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sophiaepsiche · 7 months
Note
in merito alla crescita spirituale intesa come “cammino”, che ruolo ha il concetto di pellegrinaggio? Senza etichetta confessionale ma concentrandoci solo sullo spirito, qualcosa come il cammino di Santiago potrebbe alimentare quel fuoco che arde dentro di noi?
Il viaggio è una metafora molto usata per il cammino spirituale. All’inizio della trasformazione personale i due viaggi possono addirittura coincidere perché, per cominciare a dedicarsi al proprio stato interiore, eliminare i condizionamenti e maturare autonomia, bisogna staccarsi dal contesto abituale. Uno dei modi più comuni per farlo è proprio quello di viaggiare da soli, trasferirsi o staccarsi in qualche modo dal conosciuto.
Se pensi al pellegrinaggio di qualche secolo fa, quando non c’erano i mezzi di adesso, ti rendi conto che era un vero e proprio ‘viaggio dell’eroe’. Era un cammino lungo, solitario, tortuoso, spesso fatto a piedi o con mezzi di fortuna in ogni tipo di condizioni atmosferiche e, a volte, era anche pericoloso. Questo, per forza di cose, costringeva ad una maturazione psicologica dovuta all’affrontare indipendentemente le avversità e favoriva un contatto importante con le reazioni psicologiche e con la propria coscienza. Il tutto senza neanche considerare, per ora, la sacralità della meta.
Oggigiorno, un viaggio con un potenziale d’impatto tanto forte non esiste neanche. Anche affrontare viaggi comodi da soli e trasferimenti in giovane età è molto raro. L’abitudine alla comodità, alla sicurezza e alla superficialità non ispira certo progetti del genere. I pochi fortunati che riescono ad intraprendere un piccolo viaggio da eroe si accorgono presto che, parallelamente all’avventura esterna, si viene forzati dalla solitudine a vedere ciò che sale al conscio. Questo è ciò che io chiamo il ‘ritiro nel corpo’, perché l’attenzione non viene più soltanto dispersa esternamente ma si ritira più vicino a noi, dirigendosi alle condizioni fisiche, ai dolori, ai disagi del corpo, alle reazioni della mente e alle sensazioni. La concentrazione inoltre migliora naturalmente perché bisogna stare attenti di momento in momento, attività che la routine non stimola. A questo stadio non si è ancora in grado di gestire mente ed emozioni, si subiscono e basta, ma è già l’inizio di una purificazione del subconscio e una prima abitudine a questo processo che, in questa fase, può essere davvero duro. Scegliere di affrontare questo cammino verso l’indipendenza con la giusta prospettiva, con la voglia d’imparare a vivere e di gestire la propria emotività, può davvero cambiare la vita dei giovani e farli approdare ad una maturità ormai introvabile.
Quando si capisce la valenza di questo processo e lo si vuole intensificare, iniziano i tentativi per interiorizzare la capacità di stare con la nostra interiorità, a prescindere dalle condizioni esterne. Questo è quello che chiamo ‘ritiro nella mente’. Qui l’eroe cerca di purificare la sua coscienza sempre, osservando senza giudizi e indulgenze tutto ciò che sale nei pensieri e iniziando anche a sperimentare un contatto totale con le emozioni, che vedrà sparire molto velocemente. Questa è la pratica del conosci te stesso, la meditazione o la purificazione della coscienza. È un’allenamento dell’attenzione che quindi si alza e si concentra di momento in momento. Sono i primi tentativi per interiorizzare la solitudine e aumentare i suoi effetti salutari.
Nonostante il praticante cerchi di farlo sempre, ci sono alcune condizioni esterne che possono aiutare ad approfondire la pratica, prima fra tutte la solitudine esterna, da alternare saggiamente al ritorno agli altri. Avere la coscienza più in ordine è come avere una calamita per le cose spirituali e questo può indurre l’eroe a cercare appositamente luoghi di ritiro o a fare pellegrinaggi. Se il tuo intento è quello di dedicarti in modo concentrato alla pratica di purificazione, il pellegrinaggio, fatto seriamente, può aiutarti certamente ad ‘alimentare il fuoco’, soprattutto se ti porta dove ha vissuto un santo o un illuminato a te particolarmente caro, dove puoi meditare e studiare i suoi insegnamenti. Sono luoghi permeati di sacralità che aiutano effettivamente anche nella pratica. Lo percepirai nettamente, è come avere un aiuto extra. Il tuo scopo poi sarà quello di cercare di stabilizzare il risultato, lì ottenuto, indipendentemente e ovunque sei.
L’ultimo livello di interiorizzazione è ‘il ritiro nel sé’, nel nucleo più profondo che abbiamo dentro, il luogo più sacro che c’è. In questo raccoglimento dimoriamo nella nostra vera natura, che è spirito. I praticanti di questo livello hanno la coscienza abbastanza libera, pulita, in grazia, per questo tornano spesso nello spirito. Hanno una spiccata sensibilità per i luoghi sacri e vengono quasi ‘rapiti’ da un profondo raccoglimento al minimo cenno di sacralità. Anche loro però devono stabilizzarsi in modo più indipendente possibile dalle circostanze esterne e dai luoghi in cui si trovano.
Come vedi, fino alla fine c’è, nel praticante, questo altalenarsi tra la ricerca di condizioni favorevoli esterne per intensificare la pratica e la ricerca di una condizione interna sempre più stabile, a prescindere dalle condizioni. L’intensità e la stabilizzazione sono entrambe importanti: per la prima c’è per forza bisogno di un po’ di solitudine esterna, per un tempo limitato, la stabilizzazione invece è la versione tascabile della pratica, da portare sempre e ovunque, è quella che ci sostiene nelle sfide di ogni giorno. Abitualmente ci si può dedicare all’intensificazione nella caverna della propria stanza e alla stabilizzazione durante le normali attività.
Il punto da comprendere è sempre lo stesso: se è presente la pratica onesta e perseverante, le condizioni favorevoli particolari come i luoghi sacri, i ritiri ecc., che aiutano moltissimo ma non sono essenziali, possono esserci o meno. Se invece si fanno due pellegrinaggi all’anno ma ci si scorda della pratica quotidiana, non si andrà tanto lontano. È tutta questione di serietà.
I luoghi sacri hanno l’effetto di aiutarci nel viaggio più importante: quello dentro di noi! Ci spingono letteralmente dentro, verso colui che è sempre in ogni luogo: l’onnipresente ‘Io Sono’.
Restare ai suoi piedi, abbassando la testa, deve divenire nostro impegno costante.
Buon pellegrinaggio.
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sophiaepsiche · 7 months
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"La mente è illusione. La realtà è oltre la mente."
Sri Ramana Maharshi
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sophiaepsiche · 8 months
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Sri Ramana Maharshi Citazioni
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- Chi è Dio?
- ‘Colui che conosce la mente’
- Il mio sé, lo spirito conosce la mia mente.
- ‘Quindi tu sei Dio; per di più la sruti dichiara che esiste un solo Dio colui che conosce. Qual è la luce che ti fa vedere?’
- Il sole di giorno, la lampada di notte.
- ‘Attraverso quale luce vedi queste luci?’
- Attraverso gli occhi
- ‘Attraverso quale luce vedi l’occhio?’
- La luce della mente
- ‘Attraverso quale luce conosci la mente?’
- Il mio sé
- ‘Tu sei quindi la luce delle luci.’
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‘Raggiungi il cuore tuffandoti nel tuo profondo alla ricerca del sé’
‘Nel loto del cuore si trova la coscienza pura e immutabile, sotto forma di sé. Una volta eliminato l’io questa coscienza del sé conferisce la liberazione dell’anima.’
‘Non rendendosi conto di essere mossi da un’energia che non è loro, certi sciocchi sono tutti affaccendati nella ricerca di poteri miracolosi. Queste pagliacciate sono come le vanterie di uno storpio che dica ai suoi amici: “se mi aiutate a reggermi, quei nemici fuggiranno di fronte a me”.’
‘Mentre in realtà è Dio a sostenere il fardello del mondo, l’io impuro considera suo il fardello’
‘Se un passeggero seduto in una carrozza, che può sostenere qualunque peso, non posa il suo bagaglio a terra ma si ostina a tenerlo sulle spalle, di chi è l’errore?’
‘Se, in virtù della pratica, la percezione “io solo lui, io sono il Signore della caverna”, si stabilisce fermamente in voi, così fermamente come adesso è stabile nel vostro corpo la nozione di essere un io individuale, e in tal modo vi ponete come Signore della caverna, l’illusione di essere il corpo perituro svanirà come l’oscurità davanti al sole che sorge.’
‘Il cuore che ha la forma della pura consapevolezza si trova sia dentro che fuori non ha né interno né esterno’
‘Quello invero è il cuore essenziale’
‘La consapevolezza può essere definita il cuore di tutti gli esseri’
‘Grazie alla pratica di fondere l’io nel cuore puro che è totale consapevolezza, le tendenze della mente così come il respiro saranno messi sotto controllo’
‘Eliminate ogni attaccamento all’io’
‘Fai la tua parte nel mondo, o eroe, in ogni momento. Tu hai conosciuto la verità che è il cuore di tutte le apparenze di qualsiasi tipo. Senza distoglierti da tale realtà, gioca nel mondo, o eroe’
‘Eroe che ha ucciso la morte’
‘Colui che ha trovato la verità brillerà di uno splendore, un’intelligenza e un potere sempre crescenti’
‘La mente di chi è libero dall’attaccamento è inattiva anche mentre agisce’
‘Le persone non istruite sono più facili da salvare di coloro che sono colti ma pieni di sé. Gli analfabeti sono liberi dalle grinfie del demone orgoglio, liberi dalla malattia dei molti pensieri e parole che affollano la testa; sono liberi dalla folle corsa alla ricchezza’
‘Per quanto un uomo possa guardare al mondo come a una pagliuzza e avere tutto il sapere sacro sul palmo della mano, sarà difficile per lui sfuggire alla schiavitù se cede alla vile meretrice: l’adulazione’
‘Se dimoriamo sempre nel sé, chi mai può esserci estraneo? Che importanza ha ciò che la gente dice? Che importanza hanno la lode e il biasimo?’
‘Tieni l’advaita nel tuo cuore. Non applicarlo mai all’azione’
‘Quando l’io muore e diventa quello, solo il sé di pura consapevolezza resta’
dal supplemento alla ‘Realtà in quaranta stanze’ (Bhagavan Ramana Maharshi) da 'Opere' Ubaldini Editore
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sophiaepsiche · 8 months
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Le due facce del dolore
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"Perché in alcune tradizioni il dolore è esaltato, quasi cercato direi, e in altre è considerato qualcosa da superare?"
Perché sono le due facce della stessa medaglia.
Per prima cosa ricordiamo che la gestione del dolore è importantissima perché il dolore è l’emozione spartiacque tra i sentimenti di pace e quelli di distruttività. Non gestire il dolore porta alla distruttività, trascenderlo perfettamente porta all’amore e alla pace. Tra questi due estremi ci sono tanti gradi diversi di gestione: da quella puramente psicologica, ai primi tentativi di elaborazione in solitaria, che portano alla creatività, a quelli di presenza mentale, tipici della meditazione, fino ai risultati di trascendenza.
Chiunque abbia già una buona capacità di trascendenza del dolore ‘personale’ comincia a star meglio degli altri, non perché gli giungano meno colpi o abbia meno ostacoli ma perché li supera sempre meglio. Su questo mi soffermo un attimo per farvi notare che è sempre la pratica ad elevarsi e migliorare, mai il resto. Nessuno dovrebbe mai porsi limiti sulla pratica, i limiti dettati dalla natura umana sono più che sufficienti. Sappiamo teoricamente che esiste un grado talmente ottimale da non richiedere più uno sforzo ma il modo di arrivarci è di praticare sempre. I miei maestri, che non finirò mai di ringraziare, sono chiarissimi su questo punto.
Più capiamo che è la consapevolezza a risolvere tutto, meno la lasceremo andare. Meno la lasceremo andare e più risolverà tutto.
Tornando al dolore, quello che succede in chi supera ormai facilmente quello personale è molto importante: può cominciare a trascendere il dolore collettivo. Avendo compreso il carattere spartiacque del dolore, capirete che questo significa cominciare ad eliminare la distruttività dal mondo. Capite l’importanza evolutiva di queste persone? Forse no e purtroppo non si può dimostrare. Comunque, sebbene sia proposto in modo diverso nelle varie tradizioni, è una cosa naturale ed è presente in ogni insegnamento.
In oriente è generalmente più esaltato l’effetto positivo delle pratiche meditative: la serenità, la calma, la pace e si tende a dire meno che il realizzato è una specie di ‘macchina mangia karma’ dell’intera umanità. Si sa che è così e gli stessi illuminati a volte lo ammettono ma si dà più risalto al fatto che ne rimangono imperturbati. In occidente, soprattutto nel cristianesimo, è più esaltato il concetto di sacrificio, dell’offerta del dolore a Dio per salvare l’umanità, nello specifico per salvare ‘i peccatori’. Capisco che la terminologia cristiana è meno moderna e allettante ma è esattamente ciò che avviene. È solo formulato diversamente. Qui i concetti di ‘salvatore’ del mondo, per quanto riguarda Gesù, e di ‘co-redentori’, per i santi, sono da prendersi, per quanto mi riguarda, alla lettera. I santi non invitano il dolore per masochismo ma per consolidata capacità di trascendenza e il fatto di offrirlo a Dio rappresenta il loro motivo, ad imitazione di Cristo, esempio più straordinario mai giunto al mondo di tale capacità.
Il bilanciamento tra i due atteggiamenti apparentemente diversi, negli insegnamenti, è da cercarsi nell’eterna lotta tra conscio e inconscio. La pratica non è altro che questo.
La barriera del ‘personale’ è già molto ridotta nei praticanti esperti e le sensazioni in entrata, anche negative, non vengono neanche sempre percepite come proprie. So di ripetermi ma non è l’inconscio ad essere collettivo, è il collettivo ad essere inconscio. Qualsiasi sensazione salga al conscio, a prescindere se accompagnata o meno dalla sensazione ‘personale’, è un fenomeno collettivo. Questo il praticante esperto lo sa solo più degli altri.
Quando si presenta un’emozione sgradevole sa restare pienamente attento e fermo, in perfetta comunione con essa, determinandone la scomparsa.
Più fa questo, per i sentimenti, e più capisce e si allontana dal pensiero psichico, più acquisisce una sorta di trasparenza, dovuta proprio alla mancanza di barriera ‘personale’. Tale barriera, il nostro ego, è infatti solo un insieme di pensieri incessanti che riguardano il personale e di resistenze inconsce alle sensazioni che non vogliamo, il che sfocia, a seconda della gravità, in vari gradi di distruttività. Più va via la sensazione personale, più importante diviene il ruolo evolutivo dell’individuo per la collettività e più grande è la pace che egli prova. Questo è il secondo punto d'incontro che, nonostante la differenza tra terminologie, troviamo in tutti gli insegnamenti.
La pace è la meta di tutti.
‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’ dice Gesù. Anche se più sottolineata negli insegnamenti orientali, la pace è il risultato per tutti e, per fortuna, non è solo la meta finale, perché ogni tentativo di trascendenza, o anche di mera elaborazione del dolore, sarà ricompensato da una pace mai provata prima. Questa ricompensa spetta a qualsiasi praticante di qualsiasi livello. Intraprendere davvero questo cammino vuol dire cominciare ad accumulare talmente tanti vantaggi da non poter più neanche immaginare di vivere come prima.
Questa pace è da guadagnarsi interiormente attraverso ciò che, nel linguaggio meditativo, è presentata come ‘igiene mentale’, e, in quello devozionale, è espressa come ‘coscienza pulita’. Sono la stessa identica cosa. Qualsiasi sia il tuo maestro e la tua tradizione, o anche se non credi a niente e nessuno, la pace puoi averla se pulisci i contenuti psichici. Per farlo devi renderli dapprima consci, ed ecco le due facce della medaglia: la prima faccia del dolore non è tanto gradevole e dobbiamo imparare in primis ad accoglierlo, senza condanne o giustificazioni, senza resistenze, altrimenti non sale al conscio. Quando si presenta va ‘cercato’, proprio come dici nella domanda. Dopo tale accoglimento e in virtù di una totale comunione viene poi trasceso o ‘superato’… e arriva la pace, la seconda faccia del dolore.
Se si è molto pratici i due aspetti diventano quasi impercettibili, poiché meno c'è resistenza più c'è trasparenza.
Quando la purezza aumenta, infatti, si comincia una pratica più profonda in cui si trascende l’ego stesso e non più i contenuti psichici. Diverse tradizioni danno diversi nomi a questa pratica: ‘dimorare indipendente’, ‘dimorare nel sé’, dimorare nella ‘vacuità’, nel ‘silenzio’, nel ‘cielo’ dell’anima, nella ‘consapevolezza’, nell’‘auto-attenzione’, a volte lo chiamo samadhi. Qui si comincia a morire alla carne e a rinascere allo spirito. La sensazione di essere materia va via e l’evanescenza rivela la nostra vera natura. Che lo si chiami spirito, coscienza, consapevolezza o non lo si definisca affatto non importa, la cosa essenziale è che questa leggerezza la sperimenterai tangibilmente ogni volta che trascenderai il dolore, a qualsiasi livello lo farai, e potrai spingerti fin dove vorrai, anche fino al punto di non volerla più lasciare!
La teoria da sola non ha mai portato la pace a nessuno, la pratica sì.
Buona sperimentazione!
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sophiaepsiche · 8 months
Note
Mi interesserebbe molto capire se esiste un nesso tra divinazione e spiritualità. Il risveglio spirituale conferisce un potere? Gli strumenti divinatori nel risvegliato hanno un senso?
È una domanda importante e delicata che implica molte sfumature. Nessun maestro di mia conoscenza ha mai negato la possibilità e la probabilità di acquisire capacità poco comuni durante il cammino spirituale. È cosa nota nella spiritualità. Ciò che tutti i maestri veri e seri raccomandano, però, è di non cercare di svilupparli o di sfruttarli appositamente. Nel caso di un aspirante evoluto e serio dunque la parola divinazione non è adatta poiché solitamente la divinazione comporta l’uso della volontà, di mezzi specifici e addirittura di rituali, di richieste ad entità superiori e necessità di protezione. Tutto questo non ha nulla a che fare con le capacità che affiorano durante la pratica spirituale.
Al meditante di solito accade di avere percezioni e rivelazioni naturali, senza cercarle, che sono avvertite nella loro purezza e verità incontrovertibile. C’è solo un caso in cui vengono richiamate appositamente ed è per amore della verità. Questo accade, soprattutto all’inizio, ai principianti. Ad esempio, se l’aspirante ha un quesito bruciante che riguarda gli insegnamenti, e non cerca risposte fuori o nel pensiero, si crea una tensione energetica tale da scatenare una presa di coscienza, una piccola illuminazione per intenderci, esattamente come quelle che può avere il genio o l’artista. Essendo l’ego ancora dominante, il pericolo sta nel considerare tale capacità un potere proprio e cominciare a volerlo sviluppare con intenti materialistici, deviando e, a volte, compromettendo il proprio cammino, con conseguenze molto gravi anche a livello esperienziale. Si resta sulla retta via solo se, nel proprio cuore, si ha un intento puro e, di conseguenza, si scelgono e si seguono insegnamenti seri e maestri severi. In tal modo si potrà dare un’interpretazione più saggia alla sensazione personale, sentendosi umili e grati al potere superiore anziché nutrire la superbia o il desiderio materiale. Finché c’è l’ego di mezzo è importante capire che solo chi adora umilmente la verità, senza alcun fine, sarà amato dalla verità. Lei si rivela proprio in misura esatta a quanto si fa da parte l’ego, né più né meno.
I praticanti spirituali proficienti sono già fuori pericolo, perché sono a conoscenza del fatto che non c’è nulla di personale; che la coscienza, in realtà, è una e che è più che naturale che una mente in ordine funzioni meglio, questo è il nesso che cerchi di capire. La spiegazione ‘tecnica’ è che la mente della persona media è invasa da pensieri ed emozioni legati tra loro inconsciamente, che vanno avanti disordinatamente anche senza la propria volontà. Questo è il pensiero psichico, che crea un vero e proprio muro, responsabile della sensazione ‘personale’ e delle risposte inconsce. Il meditante rende conscio il legame illecito tra pensiero e sensazioni e comincia a scioglierlo, osservandolo con distacco. Nel tempo quindi il pensiero comincia a restare al suo posto, come strumento d’eccellenza dell’intelletto, mentre la sensibilità, strumento del dinamismo creativo, è finalmente libera di captare molti più input di prima. Parallelamente il meditante sviluppa la capacità di incassare i colpi, perché la verità non sempre è piacevole. Allena la capacità di stare con ‘ciò che è’, trascendendo le reazioni psichiche, che sono ovviamente residui dell’ego. Questo porta ulteriore distacco e ordine. È quindi un circolo virtuoso.
Se ci rifletti, quello che evolve in tal modo è ciò che, a livello comune, si chiama empatia. L’empatico capisce naturalmente gli altri e, a volte, comincia a capire di più, senza aver ancora imparato a gestire la scia psichica. Questo lo rende troppo emotivo, sofferente, e lo porta a considerare la sensibilità uno svantaggio. In realtà sta evolvendo ma deve progredire ancora, cominciando a trascendere le reazioni emotive. È per questo che io invito sempre gli empatici (o i ‘biofili’, citando Erich Fromm) ad intraprendere il cammino spirituale. Indietro non si torna mai nell’evoluzione, neanche volendo. Se stare in questa via di mezzo è penoso conviene di gran lunga andare avanti e diventare ciò che gli psicologi chiamano ‘super empatici’ (empatici forti) oppure saltare direttamente alla trascendenza che solo le pratiche spirituali genuine possono portare.
Nel praticante molto maturo le percezioni mentali non vengono mai cercate e possono aumentare sostanzialmente. Ciò non vuol dire che si diventa onniscienti, cosa impossibile per la mente umana, ma che si capta ciò che si deve e quando si deve, per il bene proprio o comune, senza scelta. Non c’è nulla di personale e non è un atto volontario. A volte si può addirittura, senza ricevere alcuna comprensione in forma di pensiero, essere mossi nel modo più appropriato ad una data situazione. Un po’ come Mister Magoo scansava i pericoli senza neanche vederli. Il proficiente però non sta brancolando nel buio ma nella luce totale. Qui è in samadhi, uno stato di pura trascendenza. Non deve sapere nulla perché è nelle mani di Dio, è nella posizione migliore in assoluto, non avrà alcun input né reazione. Questo è l’unico caso in cui, come dice Gesù, si è ‘astuti come serpenti e innocenti come colombe’. Il distacco del samadhi non è più dovuto soltanto alla scissione di pensiero e sensazione ma al distacco totale da qualsiasi elemento sottile o materiale. Dimorare in un distacco così puro costantemente è tipico di chi è pienamente realizzato.
Durante il cammino invece si è ancora soggetti al dolore, anche se sempre più di rado e con il vantaggio della trascendenza. Ci sono proprio degli ‘scaglioni’. Prima di arrivare a un livello superiore si attraversano crisi profonde in cui, con l’aumento della sensibilità, il bisogno di distaccarsi diventa quasi una questione di sopravvivenza. Avere la percezione chiara e netta di tradimenti, pugnalate alle spalle, inganni e bugie è triste anche per un aspirante avanzato, soprattutto se vengono da parte di chi si spera o addirittura dovrebbe volerci bene. Per questo la sensibilità e la capacità di sapere, nell’evoluzione interiore, vanno di pari passo con la capacità di trascendenza del dolore, altrimenti sarebbe devastante. Nell’aspirante avanzato l’incremento della sensibilità richiama molto velocemente il successivo incremento della trascendenza e così si giunge al distacco, che spesso viene percepito dall’esterno come una grande forza interiore o dignità. Con la trascendenza non si corre mai il pericolo di provare rancore o arrivare a risposte distruttive e vendicative ma solo a quelle strettamente necessarie alla propria salvaguardia o a quella di chi dobbiamo difendere. Contrariamente, in caso si ricorra alla divinazione, senza alcuna abilità trascendentale, si può arrivare facilmente alla distruttività. La differenza tra le due è enorme.
Se stai sviluppando delle capacità perché stai conoscendo te stesso, non te ne fare un problema, considerale solo ed esclusivamente come un effetto collaterale e ignorale. Vai avanti nel cammino di trascendenza e dedicati ad esso. Se non le stai sviluppando, non c’è alcuno svantaggio, non sono necessarie. Le abilità dipendono dal ruolo o, se vuoi, stabiliscono il ruolo che il risvegliato avrà nel mondo, cosa che non è mai scelta da lui. Questo è il ‘senso’ dei poteri, di cui mi chiedi nella seconda parte della domanda. Conosciuto o ignoto, l’illuminato è un catalizzatore di progresso spirituale a vari livelli. Il modo più umano e naturale è quello di essere portatore di un più alto livello di coscienza e questo equivale ad alzarla anche in chi è intorno, con effetti molto diversi a seconda della maturità o della distruttività di chi entra in contatto con lui. Affrontare i contenuti inconsci per il distruttivo è una purificazione destabilizzante e ardua e, pur essendo una benedizione, spesso il distruttivo se la prende inconsciamente proprio col suo catalizzatore, attaccandolo.
Alcuni realizzati non vengono usati se non per restare nel centro della pace e del silenzio, aiutando gli altri in incognito, anche in completo eremitaggio. Altri hanno un ruolo specifico e devono altalenarsi tra la pace e il potere. Pensa a chi, come Sri Ramana Maharshi, permaneva e operava nel silenzio assoluto, dando istruzioni solo ed esclusivamente sotto richiesta pressante. Caso interessante e diverso è Padre Pio, il cui più grande ruolo fu quello di confessore. Aveva abilità straordinarie, era lui ad elencare i peccati che il devoto non riusciva onestamente a render consci mentre, nel caso di menzogne, cacciava dal confessionale le persone senza pensarci due volte, scatenando crisi spirituali drastiche. Altri realizzati vengono usati come maestri e comprendono dettagliatamente le dinamiche del cammino spirituale; hanno anche la capacità di dire ad ognuno una cosa diversa, quella giusta per il livello dell’aspirante. Altri ancora sono filosofi spirituali, come il Buddha. Poi ci sono i teologi, in questo caso si parla di ‘teologia mistica’ in quanto non deriva dall’istruzione secolare ma dallo stesso Spirito Santo, il quale istruisce nel totale silenzio. Alcuni sono taumaturghi più o meno consapevoli di esserlo. I casi sono infiniti come infinito è il potenziale che si cela in ognuno di noi. Spesso più funzioni e capacità emergono nello stesso individuo. L’elemento comune è che gli esseri più evoluti della terra manifestano il divino al mondo e non saranno mai capiti dal mondo.
Spero di averti aiutato e che tu prenda la via della luce, ti abbraccio.
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sophiaepsiche · 9 months
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Revisionato e rinnovato. Oltre ad aver rimosso alcune ripetizioni, troverete novità e approfondimenti sul narcisismo e la manipolazione, sullo spiritual bypassing e sulle crisi spirituali nella solitudine interiore. Ho diviso in paragrafi il capitolo 'doni della solitudine' e ho inserito i seguenti paragrafi nell'ultimo capitolo:
da fuori a dentro
come capire se sono pronto?
il ruolo dell’attenzione
perdite della sensazione personale
meditazione
intensità e stabilizzazione
ostacoli
quando arriva il silenzio
conclusioni
Spero vi sia d'aiuto, buona lettura.
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sophiaepsiche · 10 months
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Io e mio
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La resa dell’io, per conoscenza, e la resa della volontà, per amore.
Sicuramente nelle vostre letture filosofiche e spirituali avrete incontrato spesso il concetto che il nocciolo del problema, l’ostacolo al nostro progresso, è essenzialmente l’‘io’ e il ‘mio’. Perché io e mio? Perché non solo l’io o non solo il mio?
Perché l’ego fa questo: crea un oggetto di desiderio mentale e vi si aggrappa, creando attaccamento, e prosegue via dicendo con altri oggetti, senza sosta. Lo può fare anche con un oggetto che crea avversione, rifiutandolo, attraverso una serie di pensieri ed emozioni alle quali comunque si attacca. Si nutre di queste appartenenze e desideri o avversioni e paure. Questo movimento è chiamato la volontà personale ma è anche ciò che crea l’illusione del personale. L’attaccamento è quindi sia scatenato dall’ego, che, ricordiamo, è solo un’identificazione erronea, sia il meccanismo che lo sostiene. ‘Afferrando forme viene in essere, afferrando forme vive; afferrando e nutrendosi di forme cresce rigogliosamente; lascia [una] forma e ne prende un’altra. [Ma] se lo cerchi, fugge. Il fantasma senza forma, l’ego. Cerca[lo]!’ (Ulladu Narpadu – par.25 – Bhagavan Sri Ramana Maharshi)
‘Vediamo più nel dettaglio questo circolo vizioso. L’identificazione dell’‘io’, allo stato attuale, è collegata a qualsiasi cosa sentiamo ‘nostra’, ed ecco l’importanza dell’attaccamento. Più cose sentiamo nostre, più siamo impegnati a difenderne la proprietà, perché ne va della nostra stessa identificazione. Ne consegue che, a livello psicologico, più ci identifichiamo con i nostri pensieri, con ciò che facciamo, con le nostre idee e teorie, con le nostre proprietà materiali, con le persone con cui siamo in relazione, con la capacità di ottenere ciò che vogliamo e chi vogliamo, più la nostra identificazione sarà difficile da gestire. In poche parole, più il nostro ego è espanso verso l’esterno, verso la materia, gli oggetti, le persone e gli ideali, più sarà facile essere feriti. L’ego grande è suscettibile per questo. È come se si avesse un mantello troppo grande, per non vederlo calpestare continuamente dagli altri.’ ‘L’appartenenza dà una sensazione di sicurezza, perché allarga ‘fisicamente’ l’ego, il cui motto è: ‘più ho, più sono’. Anche l’appartenenza a qualcuno [...] ha lo stesso scopo. Tuttavia è solo un’illusione che dura poco, perché l’attaccamento scatenato dall’identificazione esterna si poggia su elementi, di per sé, impermanenti e su fattori indipendenti dalla propria volontà.’(1) L’ego, così facendo, apre la porta al dolore e all’insoddisfazione. Se non capisce il trucco di questo circolo vizioso, ma si fa trascinare da esso, nutre un’identificazione via via più materiale, insicura e dipendente da ciò che vuole e possiede. A causa dell’impermanenza degli oggetti a cui si aggrappa, diventa sempre più instabile e cerca ancora più appoggi esterni, così si ingrandisce ancor di più. Purtroppo più materiale diventa, più si sentirà fisico, isolato e in lotta contro il mondo. Nella misura in cui si estende verso la materia, nella stessa misura avrà una visione materiale e tratterà come oggetti anche gli esseri viventi, ed ecco come nasce la distruttività.
Non so se ci avete già pensato ma, se esaminiamo l’io e il mio, dal punto di vista degli insegnamenti spirituali, ci accorgeremo che tutte le vie introspettive e filosofiche attaccano principalmente l’io e spingono a scartare la falsa identificazione, attraverso la conoscenza di sé. È presente anche il ‘lasciar andare’, tipico della meditazione, ma il processo che si attua è soprattutto di conoscenza diretta e di scarto dell’ego. La meditazione è il mezzo attraverso il quale si scopre direttamente l’inconsistenza del rapporto tra ‘io’ e ‘mio’ e ci si allena ad allentarlo, fino a che non risulti del tutto illusorio e si spezzi l’identificazione materiale. ‘Se lo cerchi fugge’, proprio come dice Bhagavan, perché, in realtà, non esiste come entità ma solo come malinteso sulla nostra identificazione interiore che mai viene indagata se non da chi conosce se stesso.
Nelle vie devozionali, invece, dove c’è la naturale tendenza a credere in Dio, il principale bersaglio diventa il ‘mio’. La resa e l’abbandono della propria volontà alla volontà del potere superiore è, infatti, molto sottolineata come il mezzo per arrivare alla comunione col divino. Questo lasciar andare diventa allora un atto d’amore e di fede che ha lo scopo di allentare la propria volontà, il proprio desiderio e il proprio attaccamento. (Quando paragonate gli insegnamenti vi prego di non paragonare il cattolico medio al Buddha, perché questo semplicemente non è giusto. Sarebbe come paragonare il buddhista medio a Gesù, cosa che si tende a fare molto meno. Pensate ai grandi Santi e al loro divino distacco dalla volontà personale e da tutto ciò che è creato, e guardate quanta pratica hanno svolto, con che impegno e con che fatica). La resa non è un atto passivo e non è affatto facile. ‘Non ti allontani mai da noi eppure noi torniamo a te solo con grandi sforzi’, dice a tal proposito Sant’Agostino. La resa, infatti, richiede lo stesso impegno che richiede la meditazione e, se svolta bene, è a tutti gli effetti pura trascendenza.
La resa richiede uno sforzo perché l’essere umano è tendenzialmente attaccato a ciò che vuole, pensa o fa. La meditazione anche richiede un impegno perché l’identificazione fasulla è, al momento, quella che viene naturale, è lo stato attuale dell’evoluzione umana. In entrambi i casi diventa un atto passivo solo se si raggiunge la trascendenza, allora lo sforzo semplicemente non serve più e si scopre, nel primo caso, l’incredibile sollievo di essere nelle mani di Dio, nel secondo, la pace interiore tipica del samadhi. Questi sono sinonimi dello stesso stato trascendentale, in cui ci si rilassa nella sensazione di sicurezza che non dipende da nessun elemento esterno. La pratica ovviamente deve ricominciare ogni volta che si sta per ricadere nell’‘io’ o nel ‘mio’. Diventa naturale solo per i Santi che hanno una comunione perpetua con Dio e per i realizzati o gli arahant, che perdono totalmente l’identificazione egoica.
Non si può neanche dire che, nelle vie devozionali, l’identificazione sia abbattuta per via indiretta, perché l’io e il mio sono talmente concatenati, che tra i due approcci non c’è alcuna differenza. Attaccare l’uno porta inevitabilmente all’indebolimento dell’altro e porta alle comprensioni che, alla fine, come scritto in altri articoli, sono identiche. Tant’è vero che l’Esistenza è considerata Dio sia nella teologia che nella filosofia non duale. ‘L’esistenza è Dio’ (Meister Eckhart – The complete mystical works of Meister Eckhart) - ‘L’esistere è il Sé’. 'L'essere assoluto è ciò che è. è il Sé. è Dio' (Bhagavan Sri Ramana Maharshi- Sii ciò che sei)
Se nelle vie introspettive la domanda ultima è ‘chi sono io?’ e la risposta delle vie positive sarà ‘tu sei Dio’, nella via duale Dio sussurra il suo nome: ‘Io sono’, ‘Io sono colui che è’. Non c’è alcuna differenza, alla fin dei conti si scopre che l’ego non esiste, non si trova che l’Esistenza stessa. Lo scopo ultimo però non è una comprensione intellettuale o una visione della verità, ma dimorare in quello stato di pace e silenzio in cui l’io e il mio si dissolvono per sempre nell’esistenza stessa. Permettetemi di riformulare per tutti i gusti: ‘l’io e il mio si dissolvono in Dio’ oppure: ‘l’io si dissolve nel Sé’. Solo negli insegnamenti in via negativa, come il Buddhismo, si cerca di non postulare o etichettare nulla di metafisico ed è una scelta che serve in questo mondo. Serve agli scettici, agli intellettuali, serve a non sbagliare, perché ogni definizione è solo un concetto e ci ritroviamo nel mondo della materia. Non è però da interpretare superficialmente come un’affermazione nichilistica ma come una spinta all’unica parte essenziale in ogni approccio: la pratica del distacco!
Il distacco dal mio e la conoscenza dell’io sono allora la stessa cosa, se davvero attuati con grande impegno. Si intersecano inevitabilmente, ed è solo per le diverse tendenze naturali, all’introversione e all’estroversione, che si tende ad attuare prima l’una e poi l’altra o viceversa. Un’altra tendenza importante che incide inizialmente è l’inclinazione all’uso dell’intelligenza o della sensibilità. Se il risultato più grande dell’intelligenza è la saggezza, quello della sensibilità è l’amore. Queste due forze interiori rappresentano, agli inizi, proprio la propensione a cercare la conoscenza di sé o quella di arrendere la propria volontà per amore di Dio.
Alla fine la resa totale dell’ego e della sua volontà è sia conoscenza sia atto supremo di abnegazione al divino. Ciò che conta è il distacco dalla materia sia grossolana che sottile (pensieri-emozioni), perché ‘l’assenza di desiderio (vairagya) è saggezza (jnana). Non sono due cose diverse, sono la stessa cosa. Assenza di desiderio significa che la mente non si rivolge verso nessun oggetto; saggezza significa che non appare nessun oggetto. Essere semplicemente, senza occuparsi di nessuna cosa diversa dal sé è il non attaccamento o assenza di desideri; rimanere senza allontanarsi mai dal proprio vero sé è la saggezza' (Chi sono io? par. 26). Riformulando, il distacco (vairagya) è la pratica del desistere dal partecipare e aumentare il pensiero e le emozioni mentre riuscire a stare nel silenzio, senza attaccarsi a nulla è saggezza (jnana). Che lo si faccia per amore della verità o per amore di Dio non cambia nulla allo stadio avanzato, perché diventano sinonimi.
Note: La citazione nell’immagine è tratta da ‘Dell’uomo Nobile’ – Meister Eckhart (1) ‘Viaggio nella Solitudine’ Germana Di Paolo (scarica la seconda edizione gratis) (2) ‘Chi sono io?’ Ramana Maharshi - dalla versione domande e risposte, 'Opere' - Ubaldini Editore
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sophiaepsiche · 10 months
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Sul perdono
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“Molti parlano di perdono senza capire l’impercettibile ma grave pericolo che si nasconde dietro alcune situazioni, come ci si deve comportare? Il perdono è trascendenza o è un particolare comportamento?”
Sicuramente il vero significato è il medesimo, purtroppo però il termine ‘perdono’, col tempo, si è caricato di condizionamenti culturali e spirituali che sembrano dover implicare specifici comportamenti. Il perdono è stato troppo concettualizzato ed è collegato, almeno nell’immaginario comune, ad una serie di ‘istruzioni’ su cosa fare. Della serie: ‘se sei buono, ci si aspetta che tu faccia così’. Questo può creare ulteriori dissonanze cognitive in chi già viene confuso e manipolato da persone cattive, il che indebolisce ancor di più. Il perdono è quindi più fraintendibile e, sono d’accordo, può diventare anche pericoloso. Non a caso negli insegnamenti religiosi una delle virtù da coltivare è anche la prudenza, proprio per controbilanciare tutti questi concetti che possono essere fraintesi.
La nuda trascendenza non ha queste accezioni solitamente. È già spiritualità e, come tale, non è fatta di concetti, è la soluzione più pratica e semplice che ci sia. Se non provo rabbia o dolore, perché li ho trascesi davvero, non sento di aver nulla da perdonare, mantenendo, allo stesso tempo, un contatto con la realtà impeccabile e non manipolabile. La lucidità è priva della scia psichica e valuta molto meglio l’accaduto. Le azioni che ne conseguono sono solo frutto di intelligenza. Il perdono, ad esempio, non implica affatto continuare a frequentare una persona distruttiva e subdola, soprattutto se si deve difendere, non solo se stessi, ma anche qualche persona di cui si è responsabili. Lo ripeto, soprattutto se si è responsabili di qualcuno che deve essere difeso.
Non serve odiare il lupo per non farlo entrare in casa, serve solo il buon senso. Lo si può addirittura reputare bello e augurargli ogni bene. Con la trascendenza è impossibile nutrire avversione e relativi pensieri vendicativi e cattivi e questo basta di per sé. La pratica spirituale, nell’atto pratico, è sempre un processo di sottrazione, non è mai fatto di concetti o di consigli su cosa fare. Dobbiamo sempre e solo togliere contenuti mentali o emozionali, tutto qua.
La situazione più difficile che può capitarci è proprio quella in cui effettivamente non c’è via d’uscita. Potremmo vivere una situazione tossica da cui è davvero impossibile sottrarsi o una crisi generale in cui non appena trascendiamo una reazione, ne viene stimolata un’altra troppo presto. In questi casi dovrete avere compassione soprattutto per voi stessi e non condannarvi se, a volte, le vostre reazioni risultano un po’ nevrotiche. Continuate a praticare intensamente e imparate a farlo sempre. Queste crisi sono da prendersi come un corso full immersion di meditazione. Finita la crisi diverrete forti come leoni e avrete un distacco ben maggiore del precedente. Vedrete che la base della vostra pratica subirà una sorta di upgrade. Prendete tutto, ma proprio tutto, come uno stimolo alla pratica e purificate il più possibile. Le azioni che seguono la purificazione, così ottenuta, sono spontaneamente le più intelligenti,  che siano severe e restrittive o accoglienti e accomodanti. Questa spontaneità vi renderà più leggeri e agili.
La differenza tra concetti e trascendenza separa la sfera umana dalla sfera spirituale. Tutti i dubbi sulla spiritualità sono solo concettuali, perché, se praticassimo davvero, sapremmo che dobbiamo solo ed esclusivamente trascendere le reazioni interiori e i relativi pensieri che si presentano. In passato ho spesso definito i condizionamenti come ‘lato psichico della realtà’. È come un’appendice che può essere tolta da tutto, grazie al distacco. Una volta tolta, resta solo la realtà. Così sviluppiamo la capacità di riconoscere il vero dal falso e, inoltre, alleniamo la forza di accettare la realtà per ciò che è, e questo è l’antidoto migliore contro qualsiasi tipo di dissonanza.  
Il perdono e la benevolenza sono sottolineate in ogni religione perché il bivio tra creatività e distruttività (o tra bene e male, se volete) parte proprio dal dolore . Il dolore mal gestito degenera fino a causare risposte distruttive: rabbia, avversione, odio, vendetta. Chi è maturo e cerca perlomeno l’elaborazione del dolore a livello psicologico non diviene distruttivo e ha più energie per essere creativo. Può, però, ancora sbagliare parecchio nell’atto pratico, perché il suo perdono, come detto, può essere ancora condizionato da quella serie di aspettative che sembra comportare. Ancor più se chi ha intorno preme per un comportamento ‘da manuale’. L’influenza degli altri può far perdere la lucidità che serve in situazioni potenzialmente pericolose. 
Il contemplativo difficilmente farà questi errori perché trascende gli elementi psichici lasciando l’azione totalmente libera. Non si fa influenzare da consigli, frecciatine o paternali varie, non ha a cuore quello che gli altri pensano di lui ed ha la forza di stare solo contro il mondo.  Non c’è manipolazione che tenga. È dunque integro in un modo inaccessibile agli altri proprio in quanto più distaccato dal mondo e disinteressato a ciò che il mondo pensa di lui. Il contemplativo sa che Dio lo guarda e lo giudica da dentro, resta quindi a pulire dove davvero conta. 
Invece di decidere le azioni col pensiero, come gli altri, chi trascende segue un flusso naturale dettato dalla sensibilità. Quando si può sperare di salvare il salvabile, egli darà naturalmente delle seconde possibilità senza neanche pensarci. Se e quando arriva a chiudere del tutto con una persona, non sta chiudendo il suo cuore e la sua compassione, sta solo chiudendo la manifestazione esterna del suo amore, perché risulta controproducente. Tutto questo avviene intuitivamente e senza scelta. Avviene inoltre senza dubbi o pentimenti perché, in quel caso, è evidente che la persona in questione ha più possibilità di imparare col dolore della perdita che con la manifestazione aperta del suo amore. Il perdono non deve mai abbandonare i nostri cuori ma può manifestarsi o non manifestarsi esternamente.
Nella trascendenza, oltre alle risposte intelligenti e libere da condizionamenti, si verifica una vera e propria trasmutazione energetica. Ciò che interviene, in questo caso, non è più solo creativo, è creazione stessa. Si comincia, allora, ad essere testimoni di piccoli e grandi miracoli quotidiani. E vi assicuro che, se avete qualche hater incallito, comincerà a chiedersi come fate ad evitare gli ostacoli e a tramutare le loro vendette in benedizioni. Loro ancora non sanno che essere buoni conviene e questa lezione gliela può impartire solo un buono forte ed integro, saldo nella consapevolezza e dedito alla trascendenza. 
La spiritualità dona una forza divina e non una bontà debole.
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sophiaepsiche · 11 months
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Nisargadatta citazioni
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‘La mente e i sentimenti sono esterni ma tu li scambi per qualcosa di intimo, credi che il mondo sia oggettivo mentre è solo una proiezione della tua psiche, è questa la confusione.’
‘Osserva i pensieri nello stesso modo in cui osservi il traffico per la strada; la gente va e viene e tu ne prendi atto senza reagire. All’inizio può non essere facile ma con la pratica ti accorgerai che la mente può funzionare contemporaneamente su molti livelli e che tu puoi essere consapevole di ognuno di essi. È solo quando hai un preciso interesse per un particolare livello che la tua attenzione vi rimane intrappolata e non nota più gli altri e, anche in quel caso, i livelli che non vengono notati continuano ad agire al di sotto della soglia di coscienza.’
‘Indifferente al dolore e al piacere senza richieste e rifiuti, presta tutta la tua attenzione al livello in cui l’‘io sono’ è presente.’
‘Quando dico di ricordare sempre l’‘io sono’ intendo tornaci ripetutamente.’
‘Quando la mente si trova nel suo stato naturale torna spontaneamente al silenzio.’
‘Non puoi andare alla ricerca di qualcosa che hai già, tu stesso sei Dio, la Realtà suprema, tu sei la realtà che tutto pervade e trascende, comportati di conseguenza, pensa, senti e agisci in armonia col tutto.’
‘Abbandona le tue dipendenze, non c’è altro da abbandonare. Interrompi l’abitudine di accumulare, di andare in cerca di risultati e la libertà dell’universo sarà tua.’
‘È inutile ribellarsi al disegno della vita.’
‘Il mondo non è oggettivo e le sue sofferenze non sono evitabili.’
‘Se non sei attaccato a nulla non hai problemi, rinunciare all’inferiore significa conquistare il superiore. Se abbandoni tutto, ottieni tutto.’
‘Cambia la tua scala di valori e cambierà tutto. Piacere e dolore non sono altro che un turbamento dei sensi, trattali alla stessa stregua.’
‘La sofferenza è mentale, oltre la mente non c’è sofferenza.’
‘Il nostro mondo è reale ma non lo è la visione che tu ne hai.’
‘Conosciti per ciò che sei, la conoscenza di sé è distacco. Ogni desiderio è dovuto a un senso di carenza, quando sai che non ti manca niente, che tutto ciò che esiste è in te ed è tuo, il desiderio cessa. Per conoscere te stesso sii te stesso. Per esserlo smetti di immaginarti come questo e quello.’
‘La mente pensa di essere il corpo e non il sé, ma basta solo purificarla in modo che possa comprendere di essere identica al sé.’
‘La perfezione è il destino di tutti.’
‘Una volta che un essere vivente sente e capisce che la liberazione è alla sua portata, non lo dimenticherà mai, perché è il primo messaggio che gli viene da dentro, un annuncio che si radicherà, crescerà e, a tempo debito, assumerà la forma benedetta del guru.’
Da ‘Io sono quello’ - Sri Nisargadatta Maharaj
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sophiaepsiche · 1 year
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Le profondità di San Charbel
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Il silenzio interiore era il suo regno, l’anello di congiunzione con Cristo.
La purificazione spirituale inizia senza una fine: dura finché l’anima non si riempie della divina sapienza.
Aveva sempre lo sguardo fisso per terra, non guardava, non parlava con nessuno se non quando richiesto.
Charbel in questo modo ha cercato di escludere le emozioni e di superarle, per fare di se stesso un’offerta a Dio con amore puro.
Di fronte alla fugacità del mondo sente il bisogno di raddoppiare lo spirito di abbandono di tutto per Dio.
Ogni cosa esterna scompare, rimane solo la grazia che gli permette di entrare nel mondo di Dio.
Padre Charbel vuole stare solo con il Solo.
Non proverà mai una consolazione umana ma solo quella proveniente da Dio.
Il suo desiderio di non distogliere lo ‘sguardo da Dio’ era la sua preoccupazione principale.
Lascia tutto per possedere il ‘Tutto’.
Charbel conosce tutta l’ambiguità interiore ed esteriore della sua mente.
Aspetta la luce di Dio mentre medita sulla natura umana. Sondando in profondità il suo animo.
Solo con il silenzio incondizionato Padre Charbel acquistava maggiore consapevolezza dell’amore reciproco tra lui e Dio, amore santificante con il quale interagire per essere trasfigurato interiormente
Charbel continuò il suo viaggio profondo immergendosi nel suo deserto interiore, necessario per l’ascesa verso Dio. 
Allontanarsi da se stesso, scoprirsi immensamente povero faceva sì che potesse avvicinarsi a Dio, riempirsi di Dio, diventando un tutt’uno con Lui.
In qualsiasi luogo si trovasse, stava in meditazione nel più assoluto silenzio. 
Solo così poteva raggiungere la pace interiore e quell’umiltà necessaria per avvicinarsi a Dio e comunicare con Lui.
L’atmosfera ascetica lo manteneva in unione con il Cielo, purificando continuamente e incessantemente il suo cuore e la sua mente.
Charbel lottò con il buio umano perché solo così sarebbe riuscito a purificarsi interiormente.
Qualsiasi preoccupazione, qualsiasi sbaglio, anche la più semplice disattenzione, lo incoraggiarono a proseguire e a cercare Dio nella sua pienezza.
Egli faticava a liberarsi totalmente di sé, né riusciva a vivere pienamente nella luce di Dio, ma si aggrappava a tutto ciò che gli permetteva di avvicinarsi ad essa.
Cercava continuamente di uscire dalle tenebre, proprie dell’uomo, non tanto per liberarsi dalla sofferenza interiore, quanto per trovare la pienezza interiore di Dio.
- citazioni sulla vita del monaco eremita San Charbel tratte da “San Charbel - Itinerario nelle profondità” di Padre Elias al Jamhoury
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sophiaepsiche · 1 year
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Inconscio, Conscio, Metaconscio. La mappa dell’evoluzione interiore.
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INCOSCIENZA DI SE’ – distruttivi - ATTENZIONE FUORI / identificazione materiale
psicopatia: materialismo estremo – distruttivo esterno - carnefice fisico (attenzione esterna e dispersa, identificazione dispersa nella materia: l’altro come oggetto, nessun rimorso, freddezza anche per le conseguenze, pensiero meccanico inconsapevole)
narcisismo maligno: empatia esclusivamente cognitiva – distruttivo esterno - carnefice di tipo psicologico, è un bugiardo seriale e un manipolatore senza scrupoli, vendicativo per necessità identificativa. Identificazione insicura e dipendente dalla materia, dagli altri, dal valore sociale, l’altro è come un oggetto, rimorso cognitivo senza alcun pentimento effettivo. Ha una netta distinzione tra dentro e fuori ossia doppi standard, che lo rendono molto ingiusto. (Attenzione esterna e dispersa, identificazione con il solo corpo, caos mentale, usa prevalentemente il pensiero meccanico subconscio). L’unica via d’uscita è far salire il dolore da cui tanto abilmente si protegge con il controllo. Spesso diventa vittima del male stesso che vuole infliggere, soprattutto se sceglie la vittima ‘sbagliata’: una persona non manipolabile, empatica ma forte ed integra, un praticante spirituale o addirittura un contemplativo, in tal caso viene punito dalla vita e dal karma quasi istantaneamente. Purtroppo solo il dolore, che corrisponde alla riapertura della ferita narcisistica, può risvegliare un intento di cambiamento sincero, seppur lieve ed è per questo che madre natura cerca di avvicinare narcisisti ed empatici. Gli uni possono finalmente affacciarsi al dolore, gli altri devono rendersi immuni dalla manipolazione ed imparare ad accostare la loro naturale compassione alla saggezza, al distacco e alla prudenza (vedi nota a fine articolo).
narcisismo vittimistico: contenimento della distruttività. Poco rimorso per gli altri che si puniscono manipolandoli quasi esclusivamente col vittimismo/sensi di colpa. Invidiano i creativi in modo sottile e mostrano una sottile violenza, un’aggressività sottotono. Sono ancora troppo dipendenti dagli altri e dall’esterno.   (Attenzione bassa e dispersa, identificazione con il solo corpo, debolezza mentale, pensiero meccanico subconscio).
uscita dal narcisismo distruttivo esterno: in un tentativo di contenimento maggiore della distruttività, si passa ad essere auto-distruttivi – vittime dei narcisisti – deboli – manipolabili - co-dipendenti e dipendenti. La svolta è cambiare lo strumento introducendo la consapevolezza oltre al pensiero meccanico, ossia alzando l’attenzione, così inizia l’uso della capacità critica esterna. La morale è ancora eteronoma e vacillante, ma comincia a cambiare grazie alla consapevolezza. Inizia ad accennarsi un’identificazione più circoscritta, eliminando e purificando la distruttività.
- crisi importante -
CONOSCENZA DELLA VITA – creativi esterni - ATTENZIONE FUORI e NEL CORPO / identificazione col corpo: materia/vita
biofilia: consapevolezza e pensiero meccanico/ragionativo. Avendo una maggiore dimestichezza con la consapevolezza esterna, si distaccano naturalmente dai valori malsani del mondo e degli altri. Cominciano a puntare l’attenzione dentro, nel corpo, si ritirano spesso e si purificano in solitudine. Con l’attenzione puntata al corpo, riconoscono in sé e nell’altro la sacralità della vita, diventando finalmente biofili. Inizia l’equanimità, il rispetto della vita, l’empatia connaturata, la morale autonoma. Amano la vita e la creatività. Esprimono i propri talenti. Sono individui psicologicamente ‘maturi’ e relativamente sicuri. Possono stagnare a questo livello per molto tempo sentendosi arrivati o realizzati. Le rimanenti tracce di narcisismo sono sub-consce. Quando salgono al conscio sono spesso giustificate perché ritenute giuste e naturali.
- crisi importante -
CONOSCENZA MENTE/CORPO – purificazione elementi distruttivi interni ATTENZIONE NELLA MENTE / identificazione con la vita/mente
pratica spirituale: la conoscenza della mente rende conscio l’inconscio ed ogni traccia di narcisismo residuo. Vera meditazione: consapevolezza interiore molto perseverante. Si usa in prevalenza il pensiero ragionativo e quello semplicemente organizzativo e si comincia a scartare e trascendere quello meccanico.
crisi detta ‘notte dei sensi’ – profonda purificazione dei sensi e degli attaccamenti che porta al battesimo nello spirito – satori – risveglio – illuminazione.
CONOSCENZA DI SE’ - contemplativi ATTENZIONE NELLO SPIRITO / identificazione mente/spirito.
Dopo aver reso conscia la propria natura in quanto coscienza pura o spirito, sorge la capacità di samadhi, di contemplazione,  di nididhyasana, tutti sinonimi di silenzio mentale protratto con attenzione molto alta. Questo rende possibile la conoscenza dello spirito, detta anche consapevolezza della consapevolezza, auto-attenzione, atma-vichara, auto-indagine, dimorare nel sé, nel silenzio, nel nous,  nella vacuità, nello spirito santo.  I contemplativi possono passare un lungo periodo in cui fanno avanti e indietro con l’attenzione, tra mente e sé. Il divario e il conflitto che emerge da questo andirivieni serve ad aumentare il desiderio di raccoglimento. Si scopre che l’unica soluzione è di restare il più possibile nel silenzio a prescindere dalle situazioni esterne, durante ogni tipo di attività o inattività.  L’ego (o il narcisismo) comincia a morire del tutto.
crisi detta ‘notte dell’anima’ – ultima purificazione
METACOSCIENZA DI SE’ – identificazione naturale col sé.
La meta-coscienza di sé è ora naturale e senza sforzo, si è uno col divino e manifestazione piena del divino: l’evoluzione è completa. La consapevolezza è imperante e il pensiero non è più psichico. Nessuna differenziazione è più presente tra sé e gli altri, si conosce l’Uno in ognuno, il Sé di tutti. L’amore e la saggezza sono connaturati. Si porta in manifestazione l’infinito potenziale solitamente limitato dall’ego.
ps. il termine ‘narcisismo’ qui si riferisce in generale all’identificazione estroflessa e non centrata nel nostro vero sé. Invito però tutti i miei lettori che sono perlomeno biofili ed empatici, se non praticanti spirituali, a farsi una cultura psicologica sul fenomeno del ‘narcisismo maligno’, che io conosco per esperienza diretta e da ‘sopravvissuta’ e che non posso descrivere come uno psicologo. Per noi della ‘triade luminosa’ è importantissimo capire come trattare con la ‘triade oscura’, è contro-intuitivo e spesso sembra andar contro ad alcune nozioni spirituali un po’ troppo teoriche e romantiche. Di noi, solo il contemplativo si salva senza alcuno sforzo dagli attacchi narcisistici, per gli altri c’è davvero bisogno di conoscenza per riconoscerli e relazionarsi (se proprio inevitabile), c’è bisogno di forza, integrità e libertà dai condizionamenti di stampo spirituale.
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sophiaepsiche · 1 year
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J. Krishnamurti Citazioni
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‘Siete voi stessi il vostro guru e il vostro maestro, siete il vostro stesso discepolo, perché siete voi a dover incontrare tutto questo.’
‘Dovete imparare senza imitare, senza conformarvi a nessuna autorità. Per prima cosa dovete conoscere voi stessi. Dovete comprendervi, perché altrimenti non avete basi razionali per nessun pensiero, nessuna struttura. Se non capite voi stessi, come potete capire qualsiasi altra cosa? Figuriamoci qualcosa che forse esiste forse no. Così il primo movimento è capire voi stessi, comprendervi realmente per come siete, non per come vorreste essere. Capire la bruttura, la violenza, l’avidità, l’invidia, la solitudine tormentosa, la disperazione; è questo ciò che siete.’
‘E devo osservare me stesso, perché non so cosa sono. Devo imparare su me stesso, non in base a un filosofo, a uno psicologo, a un libro, a una guida o a un guru.’
C’è un mutamento costante, un continuo muoversi, vivere. Dobbiamo imparare a conoscere questa cosa viva. Per farlo, bisogna osservarla, imparare cose su di essa di nuovo ogni minuto.
‘Se lo fate, è davvero molto affascinante, perché in quel caso la mente trattiene pochissimo.’
‘Non si tratta di analizzare, ma di guardare durante il giorno tutti i movimenti, i segni e i cenni dei desideri segreti.’
‘Imparare su di sé – imparare costantemente e non aver già imparato – produce ordine.’
‘Deve esserci conoscenza di sé, deve esserci questo ordine, che è disciplina, non deve esserci l’azione della volontà.’
‘È possibile vivere il quotidiano senza il movimento e l’azione della volontà? Una vita cioè in cui non ci sia scelta, perché quando avete scelta c’è contraddizione.’
‘Cercate di trasformare ciò che è in qualcos’altro; e nel momento in cui lo fate c’è conflitto e dal conflitto nasce la confusione.’
‘Così l’azione della volontà è il risultato della confusione.
‘La meditazione è allora un movimento in cui non c’è nessun’a azione della volontà.’
‘La mente, il cervello, può percepire solo quando la quiete è totale.’
‘Il cuore deve ascoltare. E perciò per osservare è necessario che la mente sia completamente quieta.’
‘Saggiate i vostri stessi pensieri, metteteli in dubbio, scopritene la verità. Allora non sarete esseri di seconda mano.’
tratte da ‘La rivoluzione interiore’
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sophiaepsiche · 1 year
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Meta-coscienza di sé II
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“Se sono già sat chit ananda, perché l’ananda, la pace, non la sento quasi mai?”
Abbiamo già introdotto il tema della coscienza/consapevolezza fenomenale e della meta-consapevolezza o meta-coscienza. È un concetto che spiega forse meglio di altri il passaggio dal sub-conscio al conscio e, successivamente, al pienamente conscio. Quello che intendo con questi termini, e che spiegherò di seguito come iter e scopo stesso del conosci te stesso, è preso dalla comprensione e spiegazione di tali termini come intesi da Bernardo Kastrup, ecco il link della sua lezione a riguardo. C’è un passaggio intermedio che io sottolineo di più perché serve a noi praticanti.
Coscienza fenomenale: ciò che è sub-conscio passa inosservato, perché non gli volgiamo la nostra attenzione, è conscio ad un livello fenomenale, ossia sappiamo in qualche modo che è lì, che esiste, ma non gli prestiamo attenzione. 
Passaggio al conscio: Quando l’attenzione viene finalmente puntata al fenomeno sub-conscio c’è un momento molto chiaro, preciso e distinto in cui quel fenomeno diviene finalmente conscio. Quando parliamo di questo momento, stiamo parlando delle piccole o grandi percezioni o illuminazioni che possiamo avere durante il cammino di conoscenza di noi. Possono avvenire anche per fenomeni esterni se abbiamo un grande interesse scientifico, filosofico o artistico ed è ciò che rende possibile la genialità. Nella conoscenza di noi stessi, soprattutto quando si comincia a conoscere la mente, queste percezioni diventano piuttosto frequenti. Ce n’è una fondamentale che, come vedremo, cambia le carte in gioco e ci introduce al livello di pratica più alto. Sebbene il termine illuminazione sia in alcune tradizioni troppo esaltato e in altre volutamente sottovalutato, questo passaggio dall’inconscio al conscio è parte integrante del cammino evolutivo interiore dunque non può essere totalmente ignorato, va solo considerato nella giusta prospettiva, sapendo che ce n’è più di una. Il linguaggio semplice e neutro offerto dagli studi sulla coscienza può aiutarci a capirlo meglio che mai.
Meta-coscienza: Tale momento non è la fine del percorso, poiché ciò che è salito al conscio per diventare meta-conscio ed avere un effetto permanente e naturale su di noi, dev’essere sottoposto ripetutamente alla luce della consapevolezza. È molto facile capire l’intero iter se parliamo di eventi osservabili. Facciamo un esempio: nel conoscere la mia mente, ho una profonda percezione diretta degli effetti del desiderio sulla salute mentale. Questo momento sarà molto speciale, sentiremo che qualcosa è cambiato per sempre. Non basta però a far sparire gli effetti del desiderio, non chiude il cerchio, non trascende il fenomeno a livello basilare. Dovrà allora essere osservato e osservato ancora, fino ad arrivare ad un nuovo livello di distacco. Un esempio ancor più banale è la differenza tra sapere una cosa superficialmente, capirla profondamente e comprenderla talmente bene da saperla spiegare nel dettaglio. Il momento di comprensione apre una porta fino ad allora chiusa, è come un passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, ma solo se l’attenzione torna ripetutamente a studiare il fenomeno in diretta, si diventa maestri nell’esporlo. Quest’ultima fase è dovuta alla meta-coscienza o meta-consapevolezza.
La pratica del conosci te stesso mira alla meta-coscienza di sé.
Nella pratica, quando l’attenzione si volge alla mente e alle emozioni, i contenuti salgono al conscio. Questa osservazione distaccata crea automaticamente saggezza sui fenomeni esposti e trascendenza. Si crea ciclicamente sempre maggiore distacco. La tappa più importante, la lezione fondamentale del conosci te stesso è ovviamente capire chi siamo. Il momento in cui si capisce è il passaggio dall’inconscio al conscio. C’è chi lo chiama satori, chi illuminazione, chi risveglio, chi battesimo nello spirito. Questa non è la fine ma il passaggio allo spirito, alla coscienza vacua e nuda. Si è aperto un nuovo varco di conoscenza, quello che ne scaturisce è la contemplazione o il samadhi o il famoso silenzio che chiunque medita sa che, prima o poi, arriverà. Qui si è chiamati a praticare ripetutamente questa conoscenza della coscienza stessa, così che si diventi meta-consci della nostra vera natura. Solo attraverso questa pratica, ripetuta il più possibile, la mente diverrà completamente pulita ed illuminata sulla verità. ‘La meta-coscienza va a braccetto con l’attenzione’, sottolinea Bernardo, ed infatti l’atma-vichara è la pratica di porre l’attenzione a se stessa o alla ‘sua fonte’. È un processo di auto attenzione che diventa un dimorare nella fonte stessa dell’attenzione/consapevolezza: la coscienza.
Cosa c’entra tutto questo con la domanda? Sat è esistenza. Tutti, a livello esistenziale ed essenziale, siamo attaccati alla fonte, altrimenti non esisteremmo, come dice San Giovanni della Croce. Chit è coscienza/consapevolezza. Nella forma più umana e comune è chiamata attenzione. Questo è il nostro campo di azione e di pratica. Qui è dove siamo evolutivamente mediocri e dobbiamo lavorare. Non ci manca l’attenzione ma non ne facciamo buon uso poiché la disperdiamo tra infiniti oggetti e questo genera l’insoddisfazione derivante dal desiderio (il desiderio materiale ci allontana da ananda). Quando finalmente volgiamo l’attenzione all’interno comincia il processo di auto-conoscenza che, per il praticante, è sentito come un intensificarsi del chit. Per questo molti parlano di diversi livelli di coscienza o di consapevolezza. Anche se, di per sé, sat chit ananda è immutevole, i ‘gradi’ con cui noi ne siamo consci e lo manifestiamo sono relativi. Al praticante esperto, sotto l’aspetto fenomenologico, risulta di aver raggiunto un ‘maggior grado di contatto con chit’, oppure ‘un livello di contatto più profondo’ con chit. Questo è essenziale per rispondere alla domanda, in modo pratico, perché solo quando riusciamo a restare ancorati, anche temporaneamente, a chit, alla coscienza pura o allo Spirito Santo, scopriamo la profonda pace che sorpassa ogni intelligenza, l’ananda. Per arrivare a questo prima deve salire al conscio la realizzazione della nostra vera natura. La meditazione è il percorso verso di essa. Una volta resa conscia la nostra natura, risulta possibile dimorarvi. Piano piano, quando il dimorare si farà sempre più naturale per noi, ci stabiliremo anche nell’ananda, che è l’ultima a stabilirsi permanentemente. Fino a quando non avremo perfetta meta-coscienza della nostra reale natura sarà inevitabile avere a che fare sia con il conscio che con l’inconscio. Avere delle fasi un po’ piatte ed altre molto intense in cui ‘perdiamo la pace’. Le ultime due fasi in cui ci si purifica dall’inconscio sono talmente intense da essere chiamate ‘notti’.
Ammiro la rigorosità nell’esposizione filosofica ma devo dire che l’accetto in pieno solo quando ad esporla è qualcuno che veramente dimora nel sat chit ananda in modo spontaneo e naturale, perché, in quel caso, è una vera e propria ‘istruzione sacra’ che può cambiarci nel profondo. Per chi, come noi, è ancora in viaggio, meglio essere pratici e capire che, sotto il punto di vista relativo, a parte il sat, che è in tutti perfettamente uguale, la conoscenza (chit) del sat varia tantissimo e che la maggioranza ne è conscia solo a livello fenomenale. Per farmi capire meglio riformulo: tutti sappiamo di esistere ma nessuno di noi sa davvero chi è. La conoscenza deve rivolgersi a se stessa per scoprirlo. Si deve conoscere se stessi fino a rendere conscia la nostra vera natura e poi, restarci quanto più possibile, per renderla meta-conscia. Questo si intende per ‘stabilità nella saggezza’ e questa solo è la manifestazione completa del sat-chit-ananda, sia sentita dal praticante che manifesta al mondo.
L’evoluzione non ci chiede altro che questo. Non ci chiede di cambiare i nostri destini con la volontà dell’ego, piuttosto ci dà una missione attraverso la quale evolvere interiormente la capacità di auto-attenzione fino a manifestare l’infinito potenziale, che è l’unico in grado di cambiare le sorti dell’umanità. Ritiriamo l’attenzione fino alla sua fonte e il resto accadrà da sé.
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sophiaepsiche · 1 year
Note
In merito al concerto di tempo circolare e non lineare, come posso inserire il karma nell’equazione?
Mi piacerebbe molto se indagassi la materia in prima persona, conoscendo te stesso, e non la prendessi come una teoria. Ricorda che i dubbi teorici si risolvono solo con la pratica e che, tra l’altro, non ti serve alcuna teoria di base per cominciare a praticare il conosci te stesso. Queste non sono cose difficili da capire da soli, perché fanno parte delle leggi di natura e sono facilmente osservabili. Se cominci ad indagare te stesso, con una certa perseveranza, vedrai che il pensiero è ripetitivo e si ripresenta in loops, soprattutto quando è ossessivo; i loops sono proprio dei movimenti circolari e si ripresentano molto velocemente. Se si modificano, grazie alla vicinanza della consapevolezza, più che circolari ti sembreranno ‘a spirale’, poiché diverranno finalmente dinamici, ripresentandosi come ‘alleggeriti’. Se la presenza mentale ti fa notare questo movimento dentro di te, ‘al microscopio’, ti sarà facile notare anche la ciclicità degli eventi della tua vita. Vedrai come ciclicamente si ripresentano le stesse ‘lezioni’ personali, le stesse dinamiche relazionali, gli stessi input e le tue stesse reazioni inconsce più o meno modificate.
In un mondo in cui praticamente tutti abbiamo degli irrisolti a causa di abusi narcisistici, abbandoni, traumi, molestie sessuali e di varia altra natura, abbiamo quasi tutti sviluppato un adattamento subconscio che va risolto. Che abbiamo fatto un percorso di psicoterapia o meno, la vita stessa ci presenterà l’irrisolto ciclicamente per ritentare una soluzione, stimolandoci a livello esperienziale con una crisi e, a livello interiore, facendo risalire il caos dei loops legati al particolare irrisolto. Ora, quando la presenza mentale è tanta da cominciare a trascendere tali contenuti, il ciclo delle ‘lezioni’ esterne si velocizza moltissimo. Questo rende possibile al praticante spirituale osservare la realtà palpabile del ‘karma’ (o di quello che qui a volte chiamiamo ‘destino inconscio’) senza dover credere a niente. Gli rende possibile considerare il tempo circolare come tempo psichico, appesantito dalla mancata evoluzione. Lo vede nel presente e questo gli basta per comprendere che siamo qui per evolvere interiormente fino a trascendere tutto questo movimento. Il movimento a spirale, sia dentro che fuori di noi, è il movimento della vita. Hai mai visto un video in time-lapse dello stelo di una piantina che cresce? Cresce a spirale. Il movimento della vita è sempre a spirale, è sempre in crescita, è di per sé evolutivo. Non evolvere è contrario alla vita e alle sue leggi.
Questa spirale, a livello psichico, si riattiva ed evolve solo se siamo attenti ai contenuti che il subconscio ci ripropone.
Ad oggi l’evoluzione interiore nell’uomo è quasi ferma perché non si conosce il grande valore terapeutico dell’attenzione interiore, che si relega solo ad una pratica spirituale, mentre il mondo va a picco a causa della nostra arretratezza psichica. I contenuti subconsci determinano il ‘karma’, una proiezione esterna atta a stimolare la risoluzione interiore. La sfida è sempre interiore! Se non adempiamo il fine dell’uomo, che è rendere conscio l’inconscio e superarlo, le crisi esterne non potranno che peggiorare, sia a livello mondiale che individuale. Per questo serve la pratica del conosci te stesso e non le teorie. Non serve credere, serve evolvere e lo si fa mettendo l’attenzione dentro, in noi, dove le leggi di natura risiedono e arbitrano il destino personale e dell’intera umanità. Quando questo intento è sostenuto a lungo si approda alla saggezza e alla spiritualità in modo del tutto naturale.
Spero di averti aiutato.
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sophiaepsiche · 1 year
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La notte oscura dell’anima
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‘Il viaggio contemplativo, implicando la purificazione dell’inconscio, non è un tappeto magico verso la beatitudine. È l’esercizio di lasciare andare il falso sé, un processo che lo umilia, perché è il solo sé che conosciamo. Niente è più utile, a ridurre l’orgoglio, della reale esperienza del conoscere se stessi. Se ci facciamo scoraggiare da tale esperienza, non ne abbiamo capito il significato.’ (Padre Thomas Keating)
Conoscenza di sé nella notte dell’anima
Abbiamo considerato la prima notte sotto il punto di vista del conosci te stesso. La relazione tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé è resa molto evidente da San Giovanni della Croce quando parla della seconda notte, ma prima vediamo come ha inizio. Mentre tutto sembra proseguire bene, e l’anima ‘con grande facilità trova subito in sé una contemplazione serena e piena d’amore’, può raggiungere un picco nella pratica mai avuto prima. Come per la prima notte, questo picco rappresenta l’inizio di un processo di purificazione e trasformazione. La maggior vicinanza alla coscienza pura non può che scatenare una purificazione più profonda della precedente. In alcuni avviene ‘a briciole’, senza grandi sconvolgimenti, in una sorta di altalena tra alti e bassi nella pratica. In rarissimi casi, invece, in cui Dio vuole elevare l’anima all’unione con sé, si attraversa questa notte. Dopo il picco, saliranno al conscio cose fino ad allora nascoste e questo turberà non poco l’aspirante. 
Dio ‘strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce cose oscure’, cita San Giovanni dal libro di Giobbe. L’anima ‘deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni’. La luce della coscienza pura è uno di questi opposti e l’altro sono le impurità dell’ego. La grande luce ‘fa uscire tutte le sue brutture’. ‘Precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale’. ‘Questa purificazione rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina’.
Il dolore non è dovuto alla contemplazione di per sé, dunque, ma al conflitto che prova l’anima: ‘si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro’. ‘Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara, non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui.’ ‘Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore’. È inoltre ‘oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature’. Anche a livello esperienziale, quindi, si dovranno affrontare prove che mirano a far guadagnare, in futuro, un ben maggiore distacco interiore e che scatenano, nell’immediato, reazioni da purificare e trascendere. Il povero praticante non deve far altro che perseverare nella prova, non fermarsi mai, continuare a praticare a prescindere dai risultati e senza farsi scoraggiare da ciò che sale al conscio.
Povertà di spirito
Un altro dei motivi per cui la notte provoca dolore è che, qualora prima si sperimentassero, qui, comunicazioni, estasi, consolazioni, visioni e locuzioni si interrompono. Non solo i sensi ma anche i gusti spirituali, ai quali soprattutto i mistici sono dolcemente abituati, subiranno una grande aridità. Questo rende la notte più penosa per i mistici che per chi segue le vie introspettive. San Giovanni rende chiaro se c’è attaccamento o un senso di proprietà verso queste grazie spirituali, deve essere purificato e ciò accade grazie a questa notte. L’aspirante deve procedere nel cammino per ‘fede pura’ e non per ricevere grazie o consolazioni. Distaccandosi anche dai gusti spirituali, la parte sensitiva si purificherà più profondamente e quella dell’anima arriverà alla famosa ‘povertà di spirito’. ‘Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili’. Dio svuota l’anima e la lascia nell’oscurità della contemplazione, la purifica e la illumina. ‘Non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti ma anche la memoria dei suoi discorsi e delle sue conoscenze’. Questo è essenziale, poiché basta che affiori un affetto o un attaccamento ad un oggetto particolare, perché l’aspirante non senta  il ‘delicato sapore dello spirito’. ‘Occorre che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane.’
Ci sono delle pause di sollievo che donano coraggio e perseveranza all’aspirante. Queste pause produrranno un effetto molto netto, senza via di mezzo: ci si sente o pienamente nella luce e per sempre redenti oppure totalmente persi nell’oscurità. ‘Quando ci sono le sofferenze le sembra di non uscirne più e di aver perduto tutti i beni, quando al contrario le vengono accordati beni spirituali pensa siano finiti tutti i suoi mali’. Mi fermerei un attimo a parlare proprio di questa altalena che caratterizza, anche se molto più lievemente, tutto il percorso spirituale. O si è nella luce o nel purgatorio della mente e delle sue impurità. Questa è esattamente la differenza tra samadhi e meditazione o tra samadhi e vipassana, per i buddhisti. Il mistico direbbe che ‘o si conosce Dio o  la propria miseria’. Infine, i non duali direbbero che ‘o si conosce se stessi o ciò che non si è’. Questa dualità nella pratica, soprattutto quando giungiamo al samadhi, può essere penosa per tutti, ma è bene abituarsi poiché persisterà finché ci sarà dualità in noi. È da accettare quanto prima in quanto è la natura stessa del cammino spirituale. Se gli scarti inconsci non salissero, non potrebbero essere trascesi, e se non fossimo dalla parte della consapevolezza, non salirebbero. Luce e oscurità sono due facce della stessa medaglia. Sebbene il processo di svelare l’inconscio sia meno piacevole della pace del silenzio è inevitabile, sano e porta alla guarigione finale che tutti vogliamo. Ad accettare questo andirivieni possono aiutare molto gli insegnamenti sull’impersonalità di ciò che viene a galla e, sicuramente, anche gli insegnamenti non duali. Dobbiamo capire quanto prima che i contenuti che salgono sono comuni, collettivi, impersonali. Mentre affrontiamo un attaccamento o una tentazione o una reazione, stiamo trascendendo un contenuto della psiche umana, poco importa se in noi ha preso una particolare forma o un particolare oggetto. La dinamica rimane collettiva. Tutto è impersonale anche quando ‘sembra’ personale. Sarà proprio quando capiremo questo errore di percezione, tanto bene da non ripeterlo più, che smetteremo di soffrire. Ci arrenderemo alla pratica, senza resistenze, senza conflitti e senza ricreare l’illusione che ciò che vediamo è nostro. Ovviamente, parlando della notte dell’anima, non ci stiamo riferendo a dei praticanti normali; la sensibilità raggiunta da un aspirante tanto puro da essere introdotto nell’ultima notte è talmente raffinata da rendere quest’ultima fase molto più penosa. L’amore che nutre una tale anima per Dio, o per la realizzazione, rende angoscioso il sacro timore di smarrirsi. È giusto allora essere preparati e consolati da San Giovanni e capire che, per mezzo di questa notte contemplativa, l’anima, che sente di aver fatto innumerevoli passi indietro, sta, in realtà, solo prendendo la rincorsa per il salto finale, per giungere alla pace interiore che ‘sorpassa ogni intelligenza.’
Proprietà della notte
Questa notte ha delle proprietà protettrici notevoli. La contemplazione è, di per sé, celata e sicura. Tiene l’aspirante al riparo da eventuali errori e deviazioni che si potrebbero prendere se non comunicasse solo in spirito, cioè solo in silenzio, ma con visioni, locuzioni e quant’altro. La notte distrugge il desiderio dei gusti spirituali e di tutte le cose create, facendo spiccare il volo verso l’unione permanente. Ha inoltre la capacità di fortificare l’anima, poiché la purifica nella sofferenza, nella prudenza e nel sacro timore. Fa aumentare lo zelo nella conoscenza di sé, perché l’anima ‘esamina e scruta mille volte se stessa’ per non offendere Dio. Queste proprietà ‘mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia perché ormai è molto vicina a Dio.’ L’aspirante durante questa notte è ben sicuro, nascosto e protetto dagli attacchi dell’ego e degli altri.
Frutto
Dopo aver vissuto una buona parte di questa purificazione, verso la fine della notte dell’anima, accade qualcosa di simile alla prima notte ma molto più profonda. Nasce una veemente passione d’amore per Dio o un desiderio inarrestabile per la realizzazione. L’incendio d’amore questa volta si accende nella parte più intima dell’anima. San Giovanni fa notare che la differenza principale con la prima è che, ora, l’anima non dà più ‘alcun peso alle sofferenze dei sensi’, è ‘senza rispetto per niente’, procede ‘senza tener conto di quello che fa’, è determinata e coraggiosa  e, pur sentendosi indegna, diventa ardita e inarrestabile, perché ‘l’amore le dà la forza’. ‘Quest’amore trova tanto più spazio e accoglienza nell’anima’ quanto più distacco da tutto il resto si è raggiunto nella purificazione. In queste fiamme Dio ‘lo illumina riempendolo d’amore e di afflizione finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché purificato, possa partecipare all’unione’. In questo stato ‘non si può durare a lungo: o si ottiene ciò che si desidera o si muore’. Questo  stato ricorda, non a caso, il vjakulata di cui parla Sri Ramakrishna Paramahamsa, uno stato parossistico che precede la realizzazione finale. Una descrizione di tale stato è data dalla metafora per cui si deve desiderare la liberazione come un uomo tenuto sott’acqua desidera una boccata d’aria. L’anima arrivata qui è a un passo dall’unione.
Morte dell’ego
Come sempre, la fine del percorso, nelle vie di verità, coincide con la morte dell’ego. Nel cristianesimo si parla della morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo. L’anima ‘una volta svuotata di tutto è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio’. Una purificazione così profonda per l’anima, in cui ‘Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle’, è assolutamente necessaria. È un passaggio essenziale, in quanto ‘occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è assimilata alle passioni e imperfezioni’. Se sostituiamo la parola ‘anima’ ad ‘ego’, e ‘assimilata’ a ‘identificata’, è facilissimo capire di cosa sta parlando il santo: ‘occorre che l’ego in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è identificato alle passioni e imperfezioni’. Il punto centrale è sempre perdere l’identificazione con i contenuti, le passioni e le imperfezioni, che così vengono trascese con grande facilità, in modo da giungere finalmente all’unione naturale e perenne. La notte, allora, non è affatto un momento di depressione spirituale, sebbene sia un processo doloroso, ma è l’apice della pratica, in cui ‘Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla’. ‘Le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.’ La trasformazione completa ci darà un nuovo grande illuminato, un grande santo, ‘quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana’. Una sorte fortunata per l’intero pianeta.
Conclusione
San Giovanni propone poi un’accurata descrizione della scala d’unione a Dio ed altri interessanti approfondimenti sugli effetti della notte. Qui trovate il testo. Finirei aggiungendo, come al mio solito, un’avvertenza. Ce la facciamo suggerire dai due più grandi maestri non duali recenti, per ricordare quanto tutto questo processo di purificazione sia presente anche nella non dualità, i cui concetti, purtroppo, sempre più spesso vengono strumentalizzati da narcisisti senza scrupoli. Anche persone ben motivate spesso tendono a denigrare la parte della pratica in cui i contenuti che emergono non possono che essere testimoniati ed io lo trovo pericoloso. Non dobbiamo aumentare il conflitto con questa parte della pratica ma diminuirlo per renderlo più fluido possibile. È un bene che vengano alla luce tutte le impurtià, dice Sri Ramana Maharshi poiché ‘la jnana non può divenire stabile se ci sono vasana’. Occorre dunque continuare a praticare perché divenga stabile. Eccovi infine una considerazione di Sri Nisargadatta Marahaj, che distingue i risultati della prima notte con quelli della seconda, mettendo in guardia l’aspirante orgoglioso, così: ‘sono tanti quelli che confondo l’alba con il mezzogiorno […], per eccesso di orgoglio distruggono quel poco che hanno raggiunto. Umiltà e silenzio sono essenziali all’aspirante, per quanti progressi abbia fatto. Solo uno jnani maturo può concedersi la completa spontaneità. Il frutto interiore deve maturare. Fino a quel momento si deve continuare con la disciplina, vivendo nella consapevolezza. Gradualmente la pratica si fa sempre più sottile finché non diventa senza forma’.
La pratica senza forma è il sahaja samadhi di Sri Ramana, o l’unione con Dio di cui parla San Giovanni. Fino ad allora, che sia notte o giorno, scegliamo sempre  di offrirci alla consapevolezza!
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sophiaepsiche · 1 year
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“Una donna pura è migliore di cento yogi”
Neem Karoli Baba
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sophiaepsiche · 1 year
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Cosa ne pensi e mi sai dire sulla cosiddetta "notte oscura dell'anima?"
Chiedi di un argomento molto complesso e di notti ce ne sono due. Ti prego, qualora non l’avessi già fatto, di leggere l’opera da cui questo termine è tratto, la famosa ‘Notte oscura’ dell’immenso San Giovanni della Croce, che, con la sua dettagliata e magnifica esposizione del fenomeno, ti aiuterà infinitamente più di me. Non potrò in alcun modo fargli giustizia in una breve risposta ma tenterò un’introduzione al tema e un commento che, come immaginerai, si rifarà al conosci te stesso.
Innanzitutto ci tengo a dire, avendo passato la prima, che la notte oscura non ha nulla a che vedere con la ‘depressione’, come si è portati a pensare. Sebbene sia accompagnata da prove difficili, tentazioni e sia sicuramente un periodo arduo e incerto, la notte è una ‘sorte felice e fortunata’ per chi la attraversa e i vantaggi che comporta sono, a dir poco, enormi!
Il termine notte descrive due cose essenziali. La prima riguarda questo periodo di crisi fatto di tentazioni, di prove in cui siamo testati e attaccati dagli eventi della vita e da un senso di smarrimento interiore. La crisi precede il passaggio da un grado ad un altro. Riferendoci, per ora, alla prima notte, ‘la notte dei sensi’, questa precede il passaggio dalla meditazione: 'la pratica dei principianti', alla contemplazione: 'la pratica dei proficienti'. Ricordo che con ‘contemplazione’, nel misticismo, si indica il samadhi o il silenzio della mente, da tutti considerato la ‘pratica ultima’. È interessante notare che sia San Giovanni della Croce, sia Bhagavan Ramana Maharshi definiscono chi medita un ‘principiante’. Costoro infatti sono maestri di perfezione e non si dedicano a spiegare nel dettaglio le pratiche più comuni di chi inizia.
Quando si entra nella notte dei sensi si prova una sorta d’incapacità a meditare, la sensazione è che si è arrivati ad un punto morto, in cui la pratica va avanti per inerzia, a ruota libera, e sembra proprio di non fare nulla. Mentre prima si provava gusto e gioia, ora si ha un senso di disgusto per la meditazione, non sembra più un atto volontario e ‘non sa di niente’. Queste ‘aridità’ avvengono perché, come dice San Giovanni, il praticante: ‘non riesce a gustare la prima pace che lo spirito le sta comunicando perché non ha il palato abituato a cose così fini ma non ha neanche le forze per meditare poiché Dio sta trasferendo le potenze dalla parte sensitiva a quella spirituale’. È dunque una preparazione all’elevazione spirituale ma questo il povero praticante non lo sa. Non prova neanche più gusto per le cose del mondo malgrado, come dicevamo, affiorino tentazioni che sembravano assopite, le rifiuta al suo meglio ma rimane in una sorta di limbo dove non prova più gusto per le cose materiali ma neanche per quelle spirituali. ‘L’anima si vede annientata in tutte le cose di lassù e di quaggiù’. Tutto ciò risulta, ovviamente, in una grande preoccupazione di non servire Dio bene o di non fare il proprio dovere spirituale.
Se questi segni si presentano tutti insieme è probabile che si tratti della notte dei sensi, altrimenti potrebbe essere solo tiepidezza nella pratica.
Il secondo motivo per cui è definita ‘notte’ è dovuto alla natura stessa della contemplazione. Stare nella vacuità, nel silenzio e nella pace è, per forza di cose, una ‘notte’ per i sensi, in quanto essi non partecipano ed è per questo che non si ‘prova nulla’. Senza il distacco dai sensi e dai ‘contenuti mentali’, come spesso li chiamiamo, non si può approdare al samadhi. Allora questa prima notte è il primo importante ‘distacco’, il famoso ‘vairagya’ nel linguaggio advaita, che permette di arrivare al silenzio.
Nella mia esperienza la notte dei sensi può essere descritta, dal punto di vista del ‘conosci te stesso’, così: dopo aver meditato, ossia conosciuto se stessi e i propri contenuti mentali costantemente, per un periodo prolungato, si comincia ad arrivare al ‘capolinea’ della meditazione. Quel ‘nulla’ dapprima ci disgusta e non riusciamo a dimorarvi. Il silenzio è ovviamente portato dalla vicinanza alla ‘consapevolezza pura’, ciò comporta che, allo stesso tempo, saliranno finalmente al conscio dei contenuti che fino ad allora erano rimasti nascosti. Tali residui si manifestano fuori con un destino (o karma) temporaneamente sfavorevole che ci mette alla prova. Interiormente, invece, le impurità prendono ormai solo il nome di ‘tentazioni’ poiché non saranno tanto forti da portarci a vivere dinamiche distruttive a livello esperienziale. Non saremo davvero inclini a lasciarci andare ‘alle cose del mondo’ perché la pratica meditativa è già diventata ‘di default’, dunque basterà testimoniarle. Per chi avesse letto 'La comprensione della mente', questo passaggio equivale alla stabilizzazione della consapevolezza come modalità di apprendimento prediletta (meditazione) e la pratica deve intensificarsi raggiungendo il samadhi. Prima che sia possibile devono salire al conscio alcuni residui di attaccamento ai sensi che saranno purificati dalla consapevolezza stessa tanto quanto basta per poi renderci possibile il restare nella vacuità. Arrivati a questo punto il consiglio è di non dimenarsi, di non voler tornare alla pratica precedente ma di rimanere in questo nulla, quando si affaccia, anche se sembra di non far niente. Pian piano cominceremo a gustarne la pace e gli immensi vantaggi.
Il primo ad arrivare sarà un immenso amore di Dio. C’è un periodo meraviglioso in cui o si è in silenzio e in pace o, non appena usciti, si è assaliti da estasi e lacrime di gioia. Le stesse lacrime poi esprimono un magnifico dolore divino, una nostalgia spirituale che ci spinge a tornare nelle braccia di Dio, in samadhi. È un periodo dolcissimo ma sfiancante. Pian piano le estasi si placano. Il secondo vantaggio si capisce più tardi, ci accorgeremo che nel silenzio veniamo ‘istruiti���, resi saggi e illuminati dalla sapienza divina. Essendo drasticamente diminuito l’attaccamento, ‘l’intelletto ha la purezza e la libertà necessaria per comprendere la verità’. L’anima rimane nel silenzio e ‘Dio la istruisce soprannaturalmente’. L’ultimo grandissimo vantaggio è ‘la conoscenza di sé e della propria miseria’. L'ego o l'anima individuale ‘si ritiene ormai un niente e non prova alcuna soddisfazione di sé: vede che da sola non fa e non può fare nulla’. ‘L’umiltà proviene dalla conoscenza di sé’. L’ego così umiliato non ha più la forza di prima. Questi enormi vantaggi sono tipici della prima notte e, sebbene importantissimi, non sono nulla rispetto a quelli della seconda, in cui l’anima viene davvero ‘purificata’. Il distacco dai sensi di cui abbiamo parlato qui è, infatti, solo una prima ‘riforma’ che predispone alla contemplazione, la quale, a sua volta, predispone alla seconda notte, ‘dell’anima’, che prepara all’unione con Dio.
Essendomi dilungata, preparerò un articolo a parte per la 'notte dell'anima', sperando di averti aiutato e spronato a leggere l’originale ‘Notte oscura’, da cui ho preso tutte le qui presenti citazioni (in corsivo).
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