"Sono stata campo
di battaglia e una preghiera.
Un papavero.
Un intero pianeta.
Forse una stella, un lago.
Acqua sono stata,
questo lo so. Sono stata acqua
e vento. Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento. Un’attesa.
Un credo – un lamento.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura
adesso."
Mariangela Gualtieri
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Acqua sono stata,
questo lo so.
Sono stata acqua e vento.
Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento.
Un’attesa.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura
adesso.
Mariangela Gualtieri
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sto provando quella sensazione di sicurezza data dalla stanchezza che non mi piace provare prima degli esami, perché potrei fare ancora tanto e invece me la prendo comoda e mi metto un po' meno pressione addosso, quella sicurezza che poi lo stesso giorno si trasforma in coraggio e ansia allo stesso tempo e mi fa lanciare per prima all'interrogazione, perché penso che cosa può andare storto? e insieme non ce la faccio ad aspettare il turno, devo liberarmi di questo peso adesso. quando mi siedo a fare un esame mi trasformo, non mi sento la me che sono sempre, ho meno ansia di quella che penso che dovrei avere e mi siedo a dialogare tranquilla. questa cosa mi disturba perché ho l'impressione di sottovalutare sempre la situazione per paura che invece sia veramente difficile e tante cose potrebbero andare storte, ma se io mi mostro tranquilla e mi dico che sono tranquilla mi sento meno stressata anche se forse dovrei esserlo di più
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Acqua sono stata,
questo lo so.
Sono stata acqua e vento.
Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento.
Un’attesa.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura
adesso.
.🦋.
🔸Mariangela Gualtieri
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🔥– Stanotte, potrei giurarlo. T’ho incontrata.
– Ero bella ?
– Eri bella. Eri sogno. Eri notte. Eri ovunque.
– E cosa facevamo ?
– Prima o dopo ?
– Prima o dopo cosa ?
– Prima o dopo aver fatto tutti quegli strani silenzi ?
– Prima.
– Prima si pigliava per il culo gli incubi, leggendo poesie da un libro blu. Tu me le indicavi col dito, io te le leggevo dalle mani.
– Ti piaceva ?
– Mi piaceva come piegavi la testa per guardare meglio.
– Lo sto facendo anche adesso.
– E perché non ti vedo ?
– Non lo so. Ma io ci sono.
– Forse dovrei chiudere gli occhi.
– Forse.
– Mi vedi ora ?
– Non so spiegarti. Ma è come quando ti trovi in una stanza buia, buia che ogni tanto ti inventi un piccolo sorso di luce per non affogare. Come in una stanza dipinta di buio, hai due occhi che non puoi vedere ma sai, lo sai più di te, che in quell’istante sono aperti. E sono lì che ti guardano.
– Dopo che facevamo ?
– Dopo, avevo freddo. E tu dicevi una cosa buffa tipo: sai che il rovescio della paura è il bacio ? E io rispondevo: allora rovesciami di baci. E i minuti passavano in fretta che si dice i sogni siano una tasca rigirata del tempo e noi ci siamo infilati in quella tasca. E ti stringevo, Dio quanto ti stringevo. Poi ballavamo io avevo la bocca vicino al tuo collo con una mano reggevo il libro blu e ti leggevo per la quarta volta la tua poesia preferita. E tu mi dicevi: mi sa che il sogno sta per finire. Ti si vede attraverso. E l’ultima cosa che ho visto era l’infinito dei tuoi occhi.
– Sono qui.
– Ho gli occhi chiusi. Ma ancora non ti vedo.
– Esco. Vado a cercarti.
– Vengo con te ?
– Sono uno che si perde spesso.
– Lo so. Non farmi aspettare.♠️
(A. Faber)
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Non vedo l'ora domani di vedere L. Non so bene il perché. Forse perché è maschio ed io da tempo non ho più amici maschi. Forse perché quando ci rivedemmo 2 anni fa "dopo anni di kitammuorto" (cit.) ci dicemmo a vicenda che eravamo stati bene e che era stata una bella serata. La seconda uscita la sera dopo però non fu bella come la prima, per nessuna ragione in particolare. Quindi adesso ho paura di star avendo aspettative altissime per qualcosa che sarà normale o niente di che.
Pensandoci, L è l'unica persona che appena la contatto mi chiede di vederci. Fossero tutte così le persone. Devo essere sempre io quella che deve insistere, organizzare, mantenere i contatti. La stessa cosa sta già succedendo con le coinquiline di Rovigo... mi sono scocciata di farlo e lentamente non lo farò più con tutti. Se non ci tengono loro, non vedo perché dovrei tenerci io, specie considerando che a breve avrò pure il fuso orario di mezzo.
Mi sono messa a rileggere le conversazioni avute con L dai tempi del liceo e ho riso di gusto e pure lui, come si è evinto dal vocale. Quanto eravamo scemi... 2012, una vita fa e non dico che sembra ieri perché ammetto di avere già i ricordi annebbiati, però allo stesso tempo non sembra sia passato tutto questo tempo. E invece.
Non mi sento più bisognosa come qualche giorno fa. Sto un poco meglio e forse è molto meglio così, anche in virtù di questo incontro con L, anche se la mia testa mi prefigura scenari volti a compensare questo mio senso di bisogno. Quindi forse sto meglio ma non troppo. O forse sono sempre bisognosa e non me ne accorgo.
Avrei voglia domani di farmi un bagno a mare a Napoli all'intrasatta senza costumi. Chissà se, a buttargliela lì, L mi dirà che si butterebbe con me. È pazzerello, potrebbe accettare.
Boh, non so, voglio che sia già domani.
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Sono stata campo di battaglia e una preghiera.
Un papavero
(...)
Un giuramento.
Un’attesa.
Un credo – un lamento.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura adesso?
Mariangela Gualtieri
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Capitolo 14
Era quasi l'una quando i due ragazzi fecero ritorno al castello, la serata era
trascorsa in maniera molto piacevole e la giovane infermiera Edith non
vedeva l’ora di raccontare quello che era successo allo zio. Come c'era da
aspettarsi, il medico in quel momento era alle prese con le sue solite
consulenze notturne. La nipote si era affacciò nello studio, scusandosi per
l'eventuale disturbo.
<< Edith ciao, siete tornati vedo. >> disse il medico sorridendo.
<< Zio, hai un momento? So che sarai sicuramente molto impegnato. >> chiese
l'infermiera timorosamente.
<< Edith quante volte te lo devo ripetere, per te non sono mai impegnato. >>
replicò il medico togliendosi le sue cuffie rosa con le orecchiette da gatto. Uscì
momentaneamente dalla piattaforma, intanto la nipote si tratteneva dal
ridere, con quelle peculiari cuffie non lo si poteva proprio prendere sul serio.
<< Non posso ancora crederci che fai consulenza con queste cuffie. >> disse la
ragazza ridacchiando.
<< Beh, le altre si sono rotte dopo anni di onorato servizio, e poi queste sono
fantastiche…il migliore acquisto fatto questa settimana. >> replicò Heinreich.
<< Non ho ancora capito dove le hai comprate, sai? >> domandò Edith.
<< Le ho prese al Tiger di Zurigo quando ci sono andato l'altro giorno con
Hans, dovevi vedere la sua faccia mentre le compravo. >> rispose il medico
trattenendosi dal ridere. Ad un tratto il medico tornò nuovamente serio,
aveva la sensazione che Edith doveva parlargli di qualcosa di importante.
Ormai aveva imparato a riconoscere i segnali, ed era sicuro che quella fosse
una di quelle volte in cui la ragazza aveva bisogno di confidarsi.
<< Dimmi la verità, c'è qualche problema? È successo qualcosa di spiacevole al
pub? >> chiese insistentemente il barone.
<< No no, al pub è andata benone, è solo che sono un po' confusa su cosa
dovrei fare adesso… >> rispose sospirando la ragazza, mostrandogli il profilo
di Ingrid, gli spiegò che non era sicura se fosse o meno il caso di intraprendere
una conversazione. Lo zio pensò per un attimo, e poi replicò: << Beh, secondo
me è meglio vivere con una delusione che con un rimpianto, non potrai mai
sapere cosa sarebbe stato meglio fare se non provi. >>
<< E se dovessi risultare inquietante ad andare a scrivergli così dal nulla..? >>
domandò Edith timorosamente, avendo paura di lasciarle una brutta
impressione. Purtroppo, quando si trattava di interagire con persone che non
conosceva, non riusciva a fare a meno di farsi prendere dall’ansia.
<< Immagino che se Abigail ti ha dato il suo contatto, sicuramente questa
Ingrid si immagina già l'arrivo di un tuo messaggio. >> cercò di rassicurarla
Heinreich.
<< Ma se poi non mi rispondesse mai? >> incalzò la ragazza.
<< Sarebbe sicuramente lei a rimetterci a non conoscerti. >> disse il medico.
Ad ogni preoccupazione di Edith, lui aveva la risposta perfetta; le sue parole
erano finalmente riuscita a darle un briciolo in più di sicurezza, anche se non
era ancora del tutto convinta. Dopo aver abbracciato lo zio e averlo
ringraziato, la ragazza fece ritorno nella sua stanza per dormire. Hanna, nel
mentre, si era nascosta per non farsi vedere dalla cugina, doveva continuare a
osservare il padre, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di sospettoso.
Purtroppo, le sue convinzioni vennero smentite dai fatti, l'uomo riprese le sue
consulenze su Seven Cups, fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio su
di lui. Lo vide recarsi a letto, era ormai palese che quella sera non sarebbe
successo niente, decise quindi che sarebbe stato meglio anche per lei farsi una
sana dormita. Tuttavia, quando si trovava a metà corridoio, un pensiero le
fece cambiare idea in proposito. Quello era esattamente il momento giusto per
dare una sbirciata nello studio del padre, in fondo doveva sicuramente esserci
qualche indizio in più per capire meglio la situazione. Raggiunse quindi
nuovamente lo studio; e iniziò a guardarsi attorno, per poi esaminare ogni
angolo e cassetto possibile, cercando di essere il più silenziosa possibile. Si
faceva luce con la solita torcia, accendere le luci avrebbe potuto catturare
l'attenzione di qualcuno e farla scoprire. Non si era però accorta che Nuvolino
l'aveva seguita, e ad un tratto quel pestifero gatto fece cadere la lampada
presente sopra la scrivania. La ragazza maledì il micio nella sua testa per poi
nascondersi in fretta sotto la scrivania. Fortunatamente era chiusa ai lati,
quindi esternamente era impossibile accorgersi della presenza di Hanna.
Come immaginava, poco dopo il padre giunse a controllare la situazione.
L'uomo scattò immediatamente al rumore e controllò la stanza per cercare di
capire cosa fosse successo. Notò poi la lampada a terra, e Nuvolino che usciva
tranquillo dall'ufficio. Attribuita a lui la colpa di quel fracasso fece ritorno a
letto, avrebbe pensato a mettere a posto il mattino dopo. C'era mancato
davvero poco, pensò Hanna tirando un sospiro di sollievo, aveva rischiato
grosso, ma fortunatamente era riuscita a non farsi beccare. Poteva quindi
proseguire la sua indagine, non poteva arrendersi. Esaminò ogni cassetto
dell'armadietto grigio dove suo padre teneva archiviati i documenti
importanti e la contabilità della clinica. Ad un certo punto, ebbe la sensazione
di aver finalmente trovato qualcosa; prese dal cassetto di mezzo un fascicolo
giallo un po' consumato dal tempo. Sperava che quella fosse la svolta, e che
finalmente dopo tanta ricerca ci fossero stati dei risultati. Aveva ragione,
poiché al suo interno trovò del materiale estremamente importante: erano
appunti degli studi che un tempo il barone aveva fatto per creare la sua
miracolosa cura. Veniva qui spiegato ogni singolo passaggio necessario per la
sua creazione, e in particolare come all'epoca avesse dato ordine al suo
giardiniere di procurargli delle cavie per la sperimentazione. Hanna non ci
mise molto a realizzare che il giardiniere a cui si faceva riferimento era suo
zio Hans, e che era proprio quella la sperimentazione che aveva aiutato a
guarire l'infertilità di sua madre. Di fronte a queste prove schiaccianti, non
poteva evitare di provare emozioni contrastanti. Da un lato era scioccata e
disgustata da quell’operato immorale; d’altro canto, provava quasi un senso di
riconoscenza per tutto l'impegno che aveva messo per metterla al mondo.
Dopotutto, se era arrivato addirittura a sperimentare su persone innocenti,
era scontato che tenesse immensamente a lei. Decise di non riporre il
fascicolo, piuttosto lo portò con sé – il giorno dopo avrebbe affrontato suo
padre sull'argomento. Dopo aver lasciato lo studio, fece finalmente ritorno
nella sua camera da letto, addormentandosi poco dopo.
Il mattino seguente, Klaus fece la sua comparsa in sala per la colazione, e si
accorse subito di Edith seduta al tavolo presa dai suoi pensieri.
<< Oggi non sembri avere il tuo solito spirito solare. >> disse l’infermiere.
<< Oh, ciao Klaus…beh, in effetti sono molto preoccupata. >> rispose la
ragazza.
<< Se vuoi parlarne, io sono qui. >> fece presente lui sedendosi. L’amica si mise
a parlare della sua ansia al pensiero di cominciare il tirocinio al CPS di Zurigo,
ma soprattutto al pensiero delle enormi aspettative che sicuramente lo zio
aveva.
<< Sì, capisco che tu sia spaventata. In fondo è qualcosa di nuovo, ma ricorda
che l'ultima cosa che vorrebbe lo zio è metterti pressione inutilmente. >>
rispose il giovane infermiere cercando di tranquillizzarla.
<< Lo so, non dico che lo faccia di proposito…ma tutta la storia che io debba
mandare avanti la sua eredità inizia a mettermi ansia. >> incalzò Edith con
uno sguardo perso nel vuoto. Klaus sospirò, non poteva certo darle torto, era
grossa responsabilità. Provò comunque a rassicurarla facendole pensare che si
trattava di una circostanza che sicuramente sarebbe avvenuta tra moltissimi
anni.
<< Anche questo lo so…sono consapevole che avrò tutto il tempo per
prepararmi, ma se non fossi all'altezza? >>, disse la giovane titubante, << Poi
non sono ancora riuscita a scrivere a Ingrid… >> aggiunse sospirando
sconsolata.
<< Cosa ti trattiene dal farlo? Secondo Abigail andreste molto d'accordo. >>
domandò Klaus.
<< Lo sai come sono fatta, no? Mi faccio ansia da sola, mi metto a rimuginare
sulle cose e poi mi blocco. >> si lamentò Edith.
<< Sì che ti conosco bene, ma non devi temere, non c'è una data di scadenza,
puoi scriverle quando ti sentirai pronta a farlo. >> rispose l'infermiere
accendano un sorriso. Klaus inoltre le fece presente che in qualunque
momento riteneva necessario del supporto per riuscirci, lui ci sarebbe stato
per lei.
<< Grazie Klaus. >> disse Edith commossa mentre si avvicinò per abbracciarlo.
<< Ma figurati , con tutte le volte che tu lo fai per me! >> replicò il giovane
ricambiando l'abbraccio. Finalmente la giovane infermiera aveva trovato la
giusta motivazione, quindi, decisa, prese il suo cellulare e scrisse un
messaggio a Ingrid. Nel messaggio faceva presente come Abigail le avesse
parlato di lei, ma soprattutto che adorava il suo stile e che come lei, anche
Edith era piuttosto nerd. In seguito si mise a fare colazione, adesso sentiva di
essersi liberata di un peso, poteva finalmente cominciare al meglio quella
giornata.
Intanto Hanna raggiunse il padre nel suo studio, chiuse la porta a chiave e poi
prese dalla borsa il fascicolo incriminante.
<< Non voglio girarci troppo attorno, che cosa significano questi appunti? >>
chiese la giovane sbattendogli davanti il raccoglitore.
<< Beh, sono gli appunti per la creazione della cura, sia mai che io me ne
dimentichi un giorno? >> rispose ironicamente il dottore. La ragazza si irritò
rapidamente alla sua risposta, consapevole del fatto che l'uomo si ostinasse a
mentire come al solito.
<< Non prendermi in giro, ho letto il fascicolo e so degli esperimenti sui
paesani..dovevo aspettarmi che avessi combinato qualcosa per farti odiare
tanto! >> replicò Hanna.
<< Non so davvero di cosa tu stia parlando, ma esigo che tu moderi il tono,
signorina! >> controbatté l'uomo cercando di deviare il discorso.
<< Invece lo sai benissimo! Ho visto il laboratorio, e ho visto come quelle
povere persone sono state ridotte da te e dalla tua mente malata! >> continuò
con insistenza Hanna. La ragazza cominciava a sentirsi mancare l'aria, era
evidente che la situazione le stava creando un attacco di panico. Heireich non
si scompose, e nemmeno davanti allo stato d'ira della giovane figlia perse il
suo portamento e la sua disinvoltura. Avvicinandosi alla figlia le massaggiò
lentamente le spalle, invitandola a calmarsi, per poi versarle un po' d'acqua in
un bicchiere. Hanna non si fidava a bere quell'acqua, fin quando il padre non
fece lo stesso nel suo bicchiere. Se in quell'acqua ci fosse stato qualcosa di
strano, suo padre non avrebbe dovuto bere a sua volta. Continuava a non
essere convinta di quella gentilezza offerta, fin quando non bussarono alla
porta dello studio. Era la signorina Keller, la quale non capiva per quale
motivo la porta fosse chiusa a chiave, quel momento di distrazione permise al
barone di mettere qualche goccia inodore nel bicchiere della figlia. Si trattava
di un siero capace di rendere i ricordi delle persone confusi e sfuocati nelle
loro menti. Poco dopo aver bevuto infatti, la ragazza cominciò a lamentarsi di
sentire uno strano senso di stanchezza, faceva fatica a rimanere vigile. Il
medico finse di essere sorpreso da quella reazione improvvisa, mentre la
giovane da lì a poco perse i sensi accasciandosi con la testa sul fascicolo.
L'uomo ripose il fascicolo giallo al suo posto e la mise a letto, nessuno doveva
sapere di quell’increscioso episodio. Quando Olga chiese cosa fosse accaduto, il
barone disse che semplicemente stavano giocando come al loro solito, ma ad
un tratto Hanna aveva iniziato a non sentirsi bene, incolpando un possibile
principio di influenza. La signorina Keller non era troppo convinta, c'era
qualcosa nei gesti di Heinreich che la faceva pensare che il titolare le stesse
mentendo, ma poi si disse che non c'era motivo per cui il medico avrebbe
dovuto farlo. Hanna sarebbe poi rimasta a dormire per l'intero pomeriggio, e
al suo risveglio non aveva più idea di cosa fosse accaduto. Aveva un forte mal
di testa, e aveva rimosso dalla sua memoria non solo la discussione col padre,
ma anche le sue scoperte riguardanti la cura. Al suo risveglio, il padre era
seduto al suo fianco, le accarezzò il viso, rassicurandola che andava tutto
bene.
<< Mi sento così confusa e stanca…che cosa mi prende? >> domandò timorosa.
<< Hai avuto un attacco di panico, ti sei svegliata di soprassalto. Stavi
scottando, probabilmente ti sta venendo la febbre. >> le spiegò il padre con un
tono pacato, continuando a cercare di tranquillizzarla.
<< Non mi sento affatto bene, papà. >> disse la giovane, rimettendosi sotto le
lenzuola.
<< Non temere, presto starai nuovamente bene, e io sarò sempre qui a
prendermi cura di te. >> rispose il medico accarezzando la mano destra della
ragazza, per poi prendere dal suo camice una boccetta, somministrando
alcune gocce della cura alla figlia.
Alle cinque del mattino seguente Edith e Klaus raggiunsero Olga nel bosco
vicino al castello. Da quel giorno sarebbe cominciato il loro addestramento, e
come la donna aveva anticipato, non sarebbe stato leggero. Mentre la caposala
faceva fare ai due ragazzi un po' di riscaldamento, la giovane Hanna dormiva
ancora serena nel suo letto. Suo padre fece capolino nella sua stanza per
controllare che tutto fosse apposto, e sorrise soddisfatto nel vedere la figlia
dormire serenamente. Sapeva bene che al momento del risveglio, la ragazza
sarebbe stata confusa sui suoi ricordi, questo gli avrebbe permesso di
manipolare la giovane per tenersela buona e calma. Quando si fecero le sei il
medico uscì come a suo solito per andare a correre, sereno di essere riuscito a
sistemare la spiacevole situazione che si era creata con la figlia, ignaro del
fatto che in quel momento Edith e Klaus fossero ad allenarsi anziché nei loro
caldi lettini. I due, nel mentre, avevano terminato il riscaldamento iniziale; e
cominciarono ad apprendere da Olga le basi del combattimento corpo a corpo
in abito di autodifesa personale. Rimasero particolarmente colpiti dalle
tecniche della donna – nonostante anni e anni di pratica, Hans continuava ad
essere una spalla sotto alla donna. Poco prima del ritorno al castello del
barone, i due giovani infermieri avevano già fatto ritorno a casa, e si
trovavano pronti alle loro postazioni di lavoro. Nonostante l'ovvia stanchezza,
avrebbero dovuto comportarsi come nulla fosse.
Al suo risveglio, la giovane Hanna si era presentata in sala per fare colazione,
proprio come il medico aveva immaginato non ricordava nulla di
compromettente. L'unico ricordo indelebile era la conversazione avuta col
nonno, di cui suo padre era allo oscuro, ma che lei cominciava a vedere come
una montagna di accuse infondate al genitore. Ad un tratto, Hanna si rivolse
sorridendo al padre, e gli fece presente la sua intenzione di voler al più presto
cominciare i preparati delle nozze. Heinreich sorrise a sua volta, sorseggiando
soddisfatto il suo latte macchiato. C'era mancato davvero poco, ma
fortunatamente la situazione era tornata nel suo pieno controllo. Per essere
però maggiormente sicuro, decise di far sparire dal suo studio e dal castello
tutto ciò che poteva comprometterlo con Hanna. Sicuro che i preparativi delle
nozze avrebbero tenuto presa la figlia, confidava di poter proseguire le sue
illecite azioni senza doversi preoccupare di altri eventi del genere. Mentre
padre e figlia trascorrevano lietamente la loro colazione, vennero interrotti
dall'arrivo della signorina Keller.
<< Heinreich, mi dispiace disturbare il momento, ma è appena arrivato il
nuovo bibliotecario mandato dal museo di Zurigo. >> disse la donna.
<< Oh finalmente, non vedevo l'ora di conoscerlo! Hanna perdonami, il dovere
mi reclama. >> rispose il barone osservando le due donne e poi abbandonando
la sala. La biblioteca del castello era la più grande al mondo, e conservava al
suo interno 158 milioni di libri in oltre 470 lingue. Da quando aveva iniziato a
conservare documenti importanti riguardo eventi storici e legati alla più
importante famiglia nobiliare prussiana, il museo aveva stabilito che doveva
essere gestita da un emissario inviato da loro stessi. Il precedente incaricato
era recentemente andato in pensione, e finalmente il museo di Zurigo aveva
inviato il nuovo rappresentante. Quando il barone si fece avanti nella grande
sala della biblioteca, ad attenderlo c'era un giovane ragazzo magrolino e di
statura alta. Il medico osservò il ragazzo dai capelli castano chiari e dai grandi
occhiali da vista, quello che subito aveva colpito il barone era lo stile
steampunk del giovane.
<< Finalmente è arrivato il candidato nuovo di zecca, ti do il benvenuto! >>
disse l'uomo porgendo la sua mano.
<< Lieto di essere qui, signore! Sono Caleb Edward Cox. >> rispose il ragazzo
balbettando. Il medico prese subito in simpatia la nuova recluta impacciata,
sicuro che con un po' di tempo sarebbe diventato un buon dipendente.
Nell'immediato il giovane Caleb si mise a catalogare i libri, poco dopo notò un
libro che parlava del famosissimo conte Dracula.
<< Oh, Dracula. Si dice che fosse un grande condottiero e che avesse venduto
la sua anima al diavolo per raggiungere fama e potere. >> disse il giovane
osservando il libro.
<< Errato, non fece ciò per banali ricchezze.. al suo ritorno da una guerra
trovò la sua sposa morta, uccisa da un branco di turchi che egli aveva
precedentemente sconfitto. >> ribatté il medico correggendo il bibliotecario.
<< Poi cosa successe, signore? >> domandò curioso Caleb.
<< Distrutto dalla perdita, il conte rinnegò il suo Dio, e cedette la sua anima
alle tenebre, così da poter avere i mezzi per vendicarsi di chi gli aveva portato
via l'unica ragione della sua vita. >> spiegò il medico distogliendo lo sguardo.
In fondo Heinreich era consapevole che, in un certo senso, era proprio quello
che aveva fatto lui, essere disposto a tutto pur di raggiungere la sua vendetta
sul paese.
<< Vedi mio caro Caleb, nessun uomo nasce mostro, ma spesso è il mondo a
renderci tali. >> incalzò il dottore. Lasciò poi Caleb alla sua mansione,
chiedendosi se potesse o meno stare tranquillo con quel giovane in
circolazione. Nel contempo, Edith si trovava alle sue ordinarie funzioni,
quando si accorse che il suo cellulare aveva emesso il suono di una notifica.
Riconobbe subito che si trattava di una notifica di Instragram, quindi a meno
che Klaus non avesse mandato una delle sue solite meme, doveva per forza
trattarsi di Ingrid. La ragazza prese un respiro e si mise a controllare, per poco
non le prese un colpo quando si rese conto che era proprio un messaggio da
parte della rossa. Edith prese coraggio e lesse cosa la sua risposta. Nel
messaggio Ingrid la ringraziava per i complimenti ricevuti, dicendo che aveva
sentito parlare molto bene di Edith, di quanto fosse una persona genuina e
sensibile, senza togliere il fatto che ad entrambe piaceva moltissimo “Le
bizzarre avventure di Jojo”. Sembrava proprio che la giovane infermiera
avesse fatto una buona impressione; adesso che si sentiva più sicura di sé,
poteva risponderle con più serenità. Decise quindi di partire con la classica
domanda: “Che cosa fai nella vita? Studi o lavori?” Dopotutto, Abigail non
aveva raccontato quasi nulla sulla sua migliore amica, quindi c'era tutto un
mondo nuovo da scoprire. Klaus nel frattempo aveva ricevuto un messaggio
da parte di Abigail, la giovane dai capelli nero corvino gli aveva chiesto di
vedersi quel pomeriggio in paese perché necessitava di parlare con lui
urgentemente. L'infermiere, un po' preoccupato per quella richiesta
tempestiva, le propose di vedersi nella piazza del paese, dove si trovava la
meridiana. Poco dopo raggiunse la portineria, trovando Edith alle prese col
suo cellulare.
<< Ti vedo presa bene, novità? >> le chiese Klaus interessato.
<< Sì, ho iniziato a scrivermi con Ingrid e per il momento mi sto trovando
molto bene. >> rispose Edith sorridendo. Al contrario, Klaus era visibilmente
preoccupato, subito l'infermiera gli chiese cosa ci fosse che non andava.
<< Nulla, sono preoccupato…Abigail mi vuole vedere con urgenza oggi
pomeriggio. >> spiegò titubante l'infermiere. L’amica gli diede un pacca sulla
testa, incoraggiandolo a non preoccuparsi, secondo lei quell'incontro non
predestinava nulla di male. Klaus annuì, sicuramente aveva ragione, si stava
facendo solo delle inutili paranoie. Più tardi, alle cinque in punto, scese in
paese per raggiungere la piazza principale e vedersi con Abigail; il suo cuore
batteva forte, ansioso di scoprire di cosa doveva parlargli con così tanta
urgenza. La ragazza era già arrivata e si era seduta accanto alla fontana ad
aspettarlo.
<< Eccomi, che cosa è successo? Inizio a preoccuparmi sinceramente. >> disse
l'infermiere pallido in viso.
<< Siediti e respira, non è successo nulla di male. Volevo solo discutere della
nostra situazione. >> spiegò la ragazza.
<< Di quale situazione stiamo parlando? >> domandò Klaus confuso.
<< Della nostra, ovvio! Insomma, ormai ci vediamo molto spesso e ci sentiamo
praticamente tutto il giorno…credo sia il momento di fare un passo avanti, se
sei d'accordo. >> gli rispose Abigail, guardandolo negli occhi.
<< Mi stai dicendo che..stiamo tipo per fidanzarci? >> chiese stupefatto Klaus.
<< Beh sì, praticamente sì. Ma come mai tanto stupore? >> replicò lei. Alla sua
domanda, il giovane le disse che era la prima volta che una ragazza faceva la
prima mossa con lui, ma poco importava, perché in fondo era ciò che voleva a
sua volta.
<< Allora dobbiamo festeggiare questo nuovo step! Dai, ti porto a prendere un
gelato. >> disse Abigail sorridendo al biondo. Andarono ad una gelateria lì
vicino tenendosi per mano e si fermarono a prendere un gelato; si stavano
divertendo, e si fecero diverse foto assieme. Klaus intanto non vedeva l'ora di
tornare al castello per dare quella magnifica notizia alla sua famiglia. Quando
fece ritorno era ormai ora di cena, e il resto della famiglia lo stava aspettando
in sala. Una volta che Klaus annunciò la lieta notizia, partì un fragoroso
brindisi di festeggiamento. Edith osservava sorridendo la scena, era molto
felice che le cose per Klaus e Abigail stessero andando così bene. Lo stesso
valeva per Hanna, inoltre questo significava che si era appena guadagnata una
damigella in più al suo matrimonio. Dopo cena, mentre il resto della famiglia
si era ritirato nelle proprie stanze, Hanna aveva iniziato a dare un’occhiata ad
alcune cose per il matrimonio, in camera sua. Suo padre invece aveva iniziato
le sue consuete consulenze notturne, tutto al castello era tornato come
doveva essere.
Quella stessa notte, diversi membri del paese si erano riuniti alla taverna del
giovane Gilbert. Era stato il signor Ebermund, il più anziano tra i partecipanti,
ad aver convocato tutti. Il motivo era semplice, andava finito il lavoro iniziato.
Quale lavoro? Ovviamente, quello di togliere di mezzo il barone una volta per
tutte. Il giovane Gilbert chiese come mai, a distanza di anni, quella faccenda
continuasse ad esistere. Il signor Folkher trasse un sospiro, nessuno di loro
poteva sottrarsi a quella incresciosa situazione che durava da oltre vent’anni.
Folkher iniziò a raccontare come oltre trent’anni prima, il vecchio barone Von
Reichmerl aveva aiutato economicamente molte famiglie del paese. In
moltissimi si erano rivolti a lui per prestiti di soldi, con la promessa di saldare
in tempi brevi quei debiti. Purtroppo, col passare del tempo, la situazione era
soltanto peggiorata, e nessuno era stato in grado di ripagarlo. L'anziano
nobile, da uomo vile e senza scrupoli che era, aveva cominciato a ricattare
quella gente. Se non volevano ritrovarsi in mezzo alla strada, avrebbero
dovuto fare quello che lui richiedeva, e quando lui lo esigeva. Ventidue anni
prima, chiese addirittura che sua figlia venisse tolta di mezzo; Heinreich
sarebbe invece dovuto rimanere vivo, riteneva che sarebbe stato più
divertente vederlo eliminarsi con le sue stesse mani. Più avanti, aveva tentato
di impossessarsi della creatura della coppia, ma sfortunatamente la presenza
di Hans e Olga al castello non aveva permesso tale evento. Adesso, a distanza
di anni, l'uomo voleva mettere fine a quella storia; e tutti quei debitori,
convinti di potersi finalmente liberare del loro peso, avrebbero dovuto
assecondare le sue volontà. Il giovane Gilbert fece presente che l'uomo era
ormai vecchio e malato, sarebbe bastato attendere la sua morte per liberarsi
di quel fardello. Purtroppo il signor Ebermud spiegò che non era così
semplice, il loro vecchio aguzzino era probabilmente prossimo alla morte, ma
non il suo fidato tirapiedi. Nessuno sapeva chi fosse, solo che si trattava di
qualcuno che si prendeva cura di lui e che gestiva tutta la questione al posto
suo. I paesani di Hartmann erano convinti che se alla morte del senile barone
la situazione non si fosse conclusa, quell’uomo non avrebbe dato loro alcuna
tregua. Quella storia doveva finire alla svelta, per questo motivo la loro idea
era quella di mandare un povero disgraziato al castello a fare il lavoro sporco.
L'uomo avrebbe dovuto fingersi un bisognoso di aiuto, di conseguenza il
medico non si sarebbe potuto sottrarre ai suoi doveri. Gli sarebbe quindi
bastato aspettare l’occasione giusta per ucciderlo. Tutti i presenti erano
convinti che quella fosse la soluzione migliore per risolvere finalmente il loro
problema. Non occorreva altro che attendere il momento propizio per agire.
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DIALOGO TRA UNA DONNA E LA SUA GUIDA INTERIORE
D - Perché vedo tutto nero?
G - Perché hai ancora le paure di quando eri bambina.
D - Perché sono agitata?
G - Perché ti porti dietro le ansie della mamma.
D - Perché non riesco a vedere i miei pregi?
G - Perché la tua mente ha deciso di non vederli.
D - Perché vedo solo difetti?
G - Perché è il tuo modo per sentirti inferiore.
D - E perché dovrei fare una cosa del genere?
G - Perché se tu fossi “troppo”, non saresti accettata dagli altri, nemmeno dalla mamma.
D - E allora come posso fare?
G - Fai un salto.
D - Un salto?!?
G - Sì, fai un salto di qualità, fai un salto di dimensione, fai un salto di coscienza.
D - Non sono capace, parli difficile.
G - Allora fai un salto fisico e scrollati tutte le idee svalutanti che hai nella mente, lasciale cadere a terra.
D - Bastasse un salto…
G - Basta qualunque cosa a cui tu attribuisci questo potere di liberarti dalle false credenze e maschere.
D - La fai facile tu… Io ho ansie e paure, mi vergogno di me stessa, non riesco a relazionarmi bene con gli altri, non trovo un lavoro dignitoso, di fidanzati non ne parliamo, e tu mi parli di saltare?
Comprerò una corda, come quella dei bambini.
G - Ecco brava, così magari muovi un po’ l’energia. Perché tieni tutto stagnante, dentro di te non si muove niente, comprimi e reprimi le tue emozioni e le tue energie, fai resistenza al cambiamento.
D - Sarei quindi una repressa?
G – Eccome! Stai frenando la vita, stai frenando la tua espansione, espressione, manifestazione. Stai impendendo al tuo istinto naturale di essere, impedisci alle tue parti autentiche di vivere.
D - Io?
G - Già, tu proprio tu, con il negativo che alimenti.
D – È anche colpa mia, quindi. Sono io colpevole di tutto…
G - Meglio dire che sei la causa, che scegli così.
D – Non mi accorgo di scegliere. E contro di me, per giunta… Come si fa? Come potrei cambiare i pensieri? Come…
G – Come, come, come! La tua mente non sa chiedere altro. Non potresti semplicemente lasciarti andare? Sapere in anticipo il “come” è voler avere tutto sotto controllo, ma la vita non la puoi controllare.
D – Ma io non so vivere senza la mente e senza controllo!
G - Nessuno sa vivere, perché non è stato spiegato! Inventa!
D - Eh sì, adesso creo la vita… Divento magica…
G - È proprio questo il punto: finché ti sminuisci, non capirai mai la tua vera natura e le leggi di funzionamento del tutto... Sei molto più di quello che credi… Esci dai tuoi limiti, esci dalle tue credenze… Ascolta altre voci dentro di te…
D – Ho un po’ di paura…
G – Sì, di scoprire che sei stata nell’inganno finora, che ti sei tradita, che hai ascoltato voci che non dovevi ascoltare.
D – Mi aiuti?
G – Sono qui apposta, stai tranquilla, non ti lascio da sola… Però devi aprire un pochino di più il cuore alla gioia, alla leggerezza, all’amore… Devi giocare di più alla vita… Altrimenti io non riesco ad aiutarti, se resti solo nella mente ingannevole…
D – Ce la farò?
G – Ce l’hai già fatta! Sei già quello che cerchi, devi solo comprenderlo, sentirlo, vederlo e accettarlo.
Sei già Luce, datti il permesso di esserlo anche nella materia. È questo il salto di coscienza…
Forza, coraggio… Saltiamo insieme!
Canale Telegram: Metodo Studiamo. Link: https://t.me/metodostudiamo
Canale YOUTUBE: Metodo Studiamo le energie sottili
Profilo personale FB: Lucia Goldoni
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9 agosto del 2023, mi ritrovo qui a studiare mentre fuori c’è il sole. Dentro di me tanta solitudine. Non riesco a non pensare che non sono nel posto giusto, dovrei essere altrove. Ma dove? Con chi? Mi piacerebbe andare al mare e stare li stesa su una spiaggia, in pace, senza pensare alle conseguenze. Mi piacerebbe essere in un bar con della musica così bella da farmi venire voglia di alzarmi e muovermi seguendo il ritmo, senza paura di essere giudicata. Mi piacerebbe essere in un parco, seduta sotto un albero mentre leggo qualcosa, senza che la mia testa si affolli di pensieri. Mi piacerebbe essere altrove piuttosto che qui, ora. Eppure, fino a qualche settimana fa, desideravo così tanto tornare a casa, rivedere la mia famiglia, i miei amici, i miei posti mentre adesso sto sognando di essere altrove. Mi sembra assurdo aver sperato non poco tempo fa che arrivasse il più presto possibile il giorno in cui avrei preso il treno direzione casa, mi sembra assurdo perché adesso sto immaginando uno scenario opposto. Desideravo così tanto tornare a casa che gli ultimi giorni di lontananza mi sono sembrati lunghi quasi quanto un secolo ed ora invece le giornate che passo qui sono più lunghe di millenni. Cosa è cambiato? È la domanda che mi faccio più spesso. Forse niente, forse tutto. Questa non è più totalmente casa, non mi sento al sicuro. Ogni volta è come se ritornassi in quello stato vegetativo che mi aveva spinto a correre via nella speranza di prendere una boccata d’aria perchè qui ero a rischio soffocamento. È come se questa mancanza d’aria spegnesse tutto il fuoco che ho dentro lasciandomi immersa in una solitudine che solo dio sa quanto sta diventando pesante. Vorrei anche adesso scappare, desidero con tutta me stessa essere altrove e non qui, trovare da qualche parte almeno un po' d’aria per superare questi ultimi giorni prima della partenza. Mi attanagliano di nuovo domande a cui credevo di aver dato delle risposte, illudendomi credevo di essere sulla buona strada ed arrivare ad una soluzione. Sento di nuovo quella perenne sensazione di voler abbandonarmi in posto piccolo piccolo, nascosto, per chiudermi su me stessa e sentire un po' di quel calore che mi manca. Non voglio essere schiacciata dal peso costante di star vivendo giorni inutili, inconcludenti in cui non ci sono neanche uscite e divertimento da poter usare per giustificare il vuoto che sento in queste ore che passano troppo lentamente. Ho uno scopo? Assolutamente no. E si ritorna di nuovo li, a mettere in dubbio scelte di vita che sembravo aver accettato, in un modo o nell’altro. Nel mentre i miei occhi fissano delle parole, le leggo, sembra inutile farlo perchè, in fondo, ho sempre saputo che questa non era la mia strada. Chiudo tutto. Mi alzo e cammino un pó. È giusto sforzarmi e arrendermi alla vita? Ormai ho un percorso tracciato. Oppure, nonostante tutto, devo trovare il mio vero scopo? Se davvero poi esiste uno scopo in questa vita. Nel dubbio, mi siedo e provo a torturarmi ancora un po', sperando di arrivare in fretta in fondo a questa pagina del libro aperto davanti a me, di cui, onestamente, non ricordo una parola.
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"Sono stata campo di battaglia e una preghiera. Un papavero. Un intero pianeta. Forse una stella, un lago. Acqua sono stata, questo lo so. Sono stata acqua e vento. Una pioggia su qualcosa che ero stata tempo addietro. Un giuramento. Un’attesa. Un credo – un lamento. Un bastimento fra onde altissime. Forse anche il mare. E dunque – di cosa dovrei avere paura adesso."
Mariangela Gualtieri
Testo scelto da https://www.tumblr.com/iviaggisulcomo
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Acqua sono stata,
questo lo so.
Sono stata acqua e vento.
Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento.
Un’attesa.
un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque di cosa dovrei avere paura
adesso.
Mariangela Gualtieri
____Teresa Visceglia
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cose a cui penso ogni giorno:
- dovrei prendere la patente. ma forse sono troppo stupida per prenderla? insomma persone molto più brave e sveglie di me non ce l’hanno fatta quindi perché dovrei farcela io
- certo che sono bravissima a essere cattiva con me stessa
- dovrei trovare un lavoro. ma anche qui sono stupida e incapace e goffa e ansiosa e nervosa e timida e terribilmente socially awkward. non ce la farò mai
- ma perché ho paura di tutto porca puttana
- quanto vorrei imparare a suonare la batteria
- ogni giorno è letteralmente uguale all’altro da settimane, mesi, anni. mi comporto come se la mia vita fosse già finita da un pezzo e probabilmente è per questo che non riesco più a trovare un senso nelle cose
- dovrei tornare in terapia. adesso so su cosa voglio lavorare. quando andai per la prima volta da una psicologa lei mi chiese cosa volevo da questo percorso, di cosa avevo bisogno. io rimasi spiazzata e non dissi niente, non riuscivo a trovare una risposta, l’unica cosa che sapevo era che avevo bisogno di aiuto. adesso invece la risposta ce l’ho: io voglio avere controllo sulle mie emozioni. e lavorare su tutto il resto che è un disastro totale, ho una luuuunga lunghissima lista di cose da affrontare in terapia. ma è impossibile tornarci perché comunque non ho soldi. quindi dovrei trovare un lavoro. ritorno al punto c.
- chissà se la mia vecchia psicologa ogni tanto mi pensa. se sì, chissà cosa pensa. chissà perché c’ho sto cazzo di chiodo fisso
- non c’è assolutamente nulla in cui io sia particolarmente brava o anche solo preparata. il che mi rende una persona mediocre e decisamente noiosa. per nessun motivo qualcuno penserebbe “mh, chissà questa cosa come funziona, fammi chiedere ad alice, lei potrebbe saperlo”
- dovrei tagliare i capelli? dovrei cambiare taglio? dovrei tingerli? dovrei fare la frangetta? cosa ne devo fare di questa massa di peli sulla mia stupida testa?
- dovrei farmi sentire più spesso dalle persone, contattarle, proporre qualcosa, ma non ho idee né soldi né forza di interagire con gli altri. sono forse diventata una cattiva amica? mi sono sempre ritenuta un’ottima amica perché amo ascoltare e aiutare e essere presente nella vita delle altre persone ma adesso non ci riesco più e non basta desiderare di essere più vicina
- spero che mio padre non ritorni mai più a vivere nella stessa casa in cui vivo io
- che danno al king?
- sono bassa e sono tozza e non mi piaccio più. non mi piacciono le mie mani e non mi piacciono le mie gambe, non mi piacciono i miei occhi e non mi piacciono le mie labbra. non mi piace il mio odore. non mi piace come mi stanno i vestiti, non mi piaccio senza vestiti, sono fissata che devo sempre punzecchiarmi il viso. non mi piace che i miei capelli siano grassi
- i nuovi jeans adesso mi stanno larghi e la taglia è 42, ma i jeans rossi e i pantaloni neri ancora non mi entrano perché sono 38. fanculo
- paramore. nutro troppo amore per queste persone e a volte mi fa male?
- madonna quanto sono stanca. perché sono così stanca? stanca stanca stanca stanca
- spero che le persone che non sento più come prima non mi percepiscano come una cattiva persona. spero capiscano che le persone si avvicinano si allontanano arrivano se ne vanno e che è tutto naturale. vorrei non sentire o appropriarmi di tutta la responsabilità di ogni rapporto che ho con le persone.
- quanto desidero che i miei genitori avessero divorziato. quanto lo desidero
- l’ho preso l’antidepressivo? ma gli antidepressivi che prendo vanno bene?
- chissà se me ne andrò mai da catania
- perché Alessia non mi scrive? perché io non le scrivo? perché non mi ha detto che aveva un nuovo profilo su twitter? forse quella cazzata di quel ferragosto l’ha ferita? lei mi pensa ogni tanto?
- minchia voglio dolci
- ma qualcuno ha tipo mai voluto baciarmi? o scoparmi? una volta ester mi ha baciato e anche se flirta sempre con me so che è solo il suo modo per dirmi che le piaccio come persona e che mi vuole bene. quanto sarebbe bello avere qualcuno da baciare
- devo cominciare a mangiare meglio. devo prendermi cura del mio corpo ma perché è così difficile?
- vorrei delle piantine
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Sono stata una ragazza nel roseto una ninfa. Quasi fantasma che stava scomparendo sono stata una ragazza di sedici anni distesa.
Ho attraversato il deserto rapidamente, quasi volando,una statua di pietra del Budda dormiente, un Budda di ceneresono stata.
Una donna appesa.
Sono stata un uomo duro e forzuto. Una eccentrica con un pesce in bocca e poi il bambino dell’imperatore del giardino orientale.
Un albero forse.
Un topo.
Un elefante
una lepre.
Sono stata campodi battaglia e una preghiera.
Un papavero.
Un intero pianeta.
Forse una stella un lago.
Acqua sono stata, questo lo so. Sono stata acqua e vento. Una pioggia su qualcosa che ero stata tempo addietro.
Un giuramento. Un’attesa. La corsa della gazzella. E proiettile sono stata, freccia perfetta scagliata, catacomba. Un credo – un lamento. Un bastimento fra onde altissime. Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura adesso.
[Mariangela Gualtieri, Una ragazza in un roseto]
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Sono giorni in cui sento la solitudine forte e chiaro. Non è la solitudine di cui ho parlato le scorse volte, in cui ero sola ma accettavo la mia condizione. Questa è diversa.
È una solitudine dove ti senti individuo unico: una monade.
Sarà stata la botta di due giorni fa, più il fatto che ora una coinquilina si è licenziata e l'altra è tornata a casa questo weekend, quindi sono partita sola per ritrovarmi di nuova sola.
Ma perché gli esseri umani si sentono soli e sono tristi per questo? Sarà uno di quegli istinti inspiegabili della biologia umana? Ci sta, in fondo persino gli animali vivono in gruppo, spesso perché si sopravvive come specie meglio insieme che da soli. Forse ci portiamo appresso questo bagaglio biologico e, avendo creato intere società, non riusciamo più a farne a meno, né della cooperazione né del contatto umano.
Ieri pomeriggio dopo aver letto tanto, non sapevo più come distrarmi e mi sono messa sotto le coperte. Ero stanca ma senza sonno. Avrei potuto piangere un po' ma non l'ho fatto. Ero quasi tentata dal riempire quel vuoto mangiando. Come al solito. Il mio fantastico metodo disfunzionale per gestire le emozioni negative. Oggi, invece, mi sono fatta una foto indecente in accappatoio.
In fondo, sono entrambi metodi per avere uno spike di dopamina. Il cibo, la foto (l'erotismo che ne consegue), il sesso, l'alcol, la droga: in fondo fanno tutte la stessa cosa ed è il motivo per il quale ne siamo ghiotti. Siamo proprio macchine perfette, tese continuamente a ristabilire i disequilibri organici e ormonali attraverso azioni che sembrano dettate dal niente... e invece col cazzo.
Forse ho veramente uno squilibrio in testa come mia nonna e ho bisogno degli psicofarmaci. Forse la mia costante depressione è peggiorata veramente. Forse ha ragione lei a dire che ha paura e che è preoccupata per me per il peggio, specie adesso che sto per andarmene lontano. In fondo una volta lì sarò davvero una monade ed esserci o non esserci sarà quasi impercettibile per chiunque, persino per me stessa.
Mi è ritornato di nuovo l'eterno dilemma del voler capire perché è così necessario per l'essere umano amare ed essere amati. Potrei prenderlo come un dogma, come la gente fa con le religioni, col veganesimo o con altre cose: è così punto e basta. E invece no. Perché ne abbiamo bisogno? Perché non essere amati adeguatamente causa certe ferite dilanianti dentro? Adeguatamente poi è pure un concetto estremamente soggettivo. Infatti amare è tutto un gioco di incastri per cui si sta in pace nel momento in cui il tuo modo di amare mi appaga e viceversa. Se non è così, è tutto un gioco di compensi e di accontentarsi.
Però io sogno sempre di poter sfidare le leggi dell'essere umano, di poter essere l'unica al mondo che non ha bisogno di essere amata e vivere perfettamente in pace con sé stessa così. Poi invece una persona a caso mi fa un complimento a caso e capisco che sono lontana trilioni di anni luce dall'essere quella che vorrei essere. Sempre perché è l'inesistenza della mia autostima che mi fotte, così credo almeno.
Chissà se esiste o se è mai esistita nel mondo una persona sola. Magari triste il giusto, però sola. Senza una relazione amorosa, senza famiglia e con giusto qualche affetto lontano. (Già solo a pensarlo, sembra una cosa impossibile. Ma perché sembra così impossibile pensare a un essere umano in una condizione del genere senza che sia in un'isola deserta?) Se sì come è morto? È morto di vecchiaia? Si è suicidato? Se sì, lo ha fatto in pace o in tormento? Avrà scritto un diario o un romanzo su di sé? Forse dovrei cercare, per non sentirmi sola...
Ecco, di nuovo la mia natura di essere umana mi riporta a voler sentire una connessione, un contatto umano. Non c'è scampo.
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dormo poco ormai,
la notte mi sveglio con l'ansia
più che ansia è paura
paura di non ricordarti
mi asciugo il sudore
e cerco il tuo volto nel buio
cerco il tuo sguardo
cerco te nelle cose
arraffo il bicchiere con l'acqua
bevo facendo un rumore fastidioso
mentre l'acqua gocciola sulle lenzuola
è brutto quel senso di bagnato
credo che non ti piacerei adesso
non potrei piacerti con la mano tremante
con quella paura così poco dignitosa
con quello scatto nervoso e fragile
devo essermi agitato troppo
anche questo non ti piacerebbe
è così devastante il lenzuolo bagnato
e il bicchiere era pieno solo a metà
adesso dovrei alzarmi
cercare delle lenzuola asciutte
ma ora che ti ricordo
non voglio muovermi ci metterei troppo tempo
mi sposto di lato
e chiudo gli occhi
come quando si mangia qualcosa
di veramente buono
camminavamo vicini
sentivo la tua mano timida
mentre la stringevo con la mia
non mi importava nulla del resto del mondo
stavamo in silenzio
sopraffatti da tutta quella felicità
si, era così
posso ancora vederti
alzo la mano con le dita storte
e traccio nell'aria il tuo profilo
come feci quel pomeriggio
con le mie belle mani che tu amavi tanto
anche oggi mi sono ricordato
ti ho vista ancora
ho sentito la tua risata
ti ho abbracciata stretta
cosa farò quando non riuscirò a ricordare
il colore dei tuoi occhi
il tuo viso
quando non ricorderò le tue parole
sarà come perdere una parte di me
un'amputazione
sarà come vedermi morire
o mi sentirò per la prima volta solo
ho paura
io non so dove tu sia
se ti ricordi ancora di me
se puoi ricordarti
ma non importa
io ti penso per entrambi
lego attorno a noi i ricordi
così forse non ci perderemo
non so cosa succede dopo
ma so cosa vorrei che succedesse
vorrei essere sopraffatto ancora dalla felicità
vorrei avere le mani che non tremano per tenerti bene
la gamba mi fa male
ma devo ricominciare a camminare
camminare aiuta la memoria dicono
e io ho bisogno di una memoria buona
sono caduto come un vecchio
inciampando in qualcosa che non ho visto
e come un vecchio non guarisco
non sono mai guarito da te neanche da giovane
è facile parlare con te lo è sempre stato
mi fai compagnia
una compagnia buona
ma devo ricordarmi di te
ho bisogno di ricordarmi come piegavi la testa di lato
devo ricordare come camminavi
come ti toccavi capelli
come ti accigliavi
è che sono stanco
e sono vecchio
e ho paura
di non riuscire a inventarti più
m.c.m.
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