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#parole sommerse
parolesommerse · 23 days
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@luigimancini
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ilfildiarianna · 4 months
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Come era vera, come era genuina, come era bella. Lui non l'avrebbe mai raggiunta. Lei era fuori, era straniera, apparteneva a un'umanità diversa, irraggiungibile, era l'incarnazione di.. di.. della del... maledizione di tutto quello che lui finora non ha avuto finora e idiotamente disprezzava, della follia, delle notti spavalde e condannate, delle cosiddette avventure le quali sono fatte di sussurri nell'angolo proibito, di corridoi di grand hotel, porte che si schiudono senza scricchiolii, parole sommerse sul bordo del letto, quelle trasparenze sessuali, la vorticosa storia che la affascina, la risata, il braccio che cinge alla vita e lei si abbandona, lentamente oh sì, sì, lentamente mentre al di fuori, sul giardino, in completo silenzio, posa la luna.
Dino Buzzati
Un amore
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abatelunare · 1 year
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Il vocabolario di una lingua viva non è pietrificato, poiché esso vive trasformazioni ininterrotte: certe parole vengono sommerse, muoiono, altre nascono, vengono alla luce, altre ancora vengono importate dall'«estero» e passano i confini.
Wassily Kandinsky, Punto linea superficie
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chiediloallapolvere · 6 months
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Bruciare
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Il Lazzaretto è diventato il mio mondo, un'oscura dimora in cui mi trovo sorprendentemente a mio agio. Trascorro gran parte delle mie giornate al cimitero, scavando fosse per coloro che hanno perso la battaglia contro le malattie implacabili. Il suolo freddo e umido accoglie le mie mani come un vecchio amico e, in mezzo ai lamenti silenziosi e alle preghiere sommerse, trovo una strana pace interiore. È come se la morte stessa mi avvolgesse in un abbraccio accogliente offrendomi consolazione in un mondo di sofferenza e desolazione.
Honey, con i suoi occhi viola che sembrano penetrare nel profondo della mia anima, è diventata una presenza rassicurante. Passare del tempo con lei è sorprendentemente semplice, come se ci conoscessimo da una vita. Le sue parole sono poche ma significative, trasmettono una saggezza antica e una comprensione profonda di questo mondo distorto e decadente. La sua esistenza mi dà un senso di normalità in mezzo a tutta questa follia, un anello di stabilità in un regno di caos e malattia.
Mentre camminiamo attraverso i corridoi silenziosi del Lazzaretto, i nostri passi in sintonia con il respiro affannoso dell'edificio, sembra che il tempo si fermi. Il suono delle nostre voci soffocate dalle ombre e dalle mura di pietra antica crea un'atmosfera intima, quasi magica. Ci scambiamo sorrisi fugaci e silenzi comprensivi, condividendo un legame leggerissimo che supera le parole e si insinua nelle pieghe del nostro essere.
Eppure non posso ignorare il sottile senso di inquietudine che accompagna la mia relazione con Lei. È come se una parte di me sapesse che c'è qualcosa di oscuro e nascosto dietro quegli occhi viola, qualcosa che non posso comprendere completamente.
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sguardimora · 1 year
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[ph. Michele Montolli; Paolo Brancalion]
Nei giorni scorsi la compagnia Kepler-452 ha fatto visita al Centro d’Incontro per l’Alzheimer di Rimini e ha avuto l’occasione di conoscere due gruppi di persone che settimanalmente vengono accolti presso il centro. Come già accaduto durante il periodo di residenza a Budapest dove hanno incontrato altre persone che vivevano all’interno di un centro per l’Alzheimer anche durante la residenza di Mondaino hanno avuto l’opportunità di condividere con queste persone, accompagnate dalle psicologhe del centro, le domande che stanno muovendo il processo creativo e di ricerca per Album: Che cos’è un ricordo? Dove vanno i ricordi quando svaniscono? Paolo Brancalion ha curato l’organizzazione di questo incontro insieme a Michele Montolli che ha raccolto alcune immagini e parole per raccontare alcuni di questi momenti di condivisione.
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Ci aspettavano, tutti trepidanti, attorno ad un grande tavolo; saranno stati una trentina.
“Benvenuti agli attori!”
“Io sono stata a Mondaino!”
Già prima di iniziare una signora con in mano dei fogli di giornale plastificati ci racconta che più di cinquant’anni fa, grazie all’intercessione della maestra del paese, nel suo paese contadino arrivarono dei carri colmi di regali per tutti i bambini. Primo tuffo, inaspettato, nei ricordi.
Poi la compagnia si presenta, raccontando che la loro ricerca si sta muovendo attorno al tema della memoria e che, per forza di cose, si sta intrecciando con l’emergenza climatica ancora in corso in Romagna, seguendo questa metafora: come degli oggetti e suppellettili dimenticati emergono dalle case durante l’alluvione così dei ricordi sbiaditi, persi in qualche angolo oscuro, ad un tratto possono tornare in superficie.
“Buttate via tutti questi ricordi, da domani inizia una nuova vita!”
Questa la vivace esclamazione riportata da una signora, che si riferiva ad un episodio accaduto nei giorni scorsi in una delle tante case sommerse dal fango.
Nell’ultimo secolo ci sono stati eventi meteorologici estremi come quelli attuali? Questo l’innesco del discorso nei meandri della memoria. Alcuni prendono appunti di quanto detto, per fissarlo, altri alzano continuamente la mano per far fluire i racconti, prima che sfuggano. E allora iniziano ad apparire le immagini dal passato come il momento in cui “il mare era arrivato fino alle prime case e la mastella diventava una barca per muoversi” o di quando “la bibbia fu l’unico libro a salvarsi nel seminterrato allagato”. E poi il trauma dell’alluvione nel Polesine che ha costretto all’emigrazione molte famiglie, quello di Firenze del ’66 in cui molti volontari sono accorsi in aiuto, come oggi.
Cosa sono i ricordi? Un flash, un’emozione, un trauma, un luogo, una fotografia. Qualcosa di estremamente concreto per queste persone, tracce dense di sensazioni provate sulla pelle, tattili. Ma anche il luogo del primo innamoramento, quando “credevo di essere un conquistatore e invece sono stato conquistato”, o l’incubo ricorrente di essere bloccati in un posto buio che poi si rivela essere, forse, il ricordo traumatico e inconscio del parto difficile della madre.
Dove vanno i ricordi? Restano nella testa fino a che una parola non li liberi, passano nella memoria degli altri, forse vanno sulla luna. Di sicuro “hanno un gran senso dell’orientamento”, non si perdono davvero. Ecco allora che con la musica e i movimenti sperimentati durante gli esercizi del metodo Hobart, che qui viene applicato integralmente, affiorano immagini, suoni e odori sbiaditi, che si cerca di estrapolare il più possibile, andando a delineare i profili dei ricordi di una vita.
Mai come in queste occasioni emerge forte la consapevolezza che la memoria è anche e soprattutto un fatto collettivo, che affidiamo agli altri, di cui ci prendiamo cura nelle relazioni. E il progetto Album intende esplorare proprio questa dimensione.
Michele Montolli
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Over the past few days the Kepler-452 company visited the Alzheimer's Meeting Centre in Rimini and had the opportunity to meet two groups of people who are received weekly at the centre. As had already happened during their residency in Budapest where they met other people living in an Alzheimer's centre, also during their residency in Mondaino they had the opportunity to share with these people, accompanied by the centre's psychologists, the questions that are driving the creative and research process for Album: What is a memory? Where do memories go when they vanish? Paolo Brancalion organised this meeting together with Michele Montolli, who collected some images and words to recount some of these moments of sharing.
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They were waiting for us, all eagerly, around a large table; there must have been about thirty of them.
"Welcome to the actors!"
"I have been to Mondaino!"
Even before we began, a lady holding some laminated newspaper sheets told us that more than fifty years ago, thanks to the intercession of the village schoolteacher, wagons full of presents for all the children arrived in her peasant village. First, an unexpected plunge into memories.
Then the company introduces itself, saying that their research is moving around the theme of memory and that, of necessity, it is intertwining with the climatic emergency still underway in Romagna, following this metaphor: just as forgotten objects and furnishings emerge from houses during a flood, so faded memories, lost in some obscure corner, can suddenly come back to the surface.
"Throw away all these memories, from tomorrow a new life begins!"
This was the lively exclamation reported by a lady, referring to an incident that occurred in recent days in one of the many houses submerged in mud.
Have there been such extreme weather events in the last century? That was the trigger for the discourse in the meanders of memory. Some take notes of what was said, to fix it, others continuously raise their hands to let the stories flow, before they escape. And then images from the past begin to appear, such as the time when 'the sea had reached the first houses and the mastella became a boat to move around' or when 'the Bible was the only book saved in the flooded basement'. And then the trauma of the flood in Polesine that forced many families to emigrate, the one in Florence in '66 when many volunteers rushed to help, as today.
What are memories? A flash, an emotion, a trauma, a place, a photograph. Something extremely concrete for these people, dense traces of sensations felt on the skin, tactile. But also the place of first falling in love, when 'I thought I was a conqueror and instead I was conquered', or the recurring nightmare of being stuck in a dark place that later turns out to be, perhaps, the traumatic, unconscious memory of the mother's difficult birth.
Where do the memories go? They stay in the head until a word releases them, they pass into the memory of others, perhaps they go to the moon. They certainly 'have a great sense of direction', they don't really get lost. And so it is that with the music and movements experienced during the exercises of the Hobart method, which is applied in full here, faded images, sounds and smells surface, which we try to extrapolate as much as possible, outlining the memories of a lifetime.
Never before has there been such a strong awareness that memory is also and above all a collective fact, which we entrust to others, which we take care of in relationships. And the Album project intends to explore precisely this dimension.
Michele Montolli
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laniaakea · 1 year
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ombre
Le ombre sono proiezioni di noi stessi, dal punto di vista della luce. Dalle nostre ombre allungate sappiamo che, per il sole, nelle sere d'estate, siamo alti come alberi. Di solito, la nostra ombra dipende tanto dalla forma che abbiamo noi, quanto dalla posizione della fonte di luce. Questo lo sanno bene gli artisti.
A volte invece l'Ombra non dipende da nessuna delle due cose. Questo lo sanno tutti, in fondo. Ma si cerca di fare finta di niente.
Quando prese coscienza della sua ombra per la prima volta, Anna C. stava tornando a casa in autobus. Era un venerdì pomeriggio d'inverno, e le fredde luci al led della vettura l'avevano di colpo illuminata, rannicchiata com'era con la testa appoggiata al finestrino. Le sembrò per un'attimo che le chiazze scure intorno a se si fossero ritratte con un attimo di ritardo. Era comprensibile che non volessero lasciare spazio all'atmosfera asettica di un autobus vuoto, illuminato troppo bene. Ma certi pensieri è meglio attribuirli al mal di testa del fine settimana, che il freddo fuori dal finestrino stava cercando di alleviare. 
L'impressione istintiva era che la luce faticasse ad illuminare gli angoli. Che stesse per venire a meno del suo compito di allagare il veicolo. La luce si comportava come un fluido e visto che il volume dell'autobus era rimasto costante, la pressione era salita di colpo, quando la luce era stata accesa. Le ombre erano state spazzate via dai fotoni. L'unico spazio rimasto era quello tra Anna e il finestrino.
Per qualche momento Anna immaginò di tenerle strette, le ombre, sulla guancia e avvolte intorno al collo, come una soffice sciarpa, che cadeva con eleganti pieghe sul suo petto e sul suo braccio. Faceva molto freddo. Per quante luci ci fossero sull'autobus nella sua gloria sleek, non funzionava comunque il riscaldamento.
Forse si addormentò, forse no. In qualche modo arrivò fino a casa. Si reggeva appena in piedi. Faceva ancora freddo; la porta-finestra del balcone era rimasta aperta. Le luci al sodio invadevano il salotto e coloravano d'oro la brina sui vetri. 
Quella che prima era una sciarpa diventò un imponente mantello, impermeabile e denso come una pelliccia, che ricopriva tutto il pavimento dell'atrio e pendeva dalle spalle di Anna. 
"Non si gira per casa con la giacca addosso!"
La "giacca" ubbidì e rimase nell'atrio finché la donna chiuse la porta e andò farsi una meritata doccia.
La stanchezza la sommerse con più intensità dei led nei trasporti pubblici. Quando si buttò nel letto a faccia in giù erano le sette di sera, e l'ombra era fisicamente tangibile. Con le tapparelle abbassate, l'unica luce proveniva dall'abat-jour sul comodino. Restò accesa tutta la notte, perché Anna si era addormentata senza spegnerla.
L'Ombra prese l'occasione per studiare la nuova cosa che doveva accompagnare, con la quale si era nascosta, e che poi l'aveva portata appresso fin nella propria casa. 
Era un essere umano, un essere lungo e allampanato, con una testa sproporzionata. Era privo di pelliccia, ma occorreva comunque studiare le pieghe e le traslucenze delle stoffe di cui si copriva.
Alla testa dell'essere (di nome Anna) era attaccato il resto del corpo con quattro arti, e ciascuno di essi aveva all'estremità cinque appendici, dieci tozze e dieci allungate. "Anna" mormorava parole soffici e incomprensibili durante il sonno e l'Ombra imitava quei suoni, e ammirava il tatuaggio sul suo braccio, del quale condivideva il colore, ma che non pensava dover imitare. 
L'Ombra studiò la forma del suo viso e i suoi capelli, scuri e ricci, di cui doveva imparare alla perfezione ogni momento prevedibile. E piano piano quella che era sembrata una forma restrittiva e imperfetta, sembrava sempre più naturale. Con la luce accesa si vedevano ancora tutti i colori, del dipinto astratto e privo d'anima appeso alla parete, dei vestiti nell'armadio lasciato aperto, dei contenuti dello zaino riversati per terra, era tutto a sua disposizione. C'era tanto da imparare per un'Ombra curiosa, e la notte era lunghissima.
La mattina seguente Anna si svegliò e si riaddormentò. Poi si risvegliò e rimase a rigirarsi nel letto fino all'ora di pranzo, quando il suo stomaco la indusse a scattare in piedi. Altro che voglia di vivere e calci in culo. La fame è più brava a tirarti fuori dal letto. Quando lasciò la stanza per andare in cucina non si accorse di aver lasciato indietro qualcosa.
Attraverso un buco nelle persiane, l'Ombra era sgattaiolata fuori lungo la grondaia, e dal balcone del salotto era arrivata alla finestra della cucina. Lì tra il freddo e l'umidità disegnò lettere scure, imparate dai giornali che negli anni i passeggeri avevano dimenticato sui sedili.
“Chi sei?” La scritta era fuligginosa, ma comprensibile.
Guardando la scritta, poi la tazza di caffè che aveva in mano e le spire di vapore che salivano, Anna pensò che doveva essere proprio stanca. Forse era il caso di andare a farsi vedere da uno bravo. Non c’era da scherzare, pensò: un conto è essere un po’ depressi, un conto è avere le allucinazioni. Così proprio non si può andare avanti… Bisogna ammettere però, che il sabato mattina è sempre un po’ surreale. 
Quindi si avvicinò al vetro, ci alitò sopra per creare della condensa e scrisse: ”ANNA”.
Le lettere si moltiplicarono e si spostarono sotto i suoi occhi sempre più sgranati: “Allora anche io sono ANNA!”
La vera Anna non si scompose troppo, perché quando sei convinto di sognare ti aspetti gli eventi inaspettati. Non reagì però molto razionalmente, infatti chiese ad alta voce: "Tu cosa sei?”
Come un ospite abituale, l’Ombra entrò da uno spiffero e si attaccò alle ciabatte di Anna, imitando la sua forma. Lei si accorse solo in quel momento che era dalla mattina che non proiettava più un’ombra dietro di sé. La nuova Ombra aprì uno spiraglio simile a un sorriso in corrispondenza della bocca e disse, con la voce di colei che imitava: “Sono la tua Ombra, Anna. Ma voglio essere una persona. Voglio essere te.”
Ormai era tardi per farsi domande come “Sono impazzita?”, perché la risposta pareva fin troppo evidente.
In quel momento l’Ombra prese dimensione, come se si gonfiasse, e pian piano cominciò a colorarsi come un umano e a risultare visibile ai coni oltre che ai bastoncelli, fino a diventare la copia perfetta di Anna, dalla quale aveva già imparato qualcosa sugli umani.
Anna e la sua Ombra passarono insieme il fine settimana, a parlare e a dormire, perché Anna era davvero molto stanca. Talmente stanca, che quando si ripresentò il lunedì mattina, chiese all’Ombra, ANNA, se poteva sostituirla per oggi al lavoro.
“Non posso andare da nessuna parte senza di te.” rispose. 
Allora Anna si sdraiò per terra, e sprofondò pian piano nel pavimento, fino ad essere poco più di una figura bidimensionale. “Oggi proprio non ce la faccio ad alzarmi”, e sbiadirono anche i suoi colori. 
“Davvero preferisci strisciare a terra e lungo i muri come un topo impaurito, come sono stata costretta a fare io per anni? Davvero lasceresti a me la tua vita da vivere?”
“Non si può sempre essere presenti del tutto. E io non riesco ad alzarmi contro la gravità, non oggi.”
“Quindi posso sostituirti per un po’?”
“Sarebbe un favore. A volte è meglio, vivere come Ombre.”
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Pakistan: nessun ritorno a scuola per migliaia di bambini?
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Almeno 18.590 scuole sono state danneggiate o distrutte dalle inondazioni che hanno colpito il Pakistan. Le stime iniziali parlano di almeno 670.000 bambini colpiti anche se il numero reale potrebbe essere molto più alto. È quanto afferma Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini in pericolo e per garantire loro un futuro. Pakistan, la situazione Con interi villaggi sommersi e la pioggia che continua a cadere, migliaia di studenti in tutto il Paese, che si stavano preparando per l'inizio dell'anno scolastico, hanno trovato le loro scuole completamente sommerse, con libri, lavagne, sedie e tavoli che galleggiavano. Nella regione più colpita, la provincia di Sindh, quasi 16.000 scuole sono danneggiate o distrutte. Circa 5.500 scuole sono state utilizzate per ospitare i bambini e le famiglie sfollate a causa delle inondazioni, che hanno sommerso un terzo del Paese colpendo almeno il 14% della popolazione e sovraccaricando i servizi di emergenza. Emergenza clima Da giugno 2022 il Pakistan sta sperimentando un clima monsonico estremo con precipitazioni del 67% superiori ai livelli normali solo in quel mese. Il governo ha descritto la situazione come una "catastrofe climatica di proporzioni inimmaginabili" che ha colpito più di 33 milioni di persone, tra cui 11 milioni di bambini. Quasi 400 bambini sono morti e altri 550 sono rimasti feriti a causa del crollo delle case o delle inondazioni. Più di 3.800 sono gli adulti feriti o che hanno perso la vita. Le parole e l'appello di Save the Children "L'entità dei danni a cui stiamo assistendo impedirà a migliaia di bambini di tornare presto a scuola. Abbiamo visto interi edifici completamente spazzati via. I bambini, già alle prese con lo shock e l'orrore per ciò che sta accadendo intorno a loro, devono ora affrontare anche la perdita delle loro aule e dei luoghi sicuri in cui imparare. Sappiamo per esperienza che ci vuole tempo per riparare le scuole e molti di questi bambini hanno già perso mesi di istruzione a causa della COVID-19”, ha dichiarato Khuram Gondal, Direttore nazionale di Save the Children per il Pakistan. "Facciamo appello - ha aggiunto - ai donatori di tutto il mondo affinché riconoscano la terribile situazione del Pakistan e si impegnino a fondo per aiutare i bambini. Oltre alle forniture immediate salvavita, come rifugi, cibo e acqua, è necessario anche creare scuole di emergenza dove i bambini possano andare, essere al sicuro e imparare. Le scuole sono fondamentali sia per il futuro dei bambini che per il loro benessere attuale: sono ambienti importanti e offrono routine e stabilità in mezzo al caos". Cosa sta facendo l'organizzazione? Le inondazioni e le piogge torrenziali sono attribuite al peggioramento degli andamenti meteorologici a causa della crisi climatica. Il Pakistan è classificato come uno dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, pur contribuendo a meno dell'1% delle emissioni globali di gas serra. La situazione, secondo le previsioni, è destinata a peggiorare nei prossimi giorni e nelle prossime settimane quando le forti piogge continueranno a colpire le regioni già allagate. Save the Children sta già operando nelle province più colpite e sta mettendo in campo squadre in altre aree duramente colpite per valutare le esigenze immediate di bambini e famiglie. L’Organizzazione ha raggiunto finora con il suo intervento più di 11.000 persone, tra cui circa 5.800 bambini e sta lavorando a stretto contatto con le autorità nazionali e provinciali per la gestione delle catastrofi. Read the full article
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corallorosso · 2 years
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Ecco cosa succederà alle città costiere se non ci svegliamo Se ne parlava almeno dal 2017, ma ora è ufficiale: l’Indonesia sposterà la propria capitale dalla storica città di Giacarta, ogni anno più vulnerabile alle ricadute del riscaldamento globale, in una metropoli che verrà costruita da zero. La futura capitale indonesiana sorgerà nella regione di Kalimantan, nella parte indonesiana dell’isola del Borneo, e si chiamerà Nusantara, che in giavanese significa “altre isole” o “arcipelago”. L’idea del governo indonesiano, infatti, è di approfittare dello spostamento forzato della capitale per decentralizzare l’attività economica del paese e incentivare una ridistribuzione della popolazione, oggi concentrata in massima parte a Giacarta. C’è molto da imparare da questa storia, e non solo perché è la prima volta che un paese decide di “abbandonare” la propria capitale a causa della crisi climatica, ma anche perché gli errori fatti nella gestione della vecchia capitale possono fungere da cartina tornasole di un approccio all’insediamento e allo sviluppo che si sta rivelando problematico ovunque. (...) Oggi il vecchio territorio del regno di Sunda ospita talmente tante persone che è costantemente a corto di acqua potabile, il che negli anni ha portato le amministrazioni di Giacarta ad attingere senza remore alle falde acquifere sotterranee, prosciugandole gradualmente e portando il terreno dove sorgono gli edifici a compattarsi sempre di più. Questo processo di subsidenza è ormai talmente rapido che Giacarta affonda ogni anno di circa 25 cm, il che significa che la città è ogni anno più vulnerabile all’innalzamento delle acque previsto di qui ai prossimi decenni (...) Quello che sta succedendo sull’isola di Giava si verifica sempre più di frequente, in punti del globo lontanissimi tra loro, e nonostante le marcate differenze storiche e culturali, le ragioni sono quasi sempre le stesse. Prendiamo ad esempio il caso della Louisiana, un territorio relativamente giovane, formato dal sedimento sparso nei secoli dal Mississippi e dunque già naturalmente soggetto alla subsidenza. Ora che il fiume è intrappolato in alti argini, tutto il sedimento che prima nutriva il suolo finisce sputato nel Golfo del Messico. Abbiamo quindi un terreno che tende a compattarsi, che non viene nutrito, e che per decenni è stato trivellato a ripetizione per ricavare gas e petrolio. Non stupisce allora che la città di New Orleans stia sprofondando, e con essa tutta la Louisiana meridionale, come non stupisce che in alcune cittadine (come Isle de Jean Charles) i cittadini si trovino già ora costretti ad abbandonare le proprie case per trasferirsi altrove. Situazioni simili si registrano ovunque, dalla Florida, dove a Miami Beach si sono dovute sollevare le strade di un metro per evitare i continui allagamenti, al Galles, dove il villaggio di Fairbourne è condannato a sparire tra le maree; da Kiribati, una piccola nazione del Pacifico che nel 2014 si è vista costretta a comprare del terreno nelle isole Fiji così da avere un posto dove trasferire i suoi 100.000 abitanti, a Taro nelle Isole Salomon, dove un’altra città dovrà essere abbandonata e ricostruita in una zona più elevata; e poi ancora Malè, Bangkok, Amsterdam, Venezia, Basra: la lista di città che rischiano di essere parzialmente o completamente sommerse entro i prossimi vent’anni ci dà un’idea di quanto il problema si presenti già come attuale, e di come un intero modello di sviluppo vada messo in discussione. (...) Una delle manifestazioni già osservabili della crisi climatica consiste nel verificarsi di fenomeni meteorologici sempre meno prevedibili; in parole povere: piove in modo meno regolare, ci sono più uragani, alluvioni più devastanti, mareggiate più intense. Di conseguenza, gli insediamenti sulla costa sono sempre più vulnerabili. Ne abbiamo avuto prova quest’estate quando a Surfside, in Florida, un palazzo di dodici piani, di costruzione abbastanza recente e in condizioni apparentemente buone, è crollato come un castello di sabbia abbandonato alle onde; e ne abbiamo prova ogni mese, in ogni parte del globo. Ma ancora ciò non è sufficiente a innescare un cambio di direzione, e questo perché storicamente è sulle coste che si accumulano le attività economiche e gli insediamenti urbani, ed è ancora lì che tende a spostarsi la ricchezza. (...) Nell’ultimo secolo in tutto il globo il livello dei mari si è innalzato di circa 20 centimetri, e nei prossimi decenni questo processo è destinato ad aggravarsi. Significa che moltissime città costiere si trovano oggi costrette a progettare strategie di adattamento lungimiranti. Purtroppo, nella maggior parte dei casi le risposte a questa criticità si limitano a costosissime strutture (come il MOSE a Venezia), che potranno solo tamponare il problema nel breve termine, per poi rivelarsi sostanzialmente inutili di qui a fine secolo. (...) di Fabio Deotto
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donaruz · 3 years
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2 AGOSTO 1962 nasce MARAM AL-MASRI
Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia.
Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 Agosto del 1962 è nata Maram Al Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni.
Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad.
“Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia colma di sogni senza memoria … e la sua fotografia”.
Quando il suo matrimonio finisce il marito ritorna in Siria portando con se il figlio che Maram non vedrà per i successivi 13 anni. A Lattakia, oggi presa di mira dall’ISIS, vive ancora tutta la sua famiglia.
Maram esordisce a Damasco nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca; poi, dopo un lungo periodo di silenzio, pubblica nel 1997 la raccolta di poesie Ciliegia rossa su piastrelle bianche. Ti guardo viene invece pubblicato a Beirut nel 2000.
Nella raccolta Anime scalze del 2011 Maram dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia, è come vederle queste donne: loro lividi, i loro sogni rapiti, le parole che non possono dire, i sorrisi stanchi:
“Le ho viste tutte passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro”.
La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose.
Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà del 2014:
I versi di Maram sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o che sono morti sotto le torture del regime. Sono “figli della libertà”, indossano abiti usati di stoffa ruvida, sono scalzi o hanno scarpe troppo grandi. I figli dei figli della libertà giocano con brandelli di pneumatici, con i sassi, con i resti degli ordigni esplosi. Nessuno ha più la forza di raccontare loro una favola, ascoltano solo “il frastuono della paura e del freddo / sui marciapiedi / davanti alle porte delle loro case distrutte / negli accampamenti / o / nelle tombe.”
Ha un sogno Maram: diventare un uccello dalle grandi ali e sorvolare finalmente la sua nazione liberata da guerra e violenza, risorta dalle rovine.
“Un esilio è paragonabile ad un albero privato delle radici. Una migrante come me / … / non attecchisce da nessuna parte. / Senza patria / viene da ogni orizzonte, / portata dalle ali del vento”.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram grida forte il proprio dissenso.
I suoi versi diventano atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia vola dalla Francia alla Siria, dall’Occidente all’Oriente: inno di giustizia e di libertà sia per i siriani che hanno deciso di restare sia per quelli che, in cammino per le strade del mondo, cercano pace e accoglienza.
#noisiamoquellichecredonoancoraaquesteemozioni
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marikapettii · 4 years
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quando si parla di tradimento, tutti che si tirano indietro con la tipica frase “io lo non perdonerei mai se mi tradisse ” e sapete la dicevo anche io, ma quando ci sono finita dentro, questa cosa ha spazzato tutto via come un uragano. È così difficile lasciare andare una persona, quando la ami da impazzire, anche se ti sta facendo male? non c’è cosa più brutta di essere costretti a smettere di amare, ma io sono troppo debole e non ci riesco , non voglio. Quanti fattori ci sono da considerare? fin troppi, ma qualsiasi essi siano ti sentirai sempre tu la parte sbagliata, la causa del suo gesto. Dare anima e corpo è sbagliato, perché non ti ritorna indietro, rimangono intrappolati nei ricordi, nei sorrisi, in tutto quello che di bello si era creato ma che con poco si è distrutto. Ma noi ci riproviamo, continuiamo a ripeterci che dimenticheremo la cosa che il nostro amore é più grande, ma non è così. Ho la costante paura, possa stancarsi, possa svegliarsi un giorno e dire “non ho più bisogno di te”, ho paura a lei ci pensi, ho paura di non essere abbastanza forte da sostenere tutti questi dubbi. Perché io non ho niente di chiaro.. cosa si saranno detti, come l’avrà toccata, come l’avrà guardata, come si saranno sfiorati il viso, come faceva a comportarsi allo stesso modo con lei, ma soprattutto come faceva a mentirmi? Io credo che non sia il gesto in se, beh più o meno, ma comunque non sia quella la parte che faccia più male, ma le bugie. Come si fa a mentire alla persona che ami per così tanto tempo? come fai a guardarla negli occhi prometterle solo verità e mentire ancora? come fai a baciarla di nuovo sapendo che quelle labbra sono solo sommerse di bugie? Perché a me? Me lo chiedo così spesso.. perché non vado mai bene , perché le persone se ne vanno, ed io ci metto tutto il mio cuore, ma quello non basta mai e viene calpestato ed io cazzo ho pezzi sparsi ovunque e non so più ricostruirlo e nessuno sarà più in grado di farlo. Ho capito che le parole danno aria alla bocca, che non contano quando i fatti parlano chiaro, che mille ti amo ti possono urlare e non provare neanche amore. Che fa male, capire che la persona che ti fa stare più bene è anche quella che ti uccide lentamente. Forse ho sbagliato io? A dare troppa fiducia, a credere nel nostro amore, a credere nel nostro futuro, a trovarci verità in quel fottuto sguardo che adesso mi sembra così vuoto e così estraneo.. E continuo a ripetermi che non è giusto, io sia qui a piangere da sola nel letto, perché facevo lo stesso quando tutto è iniziato e tu mi screditavi dicendo che ero una paranoica del cazzo quando ho sempre avuto ragione, ma non ho mai smesso di darla a te, anche quando avevo la verità davanti ai miei occhi per me contavano le tue parole, sporche di dolore, lacrime, urla, respiro mancante ma che a te non toccano minimamente. Come fai a fare questo alla persona che ami? C’è questa frase che mi rimbomba nella testa da ore e l’unica risposta che sono riuscita a darmi è “perché non la ami” perché fa schifo avere la consapevolezza di un proprio errore e rifarlo rifarlo rifarlo fino a che capisci di aver perso una grande donna, perché non ho problemi ad ammetterlo perché è così, perché io amo, amo forte , all’impazzata, e tu forse tutto questo amore non lo meriti. Questo dolore mi sta distruggendo e so che l’unico modo per salvarmi è lasciarti ma ti giuro non ci riesco.
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bleeding-waterfalls · 5 years
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Qualcosa che ho scritto in prima superiore
Lei ha una macchina fotografia appesa al collo e la pretesa di potersi nascondere dietro la sua lente. Lui ha la mania di scrivere su di un taccuino tutti i suoi pensieri e spera un giorno di ferire il mondo con le sue parole. Si sono incontrati sotto una pioggia leggera e fredda, un pomeriggio d'inverno in cui sembrava che il cielo rubasse calore dalle loro anime. Lui l'aveva osservata fermarsi a fotografare un passerotto che dormiva con la testa nascosta sotto un'ala e le piume imperlate d'acqua. L'aveva trovata ridicola e pretenziosa, un'altra di quelle ragazzine che si sentono artiste solo perché possiedono una digitale di lusso. Aveva scritto parole feroci contro questa società distorta e disturbante, con la penna che volava veloce sulla carta umida per la pioggia presa. Quando aveva alzato lo sguardo, era scomparsa. Lei lo aveva notato solo nel momento in cui lui si era dimenticato della sua presenza, quando aveva chinato il capo per perdersi nella scrittura. Di nascosto gli aveva scattato una fotografia e poi era andata via. Quando era tornata a casa, la ragazza, aveva scaricato le fotografie di quella giornata sul suo portatile e insoddisfatta le aveva cancellate tutte. Tranne una. Era rimasta a guardare i capelli bagnati di lui che si dividevano in ciocche incollate ai lati del viso, la linea marcata che c'era tra le sue sopracciglia contratte, il naso che quasi sfiorava le pagine del suo libricino, la penna con cui scriveva tenuta con la mano sinistra. Colpita, aveva deciso di togliere ogni colore a quell'immagine e di lasciarla in bianco e nero, in modo che quel senso di solitudine quasi aggressivo che percepiva risaltasse. Quella sera, il ragazzo, aveva sfogliato le pagine dei pensieri che aveva scritto durante la giornata ed era rimasto colpito da come l'aver visto quella ragazza lo avesse stimolato e spinto a provare dei sentimenti così forti. Erano mesi che gli sembrava di non riuscire a provare più niente. Cercò di ricordarsi come fosse fatta, ma nella sua mente compariva solo l'immagine nebulosa di un corpo femminile che al posto della testa aveva una macchina fotografica. Passarono i giorni e la vita sommerse ogni cosa e trascinò via il ricordo del loro incontro. Poi... Era un lunedì mattina fatto di vento, le nuvole correvano così veloci nel cielo che sembrava stessero facendo una gara per vedere chi avrebbe raggiunto per prima il traguardo dell'infinito. Lei aveva i capelli legati in una coda che le dondolava sulla schiena a ogni passo. Lui indossava guanti neri a cui aveva tagliato le dita, per poter scrivere più agilmente nel caso in cui l'ispirazione fosse tornata. Non scriveva da tempo. Lei avvertiva di essere più trasparente che mai e sentiva che se non fosse riuscita a scattare una fotografia che esprimesse quello che provava, si sarebbe dissolta. Lui era seduto su di una panchina di marmo spaccata e guardava la superficie del laghetto artificiale increspata dal vento. Lei cercava di catturare la forma mutevole delle nuvole e le cime degli alberi che si muovevano come danzassero. Quando lui l'aveva vista non l'aveva riconosciuta, ma qualcosa l'aveva spinto a continuare a osservarla attentamente. Un senso di deja vu quasi paralizzante. Quando lei aveva visto lui, era andata con la mente alla fotografia del ragazzo solitario e si era chiesta che fine avessero fatto il suo taccuino e la sua penna. Non si erano parlati, non si erano avvicinati, erano rimasti a qualche metro di distanza a cercare di proseguire sul binario della propria esistenza. Chiusi nella convinzione che la vita, quella vera, capitasse agli altri e non a loro. Un'ora dopo,lei aveva capito che non sarebbe riuscita a fare nemmeno uno scatto,perché la sua attenzione continuava a rimanere vincolata a quel ragazzo seduto alle sue spalle, che lei aveva guardato e poi scelto di ignorare. Era lui che voleva fotografare. Forse, se si fosse girata nuovamente lui sarebbe stato ancora lì, distratto dalla scrittura, e lei lo avrebbe potuto immortalare. Dopo diversi minuti di incoraggiamenti e ripensamenti, di battaglie nella sua testa, la ragazza si voltò di scatto. Lui era ancora lì, fermo, che la guardava. E lei ebbe paura, fu terrorizzata da quello sguardo che la studiava. Perché lei era invisibile, nascosta persino a se stessa. Lei non era. Lei non voleva essere. Mentre lui era lì e con i suoi occhi la rendeva reale, la imprigionava nel suo corpo, la vincolava ad una forma. E nella paura irrazionale che l'aveva colta, lei fu certa che lui potesse vedere sotto gli strati di lana del maglione, sotto il cotone della camicetta leggera che indossava, sotto la plastica dei braccialetti che non toglieva mai. Che lui potessevedere i segni, le cicatrici, di quando si tagliava. Così iniziò a piangere, all'improvviso, come un animale ferito, come se non potesse più smettere di singhiozzare. E questo la spinse a voltarsi di corsa, per scappare. Lui era rimasto a guardarle la schiena per un tempo che non aveva saputo calcolare,era affascinato dai movimenti leggeri del corpo della ragazza, dal suo alzare il viso verso il cielo e aspettare in silenzio. Più volte avrebbe voluto alzarsi per andare da lei e con una scusa qualsiasi iniziarle a parlare, ma non ne aveva avuto il coraggio. Pensava che lei volesse essere lasciata stare. Poi si era voltata e lui si era ritrovato a fissarla in volto e la sua espressione lo aveva colpito come un pugno dato in pieno viso. In lei si agitavano dei sentimenti così intensi che lui ne ebbe fame, desiderò rubarglieli per poterli usare. E seppe che avrebbe dovuto scrivere di quel viso, di quell'espressione smarrita, vulnerabile, di quegli occhi immensi. Così si alzò e la raggiunse proprio mentre lei raccoglieva la borsa della macchina fotografia e si preparava ad andare. Lei lo sentì arrivare e seppe che non poteva più scappare, alzò il viso e provò a sorridere per fermare le lacrime. Lui prese un pacchetto di fazzoletti da una tasca del cappotto e gliela porse senza parlare. Lei lo guardò e il suo sorriso diventò genuino. Lui la guardò e trovò il suo sorriso più bello delle sue lacrime. Andarono via insieme, camminando vicini, in un lunedì di vento... ...come tanti se ne possono trovare...
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parolesommerse · 5 months
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@luigimancini
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nonbiblicnephilim · 5 years
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UNA STORIA TRA DUE CITTA'
Charles Dickens
Erano i gironi migliori, erano i giorni peggiori, era un'epoca di saggezza, era un'epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l'inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta.
Che meraviglia, a pensarci, sono le umane creature: ognuna custodisce un profondo mistero, un segreto per tutte le altre. Un pensiero solenne mi viene alla mente, ogni folta che entro di notte in uan grande città: in ognuna di quelle case ammassate come grappoli bui si racchiude un segreto; ogni cuore che batte in quelle centinaia di migliaia di petti è, per qualche sua fantasia, un segreto anche per il cuore che gli è più vicino! Qualcosa di tremendo e la morte stessa vi hanno a che fare. Più non potrò girare le pagine di questo caro libro che ho amato, e vanamente sperato, col tempo, di leggere tutto. Più non potrò scrutare il profondo di queste insondabili acque in cui, al baluginare di effimere luci, ho potuto scorgere un tesoro sepolto e le altre cose che vi eran sommerse. Era destino che il libro fosse richiuso di colpo, e per sempre, quando non ne avevamo letto che la prima pagina.
La debolezza di quella voce faceva pena e spavento, ma non era debolezza del corpo, anche se la segregazione, e la durezza di quella vita, certo vi avevano parte; la singolarità dolente di quella voce era che quella sua debolezza veniva dalla solitudine e dall'abitudine al silenzio. Era come sentire l'ultima eco morente di un suono emesso chissà quanto tempo prima.
E c'erano filosofi miscredenti e che rimodellavano il mondo a parole, erigendo babeliche torri di carta per poter toccare il cielo.
“Devi credermi se ti dico che mostra il suo cuore di rado, molto di rado, ed è un cuore profondamente ferito. Mio caro, io l'ho visto sanguinare.”
C'è sempre chi, durante un'epidemia, sente dentro di sé una segreta attrazione per la malattia... come una tremenda, inafferrabile inclinazione alla morte. Tutti ci portiamo di nascosto dentro qualche impulso misterioso che, in certe circostanze, viene evocato. ------------------------------------------------ A TALE OF TWO CITIES
It was the best of times, it was the worst of times, it was the age of wisdom, it was the age of foolishness, it was the epoch of belief, it was the epoch of incredulity, it was the season of Light, it was the season of Darkness, it was the spring of hope, it was the winter of despair, we had everything before us, we had nothing before us, we were all going direct to Heaven, we were all going direct the other way.
A wonderful fact to reflect upon, that every human creature is constituted to be that profound secret and mystery to every other. A solemn consideration, when I enter a great city by night, that every one of those darkly clustered houses encloses its own secret; that every room in every one of them encloses its own secret; that every beating heart in the hundreds of thousands of breasts there, is, in some of its imaginings, a secret to the heart nearest it! Something of the awfulness, even of Death itself, is referable to this. No more can I turn the leaves of this dear book that I loved, and vainly hope in time to read it all. No more can I look into the depths of this unfathomable water, wherein, as momentary lights glanced into it, I have had glimpses of buried treasure and other things submerged. It was appointed that the book should shut with a spring, for ever and for ever, when I had read but a page.
Unbelieving Philosophers who were remodelling the world with words, and making card-towers of Babel to scale the skies with
I would ask you to believe that he has a heart he very, very seldom reveals, and that there are deep wounds in it. My dear, I have seen it bleeding.
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passione-vera · 2 years
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LOVI PRESENTA IL SINGOLO SISTOLICA
LOVI PRESENTA IL SINGOLO SISTOLICA
Fuori oggi, venerdì 25 marzo, “SISTOLICA” (Canova Rec/Polydor/Universal Music Italia), il nuovo singolo di LOVI, l’ultimo potente battito del cantautore fiorentino. Il brano è disponibile in streaming e digital download al link https://pld.lnk.to/sistolica. Una lettera d’amore, una serenata che molti di noi spesso avrebbero voluto cantare, senza riuscire a trovare le parole perché sommerse…
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scienza-magia · 2 years
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Un gigantesco batterio che non dovrebbe esistere
I batteri "impossibilmente grandi" sconvolgono il campo della microbiologia. Un gigantesco batterio si è evoluto in modo diverso da quanto avrebbero previsto i modelli fondamentali della biologia. In poche parole, questi batteri non dovrebbero esistere. Nel 1977 il regno di Monera crollò. Era un regno giovane, di soli 50 anni circa. Composto da batteri e microbi simili, era anche il regno più popolato mai esistito. Gli studiosi spesso attribuiscono la caduta a Carl Woese, un microbiologo e biofisico americano, che, attraverso l'analisi genetica, scoprì che i confini del regno di Monera erano disegnati in modo errato.
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Credit: Jean-Marie Volland et al., preprint Oltre a sgretolare il regno, la scoperta di Woese ha trasformato l'Albero della Vita, un "albero genealogico" di tutte le specie sulla Terra. Di conseguenza, l'ex regno e la sua cittadinanza furono separati in due domini: Batteri e Archaea. E ora, una nuova scoperta che ha sconvolto il campo della microbiologia potrebbe suggerire che siamo sull'orlo di un altro impero in rovina. Questa volta, è dovuto a una specie di batteri insolitamente grandi chiamata "Magnifica Sulphur Margarita". Thiomargarita magnifica: il batterio che non dovrebbe esistere Tecnicamente, questa specie di grandi batteri si chiama Thiomargarita magnifica (che potrebbe anche essere tradotta "Grande perla di zolfo", ma Margarita è più fresca).Un paio di anni fa, però, non aveva un nome. Solo una manciata di scienziati sapeva che esisteva e non avevano idea che fosse un batterio. Olivier Gros, un biologo marino dell'Università delle Antille francesi, ha notato fili bianchi lunghi un centimetro attaccati alle foglie di mangrovie sommerse. All'epoca sospettava si trattasse di funghi ma non riconosceva la specie. Solo circa il sette percento dei funghi è stato caratterizzato, quindi Gros ha raccolto un campione e lo ha riportato al suo laboratorio. Il dottorando di Gros, Jean-Marie Volland, iniziò ad analizzare l'insolito organismo. E le cose sono diventate strane. Secondo lo studio, che è ancora in fase di pubblicazione e deve essere verificato mediante revisione tra pari, i primi esperimenti suggerivano che l'organismo fosse un abitante del dominio dei batteri, ma era 50 volte più grande del più grande batterio mai scoperto, abbastanza grande da poter essere visto senza un microscopio. Ciò dovrebbe essere impossibile, o almeno così sembrerebbe basato sull'ipotesi del vincolo di diffusione, che postula che i batteri siano di dimensioni limitate a causa della velocità di diffusione dei nutrienti.
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The bacterium grows as centimeter-long white strands, 50 times larger than the biggest bacterium ever discovered. (Credit: Jean-Marie Volland et al., preprint) Biofisica batterica In inglese, l'ipotesi del vincolo di diffusione afferma essenzialmente: "Se una cellula vuole spostare qualcosa su una lunga distanza, deve fare del lavoro". Quanto lavoro deve essere fatto? Dipende dalle dimensioni della cella. Immagina di mettere una goccia di colorante nero sul bordo di un bicchierino pieno d'acqua. In pochi secondi, il colorante si è diffuso al centro del vetro. >Questa è diffusione passiva. Funziona benissimo per le piccole cellule, come i batteri. Ora, immagina di mettere una goccia di colorante nero sul bordo di una piscina olimpionica. La tintura impiegherà troppo tempo per arrivare al centro e sarà troppo diluita quando lo farà, a meno che un nuotatore non raccolga la tintura con una tazza e la nuoti fino al centro della piscina. Questa è diffusione attiva. Ci vuole lavoro, che richiede energia. Ma i batteri sono pigri, quindi fanno affidamento solo sulla diffusione passiva. Assorbono i nutrienti attraverso le loro membrane e poi lasciano che le leggi della fisica prendano il sopravvento. Proprio come la piscina, se il batterio diventa troppo grande, i nutrienti non possono diffondersi in modo efficiente in tutta la cellula. Le cellule più grandi e complesse note come cellule eucariotiche, come le cellule umane, superano questa limitazione fisica utilizzando elaborati sistemi di trasporto che trasportano i nutrienti dove sono necessari. Questi sistemi non esistono nei batteri. Come i grandi batteri infrangono le regole L'enorme microbo ha trovato un modo per aggirare l'ipotesi del vincolo di diffusione: contiene una sacca piena di liquido, che schiaccia il contenuto intracellulare contro la sua parete cellulare esterna.(Tornando all'analogia precedente, sarebbe come mettere un gigantesco pallone in piscina, costringendo tutta l'acqua ai bordi.) Ciò significa che i nutrienti non devono diffondersi molto lontano, poiché sono limitati ai bordi del batterio.
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Inside the massive microbe is a fluid-filled sac, which squishes the intracellular contents up against its outer cell wall. (Credit: Jean-Marie Volland et al., preprint) I grandi batteri infrangono un'altra grande regola: hanno qualcosa di simile a un nucleo, uno speciale compartimento contenente DNA che è la struttura che definisce le cellule eucariotiche. Un nucleo è ciò che, secondo la teoria endosimbiotica, separa le cellule procariotiche più semplici (Domains Bacteria e Archaea) dalle cellule eucariotiche più complesse. In qualche modo, questi grandi batteri hanno preso una svolta evolutiva molto strana, che non sarebbe stata prevista da nessuna teoria esistente. In altre parole, questi grandi batteri non dovrebbero esistere. L'albero della vita è sbagliato?
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Credit: VectorMine / Adobe Stock Il cosiddetto "Albero della vita", che descrive la nostra comprensione delle relazioni evolutive che risalgono all'inizio, cioè all'origine della vita, è un principio fondamentale insegnato nei libri di testo di biologia in tutto il mondo. È sbagliato? Probabilmente no, ma i grandi batteri suggeriscono fortemente che la nostra comprensione dell'evoluzione della complessità biologica è tristemente incompleta.Prendono il loro posto accanto a virus giganti, alcuni dei quali sono più grandi dei batteri. Insieme, questi microbi anomali suggeriscono che un mistero rimane nel profondo del cuore della biologia evolutiva. Read the full article
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virginiavaleenevale · 6 years
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Urlando con voci dalle parole spezzate.
If you follow me and you’re wonderig what’s this, well… it’s an italian ship about two beautiful men and amazing singers, they won a very important italian singing competition this year. This is their song and I highly raccomand you listen to it and maybe search the lyrics? (Or you can ask me, I’ll translate it for you.)
Non potevo non dare il mio contributo a questa meravigliosa ship (e l’avevo promessa a @camiller10). Non scrivevo in italiano da un pò, mi era mancato quanto poetica questa lingua può essere.
Spero vi piaccia! (è piena di feels)
Numero di parole: circa 600.
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Era fatta. Le ultime parole erano state pronunciate, le ultime note avevano finito di rimbombare nella stanza e tutto sembrava quasi surreale. Fabrizio si voltò a guardare Ermal, non ci fu bisogno di dire nulla… un piccolo gesto della mano da parte del romano indicò di far partire la traccia e quella volta non ci sarebbero state interruzioni, ne era certo. La musica reiniziò e lui si perse a guardare l’amico pronunciare le prime parole di quel testo, il loro testo. Le emozioni nella voce di Ermal lo travolsero come un’onda e, quando toccò a lui attaccare, sentì il petto riempirsi di un accogliente calore che, teneramente, gli abbracciò il cuore.
Pronunciò quelle parole come fossero l’unico scudo e l’unica spada della sua vita, “non mi avete fatto niente”, ma poi… poi fu Ermal a pronunciarle… una doccia fredda. Il brivido che corse lungo la schiena di Fabrizio fu così forte che tremò anche nell'animo, socchiudendo gli occhi, poteva solo immaginare il profondo significato che dovevano avere per il riccio. Con un passato come il suo cantare quelle parole… “questa è la mia vita che va avanti, oltre tutto, oltre la gente.”, non era immaginabile. Guardandolo con occhi lucidi, Moro in quel momento avrebbe voluto gridare, essere il suo scudo e la sua spada prima che per sé stesso. E mentre le note volavano e le parole fluivano i due si persero nel loro mondo, un universo dove c’erano solo loro due… come in una di quelle bolle di felicità di cui cantavano.
Urlando con voci dalle parole spezzate, parole di persone che le sospirarono al freddo vuoto di una notte o al tremante terrore, in una casa diroccata, alla pura luce del giorno. Proseguirono la canzone unendo i poetici fiati. Il fuoco che crescente si faceva nei loro animi era incredibile e chiunque poteva vederlo, palparlo perfino… avevano una connessione incredibile poiché quella fiamma era una, una soltanto, unica nel suo genere… non due forze separate e lasciate a sé stesse ma un'unica energia che colpisce dritta al cuore. “Il mondo si rialza col sorriso di un bambino”, il più piccolo, innocente dei sorrisi si formò sul viso di Ermal e Fabrizio sentì il suo cuore saltare un battito, ritrovandosi a ridacchiare a sua volta, senza rendersene conto.
Le ultime strofe furono le più intense, le emozioni non facevano che accumularsi e presto oneste lacrime scorsero lungo i visi di entrambi gli uomini. La sensazione fu quasi quella di esser tornati bambini, giocando in un prato, vivi e intoccabili. La malinconia bilanciata dalla rabbia e la furia bilanciata dalla coscienza. “Sono consapevole che tutto più non torna, la felicità volava… come vola via una bolla.”, Fabrizio tese la mano ad Ermal che senza esitazione la prese e se la strinse al petto. In quel momento un pensiero lo sommerse, e non fu sorpreso di aver effettivamente pensato, guardando l’altro uomo accanto a se, ‘questo è mio fratello’. Perché ormai erano quello, fratelli con la profonda consapevolezza che ciò che chiamiamo famiglia non si limita a un legame sanguineo.
Si abbracciarono, stringendosi forte quasi temendo che il momento gli scivolasse tra le dita. Era la prima volta, dopo innumerevoli prove di singole parti e altrettanto numerose modifiche, che avevano cantato quella canzone nella sua versione definitiva dall'inizio alla fine. Entrambi, sciogliendo l’abbraccio e guardandosi l’un l’altro negli occhi arrossati, capirono che quell'emozione non sarebbe sfuggita alla loro presa. Infatti, la riprovarono ogni volta che la loro fiamma si riunì urlando con voci dalle parole spezzate.
Spero vi sia piaciuta! Sul mio blog potete trovare anche altre storie in inglese di Supernatural, se vi possono interessare. Scrivo anche di altri fandom e accetto richieste :)
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