Tumgik
#non a caso oggi ho recuperato il film
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Landscape in the mist
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22 settembre 2022
Niente corsa stamattina perché faceva troppo freddo e subito ho sentito l’acido lattico agire. Siamo rimasti in stanza (o meglio nel corridoio) fino all’ora di pranzo e Rambo poi se ne è andato (tornava oggi). Mini run al supermercato vicino alla villa e un pit stop a chiedere a gente a caso dove possiamo comprare del vino (per cui la città è famosa). Prospetti su autocad e 3d su metashape per tutto il pomeriggio.
Per le 6 prendiamo l’auto di Daniele e andiamo a cercare la cantina di cui ci hanno parlato ma quando arriviamo è chiusa e quindi giriamo un po’ in macchina tra le strade di campagna e facciamo foto al paesaggio. Passiamo per un edificio quasi abbandonato e Daniele si ferma proponendo di entrarci. Ile subito dice che lei resta in macchina e che se abbiamo voglia di entrare in un edificio che ha delle catene con lucchetto all’ingresso possiamo fare quello che vogliamo. Lui va e lo seguo anche io, scavalcando la recinzione abbastanza alta. Quanto mi era mancato andare in questi posti, mezzi diroccati e abbandonati. Dopotutto io ci sono vissuta davanti all’ex stadio con tutti i suoi murales poco legali. Avevo anche i jeans beije tipici di situazioni che comportano misfatti. Adrenalina mista a nostalgia. Abbiamo recuperato una mela cotogna da un albero e abbiamo riscavalcato la recinzione e tornati in macchina. Sulla strada ci siamo fermati di nuovo perché avevo visto dei cactus con fichi d’india e Daniele è stato carino e si è messo i guanti e me ne ha staccati un sacco. Cercando la strada per rientrare ci imbattiamo prima in un cartello che indica una cantina ma percorrendo il sentiero la troviamo chiusa e dopo in uno spiazzo in cui Daniele si ferma perché c’è un’altra macchina ferma e chiede ai tizi dentro se sanno indicarci una cantina aperta. Il caso vuole che il guidatore produce anche lui questo vino anche se non per professione ed è disposto a venderci 5 litri per 8 euro. Fatto sta che seguiamo in macchina questo tipo fino dove ha il suo ‘posto’ e ci vende davvero il vino, incredibile. Alla fine del giro che doveva durare 10 minuti ma è durato ore abbiamo del vino, ile un po stressata e delle bottiglie d’acqua ancora da riempire. Solita sosta al campetto di basket per usare la fontana mentre Daniele attira un bambino che si mette a fare tiri con lui con il suo pallone (è bravo quasi quanto me) poi a bottiglie riempite lo raggiungo io e continuiamo a stancarci noi. La cena di oggi prevede formaggio, taralli e vino (loro due se lo aspettavano più dolce) e subito dopo andiamo nelle aule studio con un tavolino basso, cuscini su cui sederci, la mia coperta ed il pc per vedere ‘the thruman show’ (io avevo proposto ‘before sunrise’ che era più corto ma loro ormai non si fidano più delle mie proposte in campo cinematografico. Quando mettiamo il film vedo Daniele che un po’ ha freddo e gli propongo di condividere la coperta e infatti la mettiamo dietro le spalle cosi arriva anche a ile seduta oltre noi e iniziamo a riscaldarci (mi è sembrato un attimo strano qui ngl i was just being nice spero non abbia percepito questa cosa diversamente i wasn’t trying to snuggle with him ok? I have easy goosebumps when the cold comes so I brought my blanket and he was feeling it too so i was nice and offered to share like the good friend i am). Dopo avrei dovuto fare doccia e capelli ma dato che 1) questa doccia non ti permette di uscire con i capelli asciutti e lavarli separatamente e 2) ci stanno oggi due pellegrini (due francesi vecchi teneri un po’ persi secondo me ma può anche essere che siano solo francesi) che stanno già in stanza e non mi va di disturbarli con il phon. Quindi il tutto rimandato a domani mattina appena vanno via.
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paoloxl · 5 years
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Sono passati cento anni dall’assassinio di Rosa e Karl, che sferrò un colpo preventivo non solo alla rivoluzione tedesca, ma a quella mondiale e alla stessa rivoluzione russa, condannata a un isolamento che avrebbe condizionato tutta la sua esistenza. Ancora trenta anni fa la loro morte era stata ricordata da una parte minoritaria ma non insignificante della sinistra, anche a Berlino, in polemica tanto con gli ultimi stalinisti che con la socialdemocrazia; oggi non siamo molti a commemorarla. La riscrittura della storia è andata avanti come un bulldozer, come si è visto un anno fa con le ricostruzioni ipocrite e criminalizzanti dell’Ottobre 1917, che sono diventate parte del senso comune della residua sinistra. Tuttavia questo non ha risparmiato a Rosa Luxemburg anche l’oltraggio di un’utilizzazione strumentale in contrapposizione a Lenin, presentato come un fanatico distruttore di una Russia altrimenti diretta a bandiere spiegate verso la democrazia…
Ho scritto parecchio su Rosa, in vari periodi, e come faccio abitualmente, prima di scrivere ancora sullo stesso argomento, sono andato a rileggere quel che avevo scritto su di lei. Non mi sembra che siano apparse novità significative sulla sua tragica vicenda. Per questo ho scelto di riproporre sul sito un ampio stralcio di un mio scritto di una ventina di anni fa (recuperato dall’ARCHIVIO del sito, nella sezione ormai poco frequentata I GRANDI NODI DEL NOVECENTO) che mi è parso ancora utile, mentre rinvio ai link di due saggi più impegnativi in cui avevo confrontato le rispettive posizioni di Rosa Luxemburg e di Lenin, ricostruendo le loro polemiche, senza sottovalutare l’enorme importanza dell’apporto di entrambi a un dibattito tuttora essenziale: Lenin, Rosa e il partito e Lenin, Rosa e la questione nazionale ,aggiungendo poi anche un piccolo ricordo del generoso compagno di lotta che le fu vicino anche nella tragica morte, Una voce controcorrente: Karl Liebknecht
Mi è parso inutile scrivere ancora qualcosa di nuovo e diverso su di lei, avrei avuto bisogno dello stimolo di una polemica con i denigratori e falsificatori, mentre Rosa ormai lontanissima dai nostri poveri dibattiti non ha nemmeno l’onore dei tanti nemici che hanno vomitato calunnie su Lenin e Trotskij.
A volte viene ancora chiamata in causa contro il Lenin dell’autodecisione, inviso ai “campisti” nostalgici del “socialismo reale”, mentre è sempre più raramente ricordata per la sua esemplare intransigenza nei confronti di Kautsky e dei centristi della socialdemocrazia tedesca, e ancor meno per l’ostentato disprezzo nei confronti delle istituzioni. Qualcuno la ricorda per la commozione di carcerata di fronte a un bufalo aggiogato a un pesantissimo carro, o per l’attenzione a una cinciallegra che varcava le mura della prigione; da anni sento raramente ricordare la sua lucida analisi dei prestiti internazionali e del militarismo che rendono sempre attuale il suo libro L’accumulazione del Capitale.
Oggi, col pretesto del centenario, non è esclusa qualche rievocazione fuorviante, formalmente nuova ma alimentata da antiche diffidenze. Non vorrei che Rosa possa essere coinvolta in discutibili confronti con il Gramsci di più largo consumo, basato  su un uso forzato di qualche frase criptica dei Quaderni per trasformarlo in anticipatore della via togliattiana al socialismo. La prima recensione sul Manifesto di un’antologia di scritti luxemburghiani pubblicata dagli Editori Riuniti con introduzione di Guido Liguori lo fa temere. [Mi riferisco alla recensione, non al libro, che non ho ancora potuto leggere dato che nel “borgo selvaggio” in cui vivo, e che aveva la pretesa di esser riconosciuta come capitale italiana della cultura, ha chiuso l’unica libreria].
Gramsci tra l’altro conosceva pochissimo della produzione di Rosa, come risulta dal fatto che la cita molte volte, ma quasi sempre come vittima della repressione e non come teorica del marxismo; inoltre fraintende il principale testo che cita, Sciopero di massa, partito e sindacato, definito un “libretto” nel quale “si teorizzano un po’ affrettatamente e anche superficialmente le esperienze storiche del 1905: la Rosa infatti trascurò gli elementi «volontari» e organizzativi che in quegli avvenimenti furono molto più diffusi ed efficienti di quanto la Rosa fosse portata a credere per un certo suo pregiudizio «economistico» e spontaneista”. La stroncatura proseguiva associandolo a una presunta opzione trotskiana per la guerra manovrata (che per giunta attribuiva a Trotskij una posizione diametralmente opposta a quella che aveva difeso nel Comintern).
Mi sembra un pericolo da evitare, non meno di quello di attribuire la sua sconfitta a suoi presunti errori, come aveva fatto lo stesso Guevara senza immaginare che a sua volta la sua morte isolato in una zona semidesertica della Bolivia sarebbe stata attribuita al suo “avventurismo” e a leggerezza nella preparazione dell’impresa, anziché alla scelta sbagliata del luogo e all’abbandono del nucleo guerrigliero senza rifornimenti e contatti in una zona inospitale da parte del partito comunista boliviano.
Rosa non è morta per caso, o per le sue illusioni spontaneiste, è stata assassinata ai margini di una grande mobilitazione di massa innescata da una provocazione del governo socialdemocratico: semplicemente non aveva avuto i mesi che Lenin ebbe per far crescere e indirizzare il dualismo di potere e per conquistare la maggioranza dei soviet. Le squadracce dei Corpi Franchi assoldate dal ministro socialdemocratico Gustav Noske hanno agito a freddo, cercando di decapitare preventivamente il movimento. E ci sono riuscite, creando un precedente che sarà usato moltissime volte in tanti paesi. (a.m.11/1/2019)
Perché ci serve ancora Rosa Luxemburg
Rosa Luxemburg ha avuto un ruolo straordinario nelle battaglie politiche e teoriche della socialdemocrazia negli anni in cui aveva raggiunto i maggiori successi e marciava a passi spediti verso il suo crollo. Aveva soprattutto previsto quella fine assai prima di Lenin, che pure era assai meglio inserito negli organismi dirigenti dell’internazionale socialista, e che per questo fu così sconvolto da quello che gli sembrava un sorprendente tradimento.
La maggior parte del “popolo di sinistra” oggi nomina almeno tre volte al giorno il cosiddetto “crollo del comunismo”, ma nessuno si ricorda della fine ignominiosa della seconda internazionale allo scoppio della Grande Guerra, né le mette in conto i milioni di morti di cui la socialdemocrazia fu corresponsabile con quella vergognosa capitolazione.
Proprio per la sua lungimiranza Rosa fu odiata e presto dimenticata nella socialdemocrazia, a parte qualche tentativo di riappropriazione truffaldina [...] quando il bel film Rosa L della von Trotta riaccese l’interesse per la sua figura. Un operazione miserabile, che peraltro fu possibile solo perché non si sapeva praticamente più nulla di lei.
Perché tanta ostilità verso Rosa
Un’altra ragione dell’oblio fu l’ostilità nei suoi confronti manifestata anche da Stalin. Già nel 1925, quando imperversava la cosiddetta “bolscevizzazione” che avrebbe portato in pochissimi anni a imporre il centralismo staliniano a tutti i partiti comunisti e alla loro subordinazione alla burocrazia sovietica, una risoluzione del Comitato esecutivo allargato dell’IC aveva messo in guardia contro i “luxemburghisti”, sostenendo che era “impossibile assimilare il leninismo” (cioè la codificazione dogmatica fattane da Stalin) “senza tener conto degli errori di parecchi eminenti marxisti” tra cui Rosa Luxemburg. “Più questi teorici sono vicini al leninismo, più le loro concezioni sono pericolose nei punti dove ne divergono”.[1] C’era già completa la concezione di una “linea giusta” (una sola, quella decisa dal gruppo dirigente) e della pericolosità di ogni “divergenza” o “deviazione” dalla retta strada. Un ingrediente essenziale dello stalinismo, e il più tenace a morire.
In quel caso almeno la si collocava ancora tra gli “eminenti marxisti” e si rendeva “omaggio alla grandezza dell’opera di Rosa Luxemburg, che fu tra i fondatori dell’Internazionale comunista”. Ma era tra l’altro una doppia bugia: Rosa morì prima del Congresso di fondazione, e aveva comunque espresso il parere che non ci fossero ancora le condizioni per farlo. La stessa tesi fu sostenuta al primo congresso dal delegato tedesco Hugo Eberlein, le cui resistenze furono vinte solo grazie al clima di entusiasmo generale creato da alcune notizie – risultate poi infondate – sul dilagare della rivoluzione in Europa centrale e in particolare a Vienna
Ma nel 1932 Stalin, divenuto ormai “padrone” quasi assoluto del partito e dell’internazionale aveva sferrato un attacco ben più pesante a Rosa, assimilandola tra l’altro all’odiato Trotskij (tanto in URSS nessuno poteva più leggere né l’uno né l’altra). Come era sua abitudine, Stalin accusava i suoi avversari di “errori” diametralmente opposti alle loro reali posizioni. Così nell’articolo A proposito di alcuni problemi della storia del bolscevismo Rosa viene accusata di conciliazionismo con i centristi alla Kautsky. in contrapposizione a un Lenin implacabile loro nemico. In realtà era accaduto esattamente il contrario, come Lenin stesso ha ammesso in diversi suoi scritti.
Le falsificazioni di Stalin
Stalin, per trasformare Lenin in oggetto di culto, da venerare in un mausoleo, e da studiare zelantemente sotto la guida di sommi sacerdoti e di un “pontefice” del “leninismo”, doveva cancellare ogni traccia della sue evoluzione, che ha seguito “una curva ininterrottamente ascendente”, scrive Trotskij, ma è pur sempre un’evoluzione che supera una concezione per assumerne un’altra. Ammettere fasi diverse nel “leninismo” per Stalin ha lo stesso significato sacrilego che ha per un papa un’analisi storica e filologica della Bibbia, che la riconduce ai diversi momenti in cui fu scritta.
Impossibile per Stalin ammettere che “Lenin non è nato come un Lenin bell’e pronto, come viene raffigurato dagli sbavanti imbrattacarte che ne hanno fatto una ‘divinità’, ma si è venuto formando fino a diventare il Lenin che conosciamo. Lenin ha sempre allargato i propri orizzonti, ha imparato da altri e si è elevato quotidianamente a un livello più alto di quello del giorno precedente. Il suo spirito temerario trovò espressione in quella perseveranza, in quella tenace ricerca di una continua crescita spirituale tesa al superamento di se stesso. Se nel 1903 Lenin avesse capito e formulato tutto ciò che era necessario per i tempi a venire, allora non gli sarebbe rimasto che ripetersi per tutto il resto della vita. In realtà non fu affatto così. Stalin non fa che imprimere il proprio marchio su Lenin, adattandolo ai suoi meschini passaggi da una citazione numerata a un’altra.”[2]
Nello stesso articolo su Rosa Stalin aveva formulato un’altra calunnia in quel momento e ai suoi occhi era ancora più grave: diceva infatti che “i sinistri della socialdemocrazia tedesca, Parvus e Rosa Luxemburg […] fabbricarono lo schema utopistico e semimenscevico della rivoluzione permanente. […] Più tardi questo schema semimenscevico della rivoluzione permanente venne ripreso da Trotskij (in parte da Martov) e trasformato in uno strumento di lotta contro il leninismo”.
La calunnia è articolatissima: prima di tutto per l’attribuzione della “rivoluzione permanente”. Lo stesso Stalin nel 1925 aveva scritto col solito stile rigidamente chiesastico, che piace ancora a tanti nostalgici: “Non è vero che la ‘teoria della rivoluzione permanente’ sia stata formulata nel 1905 da Rosa Luxemburg e da Trotsky. In realtà questa teoria è stata formulata da Parvus e da Trotsky”. Sei anni dopo proclama solennemente il contrario, tirando in ballo Martov, che era stato sempre un avversario della rivoluzione permanente (ma ormai “menscevico” era diventato un insulto demonizzante, e quindi l’accostamento serviva per gettare un po’ di fango in più su Trotskij). In ogni caso attribuire a Rosa il ruolo di ispiratrice dell’odiato Trotskij voleva dire che era ormai considerata anch’essa una nemica.
Stalin era abituato a fare queste giravolte, tanto più che quando cambiava idea faceva ritirare i libri in cui aveva sostenuto il contrario di quel che diceva in quel momento (e comunque nessuno si azzardava a ricordarglielo). Così nell’aprile del 1924 nelle Questioni del leninismo pubblicate a puntate sulla Pravda aveva sostenuto l’impossibilità di costruire il socialismo in un paese solo, ma già nella nuova edizione dell’autunno dello stesso anno aveva sostituito quel passo con una frase che proclamava che il proletariato “può e deve” costruire il socialismo in un paese solo.
Questa era il ruolo che Stalin attribuiva alla “teoria”: la giustificazione delle sue scelte contingenti del momento. L’attribuzione della “colpa” della rivoluzione permanente a Rosa corrispondeva alla necessità di lottare più duramente contro ogni traccia di “luxemburghismo” nel partito comunista tedesco e in quello polacco. In particolare nel partito comunista tedesco Stalin aveva scatenato una caccia alle streghe di cui si era fatta interprete la sciagurata Ruth Fischer, che per settarismo coniò il termine di “lue luxemburghiana”, e che poi finirà a sua volta fuori dal partito, e per qualche tempo si avvicinerà anche a Trotskij, che era sempre fiducioso sulla possibile evoluzione di qualsiasi compagno, mentre altri suoi collaboratori, a partire da Alfonso Leonetti, non la sopportavano. Quanto a quello polacco, la “lue luxemburghiana” fu considerata talmente indelebile che anche dopo averne sostituito più volte la direzione, Stalin nel 1938 – alla vigilia della guerra e della spartizione con Hitler – non si accontentò di sterminare i dirigenti sopravvissuti alle prime purghe ma sciolse lo stesso partito, lasciando il proletariato polacco senza uno strumento al momento dell’invasione nazista.
Ma lasciamo da parte Stalin e torniamo al lungo passo di Trotskij che abbiamo citato poco sopra sull’evoluzione di Lenin. Ci sembra che possa essere applicato allo stesso Trotskij, che modificò profondamente le sue concezioni del partito nel corso della guerra mondiale, e a Rosa, i cui ultimi scritti come vedremo rivelano una forte rivalutazione di quel partito bolscevico che aveva tanto criticato, a ogni vero rivoluzionario.
Anche senza arrivare alle coscienti falsificazioni staliniane, continua a essere molto diffusa (essendosi consolidata in decenni di dogmatismo) la pessima abitudine di ricavare citazioni da un testo di un autore senza tenere conto del contesto in cui è stato scritto e del livello di elaborazione che egli aveva raggiunto in quel momento. Lo si fa spesso con Guevara, anche a Cuba, estraendo frasi singole dai suoi scritti, col risultato di impedire di cogliere la sua profonda evoluzione, e magari assolutizzando le banalità sul “marxismo-leninismo” che si trovano in certi suoi articoli e discorsi precedenti al 1962-1965, e che derivano semplicemente dal fatto che non aveva ancora cominciato uno studio sistematico delle fonti, di Marx e soprattutto di Lenin, e si basava ancora sui libricini divulgativi e sui manuali di origine sovietica.
Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per lo stesso Marx, il cui pensiero maturo sarebbe stato stimolato nel corso degli anni non solo dallo studio sistematico dell’economia e della storia, ma anche dalle ricche esperienze fatte ad esempio dalla Comune di Parigi.
Tornando a Lenin, molte sciocchezze di suoi ingenui e inesperti ammiratori sono state provocate da una lettura acritica ed assolutizzante del Che fare?, senza tenere conto delle riflessioni e correzioni fatte dallo stesso Lenin dopo l’esperienza della rivoluzione del 1905 nell’introduzione alla raccolta Dodici anni dopo, e soprattutto della loro concretizzazione nella pratica del partito bolscevico (ad esempio nei criteri di reclutamento).
Come recuperare il pensiero di Rosa
Come tutti i grandi, Rosa ha sofferto sia per le falsificazioni e denigrazioni coscientemente calunniose dei suoi nemici, ma anche per le banalizzazioni e stravolgimenti fatti dai suoi sostenitori. Marx e Lenin pagano e continueranno a pagare per colpa dei “marxisti-leninisti” dogmatici, lo stesso Guevara è stato impoverito non solo dalla mitizzazione strumentale alimentata dai mass media borghesi, ma anche dalla riduzione al “guerrigliero eroico”, e peggio ancora al modello da proporre ai bambini cubani nelle scuole elementari (facendo imparare a memoria sue lettere e discorsi a quei poveri bambini). Trotskij ha pagato e paga a caro prezzo che al suo nome facciano – indebitamente – riferimento varie sette dogmatiche, che hanno ben poco a che fare col suo pensiero critico e con le sue reali concezioni organizzative (soprattutto perché hanno tutte una concezione feticistica del partito, che è assai più vicina a quella stalinista). Molte di queste usano la calunnia nei confronti delle altre tendenze rivoluzionarie e in questo quadro fanno un uso assai strumentale della teoria. [...]
Già negli anni Venti e Trenta a Rosa si rifacevano varie correnti centriste e spontaneiste, dentro la socialdemocrazia o in piccole organizzazioni autonome, in contrapposizione alle concezioni marxiste rivoluzionarie che facevano riferimento a Trotskij e a Lenin. Di fronte al tentativo di costruire un “luxemburghismo” da contrapporre a chi tentava di costruire la Quarta Internazionale, Trotskij rispondeva seccamente che “noi abbiamo più volte preso le difese di Rosa Luxemburg contro le impudenti e stupide deformazioni che ne hanno fatto Stalin e la sua burocrazia. E continueremo a difenderla. Facendo questo non obbediamo ad alcuna considerazione sentimentale, ma soltanto alle esigenze della critica storico-materialista. La nostra difesa di Rosa Luxemburg non è però incondizionata. I lati deboli del suo insegnamento sono stati messi a nudo sia nella teoria che nella prassi”.
I gruppi che si aggrappavano a un presunto “luxemburghismo” come la SAP tedesca, lo Spartacus francese, l’Action socialiste in Belgio, ecc., osservava Trotskij, “prendono in considerazione soltanto questi lati deboli, le carenze che in Rosa non erano affatto preponderanti, essi generalizzano ed esagerano all’estremo queste debolezze, costruendo su tale base un sistema profondamente assurdo.”[3]
E’ quello che in quegli anni è capitato anche allo stesso Trotskij, di cui alcuni intellettuali hanno ripreso e valorizzato gli scritti giovanili in polemica con Lenin, come il Rapporto della delegazione siberiana, scritto a caldo nel 1903 dopo il Congresso in cui avvenne la prima separazione tra bolscevichi e menscevichi (pare nelle 48 ore successive alla chiusura dei lavori), e che era indubbiamente fazioso e pieno di incomprensioni. Il fatto che Trotskij lo considerasse un errore di gioventù, non ha significato nulla per chi voleva contrapporlo a Lenin nel momento in cui – quasi solo – ne difendeva le idee.
Per Rosa questo atteggiamento continua ancora, anche in Italia. Il suo pensiero – al momento delle polemiche con Lenin - è stato semplificato e ridotto a un’esaltazione assoluta della spontaneità, prescindendo da quello che aveva fatto concretamente nell’organizzazione del piccolo partito polacco (SDKPiL, Socialdemocrazia del regno di Polonia e Lituania) che diresse per anni insieme a Leo Jogiches con polso fermo e una pratica centralizzatrice che non aveva nulla da invidiare al partito bolscevico, ma anche sorvolando sull’ammirazione e rispetto per esso espressi nello scritto su La rivoluzione russa, tanto citato ma evidentemente pochissimo letto.
Trotskij ha ricostruito molto bene questo aspetto: non c’è dubbio, scrive, che “Rosa Luxemburg ha appassionatamente contrapposto la spontaneità delle azioni di massa alla politica conservatrice “coronata dalla vittoria” della socialdemocrazia tedesca, soprattutto dopo la rivoluzione del 1905. Questa opposizione ebbe un carattere profondamente rivoluzionario e progressivo. Rosa capì – e cominciò a combatterlo molto tempo prima di Lenin – il ruolo di freno giocato dall’apparato fossilizzato del partito e dei sindacati. Tenendo conto dell’inevitabile acutizzazione delle contraddizioni di classe, ella ha sempre pronosticato il carattere ineluttabile della venuta alla ribalta indipendente ed elementare delle masse contro la volontà e contro la linea delle istanze ufficiali. In questa prospettiva storica generale, Rosa Luxemburg ha avuto ragione. Infatti la rivoluzione del 1918 è stata proprio ‘spontanea’, vale a dire che è stata realizzata dalle masse nonostante tutte le previsioni e le precauzioni delle istanze del partito. Ma d’altronde tutta la storia ulteriore della Germania ha ampiamente dimostrato che la spontaneità, di per se stessa, non permette di vincere. Il regime di Hitler costituisce un argomento di un certo peso contro la spontaneità concepita come una panacea.”[4]
Trotskij precisava inoltre che in effetti Rosa “non si è mai limitata alla pura teoria della spontaneità. […] Contrariamente a Parvus, Rosa si è sforzata di educare in anticipo l’ala rivoluzionaria del proletariato e di unificarla per quanto possibile sul piano organizzativo. Ella ha costruito in Polonia un’organizzazione indipendente estremamente rigida. Tutt’al più si potrebbe dire che, nella sua valutazione storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia non rivestiva un’importanza sufficiente a paragone delle azioni di massa che ci si sarebbe dovuti aspettare, mentre invece Lenin, senza consolarsi al pensiero dei miracoli delle azioni a venire, raccoglieva instancabilmente gli operai avanzati in solidi nuclei legali e illegali, in seno alle organizzazioni di massa e clandestinamente, attorno a un programma rigorosamente definito.
La teoria della spontaneità di Rosa costituì un’arma salutare contro l’apparato fossilizzato del riformismo. Il fatto che essa sia stata talvolta diretta contro il lavoro di Lenin nel campo della costruzione di un apparato rivoluzionario, ne ha messo a nudo - soltanto embrionalmente, beninteso – gli aspetti reazionari. Ma in Rosa stessa questo aspetto era soltanto episodico. Ella era fin troppo realista, in senso rivoluzionario, per sviluppare i vari elementi della sua teoria della spontaneità in un sistema metafisico compiuto. Nella pratica, con ognuna delle sue iniziative, lei stessa minava quelle teorie.”[5]
Si noti con quanto rispetto Trotskij, ormai profondamente convinto di aver avuto – insieme a Rosa – torto di fronte a Lenin nel dibattito del 1903 sul partito, esprima la sua critica: “si potrebbe dire che nella sua valutazione storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia non rivestiva un’importanza sufficiente”. E in altri scritti, sempre a proposito della grande rivoluzionaria, Trotskij riprese una efficace espressione di Lenin nell’elogio funebre: “Sebbene alle aquile possa accadere di scendere fino al livello delle galline, le galline non riusciranno mai ad alzarsi tra le nuvole del cielo, nemmeno dispiegando le proprie ali”.[6] Si noti che ricordando Rosa assassinata anche Lenin non nascose le vecchie polemiche, in base al principio che la verità è rivoluzionaria, e non a quello borghese che rende un omaggio retorico e ipocrita al morto.
Agli adoratori della spontaneità, Trotskij obiettava che avevano “tanto poco il diritto di fare riferimento a Rosa Luxemburg quanto i meschini burocrati del Komintern di richiamarsi a Lenin. Lasciamo da parte ciò che è accessorio e che non ha retto alla prova della storia, e potremo allora porre, con pieno diritto, il nostro lavoro per la Quarta Internazionale sotto il segno delle “tre L”, cioè non soltanto sotto il segno di Lenin, ma anche sotto quello della Luxemburg e di Liebkhnecht.”[7]
Anche in Italia alcuni settori della nuova sinistra hanno fatto oggetto Rosa di un piccolo culto in chiave "antileninista", basato su una profonda distorsione dei termini reali del dibattito che si sviluppò tra i due grandi rivoluzionari. Ad esempio in Democrazia proletaria era rituale un omaggio a Rosa “che sul partito aveva ragione contro Lenin” [...] basato evidentemente su una vaga reminiscenza dello scritto su La rivoluzione russa, che tuttavia contiene critiche interessanti che meritano di essere discusse, ma su altri problemi: l'assegnazione della terra ai contadini, il diritto all'autodeterminazione e soprattutto la mancata rielezione dell’assemblea costituente (non il suo scioglimento in quanto tale, di cui Rosa ammetteva la necessità). La mitizzazione di Rosa Luxemburg contro Lenin è probabilmente una tardiva ricaduta della lettura spontaneista fattane da Lelio Basso (pur all'interno di un lavoro di edizione abbastanza rigoroso), e sorvola sulle molte ammissioni di Rosa, proprio in quel fatale 1918, sui meriti essenziali dei bolscevichi.[8]
Nel 1918 Rosa si batteva con decisione per trasformare l'informe e semianarchico movimento spartachista in un partito centralizzato, e aveva ripreso anche formalmente molti degli argomenti di Lenin. È noto che la Luxemburg, insieme a Liebkhnecht e ai più sperimentati quadri spartachisti, fu messa in minoranza dalle giovani leve estremiste nel I Congresso della KPD, non solo sulla tattica verso i sindacati o sulla partecipazione alle elezioni, ma anche sulla concezione del partito: per reazione alla rigidità burocratica della SPD, contro cui aveva combattuto per anni, la maggioranza dei giovani delegati rifiutò perfino l'elementare principio della subordinazione delle strutture locali a quelle centrali.
Il contributo fondamentale di Rosa alla teoria marxista
La sua opera più impegnativa, L'accumulazione del capitale, criticata aspramente per diverse ragioni, tra cui una presunta revisione di Marx, ha perso ben poco della sua attualità. Se la parte più strettamente teorica è di non facile lettura, quella storica è accessibilissima, e soprattutto attualissima, perché spiega i meccanismi con cui alla fine del secolo XIX i prestiti internazionali hanno creato le premesse per la perdita dell'indipendenza dell'Egitto e dello stesso impero ottomano. Meccanismi che sono gli stessi usati nuovamente dall'imperialismo negli ultimi venticinque anni. L 'accusa di revisionismo (in se molto discutibile, dato che Marx non si sognava affatto di essere infallibile) era anche infondata. Rosa polemizzava con alcuni capitoli del primo libro del Capitale senza sapere che nel terzo volume e in altri scritti pubblicati solo negli anni Trenta lo stesso Marx aveva affinato le sua analisi arrivando alle stesse conclusioni a cui sarebbe arrivata poi Rosa. Che comunque non temeva, se necessario, di criticare anche Marx. Era il metodo di tutti i veri marxisti rivoluzionari.
Anche sul terreno della dialettica spontaneità-organizzazione, e quella tra coscienza politica e coscienza sindacale, Rosa Luxemburg ha molto da insegnarci. Ad esempio, già nel 1893, quando era ai primi passi in politica, si era indignata che la maggior parte dei socialdemocratici tedeschi, incluso il "padre fondatore" Bebel, approvassero la posizione di alcuni socialdemocratici polacchi che sostenevano che nella Polonia prussiana non era possibile avere sindacati, ma solo un partito politico polacco. Come è possibile, scriveva, che proprio "in un paese in cui le masse sono completamente indifferenti e mute e possono essere smosse soltanto mediante gli interessi più immediati e la lotta per i salari" si pensi di poter saltare la fase della lotta economica? Frölich commenta a questo proposito che Rosa "si rifiutava di prendere per realtà i propri desideri. Era pronta ad utilizzare i più piccoli accenni di vita per un movimento. Ma non voleva lasciare il partito affondare nella lotta quotidiana, voleva anzi che il partito avesse davanti agli occhi l'intero percorso dello sviluppo futuro in conformità alla conoscenza storica e che ogni passo dell'azione pratica venisse dettato dal pensiero dello scopo finale. La rivoluzione borghese non le appariva solamente una tappa oggettivamente inevitabile dello sviluppo della Russia, ma i diritti democratici da conquistare in questa lotta e la lotta stessa per questi diritti erano per lei mezzi mediante i quali la classe operaia sarebbe maturata da un punto di vista intellettuale, morale e organizzativo, e sarebbe diventata capace di lottare per la conquista del potere politico".[9] E' praticamente la stessa concezione che sta dietro il programma di transizione.
La dialettica tra lotte parziali e su obiettivi modesti e la strategia rivoluzionaria, viene affrontata con un'ottica pedagogica basata sull'autoeducazione delle masse attraverso l' esperienza delle lotte. Ma Rosa è stata anche una straordinaria pedagoga in senso proprio. Agli inizi del 1907 venne chiamata a insegnare economia politica alla scuola di partito appena costituita e che rappresentò un'esperienza di grande interesse. Rimangono come traccia di quel lavoro alcune dispense pubblicate anche in Italia col titolo Introduzione all'economia politica, Jaca Book, Milano, 1970. In particolare la prima lezione ( Che cos’è' l’economia politica) dà il senso del carattere iconoclastico dell'insegnamento della Luxemburg, che comincia facendo a pezzi con una mordente ironia tutta la scienza accademica ufficiale tedesca.
Ma il contributo più prezioso di Rosa Luxemburg, quello che ce la rende una compagna di lotta insostituibile è la sua analisi della burocrazia, giustamente valorizzata da Ernest Mandel nel saggio dallo stesso nome come parte integrante dell'elaborazione della Quarta Internazionale.
Il ruolo della burocrazia
Questo fenomeno è stato colto molto lucidamente da Rosa Luxemburg prima che esso si manifestasse nelle forme peggiori, diventasse tradimento vero e proprio, e arrivasse al crimine per mettere a tacere le voci più scomode: Rosa fu assassinata dai Corpi Franchi assoldati dal ministro socialdemocratico Gustav Noske!
In uno straordinario scritto del 1906, Sciopero generale, partito, sindacati, la Luxemburg aveva osservato che la grande crescita del movimento sindacale e soprattutto di un vasto strato di funzionari sindacali era “un prodotto storico pienamente spiegabile” degli anni di alta congiuntura economica 1895-1900, anni di prosperità economica e di bonaccia politica. Questo apparato, anche se inseparabile da certi inconvenienti, è un “male storicamente necessario. Ma la dialettica storica dello sviluppo comporta che questi mezzi necessari della crescita sindacale, a una certa altezza dello sviluppo organizzativo e a un certo grado di maturità dei rapporti, si convertano nel loro contrario, in ostacoli a una crescita ulteriore.” Erano parole particolarmente profetiche, giacché appena un anno dopo, la socialdemocrazia avrebbe per la prima volta perso voti nelle elezioni politiche, spezzando una curva ascendente che sembrava definitiva, e scendendo in percentuale dal 31,7 al 29 % e in deputati da 81 a 43. All’origine dell’insuccesso relativo c’era stata l’incapacità di fronteggiare un forsennato attacco sciovinista ai socialdemocratici che avevano osato denunciare i crimini compiuti dalle truppe coloniali contro gli ottentotti del territorio che oggi si chiama Namibia; con un conseguente relativo isolamento che impedì apparentamenti e “desistenze”, ma da cui la destra socialdemocratica ricavò la convinzione che bisognava rinunciare ad ogni critica al colonialismo e al militarismo.
La spiegazione del processo involutivo fornita da Rosa è particolarmente interessante e dialettica: ne riportiamo per questo una piccola parte in appendice. La straordinaria ricchezza di questa analisi comunque non fu capita subito dallo stesso Lenin.
Rosa invece metteva a frutto la sua straordinaria esperienza nel più forte e strutturato partito della Seconda Internazionale, e quella che proprio nel 1905 aveva fatto in Polonia e in Russia durante la prima rivoluzione. Analizzando gli scioperi generali “spontanei” in Russia e in altri paesi, sempre prodottisi al di fuori ed anzi in contrapposizione delle organizzazioni sindacali, Rosa aveva ricavato queste conclusioni: “È chiaro dall’esame dettagliato degli scioperi di massa in Russia come dalla situazione stessa della Germania, che una qualunque azione di massa un po’ importante, se essa non deve limitarsi soltanto ad una dimostrazione una volta tanto, ma deve diventare una vera azione di lotta”, non può essere diretta solo dai sindacati, dato che “ogni azione diretta di massa diretta od ogni periodo di aperte lotte di classe sarebbe nello stesso tempo politico ed economico”.
Anche in Germania, se si aprirà una fase di lotte paragonabili a quelle della Russia, “gli avvenimenti non si preoccuperanno minimamente di domandare se i dirigenti sindacali hanno dato o no la loro approvazione al movimento”. Se tenteranno di opporsi, “i dirigenti sindacali, allo stesso modo che i dirigenti di partito, saranno semplicemente buttati fuori da un lato dall’onda degli avvenimenti, e le lotte tanto economiche quanto politiche saranno combattute senza di loro. Infatti la divisione tra lotta politica e sindacale, e l’indipendenza di entrambe non che un prodotto artificioso, quantunque storicamente condizionato, del periodo parlamentare”. Era un’intuizione giusta, anche se solo nella Russia del 1917 arriverà a una verifica completa, per l’esistenza di una forza rivoluzionaria organizzata e riconosciuta da settori importanti delle masse, che mancherà invece nella rivoluzione del 1918-1919 in Germania.
Appendice
Le ragioni dell’involuzione dell’apparato sindacale
da Sciopero generale, partito e sindacati
[…] “La specializzazione della loro attività professionale come dirigenti sindacali insieme con la naturale ristrettezza dell’orizzonte che è connessa con le lotte economiche spezzettate in un periodo tranquillo, portano troppo facilmente presso i funzionari sindacali al burocratismo e ad una certa ristrettezza di vedute. Entrambi questi aspetti si manifestano in una serie di tendenze che potrebbero diventare addirittura fatali per l’avvenire del movimento sindacale. Fra queste c’è la tendenza a sopravvalutare l’organizzazione, che da mezzo in vista di uno scopo viene a poco a poco trasformata in un fine a se stesso, in un bene supremo a cui devono essere subordinati gli interessi della lotta. Così si spiega quel bisogno apertamente confessato di tranquillità che indietreggia spaventato davanti a ogni rischio un po’ grave, davanti a pretesi pericoli per l’esistenza dei sindacati, davanti all’incertezza [dell’esito] delle maggiori azioni di massa, e così si spiega inoltre la sopravvalutazione del metodo di lotta sindacale, delle sue prospettive e dei suoi successi.
Continuamente assorbiti dalla guerriglia sindacale, i dirigenti sindacali, il cui compito consiste nello spiegare alle masse lavoratrici l’alto valore di ogni anche più piccola conquista economica, di ogni aumento di salario o riduzione dell’orario di lavoro, finiscono con il perdere essi stessi a poco a poco il senso delle correlazioni e la capacità di abbracciare con lo sguardo la situazione complessiva. Solo così si può spiegare che parecchi dirigenti sindacali richiamino l’attenzione con tanta soddisfazione sulle conquiste degli ultimi 15 anni anziché viceversa metter l’accento sul rovescio della medaglia: sul contemporaneo enorme abbassamento del livello di vita proletario a cagione del caro-pane, dell’insieme della politica fiscale e doganale, del rincaro dei terreni che ha determinato un così esorbitante aumento dei fitti, in una parola su tutte le tendenze obiettive della politica borghese che hanno in gran parte messo in dubbio le conquiste di 15 anni di lotte sindacali. Di tutta la verità socialdemocratica che, accanto alla accentuazione del lavoro sindacale e della sua assoluta necessità, dà rilievo essenziale anche alla critica e ai limiti di questo lavoro, viene in questo modo sostenuta solo la mezza verità sindacale che mette in evidenza solo il lato positivo della lotta quotidiana. E infine dall’abitudine di passare sotto silenzio i limiti obiettivi che l’ordinamento della società borghese pone alla lotta sindacale deriva una diretta avversione a qualunque critica teorica che richiami l’attenzione su questi limiti in relazione con gli scopi finali del movimento operaio. L’adulazione incondizionata, l’ottimismo senza limiti sono elevati a dovere.”
Rosa Luxemburg osservava che si creava così una stretta alleanza tra chi non accettava la classica posizione socialdemocratica (oggi diremmo “comunista” ma fino al tradimento dell’Internazionale socialista nel 1914 anche i rivoluzionari come Lenin o Rosa Luxemburg si autodefinivano socialdemocratici) contro l’ottimismo acritico sul terreno sindacale, con quelli che rifiutavano lo stesso ottimismo che portava a illusioni sul ruolo dello strumento parlamentare. Ma il peggio era che a queste tendenze si ricollegava strettamente un mutamento nel rapporto tra capi e massa:
“Al posto della direzione collegiale attraverso commissioni locali con le loro indubbie insufficienze, subentra la direzione professionale dei funzionari sindacali. L’iniziativa e la capacità di giudizio divengono in tal modo, per così dire, una specialità professionale, mentre alla massa spetta essenzialmente la virtù meramente passiva della disciplina. Questi lati deboli del funzionarismo nascondono in sé sicuramente dei gravi pericoli anche per il partito, che possono molto facilmente derivare dalla recentissima innovazione, la creazione dei segretari locali di partito, se la massa socialdemocratica non veglierà a che i segretari nominati rimangano dei puri organi di attuazione e non vengano considerati come i titolari professionali dell’iniziativa e della direzione della vita locale di partito.
Ma nella socialdemocrazia, per la natura delle cose, per il carattere stesso della lotta politica, sono posti al burocratismo limiti assai più stretti che nella vita sindacale. Qui proprio la specializzazione tecnica delle lotte salariali, p. es. la conclusione di complicati accordi tariffari e altri simili, ha come risultato che alla massa degli organizzati viene spesso rifiutato “uno sguardo panoramico sull’intera vita professionale” e con ciò si giustifica la sua incapacità di giudizio. Un fiore di questa concezione è segnatamente l’argomentazione con la quale viene proibita ogni critica teorica alle prospettive e alle possibilità della prassi sindacale, perché essa rappresenterebbe un supposto pericolo per la fede della massa nei sindacati. Si parte qui dall’idea che la massa operaia può essere guadagnata e conservata all’organizzazione solo con una fede cieca e infantile nella fortuna della lotta sindacale. All’opposto della socialdemocrazia, che basa la sua influenza sulla comprensione da parte della massa delle contraddizioni dell’ordine esistente e di tutta la complicata natura del suo sviluppo, e sull’atteggiamento critico della massa in tutti i suoi momenti e stadi della sua propria lotta di classe, l’influenza e la forza dei sindacati vengono fondati secondo questa teoria assurda, sulla mancanza di critica e di giudizio della massa. “Al popolo deve essere conservata la fede” - questo è il principio in base al quale parecchi funzionari sindacali bollano ogni critica alle obiettive insufficienze del movimento sindacale come attentato al movimento sindacale stesso”.
Rosa Luxemburg si sbagliava solo su un punto: sarebbe stata rapida la trasposizione di questo atteggiamento dai sindacati alla socialdemocrazia e successivamente agli altri partiti operai. Il metodo di paracadutare dall’alto i dirigenti locali è stato applicato con sistematicità anche in tutti i partiti comunisti, a partire dal periodo staliniano, e continua ancor oggi, e ha contagiato anche molte organizzazioni della “nuova sinistra” nate dopo il 1968. Ma l’analisi complessiva resta attualissima.[i]
[1] Da “La Correspondance Internationale”, V, n. 50, 11 maggio 1925.
[2] Lev Trotsky, Giù le mani da Rosa Luxemburg, in Lev Trotsky, Difesa e critica di una rivoluzionaria, “Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso”, n. 19, luglio 1996, p. 34.
[3] Lev Trotsky, Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale, Ivi, p. 47. Lo scritto è del giugno 1935.
[4] Ivi, pp. 47-48.
[5] Ibidem
[6] Ivi, p. 35.
[7] Ivi, p. 49.
[8] È interessante a questo proposito confrontare gli scritti raccolti da Basso nell'antologia di Scritti politici pubblicata dagli Editori Riuniti con quelli scelti da Luciano Amodio nel 1963 per le edizioni Avanti! (poi più volte ristampati da Einaudi), che permettono di valutare meglio la riflessione di Rosa nel corso delle ultime fasi della sua vita, in cui comprese drammaticamente che la classe operaia tedesca aveva tempi strettissimi che non le avrebbero consentito di ricavare tutte le lezioni necessarie per evitare la sconfitta della rivoluzione. Negli ultimi articoli Rosa sembra aver accantonato persino le sue critiche ai bolscevichi sullo scioglimento dell'Assemblea costituente, nel momento in cui anche per la Germania contrappone la generalizzazione dei Consigli (la versione tedesca dei soviet) alla partecipazione alle elezioni.
[9] Paul Frölich Rosa Luxemburg, prefazione di Rossana Rossanda, BUR. Milano, 1987, p. 86
[i] Sciopero generale, partito e sindacati è pubblicato in varie raccolte. La citazione tratta è da Rosa Luxemburg, Scritti politici, a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 363-365
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3037:rosa-luxemburg-cento-anni-dopo&catid=20:ipocrisie-e-dimenticanze&Itemid=31
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uneratatouille · 6 years
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Ho finalmente recuperato un classico, Jurassic Park. Che dire? Un film modesto, una sorta di b-movie ad alto budget. Dinosauri + effetti speciali incredibili (che ancora oggi reggono benissimo) = instant cult dell'infanzia di molti. E, in fondo, é anche giusto così: immagino come dev'essere stato vedere, nel 1993, la scena di presentazione del parco. Per il resto: personaggi monolitici e poco caratterizzati (l'unico che buca é Hammond), spiegazioni scientifiche interessanti ma poco approfondite per non ammorbare lo spettatore, idem per le affascinanti considerazioni morali/etiche. La regia di Spielberg c'é ma non spicca. Tensione e orrore per famiglia, si nota dai bambini protagonisti e dai colori caldi spesso usati per stemperare la tensione. Da citare assolutamente il magnifico tema del film di John Williams, fondamentale per lasciarsi trasportare nella dimensione più "favolistica" del film. In qualche modo uno degli iniziatori della tendenza "cinegiocattolone" che porterà poi a film stile "Transformers" (guarda caso prodotto da Spielberg). #jurassicpark #stevenspielberg #dinosaurs #cult #classico #pop #cinema #movie film #effettispeciali #cgi #animatronics #ricuperi #recensioni #review #visione #johnwilliams #regia #directors
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giancarlonicoli · 4 years
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18 FEB 2020 16:25
MEGLIO L’ORSO AMMAESTRATO O IL DOMATORE TROMBONE? – PAOLO GUZZANTI E IL CASO ETRO-GILETTI: “SOSPETTIAMO CHE IL BRIGATISTA SIA IN REALTÀ UN POVERACCIO A CONTRATTO PER FARE LA SUA PARTE, A CONDIZIONE (FITTIZIA) DI MANTENERSI ENTRO CERTI LIMITI CHE PERÒ, POI, SE LI SCAVALCA, MEGLIO ANCORA COSÌ FACCIAMO ASCOLTO” – I POST DI ETRO SU FACEBOOK: “E DOPO AVER FATTO LA PAZZA ISTERICA CON, MASSIMA GILETTA, OGGI MI HA TELEFONATO E…” – VIDEO
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Raimondo Etro
lunedì
E dopo avere fatto la pazza isterica ieri sera con me, Massima Giletta, oggi mi ha telefonato: "Ma eri serio quando hai detto che piuttosto che con la Santanché lo faresti con me....mmmmm?" E io sia per non deluderlo che per non mancare di parola mi sono visto obbligato ad accettare il suo invito a cena, precisando prima: "Guarda, Massima, che non sono il tipo che ti porti a letto la prima volta che lo porti fuori a cena"
Raimondo Etro
lunedì
Dopo essere stato definito: sessista, comunista, omofobo ma anche culattone, impotente, maschilista, brigatista, islamofobo, fascista, razzista, terrorista, drogato, alcolizzato, psicopatico...ecc, mi sento smarrito nel cammin dei 3/4 di nostra vita, ho come una perdita di identità....Ma forse è soltanto un fatto nervoso o un calo di zuccheri.... Giletti, non c'è tre senza quattro; se mi inviti di nuovo vorrei parlarne con Daniela Santanchè per confrontarmi A proposito, attendo il bonifico per le spettanze per la sceneggiata di ieri sera
 1 – LE MANI SPORCHE DI SANGUE DEL BRIGATISTA DA TALK SHOW
1 Paolo Guzzanti per “il Giornale”
Non l' avevo visto ma poi, raggiunto dai commenti sono andato sul sito Dagospia e ho guardato questo episodio televisivo torbido e purtroppo così autenticamente italiano, andato in onda domenica sera nella trasmissione di Giletti. C' era un tizio, ex brigatista rosso, di nome Raimondo Etro, arruolato nello spettacolo perché gode delle libertà civili che la Repubblica concede anche a chi ha sacrificato vite innocenti e se ne vanta.
La sua migliore battuta, preparata con effetto draculesco è stata: «Io ho le mani bagnate di sangue, ma meglio bagnate di sangue che di acqua come Ponzio Pilato». La scena era accuratamente recitata con messa in mostra delle mani a vantaggio di telecamera. Che colpo mediatico. Che spettacolo. Tutta la città ne parla. Giletti, che forse è troppo giovane per ricordare e troppo narcisista per misurare quel che ogni tanto gli esce dalla bocca, a un certo punto ha ammannito la seguente bufala: «Un tempo, almeno, i brigatisti guardavano in faccia coloro cui sparavano».
No: è che non sa la storia. Qualcuno lo avverta: le parole di Etro sono state stupide, ignobili, cialtrone e preparate ad arte, ma il sagace conduttore dovrebbe imparare che i brigatisti non hanno mai guardato in faccia le loro vittime. Non sono mai stati dei combattenti, dei guerriglieri in azione, ma dei carnefici che uccidevano soltanto quando erano sicuri che la loro vittima fosse indifesa e voltasse le spalle.
Per questo, compivano lunghe e accurate «inchieste»: per poter assassinare senza rischiare altro che il loro onore, mai più recuperato. Giletti ha fatto questa notazione del tutto sbagliata soltanto per un' abbuffata di narcisismo, raccontando al suo pubblico di aver udito qualcuno che, nientemeno, gli avrebbe detto: «Se non stai attento, potrebbero spararti in faccia». E giù applausi. La Santanché protestava vanamente annunciando che non avrebbe più partecipato a una trasmissione di Giletti in cui ci fosse il brigatista Etro.
Cosa che ci ha fatto sospettare che il brigatista tutto sangue e sapone, sia in realtà un poveraccio a contratto, benché appesantito dalla panza e dagli anni, per fare la sua parte, a condizione (fittizia) di mantenersi entro certi limiti che però, poi, se li scavalca, meglio ancora così facciamo ascolto e domani tutti ne parlano. E ha ragione. Infatti, siamo qui sia pure con rossore a parlarne.
Ma non sappiamo scegliere se spendere parole per deplorare il vecchio con le mani all' acqua pazza, o dichiarare la nostra preoccupazione per le esibizioni incredibili del conduttore che si riscrive la storia, che peraltro non sa. Questo Etro ci ha fatto l' effetto di quegli orsi spelacchiati e incatenati che i domatori si portavano in un carro insieme alla donna cannone e il cane che parla per fare la loro corrida in piazza.
L’orso doveva fare la faccia feroce e provocare riprovazione e paura, mentre il domatore doveva dar spettacolo della sua capacità di dominare una situazione pericolosa. Giletti, nel suo piccolo, l' ha fatto: ha raggiunto la sua acme quando si è esibito in un minacciosissimo (rivolto all' orso brigatista): «Lei se adesso se ne va via di qua, vorrà dire che il taxi lo pago io!». Onestamente, alla fine non sai più se stare con l' orso ammaestrato o con il domatore trombone, entrambi specchio triste di un Paese perduto. Probabilmente, si replica.
2 – IL BRIGATISTA ETRO SPUTA SUI MORTI IN DIRETTA TV
Estratto dell'articolo di Sarina Biraghi per “la Verità”
(…) L' ex Br ha proseguito ieri la sua polemica sfrontata su Facebook: «Giletti, non c' è tre senza quattro; se mi inviti di nuovo vorrei parlarne con Daniela Santanchè per confrontarmi. A proposito, attendo il bonifico per le spettanze per la sceneggiata di ieri sera». Poi in un altro post ha aggiunto: «Certo che so' strani sti giornalisti. Prima ti invitano per fare audience, poi ti cacciano via per farne ancora di più in cambio del portafogli pieno e degli applausi dei deficienti a pagamento». Intervistato alla radio dalla Zanzara, ha attaccato ancora il conduttore: «Prima di andare in onda mi ha detto di andarci giù pesante. Non mi scuso per quello che ho detto e piuttosto che essere Santanchè preferisco essere brigatista». 
(…) L' indignazione durante la trasmissione, infatti, era già alta proprio perché Etro, 63 anni, organizzatore del sequestro Moro, incassa dallo scorso aprile il reddito di cittadinanza massimo: 780 euro. E come lui altri due ex terroristi ricevono benefici dallo Stato: 623 euro li prende Federica Saraceni, ai domiciliari per la condanna a 21 anni e sei mesi per associazione con finalità di terrorismo e per l' omicidio del giuslavorista Massimo D' Antona; 500 euro, dallo scorso agosto, vanno a Massimiliano Gaeta, ex operaio metalmeccanico e informatico, arrestato nel 2007, su richiesta della Procura di Milano, nell' operazione Tramonto, come esponente del cosiddetto Partito comunista politico militare, considerato, dalla pm Ilda Boccassini, un' organizzazione terroristica, l' ala movimentista delle nuove Br.
Il romano Etro, ex terrorista ma anche ex agente pubblicitario, fotografo, commerciante di riviste e film hardcore, la scorsa primavera aveva detto: «Se ci saranno proteste e il reddito di cittadinanza mi verrà ritirato, pazienza, non mi opporrò. Ho sempre considerato le pene che abbiamo avuto, io e tutti gli altri Br, fin troppo miti. Io il 6 marzo scorso ho fatto domanda alle Poste perché sto affogando, sono un vero povero Il reddito per me è una boccata d' ossigeno». (…)
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inmycusine · 7 years
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Sayonara
Caro lettore,
ti chiedo sin dalle prime righe di scusarmi. Purtroppo ciò che ti sto per raccontare non so se sia frutto della mia immaginazione. La verità è che sono una ragazza che ama vivere fuori dagli schemi, e camminare sulle nuvole. Arrivo fino a un punto di gravità in cui non so nemmeno distinguere ciò che sia reale.
Ora sono nel treno del ritorno e anche oggi il destino non mi è stato amico. Devi sapere che studio a Venezia e le mie tasche non possono permettersi un appartamento nella città lagunare. Sono fiera di dirti nonostante questo piccolo inconveniente che sono pendolare. Perché se non facessi la vita da pendolare quante cose mi sarei persa e mi perderei. Come questo piccolo episodio che sta per iniziare ma dobbiamo tornare indietro di 4 anni.
Era un pomeriggio dei primi giorni d'ottobre. Era anche uno dei primi giorni di università. Erano circa le 5 e il sole aveva colorato di porpora il cielo. Non voleva accettare che l'autunno fosse alle porte. Salì sul treno con calma e mi sedetti in un posto da 4 persone, completamente libero accanto al finestrino. Telefonai una mia cara amica per raccontarle di quella mezza giornata universitaria. Come al solito a Mestre salì tanta gente, tanto che alcune persone furono costrette a rimanere in piedi. Lui però no. Fu scaltro a prendere posto. Si rivolse a me con un sorriso << E' libero?>> mi chiese <<S,s Si!>> risposi insicura. E si sedette di fronte a me. Ricordo ancora a distanza di anni che indossava delle scarpe color beige, dei jeans e un maglione azzurro che mi richiamò immediatamente l'attenzione ai suoi occhi celesti come quel pomeriggio d'ottobre. Le labbra erano pronunciate e i capelli scuri, folti, avrei voluto toccarli. Le spalle erano larghe e le mani grandi ma le unghie erano ricche di macchiette bianche.
Notai tutto questo guardandolo in una manciata di secondi e nel frattempo la mia amica continuava a parlare al telefono e io oramai ero già in viaggio con la mente, a farmi film mentali e non facevo altro che annuire << Mmm , mmm si Vale, si hai ragione. >>. Guardavo fuori dal finestrino ma la tentazione era troppo forte e così di tanto in tanto giravo la testa verso di lui. Mi sentivo una Stalker.
<Si avvisa ai gentili viaggiatori che causa per un guasto tecnico il treno viaggia con 28 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio>>
<Ho perso la coincidenza per Roma! Cosa faccio?! Ahhhhhh! Perché capitano tutte a me?!>> gridò ad un certo punto la ragazza sedutami affianco. Si mise le mani fra i capelli e a piangere. Abbandonai al telefono la mia amica con la scusa che il treno aveva accumulato ritardo e che mi serviva la batteria in caso d' emergenza. Praticamente la ragazza aveva già acquistato il biglietto dalla mia città fino a Roma e dunque era obbligata a prendere quel treno. Ma col tempo da pendolare capì che è meglio non fidarsi delle promesse delle ferrovie statali.
<< Non saprei nemmeno dove dormire! Devo arrivare assolutamente a Roma! Anche perché ho un impegno importante. >> continuava a implorare. Era davvero bella, trucco e parrucco perfetto. Niente nella sua immagine era fuori posto. Io invece ero stremata, ero davvero stanca. Dovevo ancora abituarmi a questa vita.
<Vedrai che si risolverà! Adesso proviamo a cercare il capotreno.> Propose lui e io colsi la palla al balzo << Se volete provo a guardare io su Intenet. Magari c'è un treno dopo. >> << Buona idea! Dai prova >> mi incoraggiò , poi proseguì << Comunque sia, cosa ci fai a Venezia? Scusami ho ascoltato la conversazione al telefono... >>. Io continuai a tenere gli occhi incollati sullo schermo dello smartphone. Ero in cerca di una soluzione per quella povera ragazza. In realtà stavo proteggendo me stessa dalla timidezza. '' Che stupida che sei ! Sempre a pensare agli altri ma mai a te stessa'' pensai. << Lingue Orientali. Che scelta azzardata eh! >> dissi frettolosamente. '' Mi sta parlando! Sta chiedendo di me! '' lui senza esitare, come una mitragliatrice continuava a spararmi domande e io allo stesso momento cercavo informazione sui treni, controllavo gli orari e rispondevo distrattamente. Anzi a caso.
<< Guarda c'è il treno delle 20.02 se corri farai in tempo! Poi vedrai che se spieghi la tua situazione al capotreno ti capirà. Insomma in fin dei conti è colpa loro il ritardo non tuo. >> Rassicurai la ragazza con queste parole e poi con un coraggio inaspettato posi lo sguardo dritto su di lui << Beh ti stavo dicendo ... >> e li partii come una scheggia a parlare di me. Il tempo però mi stava remando contro. Il treno aveva recuperato il ritardo e avevo solo ancora 2 fermate per passare del tempo con lui. Il rumore delle ruote che strisciavano sui binari era diventato fastidioso. Come quando in radio passano una canzone che ti piace e vorresti che la mandassero in onda per ore invece sei costretto a cambiare stazione. Perché anche una canzone ha un inizio e una fine come un viaggio.
<<Interessante>> commentò. Io spazientita gli chiesi << E tu ? A Mestre? Che ci fai? >>. <<Lavoro. Però dopodomani parto. Starò 10 giorni a Parigi. Vado a trovare degli amici.>> ''Chissà che lavoro fa'! Beato che va a Parigi. Come vorrei essere un libro da potergli fare compagnia durante il tragitto. Non regalarmi sogni, portami con te.''
La voce meccanica rompiscatole annunciò che eravamo in arrivo alla mia stazione.
<<Beh, Allora buon viaggio!>> gli dissi mentre stavo mettendo lo zaino in spalla. Non sapevo che altro dire. Io, che sono una persona molto loquace in quel momento mi trovai spiazzata, senza parole. Improvvisamente lui si alzò e mi diede la mano. Era calda e la pelle era liscia. Profumava di nuovo, di pulito, come la biancheria appena stesa. << Abbiamo parlato per tutto il viaggio dammi almeno il tempo di presentarmi! Piacere Claudio! >> << Jessica, Piacere! >> dissi senza esitare. << In bocca al lupo con il giapponese ! Davvero . >> mi disse. Oramai mancava poco. Mi sembra troppo di chiedergli da dove venisse, se prendesse solitamente questo treno ma non riuscii a trattenermi e la mia voce fu più forte. Sfondò la porta dell' insicurezza << Tu di dove sei? >> << Io sono della provincia di Milano. Scendo fra 4 fermate. Comunque ci rivedremo. Insomma per il lavoro dovrò riprendere sicuramente questo treno. Come si dice in giapponese arrivederci ? >> << Sayonara.>> gli dissi. Sono consapevole del fatto del vero significato di Sayonara. Non è un arrivederci. Infatti In Giappone i giovani ma anche i conoscenti si salutano con '' Mata'' ''jyane!'' che in italiano possiamo tradurre come un '' A presto!'' Sayonara invece è più un '' Addio''. Lo usavano le mogli quando salutavano i mariti in partenza per la guerra.
Come vorrei che quel ''Sayonara'' fosse un arrivederci. Mi crederai una stupida, ma per tante volte quando prendevo quel treno percorrevo tutti i vagoni in cerca di Claudio. Finché un giorno mi rassegnai e ripresi a sedermi a caso e lasciare tutto in mano al fato. '' Lui si che era quello giusto, quello che aspettavo. Ho perso davvero un treno.'' mi rimprovero quando ci penso. Ricordo tutto di quell'incontro anche la sua voce. E pur viaggiando nella stessa direzione non ci siamo più rincontrati.
Ho cercato di tenere questo ricordo segreto anche alle persone a me più intime.Lo esco dal cassetto della mia mente solo quando alla stazione sto aspettando un emozione.
Anche questo viaggio sta per terminare.
Chissà se è vero che ho incontrato Claudio o se mi sono fatta trasportare dalla musica che mi accompagna e non riesce a farmi smettere di desiderare nuovamente questa occasione. Di correggermi, e di non dirgli Sayonara.
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italianaradio · 5 years
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Bojana Nikitovic per La Conseguenza: “Keira Knightley è il sogno di ogni costumista”
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/bojana-nikitovic-per-la-conseguenza-keira-knightley-e-il-sogno-di-ogni-costumista/
Bojana Nikitovic per La Conseguenza: “Keira Knightley è il sogno di ogni costumista”
Bojana Nikitovic per La Conseguenza: “Keira Knightley è il sogno di ogni costumista”
Bojana Nikitovic per La Conseguenza: “Keira Knightley è il sogno di ogni costumista”
Ha lavorato con Milena Canonero, contribuendo al trionfo agli Oscar dei costumi di Marie Antoinette di Sofia Coppola, ma non ne fa un affare di Stato. Per Bojana Nikitovic già lavorare accanto alla costumista italiana sembra essere un premio sufficiente, visto che parla del suo incontro con la Canonero come “la cosa professionalmente più importante che mi sia mai capitata.”
“Ci siamo incontrate a Belgrado sul set di un film italiano, poi lei mi ha portata con sé. – ha raccontato la Nikitovic, ospite a Milano per parlare del suo lavoro ai costumi de La Conseguenza, di James Kent, in uscita il 21 marzo – Quando mi chiedono del mio lavoro, io dico sempre che tutto quello che so l’ho imparato da lei, non solo in merito al costume per il cinema, ma anche per quello che riguarda l’organizzazione delle comparse, il lavoro con gli attori. Lei è un genio. Ci sentiamo sempre e spero di fare altri film insieme. Con lei farei sempre l’assistente, non avrei nessun problema.”
Nonostante il grande debito professionale che sente verso Milena Canonero, Bojana Nikitovic cammina da tempo sulle sue gambe, svolgendo con successo il suo lavoro di costumista, un impegno che comincia con la ricerca e le preparazioni preliminari.
“La prima parte è di ricerca, naturalmente. E per me è stato un viaggio bellissimo, ci sono tantissimi documenti e fotografie d’epoca. Poi i tedeschi sono organizzati e nonostante tutti i bombardamenti, sono state conservate tantissime foto, e ci sono anche dei libri. E mi piace molto che nel film si veda bene quanto Amburgo fosse distrutta, non esisteva più.”
Nel film sono rappresentate diverse classi sociali e attraverso i costumi, principalmente, è stata evidenziata questa separazione di estrazione. E anche tra le mogli degli ufficiali, una borghesia ricca dunque, c’è una leggera differenza, visto che Rachel, la protagonista interpretata da Keira Knightley, ha molto più stile delle altre donne. “Il casting del film è stato molto ben fatto perché tutte le attrici scelte per interpretare queste donne sono molto diverse, quindi è stato anche interessante lavorare su questi aspetti e differenziarle nei costumi.”
Tra queste attrici ovviamente spicca la Knightley, la protagonista femminile del film: “Keira è il sogno di ogni costumista. Avevo già lavorato con James Kent e quando mi ha chiamata stavo lavorando a un altro film. Appena mi ha detto che c’era lei, ho detto subito di sì, anche se ero occupata su un altro set. C’è qualcosa in lei che è incredibile, come porta gli abiti lei, il suo viso, le sue spalle. Non è un caso che sia lei una delle testimonial di Chanel. Ha un’eleganza incredibile!”
“Il mio ricordo principale legato al set è il freddo, e la povera Keira indossava dei costumi leggerissimi, dei tessuti per cui non potevi indossare nulla sotto, e a fine riprese ha voluto conoscere il nome di quei tessuti così che non li avrebbe mai più indossati!”.
Nel film il lavoro dei costumi non serve solo a vestire e coprire gli attori, ma, nel caso del personaggio della Knightley, anche a raccontare il suo percorso, e la Nikitovic ha usato un indumento preciso per spiegarne l’evoluzione: il cappotto. Un elegantissimo cappotto lungo, accompagnato, a inizio e a fine film, da un abbigliamento (e un atteggiamento) molto differente, a indicare la progressiva “apertura” della donna, sempre secondo la moda degli anni ’40.
Ma il lavoro concreto sugli abiti è stato di ricostruzione o recupero? “È stato complesso e abbiamo studiato e ricostruito, ma anche recuperato, sistemato e riadattato, cambiando fibbie e bottoni, per esempio. Il lavoro è stato fatto principalmente con case italiane, ma anche con alcune case inglese, perché abbiamo preso spunto dalla moda inglese, ovviamente.”
Il risultato è stato un lavoro di assemblaggio che, ispirandosi ovviamente alle ricerche e allo stile dell’epoca, ha dato vita a un look completamente personale, con una serie di capi d’abbigliamento che si indosserebbero anche oggi, cosa che sembra sia stata molto gradita anche all’attrice. Una serie di golfini e twin-set appositamente realizzati per Keira Knightley sono dei pezzi unici che si confonderebbero molto bene nella moda contemporanea, portando con sé un tocco di eleganza e stile.
Per il personaggio di Jason Clarke, l’ufficiale Lewis Morgan, è stato un po’ più difficile mostrare l’evoluzione del personaggio attraverso i costumi, visto che lo vediamo sempre in divisa, tuttavia, proprio attraverso i costumi riusciamo a scoprire la fragilità, la crepa dentro a quest’uomo ligio e dedito al dovere: quando Lewis ricorda il figlio morto, si aggrappa a un golfino del bambino, con un buco nel centro, il segno della ferita che lo ha ucciso. “Quando Jason ha girato quella scena, abbiamo pianto tutti” ha raccontato la Nikitovic.
Si è potuto giocare e raccontare molto di più con i costumi del personaggio di Alexander Skarsgård, Lubert. Un uomo bello ed elegante, ma che veniva da un momento difficile, già dalla sua prima apparizione e dall’incontro dei due, possiamo intuire la storia di quest’uomo. “Doveva essere un uomo elegante ma con un abito di almeno dieci anni addosso. Sono almeno 4 o 5 anni che lui non compra nulla di nuovo, quindi ci voleva un abito giusto. Un volta, probabilmente, si vestiva benissimo, essendo molto ricco e di bell’aspetto, ma in questa scena si doveva vedere che era in difficoltà, che era dimagrito, anche, quindi abbiamo realizzato una camicia un po’ più larga.”
Per quanto riguarda, di nuovo, i costumi di Rachel (Keira Knightley), nella storia è lei che cuce da sola i suoi vestiti, quindi è lei stessa che adatta i suoi abiti ai suoi cambiamenti emotivi. Emblematico è l’abito di velluto blu che indossa a metà film, un abito iconico con cui, simbolicamente, rinuncia al marito e abbraccia la possibilità di una nuova esperienza.
Oltre a cappotto, i golfini, e il velluto blu, un altro momento importantissimo per il personaggio di Keira Knightley e soprattutto per il lavoro di Bojana Nikitovic è stato l’abito oro, una realizzazione preziosa e fondamentale per ciò che accade nel film.
“Abbiamo realizzato un abito verde acqua, ed era importantissimo che il vestito risaltasse sulla neve. Io volevo usare il fucsia, perché sta benissimo a Keira, ma non potevamo usare quel colore, e nemmeno il rosso, perché nella scena deve risaltare il sangue che macchia l’abito. Non potevamo usare nemmeno il verde, perché il costume di Espiazione è famosissimo ed è verde. Così abbiamo scelto questo verde acqua, che è piaciuto a tutti, era un abito molto bello, ma non ero convinta e così, nonostante le prove fossero andate bene, ho deciso di realizzare un’altra possibilità. Ho trovato questo tessuto a Praga, ma non è che di questi abiti se ne fa uno soltanto, allora mi servivano almeno 25 metri di tessuto. Di questo abito ne sono stati realizzati almeno sei. E la prima scena che abbiamo girato era proprio questa sulla neve, e il giorno prima dell’inizio delle riprese, Keira è venuta sul set per le prove e quando l’hanno vista con l’abito dorato, tutti hanno scelto quello. Questo abito comunicava proprio perfettamente la sua esigenza di fuggire. Il tessuto era molto difficile da indossare, satin di seta, non poteva mettere niente sotto e nelle scene sulla neve aveva degli scarponi da sci, mentre correva. E poi le pieghe che si creavano ad ogni pausa… insomma, è stato un vestito dalla gestione difficilissima.”
Ma dove vengono conservati gli abiti di scena, dopo il film? “Per la maggior parte finiscono dentro a scatoloni, a portata di mano per delle eventuali riprese aggiuntive, alcuni abiti vengono usati per delle esposizioni, altri invece diventano proprietà della casa di sartoria che li ha prodotti.”
Come ha raccontato Bojana Nikitovic, il percorso di un film si può dunque scoprire e ricostruire anche attraverso il lavoro di artigianato e ricerca che porta alla realizzazione dei costumi. Storie, segreti e percorsi emotivi parlano non solo attraverso sceneggiature e interpretazioni, ma anche attraverso il modo in cui gli attori, i personaggi si presentano a noi.
Di seguito, alcuni bozzetti degli abiti realizzato per La conseguenza:
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Bojana Nikitovic per La Conseguenza: “Keira Knightley è il sogno di ogni costumista”
Ha lavorato con Milena Canonero, contribuendo al trionfo agli Oscar dei costumi di Marie Antoinette di Sofia Coppola, ma non ne fa un affare di Stato. Per Bojana Nikitovic già lavorare accanto alla costumista italiana sembra essere un premio sufficiente, visto che parla del suo incontro con la Canonero come “la cosa professionalmente più importante […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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andreafederici · 7 years
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Senza rileggermelo o verificare errori grammaticali copio anche qui, così sarà più facile ritrovarlo tutto assieme, il mio diario di viaggio in India, pubblicato quotidianamente su Facebook durante le mie tappe ad agosto del 2014.
8/8 – New Delhi Allora diciamo che come inizio non è andata granché fin ora. Delay di un ora del volo da Roma per Nuova Delhi. Atterrato altri casini perché ovviamente ho corso per andare all’aereoporto dei voli nazionali per prendere l’aereo Varanasi ma nulla da fare. Perso. E quindi ho dovuto prenderne un altro dopo 4 ore. Ricomprando il biglietto con carta perché ‘ovviamente’ 😛 nell’apt dei nazionali non hanno uffici cambio e io non avevo preso le rupie in quello internazionale visto che recuperato lo zaino correvo come un pazzo per provare ad arrivare in tempo. Costretto anche a prelevare con carta perché senza una rupia non puoi mangiare nulla. Finiti qui i problemi? No! Wi-fi zero… Ho provato più volte a entrare nella rete gratis del l’aereoporto ma nulla… E dovevo avvisare urgentemente l’albergo di Varanasi che il pickup in aeroporto era slittato dalle 13:20 (atterraggio del volo perso) alle 17:40. Fortunatamente all’ufficio info ho trovato uno gentile che dopo aver provato anche lui ad attivare il wifi sul mio iPhone si è alzato e mi ha fatto usare il suo laptop dietro al desk 🙂 Sbrigate le urgenze alle 13:40 di corsa a pranzo affamato e per modiche 260 rupie mi sono mangiato il primo buon pranzo indiano!!! 😀 Varanasi sto arrivando … E visti i casini della prima mezza giornata mi raccomando com i vari dei indiani che li non piova e mi possa rilassare facendo stasera un bel po’ di foto!!!8/8 – Varanasi ci vuole un po di pelo stomaco per girare a Varanasi. Soprattutto se è la prima tappa in India. Stamane giro con guida (www.walksofvaranasi.com) che consiglio a tutti. Ti fa calare in questa realtà che di reale come da noi non ha nulla. Quattro ore intense fra tempi da girare a piedi nudi, mercati dove fare colazione e gath. Rimarrà per sempre nella mia mente questa città. Ora relax in camera poi passeggiata pranzetto fuori e nel pomeriggio treno notturno (13 ore ) per Agra e il Taj Mahal
9/8 – in treno da Varanasi ad Agra Girare l’india in treno e’ fantastico per conoscere bene il Paese e la sua gente. Soprattutto se non si hanno tanti giorni a disposizione, come nel mio caso, e’ assolutamente da valutare di fare le lunghe tratte di notte fra una città e l’altra pernottando in treno. Qui in India il sistema ferroviario e’ davvero capillare anche se lo stato di alcune stazioni e di alcuni treni a volte lascia un po’a desiderare… Alcune sembra siano ferme ai lasciti della dominazione inglese Va detto però che prendere un treno in India non è da tutti. Perlomeno non e’ di poco impatto soprattutto entrare in una medio/grande stazione come ho fatto io oggi a Varanasi dove ti ‘assaltano’ anche i portantini per chiederti se gli lasci portare il bagaglio per poche rupie. Dentro la stazione c’erano migliaia di persone. ( Ce n’erano di più rispetto all’Olimpico la domenica quando gioca la Lazie… Di sicuro perlomeno un paio di migliaia di viaggiatori c’erano ) Erano in fila alla biglietteria, bivaccavano lungo le rampe di scale che portano ai binari, aspettavano li i treni o i poveretti camminavano lungo i binari a cercare scarti e rifiuti con cui campare. Mentre io morivo di sudore (sembravo uscito da una doccia vestito) guardavo e aspettavo il treno e guardavo di nuovo .. Spesso impressionato e sbigottito. E chi mi conosce sa che io non mi impressiono facilmente. Poi e’ arrivato il mio Marudar Express per Agra ed è cominciata l’odissea!!! L’assalto degli indiani non a Fort Apache ma alla carrozza di 2′ classe, quella senza prenotazioni. ( C’era più calca all’ingresso della carrozza che all’ingresso della Sud quando gioca la magica! Milioni di indiani a spingere e correre… ) Io fortunatamente ho scelto l’AC2 perché anche economicamente e’ davvero conveniente il treno. In teoria lo si può anche peraltro prenotare sul sito delle Ferrovie indiane, ma ahimè da qualche tempo per noi stranieri è complicato perché e’ necessario essere in possesso di un numero di cellulare indiano. A me i miei treni li hanno prenotati gli alberghi dove alloggio da tempo. Visto l’affollamento permanente è obbligatorio prenotare i biglietti anche con un certo anticipo. Sono pochi infatti i treni che si possono prendere al volo, a meno che non siate disposti alle carrozze di II classe, che anche per i backpackers come me sconsiglio per le tratte lunghe… Forse lo avete visto in un film, ma e’ vero che c’è gente ammucchiata anche sul tetto Se invece volete decidere i vostri spostamenti di volta in volta il consiglio, se non l’obbligo, e’ prenotarvi la tratta successiva appena raggiunta la destinazione, prima ancora di andare all’albergo.
Ma AC2 avevate capito cos’era? Ve lo chiedo perché ci sono 8 differenti classi, non tutte sempre su ogni corsa e neanche molto facili da capire: o A C 1: aria condizionata in scompartimenti da 2 o 4 cuccette; lenzuola, servizio pasti o A C 2: aria condizionata in carrozza/camerata con 2 piani di cuccette, con tendine privacy, pasti e e lenzuola (quella che ho preso) o A C 3: aria condizionata in carrozza/camerata con 3 piani di cuccette, senza tendine privacy o 1a Classe: ventilatori in scompartimenti da 2 o 4 cuccette. Finestrini spesso senza vetri ma con sbarre o Sleeper: carrozza /camerata con 3 piani di cuccette, 2 nei corridoi; niente lenzuola né servizio pasti o 2a Classe: senza prenotazione. La marea umana che vi dicevo! Da pendere solo se si è pronti a farlo e al massimo per brevi tratte. o AC chair Exec.: tipo intercity 1a classe; solo poltrone. o AC chair 2: tipo intercity 2a classe; solo poltrone.
Io avevo scelto di prendere la Air Conditioned 2 perché il viaggio da Varanasi ad Agra e’ davvero lungo … 13 ore… Meglio quindi la bella cuccetta numero 23 con la sua bella tendina per la privacy, cuscini e lenzuola fresche e all’ora consona, per 100 rupie, una cena semplice ma buona a base riso e verdure…molto piccante come sempre. Sul treno ti capita poi anche di conoscere e chiacchierare con qualche altro passeggero. Io avevo vicino 3 giapponesi simpaticissimi e una coppia tedesca che a confronto era più simpatico Antonio Conte.
… Ed ora, dopo una notte di sonno, abbastanza costante anche se su un materasso pari direi quasi a una lastra di marmo, e con un ora e venti di ritardo eccomi ad Agra. Mi aspettano il Fort e soprattutto il Taj Mahal
10/8: Agra Eccomi ad Agra, ancora nell’Uttar Pradesh ma a due passi dal Rajasthan e già si percepiscono le diversità rispetto a Varanasi da dove arrivo. Non so se Varanasi e’ meglio lasciarsela all’ultimo in un viaggio in India o come ho fatto io farsela subito e poi andare in discesa… Tenere conto però farla per prima non è proprio adatta a tutti. Arrivato ad Agra con due ore di ritardo già sul tuk tuk mentre andavo verso l’albergo percepivo molti cambiamenti rispetto alla tappa precedente. Ma viste le distanze e’ anche normale che sia cosi. Un po’ come se ci aspettassimo che Roma e Berlino e la loro popolazione siano uguali. Mucche si ma ogni tanto, e oltre alle solite apette a tre ruote qui anche cammelli e calessi per farsi portare in giro. Anche le persone sono più solarli. C’è sempre qualcuno che ti assale e ci prova a venderti qualcosa o darti un passaggio, ma sono tutti meno invadenti e più sorridenti. Anche le donne sono più belle… Non come nell’Uttar Pradesh dove Morandi direbbe che 1 su 1000 ce la fa a esser caruccia… Sbrigate le pratiche varie sono andato subito in un tour operator locale per prenotare lo spostamento a Bundi domani. L’auto che avevo ipotizzato non era fattibile… Avevo visto dall’Italia diversi siti web per pianificare le tappe in base a distanze e collegamenti ma dicevano qualcosa di poco reale. Davvero stancante sarebbe fare 8 ore in macchina su strade trafficate e non sempre autostrade. Quindi domani taxi per Mathura alle 13:00, poi da li treno per Kuti con partenza alle 15:00 e, arrivati li, 45′ di taxi per Bundi dove dovrei esser per le 20:00. Sbrigato il tutto il primo giro nell’Agra Fort. Castello impressionante ma già alle 10:30 fa davvero tanto caldo per goderselo e tanto più fare belle foto. Rientrato in albergo, doccia e poi pranzo allo Yama Caffè con wifi 🙂 e ottimo sweet lassi ad accompagnare l’arrosto di capra. Poi pennichella per recuperare il sonno perso nel treno e non morire in giro sotto al sole. Alle 16:00 appuntamento con Rem il mio tuk tuk che mi porta al tempio xxx e poi nel giardino pubblico al di la del fiume dove si ammira il Taj Mahal da nord. Rientrato in albergo giretto nella zona dei mercati e poi relax nel ristorante sulla terrazza dell’albergo bevendo un lassi e una birretta 🙂 Domani alzataccia alle 5:00 per esser al Taj Mahal all’alba … Incrociando le dita che il tempo regga 😛
11/8: l’alba ad Agra e il viaggio per Bundi Stamane sveglia alle 5:00 per essere al Taj Mahal all’apertura dei cancelli alle 5:45. Come sempre quando c’è qualcosa di importante da fare, o che voglio fare, la sveglia non serve… Occhi aperti alle 4:50. Doccia al volo per svegliarmi bene ed ero pronto. Al cancello della Guest house trovo il lucchetto chiuso e mi tocca svegliare il portiere per aprirmelo. 5′ a piedi, faccio il biglietto e sono il primo in fila Ma l’alba e’ un po’ sfigata dal punto di vista meteo dato che il cielo e’ coperto e di sole che sorge da fotografare non se ne parla proprio… Ma la maggiore imprecazione e’ stato all’ingresso. Supero tutti i controlli (controlli stile JFK apt a NY) tranne che per il… treppiedi! Taccio loro! Non te lo fanno entrare e ti obbligano a portarlo all’ufficio depositi. Vado li e scopro che apre alle 6:00, ma alle 6:05 ancora nulla… Tacci loro bis! Temendo di dover aspettare a lungo prendo al volo un tuk tuk e vado a lasciarlo in albergo. In pratica anziché alle 5:45 entro alle 6:20 Ma a parte che c’erano un altro po’ di persone già li, molto, in termini di foto all’alba, non ho perso. Il tempo e’ bruttino. Tempio molto bello si, lo ammetto, ma sinceramente rispetto a San Pietro non vale una mazza! Cristina vuercic che ne pensavi? Lasciato il Taj Mahal ritorno verso Agra dove faccio una bella colazione all’americana. Oggi avevo voglia di scrambled egg Comincio poi a cercare una farmacia aperta perché, come a natale nel giro in europa, anche qui mi stanno venendo le vesciche sui piedi. Una già c’è per colpa della cucitura dei sandali… Avrò speso su amazon 1/3 del costo delle mie amate Teva ma queste non reggono il confronto in termini di fattura. Era meglio spendere di più Trovata la farmacia scopro una cosa fichissima… Ti danno tutto a pezzi. Sia i farmaci che cose come i cerotti. Gli ho chiesto i band-aid e lui mi ha chiesto quanti. Io pensando alla confezione ho detto one! 1 cerotto mi ha preso dal cassetto dopo le risate gli ho detto 10 grazie Chissà se uno chiede i profilattici… per far bella figura secondo me la gente ne chiede come minimo 10 anche per quelli
Anche stamane poi mi giro la zona del mercato e la città vecchia. Una cosa qui in India e’ costante e impressionante. La sporcizia. Ne ho fatti tanti di viaggi girando tante città ‘popolari’ o addirittura ferme ad anni fa. Sapa in Vietnam, Battambang in Cambogia, Luang Namtha nel Laos, la zona del Triangolo d’oro in Thailandia, il Chiapas in Messico o i villaggi masai o di altre tribù africane fra Tanzania, Sud Africa e Botswana. In nessuno di questi posti c’era neanche lontanamente la sporcizia per strada che sto vedendo qui. Ed e’ così un po’ ovunque. Dopo aver fatto il check out avevo 2 ore di tempo prima di lasciare Agra e mi sono preso un tuk tuk a pedali e ho girato un po’ la città tornando verso il forte e la zona più commerciale … ovunque la monnezza lungo la strada c’è sempre. Al forte, accaldatissimo nonostante non pedalavo io, mi sono bevuto una cosa buonissima ma non so cosa fosse. Era davvero dissetante e aveva una bottiglia di vetro particolarissima, con una pallina dentro che scuotendo agita la bevanda. Rientrato poi ad all’albergo prendo lo zaino, saldo il biglietto del treno e con il taxi prenotato mi incammino verso la stazione di Mathura ad 1 ora e mezza da Agra dove devo prendere il treno per Kota. Anche il tassista alla guida e’ un fenomeno! Fa anche le rotatorie contromano. Quello che mi chiedo in generale e’ cos’è qui il senso di marcia? Secondo me qui la patente non la danno neanche con i punti del Dash. Non esiste proprio … Chiunque può guidare. E secondo me la Tata e le altre marche delle automobili per risparmiare non hanno neanche istallato le frecce sulle auto… Non ne ho mai visto lampeggiare una. Comunque in taxi meglio dormire e non vedere quello che fa e chi ti viene incontro… Quindi sonnellino per recuperare fino alla stazione. Salutato l’Alonso di turno prendo i due zaini e mi metto ad aspettare il treno … Arriva puntuale, con il solito assalto degli indiani per la 3 classe senza prenotazione, e io vado con calma al mio posto 12 nello scompartimento C3. E metto subito la felpa visto che ero sudato, e non poco, e l’aria condizionata come sempre in treno e’ a mille! Lungo il tragitto pennica, due chiacchiere con i passeggeri accanto a me e qualche pagina di L’ombra del Vento. Fuori pioggia costante dalle 17:00. Ed e’ arduo anche trovate il taxi per Bundi. Il primo mi dice ok poi fa il giro della stazione chiamando al cell un amico e mi porta ad altra macchina perché lui è’ un ‘taxi’ e non può andare fuori città. E allora per qualche cavolo di motivo mi hai fatto salire e portato in giro 10′ contattando amici tuoi? Le parolacce in italiano e inglese non sono mancate dirette a lui. Qualcuna l’avra’ capita spero L’amico suo non conosce l’albergo e, cosa scontata, non spiccia una parola di inglese. Mi chiede la stampa della prenotazione e va in farmacia a farsi tradurre l’indirizzo e farsi spiegare la strada. Le mie imprecazioni non mancano neanche stavolta. India… lo so che sei così ma io la gente furba non la tollero. E la maggior parte qui e’ così. Facile girare con tour operator con tutti che ti sorridono visto quanto paghi, altro invece è’ fare tutto da soli e dover evitare ti fottano. Sarà per la pioggia e visto l’orario ma la strada da Kota a Bundi e’ come la Pontina per il Circeo il sabato alle 11:00. Ah stavo poi dimenticando che qui si guida con gli abbaglianti fissi e anche le doppie frecce spesso accese. E nonostante ciò stavamo per fare frontale con una mucca bianca… Magrolina ma comunque grandicella. Sarà pure santa ma tutta sta voglia di mandarla in paradiso e seguirla non ce l’ho. Arrivato a Bundi subito un panino e poi a nanna incrociando le dita che domani il monsone stia più tranquillo
12/8: Bundi – Rajasthan Dopo la giornata impegnativa di ieri oggi sveglia senza ‘sveglia’ a Bundi. Ovviamente abituato ad alzarmi presto, anche a Roma alle 8:00 ho aperto gli occhi. Durante la notte aveva piovuto molto e anche di mattina qualche goccia continuava a farla, con un cielo completamente grigio… paro paro come se dice a Roma. Mi sono alzato con calma poltrendo a metto per un po’ divertendomi a leggere i commenti botta e risposta con pareri ben diversi su cosa fare per le mie vesciche. Alla fine visto che qui la pulizia non è il massimo in giro (eufemismo) e non ho ago, filo e accendino, ho preferito coprirle con dei Compeed e mettere calzini e scarpe. Oltretutto piovendo ci sono pozze ovunque. Salgo poi in terrazza per una breve colazione ammirando Bundi Palace. Verso le 9:30 fortunatamente smette di piovere e comincio a girarmi Bundi partendo proprio dal Palazzo reale dotato di un bastone che mi ha prestato l’hotel per allontanare le scimmie a volte invadenti. Raggiungerlo e’ facile. Non altrettanto salire superato il portone del Palazzo visto che la salita e’ molto pendente e i sassi sono tutti bagnati. (Ovviamente e’ stato peggio poi scendere quando ho rischiato di cadere all’indietro sulle mie chiappe d’oro). Il palazzo reale, costruito nel 1607 in 24 anni, e’ bellissimo. Sembra uscire dalla roccia. In alcune stanze aperte al pubblico ci sono delle pitture bellissime e ancora attaccati ai muri degli specchi antichi. Anche guardare dall’alto del palazzo verso fuori e’ suggestivo. Panorama delle case blu, bazar e templi dall’alto. Peccato il tempo sia quello che è. Tornando giù in paese ecco che incontro ancora gruppi di ‘camminatori’ che già ieri notte avevo visto lungo la strada che da Kota mi ha portato a Bundi… Oggi ho scoperto che fanno 800km a piedi – altro che i 60 di ieri notte – pregando e raggiungendo un posto sacro. Una sorta di Cammino di Santiago per intenderci. Passeggiando poi in paese mi sono fermato in una bancarella. Un ragazzo molto simpatico oltre fare due chiacchiere mi ha offerto un bel the … Ovviamente mi stava corrompendo infatti ho acquistato un paio di pantaloni indiani per me e un bel fular da regalare. Dopo un po’ di giri nella parte storica mi fermo a pranzo da Out of The Blue dove mi prendo pizza e supplì… Certo non reggevano il paragone con le nostre ma non erano male affatto. Forse pizza troppo dura. Magari si possono offrire per una consulenza anche qui Giancarlo o Stefano Dopo il pranzo un giro intorno al laghetto sotto un po’ di pioggia … La strada provinciale e’ davvero infangata. Poi la pioggia si ferma e raggiungo il mercato dove vedi di tutto. C’è chi vede alimenti, chi pentole e chi gioielli. Mercato davvero eterogeneo ma davvero interessante. Torno verso le 17:00 in albergo perché stamattina avevo preso un appuntamento. Ore 17:30 il mio primo massaggio Ayurveda Dopo un ora di scrocchiate e manipolazioni sono rinato! (Maschi non pensate male! Non siamo in Thailandia e non mi hanno offerto l’happy end… E il massaggiatore era peraltro masculo. Bravissimo, un massaggiatore professionista) Post massaggio obbligatoria la doccia per eliminare l’olio – ero più unto io di chi fa male il fritto misto – e riesco per la passeggiata post tramonto. Unica maledizione e’ che ho scordato i tappi per le orecchie e ripartono i vaffa a ogni scooter che suona il clacson anche a strada vuota. Domani li rimetto appena mi sveglio, anche prima di lavarmi. Meno male che li ho portati con me e preparo i viaggi leggendo forum e guide… Come direbbe un amico di Roma Lonley ti adoro tappo ti metto. Finita la cena ora si rifanno gli zaini. Domani alle 6:30 mi aspetta il tuk tuk per portarmi alla stazione dove prendo il treno per Chittorgarh e dopo 3 ore la coincidenza per raggiungere la tappa di Udaipur nel tardo pomeriggio.
13/8 – verso Udaipur Apro occhi alle 5 e non riprendi sonno. Un ora prima della sveglia porca paletta… Stamattina problemi wifi in albergo quindi niente letture on line. Pazienza posso farne a meno quindi rapida doccia e due passi a Bundi che è ancora nel mondo sogni. Tutto chiuso, incrocio solo pellegrini… Incredibile ma ancora pochi clacson si sentono. Siamo ancora con le luci per strada. Manca un po’ al sorgere del sole. Cerco inutilmente qualcosa di aperto per fare colazione . Ho anche un po’ fame visto che ieri sera ho cenato light al volo. Rientro in albergo alle 6:00 e dalla terrazza scatto qualche foto alle prime luci dell’alba guardando il palazzo reale di Bundi. Prendo poi gli zaini preparati ieri e scendo giù ad aspettare il tuk tuk per la stazione…
Dopo una ventina di minuti arriviamo alla micro-stazione di Bundi. Chiedo alla biglietteria dove si fermerà la carrozza della seconda classe (così evito di correre lungo il treno con peso sulle spalle) e poggio gli zaini… Un paio di foto e, ovviamente anche un #selfie e aspetto assieme a un milione, più o meno di mosche. Suona la campana!!!! Ricreazione?!? No arriva il treno che devo prendere pe Chittogarh! Oggi sono in S2 con posti a sedere e sono accanto al finestrino. Ops… Volevo dire sbarre. Il vetro non esiste. Perfetto però così non si muore di caldo e mi godo il viaggio guardando fuori il paesaggio. Territorio tutto pianeggiante inizialmente pieno di risaie, poi roccia piatta con pascoli di mucche e gregge di capre seguite dai loro pastori. Ogni tanto qualche laghetto dovuto alle pioggie monsoniche. Comincio poi un po a leggere anche perché il paesaggio e’ molto costante ma dopo una mezz’ora, vista la sveglia prima delle galline sento sonno e mi sdraio sui sedili con cuffie e un occhio chiuso e uno aperto per il timore che qualcuno possa frugare negli zaini. A metà tragitto sale poi molta gente e mi rimetto a sedere. Uomini donne bambini di diverse etnie. (Uno di loro mi ha anche chiesto se volevo l’erba … Eppure ho faccia da bravo ragazzo io ) L’arrivo era previsto per le 10:50 ma avevo il timore di perdere la stazione e sono stato allerta da una mezz’oretta prima. So che semmai qui tardano i treni piuttosto che arrivare prima ma meglio esser prevenuti. Anche perché qui con questi treni regionali non avvisano tramite annunci a che stazione si sta per arrivare, e nelle stazioni di questi piccolo paesi in inglese e’ arduo trovare il nome della città nei cartelli. Arrivato comunque puntuale a Chittogarth vado subito a lavarmi con il magico sapone a foglietti e poi a cercare un posto per pranzare prima del prossimo treno per Udaipur delle 13:20. Uscito dalla stazione mi viene ovviamente chiesto più volte da diversi tuk tuk se voglio fare un giro al forte della città. (Peraltro leggendo guide molto ma molto bello). Ma con due zaini con me non potrei farci una visita, quindi sempre sorridendogli declino l’offerta e cerco un posto dove pranzare. Mi sono lasciato convincere da un locale e sono entrato nel ristorante di un albergo davanti alla stazione. Gran bel consiglio. Ottimo il lassi e buonissimo il Masala con formaggio di pecora, peperoni, cipolle rosse e spezie varie. Oltretutto servizio eccellente … Forse troppo prescioloso… Ti riempiva nuovamente il piatto il cameriere quando eri a un boccone da finire la porzione. Tornato in stazione mi diverto a fare qualche foto e poi dopo un oretta ecco il treno. La fortuna vuole che nella mia cuccetta sono solo quindi subito a gonfiare il cuscino, mettere lucchetti agli zaini, lencuffie nelle orecchie e buon riposo Una bell’ora sdraiato sui sedili a recuperare un po’ di sonno Arrivato ad Udaipur puntuale mi aspetta per il pick up un tuk tuk dell’albergo. Ora doccia e poi subito in giro per la città definita la più ‘romantica’ del Rajasthan! Cenerò a lume di candela … Solo! Uah uah uah
13/8 bis – l’arrivo a Udaipur Preso il taxi dalla stazione, dopo 15′ in mezzo al traffico ero in albergo. Una frase fantastica detta dal tassista mentre parlavamo del traffico in India e’ stata: gli indiani guidano come i cammelli con bende laterali agli occhi! Verissimo!!! Dopo check in, doccia e aver indossato la mise indiana/thailandese (pantalone preso a Bundi, maglia a Chang Mai lo scorso anno) esco per il primo giro a Udaipur. Bella, bella, bella! Questa e’ una città pulita ed e’ davvero meravigliosa! Artisti di strada e negozi d’arte, palazzi antichi fantastici, sorrisi ovunque. Un po’ di foto al tramonto e organizzo un giro in moto attorno a Udaipur nei villaggi per domani mattina. 3 ore in giro fuori città, nei villaggi delle etnie locali, io e Carlos, un ragazzo della catalogna che era li con me mente contattavamo il prezzo, dietro a due motociclisti locali. Dopo un po’ di su e giù decido di cenare in albergo anche per cominciare ad affrontare il tema del 15 agosto… Loro festeggiano l’indipendenza io devo capire come fare i 500km che separano Udaipur dalla tappa successiva, Jaisalmer, visto che i treni non le collegano. Ipotesi avanzata dal tour op e’ taxi con tappa a Kumbhalgarh a modiche 7000 rupie. Che per noi, visto che saranno 10 ore in taxi, e’ una bazzecola (sono 90€ circa), ma qui e’ un cifrone considerando che il volo New Delhi-Varanasi mi è costato 4500 rupie Pensieroso se ok o sentire poi il giorno dopo altri tour op, vado a farmi la cena romantica a lume di candela in due… Io e la signora Canon. D’altronde avevano detto che questa e’ la città romantica Ora a nanna presto per alzarmi all’alba domani e andare a far foto prima dell’appuntamento alle 8 con i motociclisti. Buonanotte!
14/8 – Udaipur Indovina un po’ a che ora ho aperto gli occhi? 5:00 spaccate! Sveglia prevista 5:30 😛 Il tempo non è il massimo… Nuvole cariche e cielo molto scuro. Ma le foto si fanno comunque 😉 Poi in nei vicoletti del centro di Udaipur con ancora tutte le tapparelle tirate giù…. Giusto qualche bancarella aperta e ne approfitto per fare colazione con un bel riso tostato con cipolle e peperoni 😛 Dopo un paio d’ore vado all’appuntamento per fare il giro nelle colline attorno alla città. Paesaggio molto bello, gente ancora di più. Ci siamo fermati in un paio di scuole elementari, ad un bel lago dove c’era chi faceva il bagno, in diversi villaggi etnici chiacchierando con la gente e assaggiando un ottimo latte di capra. La batteria dell’iPhone m’era morta li quindi per le foto aspetterete quelle vere 😉 (ve ne metto giusto un paio di quelle vere). La fine del tour e’ in cima a una montagna, nel vecchio palazzo dove il Raja ‘si riposava’ quando non voleva troppa vita da re. Da dove si ammira tutta la valle e Udaipur. Uscendo becchiamo la scimmia che si è fregata dalla sacca della moto l’altro mio riso che mi aveva preso la guida. (Meglio, tanto a me non andava e mi sembrava brutto dirglielo 😉 ) Tornato a Udaipur alle 11:00 sono andato in albergo perché più ci pensavo più non mi conveniva andare a jaisalmer via taxi. A parte l’inutile spesa di 7000 rupie mi perdevo in viaggio tutta la giornata della festa della liberazione dell’India di domani. Quindi ho prenotato sleeping bus che partirà alle 20:30 e arriverà alle 7:30… Perdo la notte già pagata in hotel ma spendo 900 rupie e non le 7000 del taxi. Riprendo la visita a Udaipur e come prima tappa, visto che ho mangiato alle 6:30 solo un po’ di riso, mi fermo a farmi un bel mix di frutta, muesli e yogurt per darmi la carica. Visita al bel Palazzo Reale pieno di stroria, di opere e di turisti :-), tante foto – anche alla #macchina di Damiano – e poi zizzagheggio in città prima di andare a pranzo, nel primo pomeriggio, e mangiare, dopo un ottimo lassi, un bel piatto a base patate lesse e spezie. Poi altri templi, altre foto alla gente e nei quartieri meno centrali, un po’ di shopping con le consuete trattative ad abbassare il prezzo di partenza che io sono davvero incapace a fare e poi, coincidenza delle coincidenze, l’incontro casuale con la coppia di Roma con cui avevamo parlato via chat del viaggio nello stesso periodo, con tappe simili ma in giorni diversi. A volte capitano cose che se anche uno avesse voluto fare sarebbero state irrelizzabili… Stessa città, stessa viuzza, stesso momento e ci siamo incrociati 🙂 Rientro in albergo alle 18:00, preparo lo zaino e poi due passi in pieno relax … senza neanche la Canon 😛 … per una birretta di nascosto in un bar lungo il lago. Di nascosto perché qui per legge molti non potrebberlo venderla… Infatti nel menù non c’è, me la apre nascondendosi piegandosi sulle ginocchia sotto il tavolino e la bottiglia di lato nascosta sotto il tavolino rimane. Vicino a me gli anziani giocano a scala 40?!? Poker non è … 🙂 Finita la birra faccio due passi e poi albergo per il check out e aspettare il tuk tuk che mi porterà alla stazione dei bus. Jaisalmer sto arrivandooooo….
14 – 15/8 – da Udaipur a Jaisalmer con lo sleeping bus Si parte da Udaipur con il bus notturno alle 20:30. Arrivo previsto dopo 13 ore. Lasciato lo zaino grande salgo e vado nel mio lettino J. Scomodissimo salire dalla scaletta, il letto e’ comodo, anche se sembra di andare a dormire in un loculo, ma la cosa che non va e’ l’aria condizionata! Mai più posti con AC. E’ a palla, non è regolabile e non è possibile chiudere il bocchettone. Mi gelo. Anziché in un bus verso il deserto di jaisalmer mi sembrava di stare in un rompighiaccio verso l’artico. Provo a mettermi al contrario perché il bocchettone e’ lato testa, ma anche le gambe mi si gelano visto che sto in bermuda e poi sdraiato con la testa al contrario rispetto al senso di marcia un po mi da fastidio, soprattutto viste le continue frenate. Dopo un oretta di sonno per la stanchezza – ero sveglio dalle 5:00 – mi cerco di ingegnare per capire come bloccarlo, ma nello zaino avevo poche cose utili. Macchine foto varie, salviettine umide, acqua e doc vari. Unica soluzione che ho trovato e’ stato inserire il copri macchina di plastica trasparente che si usa quando si fanno foto sotto il diluvio. Infilato le cose vanno meglio anche se comunque gli spifferi si sentono. Alle 00:30 facciamo prima sosta e recupero una coperta. Non sarà stata appena ritirata dalla lavanderia ma meglio poi lavarsi che morire surgelati. Sonno leggero ma riesco a dormire con felpa con cappuccio e arrotolato nel copertone 🙂 Alle 6:10 apro gli occhi e il bus dopo poco si ferma per la colazione. Siamo a 2 ore dalla meta e io non vedo l’ora di arrivare… Stare 12 ore in un loculo non è comodissimo. Arrivati a Jaisalmer prendo il tuk tuk e arrivo nella bella Suryia Praji Guest House, dentro il Forte, pronto per godermi in questi due giorni la loro bellissima città chiamata ‘golf city’ visti i colori, la festa nazionale per l’indipendenza Indiana del 15/8 e il loro deserto dove farò una bella gita al tramonto su un cammello. Buon ferragosto a tutti e, mi raccomando, non pubblicate su FB troppi carboidrati e soprattutto troppe bottiglie di quello che berrete … Perché un po’ rosico! E’ da 10 giorni che non tocco vino 😛
15/8 – Jaisalmer Auguri!!! Buon ferragosto dall’India!!! Chi ha letto il mio diario precedente sa che sono arrivato con io bus notturno a Jaisalmer starmane alle 9:00. Alla stazione dei bus mi ha preso Padam e con la sua moto siamo saliti nella parte storica della città, dentro le mura, dove proprio in uno dei bastioni del forte c’è la sua Guest house dove alloggio. Bellissima! Con la mia camera che si affaccia con due finestre sulla città! Visto il gelo della notte in bus il fatto che non abbia A/C e’ anche meglio e il bagno in comune ormai e’ un lusso visto che stanotte noi maschietti la pipì alle fermate del bus le facevamo per strada Un oretta nel loro ristorante/bar in attesa della camera e due chiacchiere con il simpaticissimo Padam per cominciare anche a organizzare il giro di domani, noi due in moto nei templi a qualche km da Jaisalemer e nel deserto. Pronta la camera e ovviamente, vista la notte non proprio rilassante, subito una bella doccia fredda!!! Poi comincio a girare la parte storica di Jaisalmer cominciando dal Fort Palace fondato nel 1156 da Jasal e utilizzato nei secoli per difendersi durante le guerre. Un oretta e mezza di guida audio che ti fa calare bene nella cultura e nella storia. Proseguo poi il giro dentro il forte a scoprire le viuzze – piene di bancarelle che Padam mi ha sconsigliato visti i prezzi assurdi – e i templi gianiniti di Chandraprabhu e Rikhabdev. A pranzo torno nella Guest house e dopo un ottimo pranzo, due ore di sonno per recuperare la notte non proprio rilassante. Nel pomeriggio scendo a piedi nel paese girando a caso tutte le viuzze bellissime, piene di case storiche nel fantastico stile Haveli con splendidi portoni in legno, balconi e torrette. Arrivato poi alla Porta Ghandi vado a vedere il mercato dove compro un nuovo cappello per andare domani nel deserto, visto che il mio devo averlo scordato da qualche parte. Girando, una cosa particolare che ho rinotato oggi anche qui e’ che in India se sei una coppia normale non passeggi mano nella mano, se sei una coppia omosessuale si Per tornare su al forte baratto la corsa con il tuk tuk – ammetto di non esser facile a trattare – e sono su al forte al tramonto per una birretta e due chiacchiere con una coppia di milanesi incontrati li. Saltata la corrente ovunque mi cambio poi alle ultime luci del giorno e scendo per cena al ristorante Trio dove speravo di trovare il vino locale ma nulla! (Forse dovrei dire menomale ) Domani provo il Saffron visto che la Lonley dice che ‘has a Wine list’. Mangio un ottimo piatto di montone, morbidissimo e comincio anche a farlo all’indiana… Niente posate e solo con mano destra Anche li pieno di europei… Tanti tanti spagnoli e francesi in giro con molti pochi italiani invece. Rientro su a piedi e mi metto a bere una bella Coca-cola fresca dopo la lunga camminata ammirando dall’alto le luci della città. Domani foto presto e poi giornata in giro moto io e Padam! Di nuovo buon ferragosto!!!
16/8 – Jaisalmer Siamo a metà viaggio. 8 giorni sono trascorsi e altri 8 ne mancano al ritorno a casa. Stamane alle 5:30 ho aperto gli occhi per vedere come era il tempo per le foto all’alba e li ho richiusi subito… Tutto coperto Sveglia quindi con più calma un paio d’ore dopo e subito in giro per la parte storica di Jaisalemer camminando lungo i bastioni. Eravamo io e gli animali. Peraltro stamane o puzzavo o profumavo troppo… Prima 4 cani randagi mi si avvicinano e mi seguono ringhiando un po’ e ho dovuto far finta di tirargli un sasso per allontanarli, poi una delle solite mucche tranquillissime mi ha dato testata su una chiappa passandole accanto. Rientrato in guest house faccio una lauta colazione rifocillante a base lassi, pankake a cioccolata e banane e spremuta di arancia. Alle 9:00 si parte per il giro in moto io e Pandam. Partiamo con la visita al cimitero dei Marajha per poi andare in un tempio sacro sperduto in mezzo al nulla dove per l’ennesima volta sbatto le corna entrando!!! Mannaggia a queste porte basse che gli indiani costruirono così perché i poveri si inchinassero entrando a casa d’altri e, sopratutto, per tagliare la testa al soldato nemico in guerra, quando entra per forza piegato in avanti, prima che rialzi la testa! Riprendiamo poi la moto per andare verso il deserto. Buffo vedere in molte zone dei sassi accumulati. Pensavo fossero tombe, invece Pandam mi spiega che qui se copri di blocchi di sassi una zona limitandone il perimetro dopo 30 anni il terreno diventa di tua proprietà… Potrei volendo farmi casa qui, gratis o quasi, per trascorrerci la vecchiaia quando andrò pensione Dopo una 15 di km fra dune, alberelli e piccole case arriviamo alla ‘città fantasma’. Fantasma perché fu abbandonata in una sola notte da tutta la famiglia del ricco proprietario dell’Haveli che espresse il desiderio di voler sposare una donna bellissima ma povera e che, soprattutto, non faceva parte della casta nella quale lui doveva per forza scegliere la futura moglie. Rimase solo e abbandonato e la leggenda dice che il suo fantasma e’ ancora li… io non l’ho incrociato e non sono riuscito a fargli foto Rientrati a Jaisalmer mi faccio lasciare al mercato per fare qualche foto e un po’ di shopping salendo verso il forte nella via dei bazar. Più passano i giorni e faccio primi piani, più noto come i caratteri somatici siano ben diversi dalla gente vista nelle precedenti città. Qui si nota la pelle scura e i caratteri somatici simili ai pakistani. (Il confine e’ a soli 150km). Buffissimo poi vedere mentre passeggi che ci sono tanti calzolai che ti guardano le scarpe e propongono di riparartele … Faccio qualche altro acquisto per riportare a Roma qualche pensierino e mi cimento anche nel baratto… Ma sono una sega… Guidano loro e ovviamente vincono loro A pranzo un cheesburger che di burger non aveva nulla visto che era di patata e non di carne! Giuro che appena torno a casa mi mangio una bistecca di vitella anche a colazione!) Nel pomeriggio dopo la pennichella delle ore calde indosso la mia nuova maglia indiana e vado a zonzo nei quartieri meno noti della città. Fa un caldo boia e visto che a pranzo avevo mangiato poco, mentre passeggio e faccio foto di primi piani con lo zoom, in un paio di bancarelle assaggio prima una sorta di crocchetta salata con dentro verdure e poi un frullato di mango. Mi ero anche fermato in un posto pieno di europei/americani dove fanno, dice la Lonley, ottimi lassi ma poi ho scoperto perché ottimi secondo molti e con tutta quella fila di gente… Frullano yogurt, frutta e un erba locale tipo maryiuana. Volendo infatti c’era chi beveva il lassi senza e quella se la fumava Rientrato poi in guest house doccia e preparazione degli zaini visto che domani alle 8:00 si parte in bus per Jodhpur, la città blu!
17/7 – Jodhpur, la città blu Niente… Nulla da fare. Nella stagione dei monsoni e proprio inutile mettere la sveglia alle 5:30 per fare foto all’alba. Il cielo e’ nuvole e basta e la visibilità e’ davvero poca. Alle 8:00 prendo lo scooter per andare alla stazione bus. Arrivo e attendo che parta dopo aver messo lo zaino nella sacca di sicurezza che oltre a evitare lo aprano ho scoperto evita anche che diventi pieno di polvere visto che viaggiando nel bagagliaio c’entra più polvere e sabbia che nel deserto. Posto 16, sedile e non lettino stavolta e 0 aria condizionata, fa molto caldo ma stando vicino al finestrino durante il viaggio brezza arriva. Si schiuma solo quando si fanno le soste per far salire la gente. Come quando a metà percorso, in una città che non ho idea quale sia, c’è stato l’assalto alla corriera… Siamo ripartiti con una 20 di persone in piedi… A confronto nella metro B di Roma alle 8:00 si sta larghi. Meno male che l’unico non indiano, dalla carnagione abbronzata ma più chiara e la sua barba ormai lunga, a bordo aveva prenotato il suo singolo comodo posticino Sosta successiva faccio anche la merendina a base gelato alla banana consegnato direttamente dal finestrino al sottoscritto Dopo 5 ore sono arrivato nella città blu. Subito in albergo per check in e doppia doccia prima di cominciare a scoprire Jodphur. Arrivo alle 15:00 sotto il caldo torrido con un tuk tuk al forte. Enorme e bellissimo su di una rocca da cui si ammirano i tetti blu della città. Fatico un bel po’ a reggere fisicamente la folla e il sole che picchia. Comunque cuffie in testa e la Canon sulle spalle mi giro tutto il Mehrangarh. Scendendo incontro una coppia di ragazzi di Viterbo conosciuti a Bundi…. Altra coincidenza Mi incammino verso il bazar e poi mi perdo nelle viuzze della città blu… Mi perdo a tal punto che chiedo diverse volte la strada per ritornare in albergo. Alla fine trovo un signore e gentilissimo che mi da uno strappo in moto. Arrivato in albergo mi informo se per spostarmi a Pushkar domani c’è un taxi disponibile a prezzi decenti, ma nulla, e anche considerando che rispetto al bus risparmierei solo mezz’ora domani mi prenderò uno dei bus che da qui partono ogni 30′ e in 4 ore sono Ajimer e poi 20′ di taxi per raggiungere la reggia… Perché come alloggio finale nel Rajasthan me la volevo togliere la soddisfazione di stare in una reggia a modici 40€ Serata poi rilassante in terrazza guardando il forte e chiacchierando con una coppia di spagnoli e i due proprietari dell’albergo. Ammetto di esser un po’ sazio del Rajasthan… Non vedo l’ora di decollare e farmi gli ultimi giorni nel Ladakh.
18/8 in corriera verso Pushkas, la mia ultima tappa nel Rajasthan 6:04 sveglia naturale… Niente suoneria per dormire il più possibile, ma nulla da fare, l’istinto del fotografo prevale sulla stanchezza e mi godo il sorgere del sole dalla terrazza del Castle View home stay dove alloggio mentre mi prendo il primo caffè. Poi doccia e a passeggio fra le case blu, un coloro utilizzato come repellente per gli insetti dicono, ma non funziona visto che io ho le gambe piene di bolle di zanzara e qui di mosche ce ne sono miliardi. Sarà anche perché anche qui nella parte storica e non solo le strade sono di un lercio che la metà basta. Per le pulizie di strada a confronto l’AMA di Roma e’ stra-efficiente!!!. Qualche bella foto incontrando mucche che fanno colazione e una bellissima coppia di bambini, loro si che camminano mano nella mano. Rientrato in albergo continental breakfast… reggo sempre meno lo street food locale … e poi a completare gli zaini e un altra bella doccia. Ho coniato un nuovo detto indiano: 4 docce al giorno levano lo sporco di torno…. 5 anche meglio Per raggiungere la stazione dei bus prendo il solito tuk tuk dove, nonostante ci sia, il tassametro e’ finto… Mai visto attivo Arrivato alla stazione prendo al volo la corriera diretta a Pushkar, l’unica, evitando così di dover andare ad Ajimer e poi 40′ di taxi. Alla fine meglio del taxi diretto la. Guadagnavo forse 30′ ma perdevo parecchio a livello di spesa: Corriera 164 rupie, taxi 3400!!! ( 2,2€ vs 42,5€) Quando si sosta si schiuma… Corriera affollatissima e zero brezza da fuori. Meno male che io occupavo due posti uno io accanto al finestrino e uno i due zaini verso il corridoio. Occupavo perché nelle ultime due ore nulla da fare c’era un bordello di gente e il mio backpack ha ceduto il posto e mi guardava dal corridoio … Tutto il resto del viaggio in piedi lui. Comunque no more corriera! Anche se da qualche foto potete vedere che c’è di peggio per viaggiare… Arrivato ora a Pushcar mi rilasso in una reggia
18/8 – Arrivato a Pushkar Dopo le 5 ore in corriera, check in al 5 stelle e relaxxxxx… Mezz’ora a leggere in una bella vasca da bagno!!! Poi con calma, ma molta calma, passeggiata verso i Gath dove si lavano e beatificano gli indiani. Prima tappa un tempio lungo la strada … No ricordo il nome… Stra-tempio perché qui oltre a togliere scarpe devi lavare le mani, mettere un fular a coprire la testa e entrare mettendo i piedi in una vasca d’acqua. Dentro peraltro foto vietate ma io ne ho fatte un paio di nascosto Alle quattro un po affamato mentre proseguo per lago santo, mi fermo a fare un burger vegetariano. Molto buono. Poi proseguendo stavolta ci casco come un pollo e mi faccio portare da una moto ad uno dei gath. Li mi riceve un santone che mi da i petali di fiori e mi accompagna ai bordi del lago. Li mi fa recitare nmila cose in indiano … Praticamente ho augurato benessere, felicità, gioia e tutto quanto di buono a a Damiano, ai parenti, ai cari amici (soprattutto un paio in questo momento), agli amici di FB, alla magica Roma… Insomma un po a tutti. Tirati i fiori in acqua e ‘beatificato’ anche me mettendomi la crema rossa sulla fronte … Chiede i soldini… Mannaggia a me! Voleva 3000 rupie! 24€! Gliene ho date 500 Poi comincio a fare foto… In alcuni punto mi rompono pure i maroni che sono vietate ma rubo qualche bello scatto. Rientrano poi verso l’albergo comincio poi a informarmi per come andare a Delhi partendo il 19 sera per essere in aereoporto al massimo alle 6:00 visto che alle 8:30 ho il volo per Leh. Ahimè sleeping train già posti finiti nei vagoni letto Ci sono diversi bus notturni ma arrivano verso le 7:00 e non voglio rischiarmela… Dovesse piovere o trovare problemi lungo la strada. Le due ipotesi sono sleeper bus che passa in zona aereoporto e mi lascia li alle 5:00 o taxi diretto, con costo però 4 volte tanto e non e’ che sia molto comodo dormirci. Domani vedremo se tramite alcuni tour op mi trovano altre soluzioni. Rientro quindi in albergo e mi faccio la 5′ doccia del giorno per poi andare a cena a pushkar a mangiare …Pizza!!! Ora a nanna per riposarmi un po’ … Domani come si dice a Roma ‘cazzeggio’ un po’ in giro senza metà.
19/8 – pushkar, l’ultimo giorno prima del Ladakh Occhi aperti alle 7:44.. Ah che bella colazione in albergo e ancora non esser in giro prima delle 9:30! Poi con calma a passeggiare lungo la strada del mercato che costeggia i gath. Foto qua e la come quella alla libreria che ‘non’ vende libri alla mucca interessata a un bel vestitino e alla fila incredibile sotto al tempio Bhrama dei milioni di pellegrini che sono qui per un due giorni in cui festeggiano qualche dio particolare Alle 10:30 con calma vado a rimettere a posto le ossa e i muscoli da un dottore consigliato da alcune guide nell’ospedale di Pushkar. Un ora di massaggio Ayurveda che mi rimette in sesto. Tornato in albergo ho aspettato le 12:00 – apriva il booking – per prenotare il treno delle 15:30 per Delhi tramite la reception. In autonomia via booking ho poi subito prenotato una camera a due passi dall’aereoporto. Arriverò a Delhi alle 21:30… Tempo poi di prendere taxi per albergo e sarà tardi. Meglio una camera in quella zona così che domani mattina mi alzero’ con calma visto che il volo per Leh e’ alle 8:30. Bye bye Rajasthan …. Himalayaaaaaa sto arrivandoooo!!!!
20/8 – Leh, Ladakh Oggi la sveglia prestissimo era mandtoria. Messa alle 5:40 per fare check out alle 6:00 e prendere il taxi per l’aereoporto. Lasciato il bagaglio da stiva una bella colazione… Inglese… Chocolate muffin and black coffe Attendendo il bording e mi sono riletto un articolo scaricato dal web sul mal di montagna. Sintomi, cure, rischi ecc… ecc… E la guida per cominciare a pianificare giri e tappe degli ultimi 5 giorni sulla catena Himalayana. Atterrare e’ da restare a bocca aperta!!! L’aereo fa giro giro tondo per abbassare quota visto che l’aereoporto e’ circondato tutto attorno dalle montagne. Paesaggio spettacolare! Fa caldo, 22′ gradi al sole ma stasera ci sarà di sicuro un escursione termica notevole. Mentre faccio colazione in giardino comincio bene a percepire come l’aria sia più rarefatta di ossigeno. Ai primi sintomi di mal di testa, vertigini, nausea o stanchezza mi prenderò subito il Diamox! Oggi sarà una giornata tranquilla a Leh di ambientamento ai 3500 metri di quota, bevendo tanta acqua!!! Anche se non vedo l’ora sia domani e comincio a salire in quota passando ai valichi oltre 5000 metri!
20/8: il resto della giornata a Leh Fatto il check in, un bel riposo in camera sino alle 16:30. E’ un must ambientarsi piano piano a 3500 metri di quota. La testa era un po’ pesante e ho dormito e mangiate bene, quindi per ora mal di montagna non l’avevo. Sono poi uscito per una passeggiata a Leh. Bel paesino pulito e pieno di negozietti carini. Per ora ho solo comprato due cappelli. Uno a tesa larga per il giorno e uno di pile per la sera. Perché qui la sera fa freddino!!! Ho cenato in una bella terrazza che guardava il palazzo e meno male che avevo il mio pile pesante al posto della felpa. Ho mangiato un piatto del Kashmire a base montone buonissimo!!! Rientrato poi piano piano, salendo a pezzi fermandomi a guardare varie vetrine. Sempre meglio muoversi con grande calma qui. E domani girerò attorno a Leh per non arrivare subito oltre i 5000, cosa che vorrei fare gli ultimi due giorni dormendo in quota in qualche villaggio… Ma vedremo.
21/8 – in giro nella valle Indus Stanotte la cefalea cominciava a esser pesante, anche perché in bagno c’era la doccia ce perdeva e mi trapanava la testa ogni goccia che cascava nel secchio. Ho risolto le due cose. Dopo aver navigato un po’ su internet per capire cosa fosse meglio che fare, visto che sto assumendo il Diamox, mi sono preso una pasticca di parcetamolo, la tachipirina. E nel secchio sotto la doccia ho infilato uno dei cuscinetti del letto così assorbiva l’acqua e non faceva rumore Ho ripreso così dopo un po’ il sonno e stamane ero molto più in forma. Pancake al cioccolato e black coffe alle 7:30 e poi con un taxi al Palazzo di Leh per la visita, qualche foto della città dall’alto e il giro nelle viuzze del vecchio quartiere del paese. Mentre mi incamminavo verso il centro portavo avanti il primo obiettivo della mattinata leggendo gli annunci delle escursioni in jeep organizzate dai tanti tour operator che ci sono a Leh. Dopo qualche tentativo sono riuscito a trovare quello che per domani aveva già organizzato la due giorni nella Nubra Valley con la notte li. Mi sono subito segnato e domani con una coppia di tedeschi partiro’ per questa due giorni superando il valico di Khardung La a 5400 metri di quota per poi riscendere giù e visitare i paesi della valle dove dormirò anche. Poi ho approfittato dell’agenzia anche per il giro di oggi nella valle Indus. Lasciamo Leh alle 9:00 e la strada sembra sia fra paesaggi lunari vette e, all’inizio, basi militari. Incrociamo tanti camion bellissimi, dei Tata tutti colorati Ci fermiamo al primo tempio di Gudora dove parte anche un #bi-selfie io e Torgy il mio driver.
Il secondo tempio su una rocca che sovrasta il paese di Basgo e’ molto bello, sia dentro che per il posto suggestivo doe si trova. La strada che attraversa le montagne e’ bellissima… Piena di cartelli a rima che suggeriscono di non correre e di gente che la percorre. Ma Oltre ad auto, moto e camion ci sono anche gli iron man!!! Gente che se la fa in biciciletta o a piedi! Ancora più bello però e’ quello di Alchi. Un tempio antichissimo dove e’ però vietato far foto. Pranzo li stavolta con un ottimo piatto si spaghetti cinesi che mi ha suggerito Torgy. Rientrando ci fermiamo per un caffè lungo il fiume Sungam dove vediamo smontare canoe e gommoni di gente che ha fatto rafting… Ad avere più giorni l’avrei fatto anche io volentieri. Ultima tappa il Thiskey Gompa, uno dei monasteri più famosi Ladakh nella città di Shey. Non era previsto nel giro pagato all’agenzia ma Torgy mi ci porta con una piccola mancia a lui. Monastero davvero bello dove ho anche potuto fotografare i monaci in preghiera oltre alle varie sale delle divinità. Stasera dopo le 2 ore di riposo ora in camera andrò a fare le foto al tramonto, guardando Leh, dallo Shanti Stupa che è proprio sopra l’albergo. Lasciata poi l’attrezzatura Canon in albergo, passeggiata in paese per una bella cena e cercare gli ultimi regali. Perché domani si parte per la due giorni nella Nubra Valley e poi domenica all’alba c’è il volo per tonare a casa…
21 e 22/8 – I 2 giorni nella Nubra Valley Vi stavate preoccupando che da un po’ non leggevate nulla vero? Beh in Nubra Valley il wifi e’ un lusso per pochi. Primo giorno: Ho aperto gli occhi prestissimo nonostante la sveglia fosse un paio d’ore dopo. Sarà stato oggi per la trepidate attesa dei due giorni che mi aspettano nella Nubra Valley. Fatta una lauta colazione rifocillante mi incammino verso l’agenzia dove ho l’appuntamento per partire cercando lungo la strada un burro di cacao perché ho le labbra a pezzi e non potrei baciare nessuna Ladakhiana Arrivato, mentre aspettiamo finiscano di preparare la Jeep ci presentiamo con i due compagni di viaggio Thomas & Petra, due giovani di Stoccarda che da 8 mesi stanno facendo campeggio in giro per il mondo (Nuova Zelanda, Australia, Indonesia, Malesia, Filippine e ora India) Grande invidia la mia! Cominciamo a salire e il primo cartello recita: You are driving in the most higher road in the World! Una strada praticamente a senso unico che mette i brividi a ogni curva dove da una parte hai la roccia ma dall’altra il precipizio e non c’è ovviamente nessun guard rail. Purtroppo, salendo con l’aumento della pressione atmosferica comincia a farmi male l’orecchio destro (al ritorno il sinistro), il dolore peggiorava sempre più amplianodosi e mi si stava bucando cervello dopo pochi km. Con me avevo, oltre al farmaco per il mal di montagna (di cui non ho mai sofferto), solo la tachipirina che fortunatamente ha alleviato il dolore dopo una mezz’oretta che l’ho presa. Salire d’altitudine (non poca) fa questi scherzi. Finito il primo tratto di strada asfalta dopo la consegna del primo visto al check in militare – perché andavamo in una zona dove è necessario chiederlo per entrare – siamo passati sulla strada sterrata piena di buche ad una velocità media 30 km/h! Arrivati al passo di Khardung La siamo stati fermi per i max 20/25′ consigliati, bevendo un bel black the che fa bene e facendo un po’ di foto del fantastici panorama e mettendoci in fila per fare quella sotto il cartello che dice ce sei sotto il passo carrozzabile più alto al mondo. Scendiamo poi verso la valle Nubra con la strada che attraversa un paesaggio stupendo. Nonostante le curve sono stanco e la tachipirina incrementa il sonno e per un oretta mi abbiocco. Raggiunta la valle ci fermiamo al primo paesino per pranzare. Sono le 13:00. Ottimi ravioli alle verdure e un bel the a chiudere il pranzo. Riprendiamo poi verso le due la jeep per la prima tappa: Deskit. Arriviamo al tempio buddistha verso le 14:30. Nonostante eravamo a circa 3500 metri, e il tempo era coperto, faceva molto caldo. E per raggiungere il tempio abbiamo dovuto attraversare un villaggio tutto fatto a scale Finita la visita, siamo ripartiti percorrendo una strada che attraversava una zona strana con da una parte a sinistra le rocce mentre a destra c’è sabbia!?! Cosa che davvero sull’Himalaya non ti aspetti. E invece la seconda destinazione era proprio la zona desertica di Hunder. Arrivati passeggiamo verso le ‘Sand Dunes’, dove volendo si poteva anche andare noleggiando i dromedari. Lasciate anche le dune ci dirigiamo verso la GuestHouse dove alloggiavo. (i due tedeschi dovevano semplicemente trovare una zona dove montare la tenda). Struttura base ma pulita dove ovviamente però non c’era wifi. Subito una bella doccia calda e poi a dormire un paio d’ore. Aperti gli occhi alle 18:30 mi sono chiesto subito cosa potevo fare fino alla cena delle 20:30 Tantra non sono e quindi solo pensare non faceva per me… E porca paletta mi ero scordato il libro La Porta del Vento. Prima quindi ho portato avanti il resoconto finale su questo viaggio che posterò domenica mattina lasciando Leh e l’India, e poi mi sono messo a rivedere le foto fatte da inizio viaggio, per riviverlo ed eliminare qualcuna se non mi convinceva. Alle 20:30 hanno bussato alla camera per confermarmi che la cena era pronta. Sceso in sala mi sono seduto per terra sui loro tappeti e mi hanno servito un ottimo minestrone, con tanti legumi, e un piatto di patate e cipolle, oltre ovviamente al loro pane. Finita la cena sono tornato in camera finendo in un paio d’ore di guardarmi gli oltre 3500 scatti fatti sino ad oggi. Molti mi sono piaciuti… Sarà dura trovare le mie preferite.
21 e 22/8 – Nubra Valley, 2ndo giorno Secondo giorno: Il tempo, perlomeno a Hunder dove ho dormito, non era proprio il massimo quando alle 6:30 ho aperto gli occhi. Cielo copertissimo e un vento impressionante che piegava gli alberi. A colazione un bel pane con verdure e cipolle e una bell’omelette con cipolle… Se anche avevo le labbra non screpolate col cavolo che anche la più cessa del Ladakh m’avrebbe baciato Uah Uah Uah Un ora poi ad aspettare la jeep… L’appuntamento era alle 8:00 e lui è non arrivava. Nel frattempo giravo l’orto, vedevo come essiccavano le albicocche, i funghi e facevano il formaggio. Poi alle 9:20 mi sono un po rotto le scatole e ho chiamato l’agenzia di Leh che aveva organizzato il viaggio (non avevo il cell del driver). Alle 9:30 arriva a prendermi e partiamo. Lungo la strada sosta obbligata di una mezz’ora in un ponte a unica corsia e che regge un mezzo per volta, dove ovviamente la precedenza l’avevano i cento e oltre camion militari. Toccato poi a noi riprendiamo la strada e dopo 12km arriviamo al monastero di Sumur, l’ultima tappa prima di metterci in moto per le 4/5 ore di auto e rientrare nel pomeriggio a Leh. Anche se l’hai già fatta all’andata la strada che si inerpica sulla montagna e’ impressionante…. Qui davvero chi non sta ben attento mentre guida e magari usa un cellulare sta regalando l’anima al signore. Dopo esserci fermati a pranzo a Kumbalgar per due spaghi con verdure miste ripartiamo e dopo pochi km la machina comincia a dare problemi. Da sotto le ruote anteriori un fischio fisso, che si accentua in curva. Skalzang il driver si ferma due volte per cercare di capire ma poi riparte… Forse dischi delle ruote surriscaldati, infatti ad un certo punto si ferma e tira dietro le gomme secchiate d’acqua. Ci fermiamo al passo per un che caldo e ripartendo la fortuna vuole che non sentiamo più rumore alle ruote. Forse era un sasso dice il driver che si era infilato e sfregava contro i dischi. Scendendo verso Leh io al volo, mentre lui guidava, scattavo le ultime foto alle faglie detritiche e alle vette. Una due giorni bellissima. E ora a fare le valigie che domani alle 8:00 ho il volo per Delhi per poi alle 14:30 prendere il diretto per Roma…
Resoconto finale Ogni giorno mi sono divertito a fare un diario in diretta del mio viaggio. Nel frattempo assimilavo e riflettevo su quello che vedevo, sentivo, provavo. Ecco il mio resoconto finale. Parte 1 – Uttar Pradesh & Rajasthan In queste due grandi regioni, alla fine, tirando le somme, 4 sono i fattori comuni che ho trovato ovunque sono stato: sporcizia, povertà, caos e religione. Non sono schifettoso, chi mi conosce sa che mi sono girato diversi stati nel mondo sempre in autonomia (Asia, Africa, centro America), o solo o al massimo con una altra persona affianco, calandomi sempre in quei ‘mondi’. Perché per me il ‘viaggio’ e’ quello. E’ vivere la realtà del paese che visito. Diciamo che i miei viaggi sono ben diverso dalle vacanze ‘turistiche’. In India siamo oltre certi limiti un po’ ovunque. Poi ci mancherebbe, ci sono i palazzi reali, i templi, gli scorci dei paesaggi, la spiritualità, ma sulla bilancia il peso e’ relativo rispetto alle altre cose elencate. Il paesaggio e’ generalmente uniforme, pianura costante salvo qualche cucuzzolo e spesso e’ un po’ monotono. (Da noi invece ogni scorcio ti cattura l’anima). I palazzi e i templi valgono le visite. Ma a parte due / tre per città non è che ve ne siano molti. Non possiamo poi ovviamente paragonarli alle opere d’arte dall’antica Grecia al rinascimento in poi in Italia/Europa. Sono semmai Forti o Palazzi in cui vivevano i Raja. Anzi spesso e’ più bello perdersi per le vie delle città o nei mercati locali per scoprire scorci particolari e meno pubblicizzati dalle guide. Una cosa per me intollerante girando nelle città e’ stato alla fine, oltre allo sporco, il rumore!!! Avevano consigliato la crema per il naso all’eucalipto e i tappi per le orecchie. La prima e’ rimasto nel beauty case, e ne ho potuto fare a meno sopportando i mal odori, ma i secondi assolutamente no! Schiacciano il clacson ogni momento, anche senza motivo! Alla fine a ognuno che mi suonava, anche quando c’erano 10 metri di distanza fra me e lui, ce lo mandavo e di brutto. Anche la vita sociale e’ un po’, diciamo particolare… Qui la casta e’ tutto. Posizione sociale, lavoro, matrimoni. E il fulcro della vita e’ la famiglia patriarcale. Non esser sposati a 35 anni e’ sgradito. Come esserlo stato e non esserlo più (anche se i divorzi stanno un po’ aumentando). Infatti ogni volta che mi chiedevano età / moglie rimanevano tutti sorpresi e un po’ straniti che a 44 anni sono single Il bello e’ che la maggior parte delle unioni hindù, anche se non è scritto da nessuna parte, sono combinate dalle famiglie. E se non si trovano mogli o martiri per il proprio figlio si parte a volte anche con agenzie e annunci sui quotidiani, e se poi viene trovata la dolce metà, e anche gli oroscopi sono ok, si fa l’incontro fra due famiglie. Fondamentale qui anche la cremazione per purificare e consolare il defunto e i parenti vivi. La gente comune raramente e’ tranquilla e simpatica. Fra quelli che incontri per strada in pochi si aprono a parlare con il turista, molti ci provano sempre, assaltandoti con proposte di acquisti, giri, locali, ecc… ecc… e provano sempre a fotterti. In parte comprensibile vista la povertà, ma solo in parte, perché ho visitato nazioni più povere e la gente non era così! Sorrisi pochissimi e poi puzzano che la metà basta! Caratteri somatici brutti – per esser gentile – e sono davvero il popolo più sporco che abbia mai incontrato in vita mia. Secchi mondezza? Bagni pubblici? Sapone negli alberghi o alle stazioni? Salviettini o tovaglioli nei locali? Mai visti! Si butta tutto per strada, la pipì la fai al primo muretto che trovi, and what is sapone?! Spazzatura in giro ovunque! Per camminare a volte, per quant’e’, sei costretto a passarci sopra. A confronto nel Chiapas o nel villaggio Masai al Serengheti avrei mangiato apparecchiando per terra. E meno male che avevo con me le saponettine che porto sempre via dagli alberghi quando giro e le salviettine umide che ho rubato a Dami Loro si lavavo sempre solo quando devono entrare in un tempio! E comunque io oramai dopo tutti questi viaggi in giro per il mondo ho gli anticorpi coi contro-cojoni!!! Zero medicine nel Rajasthan! Altra cosa che non ho sopportato e’ che sputano per terra ogni due per tre. Sei dietro all’autista del tuk tuk e rallenti perché c’è traffico? Due clacsonate e uno sputo e si riparte… Il panorama gastronomico e’ legato a tanti piatti vegetariani con anche alcuni buoni di carne (pollo o capra). E soprattuto alle spezie che trovi ovunque, con la curcuma e i semi di coriandolo diffusissime. Mentre il pane più diffuso e’ il chapati – anche detto roti – integrale e non lievitato. La cucina mi e’ piaciuta ma troppo, troppo uguale, quasi ovunque sono stato. Spesso peraltro i menù propongono tantissimi piatti, li chiedi e ti dicono che non hanno quello che hai scelto spostandoti sempre su pollo o la pecora al curry e poi quasi sempre soprattutto le GuestHouse, che pubblicizzano che hanno anche il ristorante sulla terrazza, hanno delle fotocopie dei menù che trovi altrove – sono tutti uguali, identico anche il menù di plastica – e non hanno una loro cucina ma il piatto arriva da qualche casa/ristorante vicino. Anche relativamente al cibo ho preferito la delicatezza di quello vietnamita o la piccantezza e la varietà di quello thai. E poi qui niente mucca e soprattutto ZERO vino!!!! Ma che scherziamo?!? Io qua non potrei viverci Per lo shopping nei bazar ci sono sempre tante, ma tante cose, ma non era mai facile capire la qualità dell’articolo. Perlomeno all’inizio. Poi piano piano vedendo spesso cose identiche anche cambiando città a 500km capivi che erano articoli non artigianali. Ma se facevi più attenzione vedevi poi bellissimo tappeti, articoli di pelletteria, argento, bracciali e collane in pietre, abbigliamento, pashmine e foulard di chachemire. Per le religione e la spiritualità possiamo aprire un dibattito. La cosa più importante per loro e’ pregare, sacrificare, cremare, ed entrare in un tempio ogni santa mattina, rispetto a qualsiasi altra cosa… La Spiritualità e’ il fil ruoge di tutto. Permea ogni aspetto della vita degli hindu che sono l’80% della popolazione. Essere Hindu significa credere nel Brahman, l’uno, l’eterno, infinito e non creato. E in tanti altri dei. Come Vishnu, che sostiene e protegge tutto ciò che è buono, Shiva il distruttore, Ganesh con la testa d’elefante dio della buona sorte. Poi vacche e serpenti, venerati da sempre. Il primo e’ fertilità e nutrimento, l’altro prosperità. Ed esser un Hindu devoto vuol dire almeno 1 pellegrinaggio all’anno! Almeno… e sono fatti per diversi motivi come esaudire un desiderio, portare le ceneri di un patente in un fiume sacro o altro. E qui la vita e’ un semplice ciclo. Si muore e poi si rinasce. E rinasci a seconda di come ti sei comportato nella vita precedente. Se porti a compimento il tuo dharma (dovere sociale) rinasci nella casta superiore Insomma tirando le somme a me quest’India non m’ha fatto impazzire. Voto 5 Parte 2 – Ladakh Fare gli ultimi 5 giorni nel Ladakh e’ stata la scelta migliore che ho fatto quando ho pianificato il giro tagliando alcune tappe in Rajasthan, cambiando così completamente la realtà in cui avrei finito la vacanza. Il Ladakh, un ‘piccolo Tibet’, e’ un piccolo gioiellino! Girandolo si capisce perfettamente a prima vista che con l’India non centra nulla. E’ una regione solo recentemente annessa e in tutto completamente differente. Oggi e’ una delle ultime comunità buddisthe tantriche al mondo. Qui, a differenza del Rajasthan, i fattori comuni che ho trovato sono stati: gente dalla cordialità disarmante, consapevolezza ambientale ed estrema pulizia, paesaggi/natura fantastici e ottimo cibo. La zona non è facilmente raggiungibile, si apre al turismo da giugno a settembre riempendosi di appassionati di attività all’aperto: trekking, biking, rafting, relax, passeggiate al fresco, anziché al caldo umido delle zone basse spesso battute dai monsoni in quel periodo. Qui solo sole!!! Aspre montagne con le cime innevate, monasteri tibetani arroccati, laghi di montagna, canyon, faglie e campi irrigati che formano il territorio. Leh e’ incantevole, bella la Indu Valley e meravigliosa la Nubra Valley. La popolazione qui e’ per lo più tibetana / buddistha e infatti la religione prevalente non è l’hindu. E’ un posto anche un po’ più caro rispetto alle altre regioni ma vale la spesa! Anche il cibo stesso e’ leggermente più caro ma anche più vario vista anche la vicinanza con altri paesi. Ottimo i momo (ravioli) e la thukpa (zuppa di noodles). Tirando anche qui le somme, per il Ladakh, voto 8! Conclusioni: Ripeto che ho espresso un giudizio estremamente personale. Vi saranno quindi di sicuro pareri diversi da parte di chi c’è già stato e di chi ci verrà organizzando viaggi diversi, più ‘distaccati’ e tranquilli, o addirittura da mille e una notte. Io ero solo, e solo, senza guide e/o autisti, volevo girare nelle città e spostarmi. Un po’ una sorta di avventure nel mondo in solitaria. Se dovessi fare oggi una classifica delle nazioni asiatiche visitate per consigliare dove andare, considerando 1) natura, 2) cultura, 3) gente e 4) cucina, l’India del nord e’ all’ultimo posto. Questo il mio ordine con il voto da 1 a 5 per i 4 temi su citati: 1) Vietnam (5/3/5/5) – 2) Thailandia (5/4/4/5) – 3) Laos (4/3/5/4) – 4) Cambogia (4/4/3/4) …. 5) India* (3/5/3/3) *: escluso Ladakh Il viaggio e’ stato comunque una bell’esperienza, che non scorderò mai, nel bene e nel male. E non vedo l’ora di scaricare nel Mac le foto per cominciare a selezionarle, lavorarle e pubblicarle. Credo che creerò un video con al suo interno sia le fotografie che le riprese con la telecamera, e poi farò il solito libro fotografico dove stavolta però non solo scatti … ci metterò dentro anche il diario di viaggio. Per le prossime vacanze probabilmente basta Asia! O America Latina – dove non sono mai stato – o tornerò in Africa! Ma manca tempo per decidere… prima c’è Natale per una bella settimana in giro per qualche capitale europea
Bye bye India…
Il mio diario di viaggio in India Senza rileggermelo o verificare errori grammaticali copio anche qui, così sarà più facile ritrovarlo tutto assieme, il mio diario di viaggio in India, pubblicato quotidianamente su Facebook durante le mie tappe ad agosto del 2014.
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usaroadtripp-blog · 7 years
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Day 75
“I'm afraid to close my eyes, I'm afraid to open them.”
Nel 1994 giornali e televisioni locali, annunciano la scomparsa di tre ragazzi Heather Donahue, Joshua Leonard e Michael C. Williams, presso il villaggio di Burkittsville, nella contea di Frederick, nel Maryland. Tutto ciò che viene recuperato è “found footage”, nastri di un video che i ragazzi stavano registrando, dopo essersi addentrati nel bosco situato poco fuori dalla cittadina. All'epoca internet non era come oggi, non esisteva Facebook ovviamente e sui siti inizò a circolare una vecchia e macabra storia, una paurosa leggenda che i padri tramandarono ai figli negli ultimi due secoli. Era il 1785 diversi bambini accusarono Elly Kedward di averli attirati nella sua casa per ucciderli. Bandita di stregoneria l'anziana donna venne legata e lasciata morire nel medesimo bosco, ma il suo corpo non venne mai ritrovato. Nel corso degli mesi successivi però altri bambini sparirono nel nulla e con loro anche gli accusatori della vecchia Elly. Gli abitanti fuggirono dal paese e giurarono di non pronunciare di nuovo il nome di Elly Kedward. Un secolo dopo il villaggio venne rifondato con il nome di Burkittsville, quasi a voler cancellare, il vecchio nome “Blair” ormai legato alle misteriose sparizioni. Sembrava tutto finito ma di altri bambini si persero le tracce, Eileen Treacle ad esempio di soli 10 anni, di cui non si seppe più nulla e Robin Weaver, 8 anni, data per dispersa nel 1886. Furono organizzati diversi gruppi di spedizione per ritrovarla, la bambina tornò tre giorni, mentre un gruppo di ricerca scomparve.
Tra il 1940 e il 1941 altri sette bambini sparirono, venne accusato un uomo solitario che viveva da quelle parti, Rustin Parr, nella sua casa vennero ritrovati i piccoli corpi orribilmente mutilati. Messo sotto torchio dalla polizia l'uomo sotto shock ammise di essere stato costretto a farlo per ordine del “fantasma di una donna anziana” che si aggirava nei boschi vicino la sua casa. Parr raccontò tutto minuziosamente e venne condannato all'ergastolo. Sembrava tutto finito, l'incubo era diventato leggenda, fino alla sparizione di Heather, Joshua e Michael, questi tre studenti universitari. Solo il ritrovamento della telecamera avrebbe fatto luce sul loro destino e spiegato il mistero della strega di Burkittsville, o forse dovrei dire della strega di Blair.
Ovviamente avrete capito che tutta questa storia è il frutto dell'immaginazione di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez, che nel 1997 girarono il film “The Blair Witch Project” un mockumentary costato poche migliaia di dollari e che ne incassò 248.6 milioni in tutto il mondo, grazie ad un'intelligente guerrilla marketing e con fake news riguardo la sparizione di questi tre ragazzi, i cui nomi in realtà erano proprio i nomi degli attori.
Per Burkittsville ci sono passato ma non ho molta voglia di restarci, il posto è spettrale, provare per credere e non è un caso che i ragazzi abbiano ambientato qui la storia della strega di Blair. In realtà non ci sono andato click to click, mi trovavo in effetti a pochi chilometri da Baltimora e sapevo che qui avevano girato questo piccolo cult movie, solo per curiosità mi sono allungato fino a Burkittsville giusto per vedere com'è oggi il villaggio.
Al 8201 Snowden River Pkwy, Columbia poco fuori Baltimora invece mi sono fermato a mangiare al Victoria Gastro Pub , magari ci fossero Pub così anche a Roma!!! La cucina è straordinariamente ricca e moderna, si va dall'haute cusine al più ghiotto burger. Questo secondo me è una formula che in Italia non funzionerebbe ma sarebbe molto interessante da provare, un posto cordiale e per nulla pretenzioso, un caldo e accogliente Pub, rifinito bene ovviamente, ma alla fine sempre un Pub, dove mangiare secondo le proprie tasche o le proprie voglie. Potrete trovare le foto di alcuni piatti, mentre stavolta non mi dilungo sul menu che preferisco postarvi direttamente su questo link https://victoriagastropub.com/.
Ascolto molta musica ma stranamente solo quest'estate, grazie al mio amico “Bolla” ho sentito parlare dei Future Island, indie synthpop band locale che dovrebbero far pensare ai M83, ma che a me suonano molto più spontanei nella costruzione melodia e più leggeri negli arrangiamenti, in più sono molto meno fighetti, anzi sembrano più una weekend band di ragionieri di Baltimora! Oggi ascoltiamo “Ran” dal loro ultimo disco The Far Field del 2017
https://www.youtube.com/watch?v=MlQunle406U
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