Meritevole di menzione il bosco delle quote più basse e attorniante i laghi principali, dove prospera il leccio, alcuni esemplari dei quali sono i più settentrionali d'Europa.
La valle dei Laghi, della quale importante settore è occupato dalla valle di Cavedine (detta anche val del vent), è caratterizzata dalla regolare presenza di un vento che percorre la valle a partire dal Lago di Garda. Tale brezza, denominata  “Orda del Garda”, inizia a spirare nella tarda mattinata fino al pomeriggio inoltrato.
In particolare vengono ricordati il lago di Lamar, il lago Santo, il lago di Terlago, il lago di Santa Massenza, il lago di Lagolo, il lago di Cavedine, e la loro mèta: il lago di Toblino.
Il lago di Toblino - Tobliner See in tedesco - è un piccolo lago alpino di fondovalle circondato da un rigoglioso canneto e da una vegetazione particolarmente interessante. Ma allora la zona attorno al castello, lago compreso, erano di proprietà della tenuta ed era curata con particolare attenzione.
Il lago si trova in una condizione singolare, dal punto di vista climatico: mentre le montagne vicine manifestano le tipiche caratteristiche delle zone alpine, nel fondovalle l'azione del lago e le ultime propaggini del clima mite gardesano consentono lo sviluppo di specie submediterranee o addirittura, in coltivazione, di specie mediterranee. Come poté vedere il ragazzino quando scesero dalla carrozza.
Inoltre vi erano pini, lecci, salici e querce. Nella zona più bassa, gli disse lo zio per evitare che scappasse ad esplorarla, vi erano gli allori e i rosmarini, i limoni e gli olivi, ma anche i canneti, i lamineti e le ninfee. Agostino desiderò fortemente vederle, anche perché non aveva mai visto una ninfea. Invece nel lago si potevano pescare le trote e dar la caccia alle anatre, ai cigni, alle folaghe, ai germani reali. Poi c’erano anche gli usignoli di fiume, gli svassi maggiori e gli aironi cinerini. Oltre alla classica fauna prealpina. Insomma, quel posto scoppiava di vita e di bellezza.
Il castello invece, venne costruito nel XII secolo. Agostino rimase sconvolto: non aveva mai visto prima un castello lacustre. Si era immaginato tante cose, durante il viaggio, ma mai e poi mai si sarebbe immaginato uno scenario più bello.  Addirittura il ragazzino volle scendere per ammirarlo. Anche se era inverno, si poteva facilmente immaginare tutta la bellezza che sprigionava nella calda stagione. E fu allora che gli occhi gli si riempirono di lacrime commosse. Se i suoi genitori avessero potuto vedere quel posto, se ne sarebbero innamorati sicuramente. E lo stesso stava succedendo a lui.
Lo zio lo raggiunse proprio in quel momento e cercò di buttare lì qualche parola di conforto. Ma la verità era che non sapeva proprio come rapportarsi a quel ragazzino. Il quale, in quel momento, lo calcolava meno di zero.
Agostino tutto si aspettava fuorché quel castello. Gli alberi spogli tutto attorno suggerivano la loro rigogliosità e non era difficile immaginare le fronde splendere sotto al sole della bella stagione. La bella stagione, il periodo in cui i suoi genitori… Contrasse il viso in una smorfia di pianto ma si trattenne appena. Lo zio cercò di fare qualcosa ma proprio in quel momento passò al trotto vicino a loro un drappello di cavalieri. L’ultimo di loro, un uomo dal viso rubizzo e i capelli e la barba paglierina, tornò indietro e fermò il cavallo accanto a loro: «Tutto bene?» Domandò senza troppi preamboli. Gli occhi scuri assottigliati per il sospetto.
Etienne impallidì spaventato ma rispose: «Sì, mio signore.» E pose le mani sulle spalle del nipote, scrollandolo leggermente. Si rivolse a quest’ultimo e disse: «Agostino, per favore, smetti di piangere, va tutto bene. Non è successo niente. Su, su…»
Ma il giovane non lo ascoltò e non si chetò.
«Perché piange?» Domandò accennando con il mento al giovane. Lo sguardo sempre più sospettoso.
«E’ mio nipote. Ha perso i genitori da poco, e io l’ho preso con me. Stavamo facendo una sosta perché voleva vedere il lago quando è crollato.» Spiegò il maggiordomo, preoccupato. Poi riprese a cercare di rassicurare il nipote.
Il cavaliere sgranò gli occhi. Non si aspettava certo una risposta del genere. «Condoglianze.» Fece.
«Vi ringrazio per la vostra comprensione anche a nome di mio nipote.» Poi continuò a occuparsi del ragazzino, i cui gemiti di dolore andavano piano piano attenuandosi.  
Il cavaliere parve arrossire ancor di più, lo salutò con un tono di voce secco e spronò il cavallo, che non era stato tranquillo tutto il tempo, a raggiungere il resto del gruppo. Etienne lo accompagnò con lo sguardo finché gli fu possibile. Poi rimproverò il nipote, ormai stufo: non era un tipo molto paziente. «Agostino! Adesso basta!» Il tredicenne smise di piangere istantaneamente per lo spavento e lo stupore. «Bravo, ora pulisciti la faccia e andiamo. Non farmi fare altre brutte figure.» Disse porgendogli un fazzoletto che tirò fuori dalla propria manica.
Il ragazzino eseguì e lo seguì di nuovo sulla carrozza, accompagnato dallo sguardo del silente Armando.
Poi il viaggio riprese e finalmente giunsero al castello.  La struttura è arroccata su una piccola e protetta penisola bagnata dall'omonimo lago. La sua collocazione ha evidenti motivi di strategia difensiva che qui sfrutta sia le condizioni naturali del terreno, La forma quadrangolare del complesso trova uno dei segni di maggior interesse nel grande mastio di forma circolare, certamente la più evidente delle preesistenze medievali. L'ampia cinta che circonda l'intero complesso e il grande parco circostante la residenza aggiungono un ulteriore carattere distintivo.
Fin dal 1100 il castello fu proprietà di vassalli del principe vescovo di Trento. La famiglia dei Da Campo ne entrò in possesso nel XIII secolo. E tutt’ora l’avevano affidata a quel lontano ramo veneziano della famiglia che se ne occupava.
«Bè, Agostino, benvenuto alla tua nuova casa.» Fece lo zio mentre la servitù, che nel frattempo li aveva raggiunti, li aiutava coi bagagli e a riprendersi dal viaggio. I due vennero portati in cucina e Etienne si dimostrò un buon padrone di casa perché cominciò a dispensare gli ordini e fece sì che i servi si occupassero di loro. In tutto quel via vai di persone, il maggiordomo ne approfittò per presentare il nipote al resto dei sottoposti. Ma quasi nessuno prestò subito molta attenzione a lui. Ma pazienza, col tempo si sarebbero conosciuti. Cosa che invece non andò molto giù allo zio, il quale disse, in tono vagamente irato: «Per oggi e domani non farai niente.» Ma si capiva benissimo che la sua ira non era riservata a lui. Continuò: «E’stato un lungo viaggio e sei stanco, in questi giorni ne hai passate di cotte e di crude. Ti presenterò gli altri a tempo debito. I pasti ti verranno serviti nei miei appartamenti e starai lì finché non ti verrà preparata una stanza.» Lo guardò e tacque, rendendosi conto che il nipote non lo ascoltava più. Perso ad osservare il maniero mentre entravano.    
I cuochi cominciarono immediatamente a cucinare mentre altri servi andarono a preparare un bel bagno ristoratore per i due.
La giornata nel complesso si svolse come aveva detto. La stanza dello zio era grande e ben arredata.
L’arredamento era molto sobrio. Però avevano un armadio dove sicuramente lo zio ci riponeva le armi e una cassapanca di legno pregiato e finemente lavorato. Era così ben fatta che restò ad ammirarla a lungo come se si fosse trovato dinanzi a un’opera d’arte piuttosto che a una comune cassapanca. Davanti la finestra c’era un tavolo di legno massiccio con una sedia decorata e ornata dove sicuramente lo zio lavorava. Il letto lo colpì perché era matrimoniale ed emanava un odore di pulito. Eppure al castello non aveva veduto la moglie dello zio, ammesso e non concesso che ne avesse una e che avesse anche dei figli.  
Invece le pareti della stanza erano adorne di pitture. Non c’era solo un quadro raffigurante la madonna posta a capo del letto. Bensì meravigliosi arazzi in stoffe di Fiandra ritraenti rispettivamente una battuta di caccia e una scena mitologica. Già gli era parsa magnifica la casa di Montino, quando, tre anni prima, si trasferirono a Sirmione, ma quella stanza da sola, la superava di gran lunga. Nella stanza però, si accorse anche della presenza di una grossa tinozza con l’occorrente per lavarsi. Appena gli occhi si posarono su di essa la porta si spalancò ed entrò una donna rubiconda e in carne, dalla faccia allegra e simpatici ricci a cavatappi. Perché la forma dei medesimi somigliavano proprio alla lama di quello strumento. «Santo Cielo.» Esclamò stupefatta appena lo vide.
Il ragazzino trasalì e la guardò incerto e confuso. Si rese conto che la signora, una domestica, recava con sé l’occorrente per il suo bagno e dei teli per asciugarsi. «Mi dispiace, madama…Mio zio ha detto che potevo stare qui, per oggi.» Cercò di giustificarsi lui, arrossendo.
«Certo che puoi restare qui.» Fece quella atteggiando la bocca a una comica o. «Desideravo tanto incontrarti e ora eccoti qui.» Disse lei entrando. Posò la roba sul tavolo e gli si avvicinò. Gli prese il viso tra le mani grassocce e rovinate dal lavoro. Indossava una gamurra e un guarnello dalla linea molto simile alla cotta. I capelli lunghi e arrotolati erano bendati in due torciglioni annodati all’estremità del capo.
«Cielo che gli somigliate. Pari quasi uno dei nostri figli.» Fece la donna con aria materna, continuando a sorridere. Lui la guardava sempre più confuso. «Figli?»
«Oh, che cattivo, mio marito non ti ha parlato di me? Sono Maria Patrizia, la moglie di Etienne da Monselice».
Quindi quella era sua zia? Perché non gliene aveva neanche accennato? «Sei davvero un bel giovanotto, oh, quasi mi pare di vedere il bell’uomo che diventerai. Ma che hai fatto ai capelli? Perché li porti così corti?»
«Ah, eh, non mi stanno bene troppo lunghi.» Inventò, imbarazzato. La signora parve farselo bastare che poi batté le mani e lo sospinse vicino alla tinozza. «Dai, su, su, che devi farti il bagno.» Ciò detto si avvicinò alla tinozza lei stessa e ci immerse un dito dentro. Il nipote di Etienne non si era neanche accorto che la vasca da bagno era piena d’acqua: «Accidenti si è raffreddata. Vado a prendere un po’d’acqua calda in cucina. Tu intanto sistemati pure. Va bene? Torno subito.» Quasi sbatté contro la porta tanto non gli staccava più gli occhi di dosso. In pochi minuti era già tornata e rovesciava un intero secchio d’acqua calda nella tinozza. «Ecco qua. Accomodati pure.» Disse voltandosi verso di lui.
«Vi ringrazio».
«Non darmi del voi, sei in famiglia. Dammi pure del tu.» Fece la signora, allegra. Sembrava sprizzare felicità da tutti i pori.
«Ehm…Io dovrei…»
«Oh, scusami, certo, esco. Gli asciugamani sono sul letto e ti vado subito a procurarti dei vestiti.» Fece lei scattando verso la porta come una specie di marionetta che aveva visto in un teatrino durante una fiera. Rimasto solo il ragazzino si decise a fare il bagno. La zia entrò con dei vestiti della sua taglia mentre lui era ancora nella vasca. Si dimostrò più discreta e meno invadente del previsto. Si limitò a posargli i vestiti sul letto e scoccargli un sorriso. Poi si defilò.
Quando Agostino fu pronto, accese il camino e si asciugò con le sue fiamme. Infine prese gli abiti che la zia gli aveva portato. Non ne aveva mai visti di così sontuosi. Però si rivelarono anche caldi e comodi. Indossò il corto farsetto e le calze solate, che allacciò al primo, poi, sopra di essa le vesti, che era una gonnella realizzata con stoffe pregiate e decorazioni sfarzose. Avrebbe indossato anche la berretta, se avesse portato i capelli un po’più lunghi.  
Passò tutto il tempo così, a scaldarsi, rimirare il paesaggio fuori della finestra - almeno quel poco che poteva vedere - e badare al fuoco. Era stato riposante, anche se da un lato si sentì molto solo. Di solito le persone erano curiose, si immaginava che qualcuno sarebbe venuto a salutarlo e fare la sua conoscenza. Ma non venne nessuno. Gli parve strano, ma poi pensò che da quelle parti fosse normale. Ne aveva già avuto un assaggio quattro anni prima.
Ma in questo caso era il nipote del ciambellano. Era impossibile che nessuno venisse a trovarlo.
Per un istante sprofondò nella tristezza più assoluta. E gli tornò in mente il tradimento di Montino, il viaggio, e l’incubo che lo aveva colto a Bologna. Cercò di distrarsi più che poté e provò a frugare dappertutto per trovare un passatempo. Anche un libro sarebbe andato bene, sebbene non sapesse né leggere né scrivere. Cosa avrebbe dato per poter uscire da quella stanza… Poi si accorse della finestra e si affacciò, restando meravigliato: la bellezza del paesaggio parve ripagarlo un po’di questo silenzio angosciante e salvarlo dai suoi tormenti. In fondo - si ritrovò a considerare dopo una lunga riflessione - non era un brutto posto, avrebbe anche potuto abituarsi.
Quando il sole calò e le fiamme dipinsero di arancione la stanza, donandole un calore che il giorno non le dava, Maria Patrizia tornò. Recava con sè un vassoio di cibo come non ne aveva mai visti in tutta la sua vita. Infatti depose sul tavolo un arrosto di maiale condito con spezie e foglie d’alloro su una grossa fetta di pane. Una coppa di vino e due mele. «Mio marito ha detto che avresti mangiato qui, stasera, chissà perché».
«Forse è per via della stanchezza del viaggio.» Disse il ragazzo.
«Vuoi che ti faccia compagnia?» Propose la donna dopo che ebbe sistemato il vassoio sul tavolo. Si pulì le mani al grembiule che indossava. Ma il ragazzo stiracchiò le labbra in un sorriso e scosse il capo. «No, grazie molte, ma non è necessario».
La zia parve restarci male: «Sei sicuro?» E Agostino, paventando già un possibile rimorso nei confronti di quella parente appena conosciuta cambiò idea: «No. Per favore, resta pure, se ti va.» In fondo erano mesi che non cenava con qualcuno.
La donna sorrise e si accomodò sulla sedia accanto cui prese posto il nipote ma non toccò cibo, asserendo che si era riempita a sazietà fino ad ora. Perciò lui ebbe il pasto tutto per sé. Il ragazzo ringraziò segretamente il Cielo di quella fortuna e mangiò il pasticcio di erbe e i cappelletti alla cortigiana con gusto. Quasi che non toccasse cibo da giorni. Non immaginava che la cucina fosse ancora più buona, salendo. Poi bevve il vino nella coppa. In tutto questo trionfo di papille gustative, non si accorse neanche che la zia lo fissava estasiata, quasi si beasse di lui. «Come vorrei che i tuoi cugini potessero conoscerti.» Disse a un tratto.
Il ragazzo mandò giù il vino e la guardò: «Perché non sono venuti?»
«Oh, sono rimasti giù in cucina con il resto della servitù. Pensa che Etienne ha fatto una fatica del diavolo per convincerli a restare di sotto invece che venire a tartassarti in camera.» Ridacchiò la donna e Agostino non poté non assimilarla a una perpetua. Anche se non seppe spiegarsi il perché. Ma se non altro, adesso sapeva perché nessuno era venuto a fargli visita. «Sono così vivaci?» Domandò afferrando un pezzo di pane che cominciò a usare per ripulire le scodelle.
«Molto.» Confermò la donna con una risatina che coprì portandosi la mano grassoccia alla bocca. Forse per coprire un dente marcio o mancante. Non si sarebbe stupito, per questo. «Ma tuo zio gli ha ordinato di non farlo perché stavi riposando».
«Veramente non ho dormito per niente.» Si lasciò sfuggire il giovane e lei lo guardò stupefatta.
«Oh? E allora che hai fatto tutto il tempo?»
«Niente.» Mentì. Non se la sentiva di parlare con la zia di quello che aveva fatto dopo essersi stufato di rimirare il paesaggio. Dopotutto era appena entrato nell’adolescenza vera e propria, col cavolo che le avrebbe raccontato tutte le sue manovre intime - che aveva ripulito usando ciò che restava del suo bagno - e non. Ma quello non l’avrebbe raccontato neanche ai suoi, se fossero stati vivi. «Avrei potuto dormire, ma non avevo sonno.» Buttò lì, poi. Lo stomaco gli rumoreggiò e la donna disse: «Hai ancora fame? Mi dispiace, se me lo dicevi prima avrei provveduto a portarti qualcos’altro».
«No, per stasera penso che possa andare bene così».
«Ma non hai mangiato moltissimo. Vuoi che ti porti qualcos’altro, caro?» Fece lei posandogli delicatamente una mano sulla spalla. Il giovane sussultò per via della scossa che ricevette. E lei ritrasse la mano. «Mi hai dato la scossa.» Disse ridacchiando, toccandosi la parte lesa. E anche lei ridacchiò, incerta e la mano salì a coprirle la bocca. Poi tornò seria: «Davvero, se vuoi che ti porti qualcos’altro non hai che da chiedere.» E lo disse con un tono così materno e convinto che qualcosa dentro il ragazzo si sciolse immediatamente. Si girò verso la zia con occhioni grandi e imploranti. «Posso sul serio?» Domandò, maledicendosi mentalmente per il tono da bambino che gli uscì e la faccia piena di infantile speranza che doveva avere. «Certo, il cibo non ci manca.» Sorrise la donna con fare accomodante e il nipote notò che i suoi denti erano praticamente perfetti. Perché coprirli quando rideva, allora? Ma non glielo chiese. Si limitò a domandarle: «Allora potresti portarmi una fetta di torta e una coppa di latte, per piacere?»
La signora balzò in piedi con uno scatto inaspettato, data la sua mole, batté le mani e disse: «Ma certo, vado subito a prendertele.» Ciò detto eseguì e dopo pochi minuti tornò con quanto richiesto dicendo: «Scusa se ci ho messo molto, ho fatto scaldare il latte e l’ho fatto condire con il miele. Ho fatto bene?» Disse, accigliandosi.
«Hai fatto benissimo, zia.» Sorrise il giovane, divertito e lei rilassò la sua espressione. Il tredicenne mangiò tutto di gusto e poi lasciò che la zia portasse via i vassoi coi piatti e le coppe. La donna gli augurò la buonanotte e si accomiatò con un sorrisone. Anche il nipote ricambiò. Poi si tolse i vestiti, cercò nella cassapanca una camicia da notte, la indossò e si coricò sotto le pesanti coltri invernali. E, per la prima volta, si sentì di nuovo circondato dal calore di una famiglia e molto meno solo. E, ben presto, cullato dalle sensazioni lasciategli dalla zia, si addormentò.  
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hardsadness · 5 years
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Localita' Castel Toblino, Calavino, Italy Photo by Michael Baccin on Unsplash
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sabinerondissime · 4 years
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Castel Toblino, Madruzzo, Trento
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