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#società borghese
gregor-samsung · 1 year
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“ Ecco la lezione che Marx trae dalla Comune: « ... che dopo la guerra più sconvolgente dei tempi moderni, il vinto ed il vincitore fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti prova, non come pensa Bismarck lo schiacciamento definitivo di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della vecchia società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale: ed è ora dimostrato che questa è una semplice mistificazione dei vari governi, la quale tende a ritardare e ad affossare la lotta delle classi e viene messa da parte non appena questa lotta di classe divampa in guerra civile ». Inoltre nella crisi che precede la guerra i rapporti di forza sono strategicamente favorevoli alla rivoluzione proletaria. La crisi infatti genera contraddizioni sociali fortissime che determinano uno scontro di classe violentissimo, e nella misura in cui questo scontro di classe si approfondisce e si sviluppa trasformandosi in Guerra di Classe, la borghesia non può porsi sul terreno della guerra imperialista: la crisi diviene così irreversibile, acuendo contemporaneamente ancor più il processo di guerra civile in atto. È questa la dialettica che potrà inchiodare lo sviluppo capitalistico. Possiamo perciò formulare la seguente generalizzazione: nella crisi la parola d'ordine della borghesia è "bloccare il processo di guerra civile trasformandolo in guerra imperialista e sconfiggere così la rivoluzione"; quella dei comunisti deve necessariamente essere: "sviluppare il processo di guerra civile in atto ed impedire così la guerra imperialista". “
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Brano tratto dalla Risoluzione della direzione strategica delle Brigate Rosse, testo diramato nel febbraio 1978.
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francescosatanassi · 2 months
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NAZISTI A CINECITTÀ
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"Una vita difficile’ di Dino Risi è da sempre uno dei miei film preferiti. Ciò che non sapevo è che il tedesco che sorprende il partigiano interpretato da Sordi si chiamava Borante Domizlaff ed era un vero nazista. Non uno qualsiasi, ma un maggiore delle SS che agli ordini di Kappler sparò alle Fosse Ardeatine. Dopo la guerra fu imprigionato al Forte Boccea di Roma con Kappler e altri ufficiali nazisti. Cera anche il comandante della X° MAS Valerio Borghese. Dopo un fallito tentativo di evasione furono trasferiti a Regina Coeli e accolti con saluti e slogan dai fascisti detenuti. Il 20 luglio 1948 Kappler fu condannato all'ergastolo e Domizlaff assolto per aver agito "senza la consapevolezza di eseguire ordini illegittimi." Si convertì al cattolicesimo con l'obiettivo di uscire dal carcere e ci riuscì sposando una ragazza italiana, trasferendosi così a Roma. Non ha mai utilizzato nomi falsi e il suo indirizzo era pubblico, anche se portava a una società di produzione cinematografica per la quale forse lavorava. Lo collega al passato una foto scattata nel 1961 per la comunione della figlia. Assieme a lui c'è Mina Magri Fanti, madrina e vicina di casa, ma anche militante dei movimenti neofascisti, era lei che si interpellava con Kappler quando era detenuto. Celebrò la funzione Alois Hudal, il vescovo seguace di Hitler che nascondeva e aiutava i nazisti in fuga. Nella foto c'è anche Vittoria Vigorelli, che lavorava nel cinema come segretaria e forse fu il tramite per introdurre Domizlaff nell'ambiente. L'ex SS recitò anche in ‘La ciociara’ che valse a Sofia Loren l'Oscar come miglior attrice, in ‘Tutti a casa' di L. Comencini e in altri film. Non fu l'unico nazista a interpretare se stesso nei film italiani del dopoguerra. Assurdo che nessuno si sia accorto o abbia sorvolato sulla presenza di un criminale tra le comparse, anche perché lo sceneggiatore de ‘Una vita difficile' era Rodolfo Sonego, ex comandante partigiano che per il film si era ispirato alla propria vita, inserendo tra le comparse amici, conoscenti e, forse senza saperlo, un assassino nazista mai pentito.
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crazy-so-na-sega · 6 months
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Non è la Famiglia Tradizionale e Patriarcale ad avere problemi, ma la Famiglia borghese dove né l’Uomo né la Donna sono Esempio, ma solo degli alienati l’un contro l’altro armati dalla società capitalista.
-kulturaeuropa
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cutulisci · 3 months
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Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina. Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E’ un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell’ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta rinnegati questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione?
Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
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bloodyfairy83 · 14 days
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Carnage (Roman Polanski, 2011)
Due ragazzini litigano al parco ed uno di questi colpisce l'altro al volto con un bastone. I genitori, due coppie di Brooklyn, decidono di incontrarsi per discutere del fatto e risolvere la cosa da persone civili, ma la situazione andrà a degenerare facendo venir fuori le frustrazioni e le nevrosi di entrambe le coppie. Roman Polanski gira questa sagace commedia dove critica in maniera tagliente la società borghese e le sue ipocrisie.
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ross-nekochan · 9 months
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Ogni volta che leggo L'Amica Geniale mi si sfascia il cervello.
Mi sento molto similmente a Elena Greco: l'unica della famiglia ad aver studiato "lettere" e ad avere una visione innovativa e acculturata della società - divisa tra l'agiatezza borghese che si è costruita e la violenza popolar-proletaria dal quale è nata. Gli altri che ti vedono come se fossi chissà in quale sfera alta del mondo e invece ti senti sempre in quella in cui sei nata e cresciuta, come se non avessi mai mosso un passo.
Poi, la solidità dei legami di sempre e la facilità con cui si dissolvono quelli familiari non appena non si seguono le consuetudini di sempre - regole mai scritte ma che se contraddette, non perdonano.
"Spero che tutti i tuoi sogni si realizzino" - mi dicono da quando ho preso quell'aereo. Come se adesso io fossi in una sorta di Hollywood e non sia il solito comune e -a tutti gli effetti- povero pezzo dell'ingranaggio capitalista, solo di uno stato diverso. Una formica in divisa in mezzo a centinaia di altri uomini formica in divisa con cui condivido il treno per raggiungere il luogo in cui il mio tempo è convertito in denaro. Ma come glielo spieghi a chi ha vissuto tutta la vita dentro il perimetro della propria provincia di nascita? È normale.
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spilladabalia · 10 months
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A partire dal 2004, su suggerimento di un’amica, Lorenzo Castore inizia a frequentare Catania e in particolare il quartiere di San Berillo che è da sempre stata la zona delle prostitute, soprattutto dei travestiti, un territorio a parte nel cuore della città.
“Glitter Blues” è un racconto di vite marginali in un percorso di ricerca del proprio posto nel mondo attraverso una coraggiosa tensione alla libertà dell‘affermazione della propria identità, che spesso rivela una natura più complessa e contraddittoria di quello che è considerato “normale” dalla società borghese e dal suo giudizio retrogrado su cosa è bene o male, giusto o sbagliato.
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Sulla Soglia.
Fotografie di Lorenzo Castore
Testo di Francesco/Franchina Grasso
Ormai ho perduto il conto degli anni passati su questa soglia, tanto che mi è difficile immaginare persino il numero degli uomini che l’hanno attraversata. Sembra ieri che il mio incerto destino e la mia bellezza di giovane donna mi hanno portato in questa casa appartata a cercare il futuro. Strana idea quella di cercare la propria vita tra le pieghe di quella degli altri, eppure è nella coesistenza con gli altri che ha preso forma e si è concretizzata l’unica vita che per me era possibile.
Così, lungo tutto questo tempo, su questo gradino consumato e nella penombra di una squallida stanzetta, ho visto maturare tra un amplesso e l’altro tutta la mia vita e sfumare tutte le mie aspirazioni.
Tra una sigaretta fumata a metà ed un caffè trangugiato in fretta, una gran parte di mondo è sfilato davanti ai miei occhi e tra le mie gambe. 
Ad ogni incontro ho dato tutto il calore che mi è stato richiesto, forse per un senso di fratellanza e di condivisione nascosti nel profondo del mio cuore. Sono stata amante, moglie, sorella e madre. 
Ho vestito i panni squallidi della prostituta dalle calze a rete lacere e gli abiti della gran signora. Ho gridato parole sguaiate e taciuto nei silenzi pieni di vergogna del sesso. 
Ho cercato amore senza mai trovarlo, nella dolorosa disillusione di scoprire di esser fatta solo per dare e non anche per ricevere. 
Quante offese mi hanno gettato addosso per tenermi a distanza dalla vita degli altri, quella cosiddetta “normale”. E quanta violenza ho subito in questo quartiere squallido e angusto, e tuttavia raro luogo di testimonianza di vera umanità.
In tutti questi anni ho visto vizi, bassi istinti, desideri segreti svelarsi per poi assopirsi, per poi risorgere ed appagarsi ancora, in un ciclo continuo che è nato con l’uomo e che solo con esso morirà.
Ma adesso, adesso che la mia bellezza volge al termine, che ogni speranza d’una vita diversa è sepolta nelle pieghe del passato, non ho che te, sconosciuto uomo, che rallenti il tuo passo davanti alla mia porta socchiusa. Con disperata speranza, mi rivolgo a te, a te uomo che hai bisogno d’un po’ di calore nelle sere piovose, a te che cerchi un abbraccio, una carezza ed una parvenza d’amore, a te che fuggi ogni effimera illusione. E’ di te che ho bisogno adesso, del tuo flebile calore, dei tuoi mezzi abbracci e del tuo amore a tempo, per curare le profonde ferite che solcano il mio cuore. Quando tu lo vorrai, allora, se è di me che avrai bisogno ancora, mi troverai qui anche domani, qui, ancora, ad aspettarti malinconica, sul gradino consumato di questa soglia.     
Glitter Blues © Lorenzo Castore 2004-2021, (p) Blow Up Press 2021. "Sulla soglia" by & © Franchina Grasso.    
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inconsutile · 1 year
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Note sparse sulla Medea che ho visto ieri:
Le maschere nel teatro greco avevano il ruolo di identificare i personaggi, in questo spettacolo l'identificazione è sul livello simbolico: Medea è rappresentata da un uccello nero, un corvo presumo, e indica la sventura, i figli hanno le maschere dei conigli, Creonte (e i suoi seguaci) è un coccodrillo. Quest'ultimo è particolarmente interessante perché mentre aggredisce Medea mantiene la maschera ma la toglie sempre quando esprime il suo timore nei confronti della donna. Medea e i figli tolgono la maschera e non la rimettono, Creonte invece alterna per tutto il tempo in cui è in scena.
Dai costumi si denota la volontà di attualizzare il messaggio operando una critica alla famiglia e alla società borghese (e piccolo-borghese nello specifico). Il testo euripideo ripete più volte che tutto è stato messo in moto dal dissolvimento dei valori, e in effetti le nostre vite quotidiane sono ammantate di valori e ideali che puntualmente vengono calpestati in favore dell'interesse personale. Sui costumi, tuttavia, devo fare una nota di disappunto: i costumi riprendevano il vestiario borghese del 900 (eccetto Creonte, vestito da in giacca e cravatta) quando sarebbe stato più opportuno e puntuale utilizzare un vestiario contemporaneo. Non va a detrimento della rappresentazione e della sua ricezione ma sarebbe stato, ripeto, puntuale.
L'inesorabilità degli eventi ha generato in me angoscia ma anche una forte frustrazione, forse perché io e il pubblico abbiamo assorbito volente o nolente la mentalità del “se vuoi, puoi”, in cui gli esiti previsti sono: il successo o il contentino, in ogni caso risvolti positivi. Medea mette in atto tutto quello che ha progettato, ma si è ottenuto solo il sangue versato pulito dal coro.
In realtà parole come angoscia, frustrazione, sgomento, rabbia, dolore, raccapriccio, orrore e altre non riescono a racchiudere la sensazione che ho sentito durante tutto lo spettacolo e che ha raggiunto il suo apice durante l'infanticidio (che non è stato rappresentato, come vuole la prassi della Grecia antica). Tutte quelle emozioni erano una e mi pervadeva tutta, mente e corpo: avevo le mani nei capelli, la pelle d'oca, volevo raggomitolarmi, respiravo affannosamente. Le persone intorno a me posso descriverle solo come molto scosse.
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moonyvali · 2 years
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Siate poveri, ma non lamentatevi. Non protestate. Siate contenti e grati di ciò che vi diamo, in fondo è anche troppo.
Ultimamente il professor Galimberti sta facendo tanto parlare di sé. E non in senso buono. Prima ha affermato di voler bandire la lettura dei Promessi Sposi dalle scuole, ora al festival della filosofia di Modena se ne esce con quest’affermazione: «Sono per la scuola pubblica purchè si possano licenziare gli insegnanti cattivi. E se i professori lamentano di esser poco pagati? "Andate in un'industria dove gli operai lavorano, anche se pagati poco, ma lavorano.»
Gli insegnanti sono pagati poco, vero. Anche gli operai sono pagati poco, altrettanto vero. Questi lavoratori però, invece di lottare per ottenere migliori condizioni, adeguate al vertiginoso aumento del costo della vita (e il caro bollette, grazie alla lungimirante strategia del nostro governo, incide pesantemente su ciò) devono accettare questa condizione. È questo il sottinteso delle parole di Galimberti. Parole che fanno eco ad altre uscite altrettanto infelici.
Ricordate le parole di Briatore e di Alessandro Borghese? Questi illustri signori si scagliarono contro i giovani che hanno la pretesa di rifiutare quei lavori che non offrano una retribuzione dignitosa. Se siete “apprendisti” la gavetta va fatta, dicono loro. Ma in fondo per questi grandi conoscitori del mondo giovanile, bazzecole come pagare le bollette o un affitto sono questioni superflue.
E stavolta è il turno di Galimberti di dire la sua. Ciò che fa davvero rabbia, è che questi “personaggi”, uomini che vivono in pianta stabile nei salotti televisivi, perennemente sotto i riflettori, si sentano in diritto di pontificare sulle difficoltà che affrontano le persone comuni, di sproloquiare sui sacrifici che devono fare gli altri. Una vita passata tra agi, fama e ricchezze ha annebbiato il loro sguardo. Ma si tratta soltanto di questo? Di cecità? Alle volte sembra quasi che vogliano far passare il messaggio che la povertà è un bene, o meglio «siate poveri ma non lamentatevi, non disturbateci con i vostri problemi». A noi in fondo non interessano.
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #scuola #lavoro #società
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belladecasa · 2 years
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Ho trovato per caso un quadernetto (la parola taccuino mi disturba non la voglio usare ok?) in cui scrivevo cose da annotarmi, tipo: orari di lezioni mai frequentate, traduzioni di versi dell'ars amandi per un esame mai passato. In mezzo ci sono, come sempre, le mie riflessioni estemporanee di ventenne arrabbiata e accidiosa, forse le ultime scritte a mano perché non tollero la mia scrittura e il mio disordine grafico.
Per me l'idea di costruirmi una vita borghese è ripugnante. Per quanto cerchi di piegare la mia volontà ad un sistema quotidiano, routinario, ad un sistema scolastico, lavorativo, digitale, la mia mente recalcitra e si ammala a intervalli regolari. Sarebbe bellissimo avere il coraggio della disperazione, di ribellarsi e compiere un gesto folle per la morale borghese, un semplice denudarsi per strada, così da essere finalmente una vera esclusa perché per loro pazza; ma non saprebbero che non sono folle ma solo consapevole e provocatoria.
La differenza tra la coercizione esercitata dalla società capitalistica rispetto a quella derivante da una società dittatoriale è di tipo materiale: l'assoggettamento dittatoriale è visibile, è una persona, mentre nel caso del capitalismo il potere è immateriale e accomodante, poiché soddisfa i bisogni materiali di una parte sempre più ampia della popolazione. Di conseguenza la liberazione è priva di base di massa.
Di recente, in occasione dell'uscita di sue poesie inedite, ho letto un'intervista ad Alda Merini in cui affermava di rimpiangere il manicomio ora che si relaziona con l'odio e l'alienazione di questa società. Mi ha ricordato di quando Pasolini dichiarò che nemmeno il fascismo più becero era riuscito ad eguagliare il danno creato dalla società neocapitalistica.
Viviamo nel peggiore dei mondi possibili e raramente ce ne accorgiamo. Forse da una parte è un bene lasciarsi fottere completamente il cervello quando non c'è più soluzione, quando il sistema contro cui ci scagliamo si prende tutte le idee originariamente anti-capitalistiche, anti-patriarcali, anti-fasciste e ne annulla il potere rivoluzionario.
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Jack Donovan
UNA BESTIA PIÙ COMPLETA
“Una bestia più completa” è il terzo ed ultimo libro della celebre trilogia vergata da Jack Donovan. Dopo “La via degli uomini” e “Diventare un barbaro”, tradotti in molte lingue e diventati dei successi internazionali, l’autore riprende le riflessioni di Friedrich Nietzsche sulla nobiltà e sulla morale del padrone, utilizzandole per guidare i lettori nel “sottosopra” del mondo moderno, evitare la trappola dell’odioso risentimento e superare le avversità attraverso la creatività.
Dopo la suggestione virile delle virtù, il richiamo comunitario al retaggio tribale e la critica frontale del cosiddetto “Impero del nulla”, Jack Donovan torna a parlare di identità, radici e verticalità. Nelle sue mani, le parole di Nietzsche sono raspe e scalpelli che ci aiutano a perfezionare un ethos basato sulla forza, a rivelare la nobiltà del nostro animo e a diventare – senza mezzi termini – degli uomini con la schiena dritta.
Questa società, fondata sull’utilitarismo borghese e sulla debolezza materiale, ci invita a sopravvivere in assenza di slanci: queste pagine, al contrario, riscoprono la necessità di esistere pienamente, dando luogo ad imprese epiche, a gesti nobili e a vite straordinarie. Nello stagno dove galleggiano gli schiavi, qualcuno ha il coraggio di alzarsi in piedi e riscoprirsi – secondo la propria etica dell’onore – “una bestia più completa”.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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gregor-samsung · 2 years
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“ Atrocità peggiori non si vedevano da quando nei paesi tedeschi si era cessato di giudicare secondo le norme processuali del Malleus maleficarum e la procedura delle corti criminali medievali. Ma il ringraziamento dell'onesto studioso dei costumi, ai cui occhi la verità conta più della sensibilità, spetta di diritto al coraggioso senato di Leoben, che ha compreso la profonda nostalgia dell'anima popolare per quelle venerande istituzioni e di sua iniziativa s'è costituito in tribunale dei malefizi. L'accusa suonava «per bigamia», dato che non si poteva parlare di processo per stregoneria senza offendere la coscienza civile di quei cultori progressisti del diritto che considerano sacro il codice penale del 1803. Ma a Leoben, alla fine del 1904, è stato calato uno scandaglio nel più profondo pozzo della sensibilità popolare austriaca e questo, guarda un po', è andato a toccare un bisogno di esorcismi. Leontine von Hervay era arrivata in volo a Mürzzuschlag a cavalcioni di una scopa, lasciando intravvedere la sua sottoveste di seta. Subito una presaga anima di fustagno ha esclamato: «T'ho capita, te!». A che le è servito aver reso felice il capitano distrettuale? La figlia di un mago, e per di più poliglotta! E quindi gravemente sospetta di «intesa col demonio». A questo s'è ammalato magari il bestiame, all'altro forse s'è guastato il grano. Il paese intero è in subbuglio. Al capitano distrettuale ha propinato un filtro d'amore, altri notabili seguiranno presto, le più ambite ragazze di Mürzzuschlag si vedono trascurate. Si dovrà lasciarla arrivare al punto di «impedire agli uomini di generare e alle donne di partorire, e agli uomini di rendere alle loro donne, e alle donne ai loro uomini il debito del matrimonio»? «Una strega è una persona» — questa la definizione di un famoso maestro del Malleus Maleficarum — «la quale, di proposito e deliberatamente facendo uso di arti diaboliche, si studia di portare a compimento il suo disegno, o con le suddette arti di conseguire e far sua alcuna cosa». Solo che «il doveroso proposito di sterminare secondo il diritto imperiale codeste femmine maligne per i loro perversi intendimenti oggi, purtroppo, non può che restare un pio desiderio. Compito del tribunale è fingere per la forma il proprio plauso. “
Karl Kraus, Morale e criminalità, introduzione di Cesare Cases, traduzione, cronologia e bibliografia di Bianca Cetti Marinoni, Rizzoli (collana B.U.R.), 1976¹; pp. 79-80.
NOTA: il volume Sittlichkeit und Kriminalität (1908) raccoglieva vari saggi apparsi tra il 1902 ed il 1907 su Die Fackel, il periodico scritto quasi interamente da Karl Kraus per i 37 anni della sua pubblicazione. Il testo italiano presenta una scelta degli articoli dell'edizione austriaca.
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b0ringasfuck · 1 year
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Famiglie queer, allargate, vecchi di merda e Murgia
Leggevo un pezzo di Niram Ferretti, che normalmente scrive delle gran cagate, il che non mi sorprende, in cui se la piglia con Murgia per la famiglia allargata, ma è solo una scusa per pigliarsela con il marxismo, e nemmeno questo mi sorprende.
E la chiosa è
(Engels) è del 1884, in cui ipotizzava che in un prossimo futuro di "liberazione" dall'"alienazione" borghese e capitalista i rapporti sessuali sarebbero stati improntati al massimo spontaneismo, e la famiglia sarebbe stata destrutturata in profondità e unicamente vincolata al principio di piacere.
Ma come chiedevo un attimo fa ai balilla cosa ci fosse di sbagliato nel protestare contro il caro affitti, vorrei chiedere cosa ci sia di sbagliato nel liberarsi dall'alienazione borghese e capitalista e improntare i rapporti sessuali al massimo spontaneismo e improntare una struttura sociale al principio del piacere.
Che uno ha la conferma che questi siano veramente alienati e ripropongano i vecchi cliche dei comunisti orgiaiuoli.
Voi vi alzate la mattina con lo scopo di rompervi i coglioni? Non vedo come il piacere non possa essere una delle motivazioni per costruire strutture sociali, salvo non siate la Binetti con il cilicio.
Non vorrei ripetere tutti i discorsi sull'imbecillità del giusnaturalismo e quindi dover trovare in altre specie animali la giustificazione che ci siano "basi naturali" per altre strutture familiari, ma qua si potrebbero ripetere pari pari gli stessi discorsi che si fanno per l'omosessualità.
E ne piglio 2 giusto per confermare la cialtronaggine di chi giudica gli altri senza nemmeno averci pensato. L'impatto dell'omosessualità sulla natalità, additato come problema sociale, in realtà problema totalmente scorrelato con l'omosessualità.
Parallelamente si suggerisce che la destrutturazione della famiglia sia la sua distruzione, facendo mancare quindi uno dei mattoncini di solidarietà della società. Ma questo succede solo nella fantasia di chi con una scusa prima vuole attaccare il nuovo e poi già che c'è pure il marxismo.
Banalmente la famiglia nucleare "eterosessuale" è un passo indietro a livello di solidarietà sociale rispetto alla famiglia "eterosessuale" allargata (che non è una fantasia orgiastica dei tempi moderni, ma ha fatto parte delle nostre tradizioni fino al secolo scorso). Ne moltiplica i consumi (una lavatrice, un trapano, un martello... per ogni famiglia) e ne concentra le responsabilità.
Parlare di maggior spontaneismo nella sessualità non dice niente sulla parte affettiva. E finiamo di nuovo verso una rappresentazione orgiastica caricaturale (se Ferretti avesse magari anche guardato le foto della famiglia di Murgia...).
Non sorprende che l'epilogo si concluda con
L'inclusivismo affettivo-amoroso propagandato dalla Murgia, che prende il nome di "queer family", è solo lo stantio rebranding delle istanze rivoluzionarie engelsiane e marxiste, poi rinvasate negli anni Sessanta e che oggi trova un ulteriore rinvasamento nell'ondata Woke americana. Vino vecchio, in otri nuovi.
E a me sembra esattamente l'opposto. Il vino vecchio è esattamente questa conclusione.
Poi lo capisco che ci sia una certa "ritrosia". Pur io ormai sono un VecchioDiMerda™. Ho una famiglia piuttosto standard per i tempi e non sempre si vuole o si può prendersi sulle spalle tutti i cambiamenti sociali.
Ma non si è nemmeno obbligati a fare gli stessi discorsi di merda di Niram Ferretti, che Murgia c'avrà altre cose da pensare che rispondere a ste cazzate.
Che tante cose sono cambiate e tante ne cambieranno ancora e ce ne saranno alcune che cambiano in maniera brusca e altre che cambiano scivolandoci addosso tra le generazioni, non tutte buone, non tutte cattive.
Ma pigliarsela con gli altri contraddicendo l'evidenza, a cazzo, senza ragioni o forse con la ragione di pigliarsela con il marxismo è un po' da stronzi.
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crazy-so-na-sega · 7 months
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"Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il Diritto Criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale.
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell'inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai."
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Karl Marx, "Teorie sul plusvalore"
da bellacciao a viva i delinquenti è 'n attimo....;-)
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schizografia · 2 years
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Nella società sovietica, lo scrittore o l’artista sono al servizio dei dirigenti […]. Il mondo borghese che fondamentalmente, è ancor più chiuso del comunismo alla sovranità decisiva, accoglie sicuramente lo scrittore o l’artista sovrano, ma a condizione di non conoscerlo.
Georges Bataille, La parte maledetta
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chez-mimich · 1 year
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FERITO A MORTE
Napoli è una città che ti ferisce a morte o ti addormenta. È questo l’assunto di base e la conclusione del magnifico testo di Raffaele La Capria, adattato per il teatro da Emanuele Trevi e portato in scena in questi giorni al Teatro Strehler di Milano per la regia di Roberto Andò, una coproduzione del Teatro di Napoli,Teatro Nazionale, Teatro dell’Emilia Romagna, Teatro Stabile di Torino. Andò è un napoletano non ortodosso, se mi si passa il termine, ovvero uno di quei napoletani, la cui “napolitanità” (io lo chiamerei di più “napoletanismo”) non gli ottunde le facoltà mentali e quindi non gli impedisce una visione critica della “capitale del Mezzogiorno d’Italia”. Appartiene cioè a quella schiera di artisti, registi, musicisti che, lontani dal manicheismo di maniera e dal facile folklore che ormai sembra dominante quando si cita Napoli, sa guardare in profondità i vizi e i vezzi della società e della popolazione napoletana. In realtà l’elenco potrebbe essere piuttosto nutrito e potrebbe comprendere registi come Paolo Sorrentino e Mario Martone, scrittori come Roberto Saviano, attori come Tony Servillo, ma anche musicisti come Peppe Barra o il compianto Pino Daniele. E così Andò ha scelto di trasporre per il teatro il romanzo di un napoletano, critico per eccellenza, quale fu Raffaele La Capria, scomparso nel giugno scorso e vincitore dello Strega nel 1961. Un romanzo che “parla di tutto e di niente” come dice lo stesso regista. Aggiungerei che di quel tutto e di quel niente, il romanzo parla estremamente bene. Il giorno della sua partenza da Napoli, un uomo, Massimo (Andrea Renzi), si lascia andare al ricordo di fatti, circostanze e parole, tante parole, del periodo compreso tra il 1943 e il 1951, raccontati attraverso i discorsi di un gruppo di persone, parenti tra loro, ma anche amici e amici degli amici, su una terrazza di un circolo partenopeo frequentato dalla buona borghesia della città e dai fantasmi di una nobiltà appena decaduta, ma sempre presente. C’è la Storia e c’è il ricordo intimo, ci sono gli intrighi e i segreti, c’è la memoria e la logorrea di una società borghese napoletana che, se non ancora disfatta, è in via di disfacimento. Questo è, a mio modo di vedere, il grande merito di La Capria, quello di saper vedere Napoli in maniera ferocemente critica senza cedere alle solite sirene del sentimentalismo e, soprattutto, della retorica. Del resto anche il teatro del grande Eduardo, al di là dei facili entusiasmi, è un teatro che ci restituisce una Napoli fortemente umana e allo stesso tempo lacerata da sentimenti che, qualche volta, sembrano provenire dall’essenza stessa della città. Nei desideri di alcuni protagonisti c’è Milano, come alternativa del fare, di fronte ad una città senza reali prospettive. Su un romanzo bellissimo interviene la grande maestria con cui Emanuele Trevi ha saputo far diventare la parola romanzesca, una parola teatrale, operazione complessa e alquanto pericolosa. Una scena articolata su due livelli la terrazza nella parte superiore e il salone del circolo (ma anche i salotti e le camere dei personaggi) in quella inferiore e in più un “avamposto-dormeuse” posto sul ciglio del palco dal quale spesso il Massimo, adulto, guarda alla scena come ad una rimemorazione nostalgica o fastidiosa. Ottima quindi la soluzione per cui ha optato lo scenografo Gianni Carluccio di ricorrere, sapientemente, all’aggiunta di un velario semi trasparente, sul quale scorrono fondali marini che rimandano, oltre che alla fisionomia della città di mare, anche all’inconscio “placentico” del protagonista. Peccato per le poche repliche proposte dallo Strehler, per uno spettacolo che meriterebbe molte più rappresentazioni.
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