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#che la terra ti sia lieve
spettriedemoni · 4 months
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Nino
Nel palazzo dove ho abitato per tanti anni c’era un coinquilino che aveva lavorato per anni anche in ospedale come una sorta di factotum. Spesso anche mia madre si faceva aiutare da lui per riparare tubi, lavandini, lavatrice.
Mi faceva ridere sempre con quel suo umorismo sarcastico e un po’ burbero. Aveva sempre la battuta pronta e la sigaretta in mano.
Aveva due figli, due gemelli, più giovani di me di un anno. Andrea era costretto su una sedia a rotelle e ogni tanto lo portavo in giro per il quartiere. Il fratello Gianluca invece è stato uno dei miei primi amici più stretti.
Nino portava sempre Andrea in giro per centri di riabilitazione ma non è mai riuscito ad alzarsi da quella sedia. Il padre è sempre stato con lui, una presenza costante e sicura. Ho sempre pensato che anche a causa del dolore per la disabilità del figlio lui fosse così sarcastico e pungente nella sua ironia.
Una volta mi ricordo che era venuto a sistemare la lavatrice che non scaricava bene l’acqua. Aveva trovato, dopo diverse imprecazioni e qualche bestemmia, la causa del problema: una moneta da 50 lire finita nel filtro lasciata nella tasca di chissà quale indumento.
Un’altra volta ci aveva sistemato una tapparella e quando l’ho incontrato la sera per chiedergli come era andata mi aveva risposto: «Gliel’ho rimollate tre quattro madonne, ma pare che ora vada», oppure mi vedeva tornare a casa a ora di cena e mi diceva: «Sei tornato eh? Inizia a formicolarti il pancino, vero?» sempre col suo sorriso beffardo.
Ironico e generoso, sempre pronto a salire da noi appena mia madre diceva di avere un problema domestico.
Nino se n’è andato il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Leggendo il suo necrologio mi accorgo che aveva 83 anni ormai. L’ultima volta che l’ho visto stava caricando in auto il figlio Andrea. Era magro ma quella volta mi era parso ancora più magro.
Mi chiedo che ne sarà del figlio adesso che lui non c’è più. Il primo pensiero è stato quello: chi porterà il figlio in questi centri di riabilitazione.
Dopo questo però mi è venuto un altro pensiero, è un altro pezzo della mia vita che se ne va, un altro pezzo di quella che è stata la mia giovinezza tra infanzia e adolescenza.
Improvvisamente mi rendo conto del tempo che è passato e mi sento malinconico.
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eccellenze-italiane · 2 years
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Ciao Piero e GRAZIE
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addio Wolfgang, spero ti sia venuto a prendere Falkor💔
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omarfor-orchestra · 1 year
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Fiorello ha proprio visto la S1 e ha percepito i miei pensieri
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libero-de-mente · 7 months
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Ho cercato di guardare il mondo con gli occhi da bambino. Ma l’unica cosa che sono riuscito a fare è piangere come un bambino.
Che la terra ti sia lieve Giulia Cecchettin.
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rideretremando · 8 months
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Lecco - 1. Una donna di trentacinque anni, italiana, sta tornando a casa, dopo una nottata trascorsa fuori. La donna è ubriaca. Sono quasi le cinque del mattino quando, sulla sua strada, incrocia Boukare Guebre, 39 anni, operaio, originario del Burkina Faso.
Boukare è in sella alla sua bicicletta, sta andando al lavoro. La donna invece guida la sua autovettura. Le hanno restituito da poco la patente - ritirata per guida in stato di ebbrezza.
La donna investe Boukare, che viene sbalzato sul parabrezza, prima di finire al suolo. Non si ferma per aiutarlo o verificare come sta, non chiama i soccorsi. Prosegue la sua corsa fino a quando non è costretta a fermarsi per rimuovere la bici, incastrata sotto la vettura.
2. A quel punto incrocia un auto guidata da un giovane ivoriano.
La donna è sola, ubriaca e parecchio vulnerabile.
Il ragazzo la vede in difficoltà, scende dalla macchina e la aiuta a rimuovere la bicicletta. Mentre lei si allontana, lui nota una scarpa incastrata nei rottami della bici. Appunta la targa dell’auto e percorre la strada fino a trovare il corpo esanime di Boukare.
Avvisa dunque le forze dell’ordine, la donna viene arrestata ed ora è ai domiciliari - con l’accusa di guida in stato di ebbrezza e omissione di soccorso.
Ci sono tante cose importanti da dire, a commento di questa triste storia: la sconfinata mancanza di responsabilità e di rispetto di chi guida in stato di ebbrezza (che a mio avviso non dovrebbe più salire su un auto, considerato che si può vivere anche senza); la rabbia e lo sconcerto per chi omette di prestare soccorso ad una persona che ha appena investito; la drammatica mancanza di sicurezza stradale - che coinvolge in particolar modo i ciclisti.
Ma soprattutto, mi domando quante persone, leggendo i paragrafi 1 e 2, non abbiano istintivamente temuto per la sorte della donna - segno del fatto che siamo stati tutti manipolati e portati a pensare male degli immigrati, dall’umanità dei quali, a me sembra, abbiamo spesso da imparare.
Attendiamo con ansia le accorate manifestazioni di piazza che le destre avrebbero certamente organizzato, se alla guida dell’auto ci fosse stato l’immigrato e sulla bici una donna italiana.
20.10.2023
Riposa in pace, fratello Boukare.
Che la terra ti sia lieve.
Guido Saraceni
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uncagedwings · 8 months
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You may have known what happened to Inquisitor, a Ghost cosplayer from TikTok. Due to false allegations, he committed suicide Monday night.
I won’t tell you how disgusted, ashamed and angry I am, how sad. But what I’m asking you to do is to sign this petition so that his Inquisitor Ghost’s cosplay can be turned into a skin for Ghost in the game.
Here’s the link: https://chng.it/Nsc6Q2HB6j
Che la terra ti sia lieve, Vincent.
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Il mio N.1 assoluto. Un Genio della musica come ne nasce uno ogni 50 anni.
amato, adorato, perennemente ascoltato. 
Pensavo fossi eterno. Che tristezza incredibile... la terra ti sia lieve Ryūichi-San
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quiiescenza · 2 years
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Goodbye Mr. Angela, thanks for everything you did and the great passion and dedication you had for culture
Che la terra ti sia lieve
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donaruz · 10 months
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《Cosa vorresti fare da grande? Quando ero ragazzino rispondevo "il musicista" o " lo scrittore".
Ho finito col fare il chirurgo, il chirurgo di guerra 》
EMERGENCY nasce nel 1994 a Milano per portare soccorso alle vittime di guerra. Personale medico e tecnici con maturata esperienza di lavoro in situazioni di emergenza si sono uniti per garantire assistenza medica, chirurgica e riabilitazione nelle zone di guerra. Negli ospedali che costruisce e attiva, EMERGENCY è impegnata anche nella formazione del personale locale, che sarà così in grado di continuare la gestione del Centro quando EMERGENCY lascerà il paese.
Fin dall'inizio inizio le attività umanitarie si sono concentrate sul trattamento e sulla riabilitazione delle vittime di mine antiuomo, ordigni disumani dei quali l' Italia è stata tra i maggiori produttori.
EMERGENCY si è impegnata per anni a far sì che il nostro paese mettesse al bando queste armi. Il 22 Ottobre 1997 il governo italiano ha approvato la legge n. 374 che impedisce la produzione e il commercio delle mine antiuomo.
Ma i 110 milioni di ordigni disseminati in 67 paesi continueranno a ferire, mutilare, uccidere.
Gino Strada, Pappagalli verdi.
Da oggi l' Umanità sarà molto più povera.😥
Che la terra ti sia lieve . ..
Un ricordo..
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spettriedemoni · 1 year
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Un grandissimo lutto
Se n'è andato uno dei più grandi, colui che ha fatto la storia. La storia del fumetto.
Se ne è andato John Romita Sr.
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Per me l'unico vero Spider-Man anzi l'unico vero Uomo Ragno, era il suo.
Avrei voluto chiederti quel novembre a Lucca l'autografo sull'albo speciale del matrimonio di Peter Parker con la copertina disegnata da te, ma non ce l'ho fatta perché mi mancò il coraggio di mettermi in fila in quella bolgia creatasi in quel palazzetto prima che Lucca Comics diventasse Lucca Comics and Games.
Grazie John per tutto quello che hai fatto.
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givemeanorigami · 2 months
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Ciao zio M., a nonna baderò io anche se non saprò litigarci come facevi tu, cercherò di far ridere mamma e N., racconterò alla tua nipotina della persona che eri. Scusa per non essere riusciti a vederci almeno un'altra ultima volta, ce lo eravamo promessi settimane fa al telefono. Continuerò a collezionare i cd che tu, puntualmente, quando venivi a casa di mamma salivi a vedere per trovare tutti quei punti in comune tra noi dati dalle coincidenze dalla vita. Grazie per le risate, le bruciature al mare, per avermi portato a quel concerto con tua figlia, per aver alleviato il tempo a quella bambina di dieci anni in balia di una tempesta in casa che incontravi di nuovo dopo anni. Che la terra ti sia lieve.
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turuin · 10 months
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Che brutto apprendere della morte di una coetanea così, a distanza, senza ragioni, senza spiegazioni. Io mi ricordo bene di te. Avevi un bel sorriso, uno sguardo intenso. Hai fatto girare un bel po' di teste, e non davi il resto a nessuno: hai sempre tenuto alta la testa e risposto a tono, avevi un bel modo di ragionare e sapevi farti valere, facevi delle foto bellissime. Ti ho vista poche volte, perché ho sempre vissuto lontano dalla mia città natale, ma solo a vedere quanta gente oggi ha il cuore spezzato dalla tua morte si capisce come tu sapessi entrare subito nell'anima delle persone, e restarci. Lo so che è inevitabile, che più si va avanti nella vita e più si è destinati ad avere a che fare, a sentire notizie come questa, ma non per una donna di 44 anni. Mi rifiuto di credere che sia normale una disgrazia del genere. Non c'entra la gioventù, le abitudini, qualsiasi cosa. Semplicemente, non è giusto. E non so cosa sia successo o - meglio - cosa sia successo a te, so che stanno indagando. So che nel nostro piccolo mondo meridionale adesso le teorie si inseguiranno, so che passato il momento del cordoglio ci saranno le inevitabili malelingue, le voci si inseguiranno fino a quando non sarà fatta chiarezza sull'accaduto. E mi dispiace, Anna, perché non credo ti sarebbe piaciuto essere oggetto di chiacchiericci. Ti ho vista poco, non avevamo una confidenza grandissima - un po' l'avevamo ereditata perché invece eri molto amica di mio fratello e di tanti miei amici ed amiche carissimi, nello strano giro di chi a Catanzaro suona o va ai concerti - eppure mi dispiace terribilmente che tu non ci sia più. Ti sia lieve la terra.
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ballata · 3 months
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Mah!
Il rispetto a chiunque di manifestare il proprio dolore come meglio crede.
Ma se diventa mediatico, social, letterario,televisivo, magari un giorno anche politico...il rispetto anche agli ascoltatori di dubitarne in buona fede.
Dunque, perdona chi le ha ucciso la figlia ma non perdona chi lo critica sui social dove condivide e pubblicizza continuamente il suo dramma.
Che la terra ti sia lieve Giulia.
Io non saprei farlo, non saprei perdonare, ma soprattutto non saprei sopraviverle, ma questo sono io. #liberopensiero
#social #società #femminicidio #dubbi #dubbileciti #dolore #padriefiglie #tragedie #robertonicolettiballatibonaffini
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libero-de-mente · 5 months
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Mi ricordo il cuore in gola, la mia bocca aperta.
Le reazioni che mi venivano nel vedere le scene in cui tu e il tuo collega David Starsky inseguivate "i cattivi" a piedi. Con lunghe corse, oltre agli inseguimenti in auto.
Ero un ragazzino e aspettavo sempre il vostro appuntamento tutte le sere, guai a perdermi una puntata di Starsky & Hutch.
Oggi te ne sei andato Kenneth Hutchinson detto Hutch.
Di cattivi, peggiori di quelli che inseguivate, oggi ne sono in giro tanti. Ma tanti. Servirebbero tanti Starsky & Hutch. Ma tanti tanti.
Sono entrato in una fase della mia vita dove esiste la consapevolezza che personaggio dopo personaggio, giorno dopo giorno, uno alla volta ve ne andrete tutti.
Ciao Hutch.
Che la terra ti sia lieve David Soul
(David Richard Solberg 1943-2024)
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erosioni · 4 months
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Ars gratia artis 1
Mi basta avere tempo. I pensieri partono e si accavallano e sovrappongono. Pensando a cosa dovrei o devo fare, e come, a cosa dovrei pensare di dover fare, a cosa ho già fatto e detto e come, se andasse e andrà bene. Se invece c’è abbastanza tempo l’ozio disperde i pensieri: questi. 
Gli altri pensieri si accavallano, come le gambe: distanza interposta che proietta in avanti, un raccoglimento che sbircia ai lati. Invece di coprire in stage un turno non mio preferirei essere seduta a fare l’aperitivo, oppure in battello come i turisti, oppure in un letto non mio. Ma forse va bene anche solo stare qui a pensare.
In ogni caso la guardiania chiede solo tempo, soprattutto in un tardo pomeriggio di sole estivo che svuota il museo. Mi lascia allora non sragionare e con me nel fresco delle sale rimane il torpore dell'ozio. Comincio a pensare a qualcuno con cui vorrei bere, oppure con cui vorrei dividere un letto fresco, magari in una stanza anonima di hotel vista lago. Forse dividerlo con più di uno. Con due. Una coppia. È un bel pensiero. Mi cullo per un po’ con l’idea del threesome, finché posso. Disaccavallo le gambe e cambio posizione.
Non possiamo usare il cellulare, fa poco professionale. Ammesso che stare seduti qui sia una professione. Comunque sono severi. Sbircio l’ora: il turno è ancora lungo. Apertura serale estiva, l’idea geniale di qualcuno in assessorato. Non sia mai che qualche erudito manchi l’opportunità di vedere la collezione di sassi arcaici del primo piano nel dopo cena. Dai: comunque sono soldi per le vacanze.
Passa Martino, l’altro stagista. È alto, slanciato, con gli occhi scuri. La giacca gli sottolinea le spalle larghe. L’uniforme gli sta bene. Chi sa come starebbe senza. Mi fa un cenno di saluto annoiato e rispondo. “Tutto bene, Cami?” “Sì sì tutto bene, grazie, perché non andiamo a scopare nei cessi? Ho voglia di stare a quattro zampe davanti a te.” Questo mi limito a pensarlo ovviamente, in realtà annuisco sorridendo.
“Non c’è nessuno, vuoi uscire a fumare? Qui ci sto io…”. Forse anche meglio della scopata al cesso. Lo ringrazio con un altro sorriso e mi alzo. “Ti devo un favore” gli dico mentre esco dalla stanza, ma mi sa che sono troppo timida per fargli capire qual è il favore che gli farei per davvero.
Passando di fronte allo specchio dell’uscita mi vedo nell’uniforme della guardiania. Sembro un incrocio tra una hostess e una monaca: tailleur blu, camicetta bianca, gonna al ginocchio, calze velate. Definitivamente non da selfie.
All’esterno ci sono forse cinquanta gradi, ma è come stare fuori di galera. Mi rollo una sigaretta e aspiro con voluttà. Appoggiata al muro, mi slaccio il primo bottone della camicetta e socchiudo gli occhi. Non oso levarmi la giacchetta.
E faccio bene. “Signorina!” Sobbalzo come in un manga. Probabilmente ho l’espressione del gatto che ha mangiato il canarino. Ci mancava la direttrice, ma non era andata via? “Smetta subito di fumare e rientri! Lo sa che è proibito? Un po’ di professionalità, anche se è una stagista!” “Mi scusi, dottoressa” balbetto. Butto via la sigaretta. “Ma che fa? Sporca anche a terra? Andiamo bene! Raccolga quel mozzicone e lo metta nel cestino! Veloce…” Divento di tutti i colori. Sono proprio scema e ora la Bianchi mi prenderà in antipatia per sempre: è famosa per essere una super stronza con tutti. Mannaggia a me e a quando accetto di fare i turni degli altri.
Raccolgo il mozzicone e lo butto nel cestino. Mi giro e mi ritrovo faccia a faccia con la Bianchi, mi sta a cinque centimetri dal naso. I suoi occhi azzurri, vitrei, mi fissano come quelli di un serpente. Deglutisco e cerco di fare l’espressione docile.
Ora che cosa ho sbagliato? Ma non oso chiedere, mi limito a guardarla negli occhi con una lieve sensazione di smarrimento. Senza smettere di fissarmi, la Bianchi solleva le mani e mi chiude l’ultimo bottone della camicia. “In ordine, signorina… deve stare IN ORDINE…” Sento un tonfo al cuore. “S-sì mi s-scusi…” Non capisco il brivido che mi sale lungo la schiena. Questa stronza mi tratta come una merda e io mi eccito.
La seguo tutta remissiva mentre rientriamo. Ascolto il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento. Ma mi sono veramente eccitata? Do un’occhiata di sbieco al suo corpo. Ha il doppio dei miei anni, ma è una gran figa. “Scusa, ma stai veramente guardando il culo della Bianchi?” La mia voce interiore suona fintamente scandalizzata in mezzo ai pensieri che mi si accavallano in testa. “Sì” sono costretta ad ammettere. E sento pure le farfalle nello stomaco. Speriamo che mi lasci in guardiania dove posso finire di fare qualche fantasia su di lei in santa pace. Continuo a seguirla come un agnellino, ma con mia delusione passiamo davanti al desk dove c’è Martino. Lui mi guarda come dire “Povera”. Io non so più che espressione ho.
“Camilla…” mi riscuoto. La Bianchi si ricorda pure il mio nome? “Si chiama così vero?” Annuisco. “Mi segua in ufficio per favore. Martino: se c’è bisogno di ulteriore copertura in guardiania telefoni al mio interno, comunque non ci metteremo molto…”. Deglutisco e le farfalle nello stomaco si agitano anche di più. “Ma sei ansiosa o sei eccitata?” Non faccio in tempo a rispondermi che siamo nel silenzio dell’ufficio della Bianchi. Dovunque boiserie di mogano, libri e testine archeologiche. Sulla scrivania, enorme e piena di carte, un piccolo busto di qualche dea, ma non ho molta curiosità per i soprammobili, vista la situazione.
“Signorina, la nostra istituzione, anche se piccola, è famosa a livello internazionale per la sua serietà, per la sobrietà…” La ramanzina della Bianchi è cominciata. A quel punto mi rilasso. Cosa può succedere? Mi caccia? Non è certo il lavoro della mia vita. Mi scappa un sorrisetto di sollievo. “Che cos’è quel sorriso?” ruggisce la Bianchi “Lei mi sta sfidando?” Avvampo. “No, no dottoressa… mi dispiace, sono veramente dispiaciuta…”.
Mi si avvicina minacciosamente, rivedo quegli occhi freddissimi che mi trafiggono. Mi punta un dito al petto, mi fa quasi male. “I mocciosetti della tua età pensano di potersi permettere qualsiasi cosa, vero?” “Dottoressa i-io, mi dispiace…”. “Ora ti darò veramente una ragione per dispiacerti… ti piace aprirti la camicetta per farti vedere eh?”
Rimango spiazzata del tutto, forse più perché è passata al tu che per quello che dice. Mi afferra violentemente per il bavero della giacchetta. Ha una forza incredibile, nonostante sia alta come me. “Guardami bene, mocciosetta. Guardami…” Annaspo. Cado nel suo sguardo di disprezzo, poi abbasso gli occhi e li ritrovo nella sua scollatura abbondante. Ha un gran seno la Bianchi. Mi rifila un ceffone violentissimo. “Cosa guardi, mocciosetta?” Sono senza fiato: “A… a…” Mi arriva un secondo ceffone con il dorso della mano. Mi sale improvvisamente da piangere come da bambina.
“Mi guardi le tette? Ti fanno invidia? Tu certo hai ben poco in quel reparto!” Mi dà uno strattone alla camicetta e saltano tre bottoni. “Sei una puttanella maleducata e devi essere punita, lo sai?” Penso di avere il viso in fiamme e anche rigato di lacrime. Mi sento veramente umiliata e quel che è peggio riesco solo a balbettare cose incoerenti.
La Bianchi invece è una furia ma agisce in modo efficiente. Mi fa fare un mezzo giro su me stessa e mi spinge decisamente verso la scrivania. Sento che fruga in un cassetto. Qualcosa di metallico si chiude attorno ai miei polsi. Mi ha ammanettato questa stronza! Mi spinge e crollo a novanta gradi sulla scrivania mentre carte e libri finiscono a terra. Mi schiaccia la faccia contro il piano di vetro, tirandomi i capelli. Da quella posizione vedo gli occhi indifferenti della statuetta. Non capisco cosa sta succedendo, a parte che piango un po’ e mi tremano le gambe.
“Abbassiamo questa gonna ora, puttanella, vediamo che c’è sotto!” Cerco di divincolarmi, ma la Bianchi crudelmente mi sbatte la testa contro la scrivania. Sento un dolore fortissimo e trovo la forza di gridare. Mi sta addosso con tutto il peso. “Grida pure, mocciosetta, tanto è tutto insonorizzato qui…” “Per favore, per favore… no…” La gonna e i collant scivolano lungo le mie gambe e si afflosciano alle caviglie. “Lo sapevo, lo sapevo, hai delle mutandine davvero da quattro soldi. Tipico di voi mocciose: dove le prendi, al mercato?” Mi metto di nuovo a piangere perché non so cosa dire.
La Bianchi si piega su di me e mi sussurra: “Però hai un bel culetto, mocciosetta, va usato.” Inaspettatamente sento un brivido di eccitazione: mi sto bagnando. Comincia a sculacciarmi con la mano aperta. Sciaff. Grido e mi scuoto tutta, ma non mi azzardo più a ribellarmi. Sciaff. Sciaff. Continua con una mano durissima. “Per favore dottoressa noooo… bastaaa…” stavolta grido fortissimo, ma è inutile. “Ti stai eccitando, puttanella? Dimmi la verità?” Mi mordo le labbra per non rispondere, ma mi sto eccitando molto. Mi vergogno anche tanto, non credevo che una cosa del genere potesse essere eccitante.
Sento il sedere che pulsa, forse ci rimane anche il segno. Vorrei solo essere scopata adesso. “Sei proprio una troietta, vero, Camilla?” “Mhhh… sì sì…” Non so perché lo dico, forse per paura, ma in realtà mi fa piacere dirlo. Me lo fa ripetere diverse volte mentre mi sculaccia, è come se mi vedessi dall’esterno mentre mi umilia. “Sì, sono una troietta, una troietta, una troietta…”. Mi piace. Non ho più voglia di ribellarmi.
Mi spinge giù dalla scrivania. In ginocchio. Mi prende il mento e mi costringe ad alzare lo sguardo verso di lei. “Non mi dire che non l’hai mai fatto, mocciosetta…”. Non dico niente, mi vergogno e basta. La Bianchi si solleva la gonna. Sotto non ha nulla. È depilata. La sua vulva sembra un occhio indifferente. Mi prende la testa fra le mani.
Sento l’odore forte della sua eccitazione e in qualche modo sono felice che sia eccitata per una troietta come me. La lecco con desiderio, con passione, mentre mi passa una mano fra i capelli. A un tratto con soddisfazione sento che viene, viene per me.
Ora sorride. Io sono tutta bagnata, mi fa male il culo e sono anche ammanettata. Mi sdraio sul tappeto persiano esausta. “Che cosa vuoi veramente, Camilla?” “Voglio venire, ti prego, ti prego!” Non so da dove mi esce questa voce, sembro veramente una troia. Si piega su di me, mi abbassa le mutandine. La sua bocca raggiunge la mia figa. Vengo quasi subito con un mugolio. Vengo ancora e poi ancora. Sembra che non finisca mai. La Bianchi ridacchia: “Vedo che sei proprio una troietta, non mi ero sbagliata…”.
Tira fuori la chiave delle manette e mi libera. Istintivamente la abbraccio. Ci baciamo con la lingua. Ha il trucco tutto disfatto adesso, ma è molto affascinante lo stesso. “Hai imparato la lezione, Cami?” Annuisco anche se non so cosa ho imparato, a parte che mi piace essere sculacciata da donne mature. “Dietro quella porta c’è un bagno, datti una rinfrescata perché Martino è rimasto solo anche troppo…” Ora è di nuovo brusca. Sono un po’ delusa. Uffa: mi piaceva la Bianchi che mi faceva le coccole.
Mi ripulisco cercando di non guardarmi allo specchio. Ho la faccia di una tossica della stazione, i collant ovviamente sono smagliati, mi mancano bottoni alla camicetta. Quando esco, la direttrice è seduta alla scrivania, tutto è di nuovo in ordine. Mi avvicino alla porta: “Allora io vado, dottoressa…”. “Puoi chiamarmi Lucia quando siamo sole. Cosa che accadrà spesso nei tuoi prossimi turni, come puoi immaginare…” Il cuore mi batte un po’, cerco qualcosa da dire. Arrossisco mentre dico solo: “Ciao Lucia…”. Dio che frase stupida. Sono proprio scema. Speriamo che mi perdoni la goffaggine. Anzi no. No. Speriamo proprio che me la faccia pagare.
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